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« Caporale, queste sono le fanfare della tenebra! »
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Barton Vann
 
creato il: 03/08/2007   messaggi totali: 84   commenti totali: 80
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13 maggio 518
Giovedì 24 Aprile 2025

Non è mai successo



Piove.

Non è la solita pioggia lieve a cui siamo abituati in questo periodo dell'anno. Questa è una pioggia solenne, violenta, gonfia di elettricità e cattivi presagi. I fulmini lacerano il cielo sopra le torri spezzate della Rocca di Tramontana come artigli divini, e il tuono ruggisce con voce di collera antica.

E non posso fare a meno di pensare all’ironia di tutto questo.

Per mesi abbiamo osservato questo bastione nero ergersi sul versante opposto del Traunne, come un dente marcio incastonato sul limitare del Corno del Tramonto. Tra reclute facevamo scommesse su quante stanze avesse, su quante ricchezze avremmo avuto modo di agguantare qualora fossimo riusciti a oltrepassare quelle mura. «Scordatevelo», ci diceva Acab ogni volta che quei propositi giungevano alle sue orecchie. «Questa guerra può finire in vari modi, ma una cosa è certa: quella fortezza non cadrà». Il tempo gli diede ragione, come sempre. A tre anni e due guerre di distanza mi ritrovo ancora qui, a scrutare il profilo di quei baluardo maledetto... e, ironia delle ironie, l'occasione più concreta di varcare la sua soglia — e coronare il sogno taciuto che io e mia sorella abbiamo covato per anni — me la trovo tra le mani adesso, sotto un cielo che minaccia tuoni e lampi, fianco a fianco di un pugno di soldati di Uryen. Quelli che un tempo, dalla riva opposta del fiume, osservavamo esercitarsi con movenze eleganti e ordini gridati come canti, mentre noi stringevamo i denti nell'ombra, bestemmiando sottovoce per non farci sentire dai caporali. Quelli che avevano gli scudi dipinti e le corazze lucidate, mentre noi contavamo le frecce rimaste come i pidocchi in testa. E oggi... oggi sono loro i miei compagni. Le mie spalle. I miei pari. O forse no. Forse non siamo pari. Sono ancora una soldataccia dell'Armata del Corno, figlia bastarda della disfatta, condannata a marciare sempre un passo dietro alla gloria e alla vittoria. Ma stanotte, sotto la bufera che sta per scatenarsi, nessuna uniforme esiste più. Nessun rango ci proteggerà.

Ed è questo, forse, il paradosso più crudele: ci voleva una follia come il Morbo dei Risvegliati, o il progetto di uno scienziato pazzo che si è messo in testa di sconfiggere la morte a colpi di bambini torturati... per farci combattere fianco a fianco. Non una tregua, non una pace firmata con cera e sigilli, ma un orrore così profondo che ha scavato un buco nelle nostre rivalità, nel quale siamo precipitati tutti insieme.

«E' tempo», dice Kalina, comparsa alle mie spalle come un'ombra che respira. Ogni sillaba le esce con la grazia di un coltello: morbida, letale, inevitabile.

«Ci vediamo dentro», la saluta Bohemond, senza ottenere risposta. La osserviamo allontanarsi, silenziosa come la morte, diretta verso l'ingresso. Se tutto va come pianificato, tra poco Orstein Bach morirà per mano sua. Restiamo a contare i minuti, divorati dall'attesa.

Morna è in disparte, lontana da noi: è lei la responsabile di questo inferno di vento e pioggia. La immagino con gli occhi al cielo, le braccia aperte come a farsi penetrare dai venti, una statua di epoche remote come quelle scolpite nelle mura dei palazzi di Angvard.

Anche Annie, la Pristina della Mantide, non è qui: si trova a qualche centinaio di metri a est con due Risvegliati al guinzaglio. Quando è tornata al campo, poco fa, sembrava portarli a spasso neanche fossero una coppia di cagnolini. Dunque era proprio vero... Acab aveva ragione anche su questo: possono controllarli, li hanno sempre controllati. Avevamo accettato di aiutare Ghaan pensando che fossero vittime degli empi e sacrileghi stratagemmi di Marvin Barun e Logan Treize, e invece sono stati proprio loro, gli Eredi dell'Avamposto, a trasformare quelle abominevoli creature in armi di guerra. Maledetti.

Vicino a me, Kailah sta respirando piano, misurata, come se ogni respiro fosse l’ultimo. Sven la osserva con la solita espressione torva. Engelhaft sta in ginocchio, farfugliando parole sacre che si mescolano al rumore della pioggia: un'ultima preghiera prima di entrare in azione. Bohemond guarda in alto, verso i fulmini. Colin non sembra nervoso: fruga nella sua borsa, come per accertarsi di non aver dimenticato nulla. Chissà se pensa ai rischi che sta correndo Annie, nella pur auspicabile ipotesi in cui due o tre Pupilli abbocchino alle sue esche. Garruk aspetta impassibile, l'ascia serrata nella morsa delle sue enormi mani. Non sono soldati comuni, questo è certo: c'è in loro una fierezza che non si può ignorare. In mezzo a queste lame temprate dal fuoco, mi sento come il nodo di una corda troppo tesa. Sotto l'armatura e i voti da combattente volontario dell'Armata del Corno sento il gelo della sorte cingermi la schiena: anche nella migliore delle ipotesi, non torneremo tutti. Nella peggiore, non tornerà nessuno.

Il temporale monta, grondando nel cielo come un presagio. All'improvviso, le nubi si squarciano, esplodendo in un boato che scuote l'aria: un fulmine impietoso fa breccia sulle guglie della Rocca, proprio sopra al portone d'ingresso dell'Asilo. E' il momento.

«Compagne, compagni, è stato un onore», esclama Garruk, gettandosi per primo nella tempesta che adesso infuria dinanzi a noi. Quell'uomo ha fatto a pezzi troppi volti amici perché io possa dimenticarlo... eppure in questo momento non riesco a mettere a fuoco neanche una goccia del sangue di cui si è macchiato. Vedo solo un soldato che cammina senza voltarsi verso morte certa, e che per questo merita rispetto.

Ci muoviamo anche noi, puntando all'Asilo. Il nostro piano è semplice: avanzare protetti dalla tempesta, aspettare che un secondo fulmine crei un'apertura sul muro di quella che Colin ha chiamato "Sala dell'Analisi", e poi entrare. Ciò che accadrà dopo non lo sa nessuno ma grosso modo si tratta di raccogliere prove, distruggere sostanze pericolose e ammazzare il personale, ovvero le guardie e i topi di biblioteca. Solo loro, però: chiunque arrivi a difendere l'Asilo da fuori deve continuare a respirare, innalzati compresi. Se tutto andrà bene, Kalina farà fuori lo scienziato pazzo e ci aiuterà a varcare la porta sigillata all'ultimo piano, che di certo conterrà le schifezze peggiori. E se invece dovesse andare male... Beh, ho ancora tre giri di arcolaio da potermi giocare.

Posso concederti il potere di riavvolgere il tempo fino a TRE volte. Tutto ciò che dovrai fare sarà pensarlo, e le trame dell'evento che vorrai evitare si riavvolgeranno del tempo necessario per consentirti di evitarlo. Mi farai uscire?

Lo so, avrei dovuto rispondere diversamente: alla prova dei fatti non mi sono mostrata poi così diversa dallo scienziato pazzo e dai ricercatori di Ghaan. In un mirabile scherzo del fato, proprio mentre il mio cervello si arrovella sul criptico patto col diavolo che mi è stato proposto su quel ponte sospeso sul nulla dove Morna ci ha trascinati, la scritta sulla cancellata dell'Asilo emerge dall'acquazzone, palesandosi di fronte a noi: EXITUS ACTA PROBAT. Che poi, a quanto ci spiegava Kalina, non è che un modo più pomposo di declamare una delle massime preferite dell'Armata del Corno: "se la birra è buona, nessuno chiede con che acqua l'hai fatta". Questi siamo.

«Di là», ci fa segno Colin, l'unico che ha una vaga idea di dove andare. Avanziamo quasi alla cieca, i passi ovattati dal fango e dal ruggito costante della tempesta. L'acqua mi penetra ovunque, infiltrandosi tra le placche dell'armatura come dita gelide. Mi chiedo come se la cavino gli Innalzati in mezzo a tutto questo casino: magari anche i loro sensi aumentati vacillano sotto la furia degli elementi... Speriamo di scoprirlo il più tardi possibile.

Il cielo ruggisce come una bestia ferita, e per un istante ogni suono viene inghiottito da un silenzio sospeso: poi, immediatamente dopo, il fulmine colpisce la parete di pietra di fronte a noi con la forza del giudizio di una divinità incazzata a morte. Una lama di luce che lacera l'aria con uno stridio sovrannaturale e si abbatte contro il fianco dell'Asilo con forza e precisione spaventosa. Il fragore è talmente violento che sento le ossa vibrare, mentre schegge roventi si alzano nel cielo come pioggia rovesciata, vomitando un fiotto di luce accecante a pochi passi da noi.

Per alcuni istanti la breccia è soltanto fumo, polvere e ombre danzanti. Poi il vento spazza via quel velo, mostrandoci i contorni anneriti di una ferita scavata nelle carni della fortezza più inviolata delle Lande.

«Che spettacolo», esclama Kailah, visibilmente impressionata da questa formidabile manifestazione di potere magico.

Pochi istanti dopo, siamo dentro. Nella stanza ci sono due persone che capiscono rapidamente di essere di troppo. Sven ne zittisce uno, io e Bohemond ci avventiamo sull'altro che riesce a cacciare un urlo prima di crepare.

«Con questi si poteva, giusto?» chiede Sven per scrupolo, a cose ormai fatte: «sono CHIARAMENTE vestiti da studiosi».

«Alchimisti», conferma Colin, suscitando un sospiro di sollievo generale. Il tempo di raccogliere alcune prove e siamo pronti a proseguire.

La stanza successiva, quella da cui erano arrivate le guardie, secondo Colin contiene parecchie cose da distruggere. Quando entriamo non c'è anima viva, i ricercatori hanno fatto in tempo a fuggire. Mentre Colin inizia la sua opera, Bohemond, Sven ed Engelhaft si posizionano a presidio delle due aperture, preparandosi a ciò che inevitabilmente accade di lì a poco: tre guardie fanno il loro ingresso con le armi in pugno, tutte dall'apertura presidiata da Sven. La prima, grande e grossa, riesce a sorprenderlo con una mossa rischiosa, facendolo arretrare e consentendo l'accesso alle altre due. Una la affronta Bohemond, l'altra la prendiamo io ed Engelhaft. Armi lunghe. Mentre scambiamo i primi colpi, non riesco a non pensare al fatto che, se la sorte dovesse voltarmi le spalle, potrei morire con i tre giri di arcolaio ancora in canna. Sarebbe davvero uno spreco, specie considerando il prezzo che ho pagato - che ho messo in conto al Continente - per concedermi questa opportunità. «Se la cavano», esclama Sven, subendo un colpo fortunatamente innocuo... e ha ragione. Io vengo ferita al braccio, Bohemond evita per miracolo un colpo diretto al volto: poi la ruota gira, Sven colpisce il suo avversario alle gambe e di lì a poco riusciamo ad avere la meglio.

«Anche questi mi confermate che...» domanda Sven, trovando rapida conferma da Colin. E sono quattro.

Prove raccolte e materiali distrutti, è ora di muoversi. Torniamo nella sala da cui siamo entrati e da lì tagliamo per il corridoio, che diventa teatro di un altro scontro. Riusciamo ad avere la meglio, ma non a impedire che la porta che dà alla Sala Centrale, dove si trovano le scale, venga chiusa a chiave. Sembra robusta, quindi provo a scassinarla: tempo perso, visto che gli stronzi ci hanno spezzato la chiave dentro. Alla fine riusciamo a sfondarla ma perdiamo un sacco di tempo, e quando riusciamo a entrare troviamo quattro guardie pronte a riceverci, armate fino ai denti.

«Nessuno di loro ha le insegne di Uryen», fa notare Colin... il che è ovviamente un'ottima notizia, perché non c'è tempo per trattenere i colpi. Ma dobbiamo far presto, prima che possano arrivare rinforzi dalla Rocca. Il combattimento è cruento e coinvolge tutti. Ben presto imbarchiamo i primi danni seri: Bohemond resta ferito a un braccio, Kailah a una gamba, Colin al ventre. Engelhaft, con una torsione secca del bastone, colpisce alla tempia l'aggressore di Colin, salvandogli la vita e spegnendo la minaccia in un colpo solo. Alla fine i nostri avversari hanno la peggio, ma proprio quando lo scontro si conclude a nostro favore accade qualcosa che ci impedisce di festeggiare.



È probabile che ci abbiano visti combattere. Uno dalla sommità delle scale, l’altro da qualche fenditura nel muro. Forse potevano intervenire prima, in soccorso dei loro uomini... ma non l'hanno fatto. Si sono limitati a osservarci, come falchi appollaiati sul bordo di un dirupo, aspettando il momento migliore per colpire. Hanno studiato le nostre armi, le nostre distanze, la fatica che i fendenti scambiati ci hanno cucito addosso. E poi, come un colpo di vento improvviso che schianta un albero già provato dall'inverno, sono piombati su di noi.

Il primo dei Pupilli cade addosso a Bohemond, gettandosi dalle scale con grazia e velocità implacabili. E' una ragazza. Si lancia verso lo scontro senza esitazioni, come se la paura fosse qualcosa che le hanno estirpato insieme all’infanzia. Il corpo sottile si piega con eleganza innaturale, le braccia aperte come ali. Ciocche di capelli biondi, fradici e incollati alla fronte, le scivolano sugli occhi, nascondendo gran parte di un viso smunto e scavato. Un tempo, prima che il sangue che le scorre nelle vene la rendesse un'ombra spettrale, doveva essere bellissima: lo si intuisce nelle linee, nel taglio delicato della bocca, nella simmetria crudele delle guance spigolose. I suoi occhi sono spenti, vuoti, due pezzi di vetro immersi nell'acqua stagnante. E mentre si abbatte su di noi, capisco con un brivido che non sono la rabbia o l'odio nei nostri confronti a muoverla, ma la muta obbedienza a un volere che non conosciamo.

Il paladino non ha modo di opporre lo scudo e viene colpito una, due, tre volte: i colpi investono la corazza come gocce di pioggia, aprendo squarci vermigli sul torace e sul ventre. Engelhaft è lesto a prendere il suo posto, ma anche lui non può farcela da solo. Sven vorrebbe aiutarlo, ma un secondo Pupillo piomba su di lui con la rapidità di una vipera: un ragazzo, biondo anche lui, ma con tratti più duri e affilati - e un lampo di ghiaccio negli occhi. Anche lui, come la sua compagna, non emette un suono né tradisce alcuna emozione: due gemelli cresciuti nell’ombra, speculari nella ferocia e nell’innaturale controllo dei loro corpi.

Sven riesce a parare il primo colpo. Il ragazzo non pesa quanto lui, non ha la forza di un uomo temprato dal campo, ma ogni movimento è preciso, studiato, efficiente. Non spreca un solo gesto, non arretra, non sbaglia. E soprattutto: non si stanca. Con l'arma in pugno Sven è probabilmente il più forte di tutti noi, è la prima volta che lo vedo in difficoltà. Il giovane Innalzato non lo sovrasta con la forza né con la tecnica, ma con una fredda e implacabile regolarità. Sven prova a schivare un fendente basso e risponde con un affondo mirato alla gola: il Pupillo lo anticipa, scarta di lato, quindi rotea su sé stesso e lo colpisce alla spalla con una violenza che fa scricchiolare l’armatura. Sven vacilla. Morde un’imprecazione, poi arretra, cercando spazio. Mi affianco a lui mentre Colin, benché ferito, prova a dare una mano ad Engelhaft, ma sappiamo entrambi che si tratta di un tentativo velleitario: non siamo all'altezza di queste creature.

Sven viene ferito alla gamba, quindi trafitto da un terribile affondo al ventre che lo costringe ad abbandonare l'arma e accasciarsi al suolo. Di lì a poco è la volta di Engelhaft, raggiunto da un altro colpo mortale. Infine, tocca a me: non riesco neppure a vedere la lama, sento solo il dolore lancinante e il calore del sangue che comincia ad abbandonarmi mentre le gambe mi costringono ad accasciarmi al suolo.

«Arrendetevi», esclama la ragazza: «gettate le armi e sdraiatevi a terra». Di fronte a lei Bohemond si sforza di riprendere fiato, sanguinando copiosamente.

«Sei Freya, vero?» le chiede Kailah. L'innalzata la scruta con i suoi occhi inespressivi. «Non siamo qui per farvi del male. Siamo amici di Vodan... Tuo fratello. Lo conosciamo, abbiamo combattuto insieme. Siamo venuti qui per voi, per liberarvi da questa maledizione. Non sei sola. Lui non avrebbe voluto... che finisse così».

"Freya" non risponde subito: il volto resta immobile, contratto in quella maschera di pietra scavata dalla sofferenza, ma nei suoi occhi, qualcosa si incrina. Un battito, una minuscola crepa nel gelo. Poi parla, con una voce che non è più quella di una bambina né ancora quella di una donna, ma un’eco spezzata, come se le parole le si staccassero dalle labbra a fatica.

«Vodan è morto. Ed è morta anche Freya.»

La pioggia sembra rallentare per un istante. Kailah resta immobile, scossa.

Bohemond, invece, decide che non c’è più nulla da dire. Si lancia avanti, sollevando la spada con le ultime forze che gli restano, in un ultimo, disperato assalto.

Freya non si volta, non si sposta, non urla. Con un movimento secco, preciso, si abbassa, rotea la spada sulla testa e sferra un colpo che non ha niente di umano. La lama, coperta di sangue, risale a tracciare un arco che fende l'aria in mezzo a noi: subito dopo, il corpo di Bohemond crolla a terra in una pozza rossastra.

«Arrendetevi», ripete Freya con voce ferma, meccanica, priva di emozione: «gettate le armi e sdraiatevi a terra».

Kailah tenta nuovamente di dire qualcosa, ma l'altro Innalzato la interrompe. «Basta parlare», esclama puntandole la spada al volto. «Fate come dice, o morirete qui e ora». Parole di circostanza, un rito vuoto che prelude all'inevitabile esecuzione che ci attenderebbe qualora dovessimo scegliere la resa. Ma che alternativa abbiamo, sconfitti e moribondi come siamo? L'unica speranza è che Morna, oltre al temporale, possa calare qualche altro asso. Ma anche quell'illusione ci viene strappata dal petto nel momento in cui il portone dell'Asilo si apre, rivelando le sagome di Alfiere e Regina. E tra di loro, trasportato come un trofeo spezzato, il corpo esanime di Morna, la testa reclinata in avanti, i capelli grondanti pioggia e sangue.

«Ben fatto», commenta il Pupillo che ha affrontato e sconfitto Sven con un cenno di approvazione. Regina alza lo sguardo verso di noi, la pioggia che le scivola lungo il volto come lacrime che non può più versare. Non parla. Non ne ha bisogno. I suoi occhi incrociano i miei, e in quello sguardo, per un istante, c’è qualcosa di... umano. Di stanco. Di dispiaciuto. Mi dispiace, sembra dire. Mi dispiace, ma è finita.

Kailah crolla in ginocchio. Colin le sussurra qualcosa, ma la sua voce è inghiottita dall'ennesimo rombo di un tuono. Engelhaft, coperto di sangue ma ancora vivo, osserva immobile la scena, lo sguardo perso sul cadavere di Morna, come in attesa di un ultimo bagliore salvifico. Ma il fuoco della maga si è spento, a differenza del temporale che ancora infuria a pochi passi da noi. E in quel frastuono comprendo che la nostra parte è finita: nessun fulmine ci salverà, nessun incanto ribalterà l'esito funesto della nostra spedizione.

I due Innalzati artefici della nostra disfatta si voltano nuovamente verso di noi, scrutandoci uno a uno come per capire il da farsi: per Sven, Bohemond, Engelhaft e me non c'è speranza, agli altri forse toccherà marcire qualche giorno in prigione prima dell'inevitabile... L'inspiegabile senso dell'onore di cui sono dotati non sembra renderli propensi a risolverla qui e ora, in fretta e in modo indolore. Magari cambieranno idea quando si accorgeranno che lo scienziato pazzo è crepato, nella speranza che almeno Kalina sia riuscita a svolgere il suo compito.

Dovrei farlo adesso, finché sono ancora cosciente: da un momento all'altro rischio di perdere i sensi. Eppure, qualcosa dentro di me mi spinge ad aspettare. Non ancora. Ripenso ancora una volta alla formula che ho accettato: Tutto ciò che dovrai fare sarà pensarlo, e le trame dell'evento che vorrai evitare si riavvolgeranno del tempo necessario per consentirti di evitarlo. Per consentirmi di evitarlo. Come posso impedire a questa disfatta di ripetersi? Ho bisogno di informazioni, devo...

«Notizie sulla Pristina della Mantide?» chiede il Pupillo.

Regina scuote la testa. «E' andata come avevi previsto: ha ucciso Fante ed è scappata: Cavaliere la sta seguendo, ma gli abbiamo detto di non ingaggiarla. Noi... abbiamo preferito... far fuori la maga». C'è una punta di incertezza nelle sue parole, come se non fosse sicura.

«Avete fatto bene: adesso però andategli dietro. Ricordate che Orstein la vuole viva». Poi torna a rivolgere la sua attenzione verso di noi.

Sorrido, sforzandomi di ignorare il dolore. Hai capito, Annie... Ne ha persino fatto fuori uno. Non mi sorprende che lo scienziato pazzo la voglia viva. Il dolore si fa sempre più intenso. Il pupillo mi guarda e comprende che è arrivato il momento di concedermi un ultimo, definitivo atto di pietà. Lo osservo mentre si avvicina, alzando la spada ancora lorda del sangue di Sven.

Non posso attendere oltre: mi dispiace, giovanotto, ma mi tocca declinare l'invito. Magari... la prossima volta.

E poi urlo quelle parole maledette, sperando con tutto il cuore che non si tratti soltanto di una gigantesca presa per il culo.



Kristen Valak - Immagine 01
scritto da Kristen Valak , 18:29 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
22 marzo 518
Domenica 20 Ottobre 2024

Otto promesse (parte 2)

SAGA



«Laury ti prego non piangere, non è il momento!»

Nora fa del suo meglio per calmare la piccola, ma non è facile: questa famiglia ha vissuto troppi traumi per restare serena in un momento del genere. Sono venuti per me? Se così fosse, non me lo perdonerei mai. Queste persone non meritano altre sofferenze.

«Andrà tutto bene, vero?» mi chiede Desiderio, il più piccolo della cucciolata di Scimus e Mà.

«Certo che sì», gli rispondo accarezzandogli la testa. «E poi tu sei quello coraggioso, no?»

Lui annuisce convintamente. «Se dovessero salire, ti proteggerò io!» Aggiunge con un'espressione seria.

Gli sorrido. «Ti ringrazio, ma vedrai... non servirà.»

In quel momento un sonoro rumore di passi rompe il silenzio, facendoci sobbalzare tutti. «Sono io!» mormora Eliane. Patty apre alla figlia, che entra trafelata insieme a Gertie. «Non sono riuscita a trovare gli altri... non so dove sono!»

«Non preoccuparti», la rassicura Patty, che poi si volta a guardare me: mancano ancora Ruben, Last e Freya.

«Dovrebbero essere con Arken... credo», ipotizza Nora. «Volevano fare ancora quella cosa dei fantocci». Me lo auguro... Ark è in gamba, dovrebbe sapere cosa fare in questi casi. Ma se così fosse, come mai non sono tornati qui?

La nostra tensione viene spezzata all'improvviso da un grido di dolore proveniente dal piano terra: Gertie si tappa le orecchie, Laury singhiozza, Eliane e Patty si portano una mano alla bocca. Il grido è presto seguito da uno schianto: legno spezzato, forse la porta.

«Si può sapere che problemi avete?»

«Se vi sedete e ci ascoltate con calma, non vi succederà nulla!»

«Non siete soldati! Non avete nessun diritto di...»

Frammenti di frasi provenienti dal piano di sotto si accavallano l'un l'altro, sovrastati dai deboli singhiozzi di Laury. «Oh Dei!» mormora Patty, abbozzando una preghiera.

Rifletto sul da farsi. Restare qui non serve a nulla: o vado a cercare Freya o scendo a dare una mano come posso. Già, ma come posso? Non sono certo una tipa da attacco frontale: se volano due schiaffi ne prendo tre. Quanto a Freya, potrebbe essere ovunque.... Magari al sicuro, visto che il grosso di questi manigoldi sta qui. No, decisamente meglio scendere di sotto.

«Cosa vuoi fare?» Mi chiede Patty non appena si accorge delle mie intenzioni.

«Non lo so neppure io» le rispondo, scuotendo la testa: «ma non posso starmene qui a non fare niente: vedo se riesco a dare una mano a Karel e agli altri».

Patty scuote la testa: «lascia fare a loro, è meglio: qui sei più al sicuro».

«Il fatto è che... esiste la possibilità che io conosca queste persone: potrebbero essere venuti per me».

La donna mi osserva: conosce la storia. «E anche in quel caso è meglio se non ti vedono, no?»

«Sei gentile a dire così: ma se stanno cercando me, un piano e quella porta non faranno la differenza. La sfonderanno e mi vedranno comunque, e a quel punto potrebbero pensare di punirvi perché mi avete nascosta. Credimi, è meglio così».

«Vengo con te», esclama Desiderio. «Ti guardo le spalle». In una mano stringe il suo cero, nell'altra il piccolo coltellino con cui era intento a intagliarlo fino a poco fa. Stamattina mi ha confidato che stanotte avrebbe voluto accenderlo e custodirlo insieme a me.

«Grazie, ma non è possibile», gli dico con tono dolce ma fermo. «E' una cosa che devo fare da sola. E poi tu devi custodire il nostro cero, no? Stanotte lo dobbiamo accendere, non ricordi?»

«Davvero? Me lo prometti?»

«Certo che si: te lo prometto».

Varco la porta, che subito Patty richiude alle mie spalle. E' robusta e pesante, ma non fermerà quei balordi quando e se decideranno di salire. Mentre scendo le scale, ripenso a ciò che Vodan mi ha spiegato sul ruolo di Kalina la Divina e delle sue compagne alle Case della Gioia. Soldatesse che combattono con armi diverse dalle mie, così le ha definite. Detta così suona male, ma quando mi ha raccontato della scelta coraggiosa di Giada e del ruolo giocato da quella sirena ho compreso il reale significato di quelle parole. Devo ispirarmi a lei, in questo momento difficile: devo fare ciò che è necessario per risolvere questa crisi.

Questa è la risoluzione con cui scendo le scale, subito smorzata dal tetro spettacolo che si palesa ai miei occhi. I soldati hanno varcato l'ingresso, sfondato la porta e raggiunto la sala da pranzo: tre di loro hanno sguainato le armi, rivolgendole contro Karel, Gomar, Scimus e Mà, anch'essi armati; un altro si volta verso di me. Un altro ancora, presumibilmente il capo, brandisce dei fogliacci luridi su cui qualcuno avrà certamente scritto che questi maramaldi hanno il permesso speciale di fare tutto ciò che pare a loro. Come sempre. Trent aveva detto che erano sette, ma ne vedo soltanto cinque: forse gli ultimi due sono rimasti fuori?

Il mio arrivo desta un certo interesse. Cosa farebbe Giada? Il capo mi squadra dall'alto verso il basso, le dita che tamburellano sull'ascia da lancio assicurata alla cintura. E' con lui che devo parlare, da pari a pari e fissandolo negli occhi, ignorando gli inopportuni apprezzamenti della soldataglia.

«Buonasera», mi saluta accennando un inchino: «stavamo giusto facendo le presentazioni».

«Di grazia, potrei sapere cosa volete? Ci stavamo preparando a festeggiare Ostàra».

«Siamo venuti a proporre un accordo vantaggioso», risponde quello, agitando i fogliacci. «Tutto regolare, ovviamente. Garantito dalla Rocca».

«Ovviamente».

Stanno cercando qualcuno, è evidente. Qualcuno che probabilmente non hanno mai visto in faccia. Se è gente mandata da qualche parente di Emon Creedon, potrebbero avere delle descrizioni...

«Non è vero», ribatte Karel: «Non è quello che hanno detto poco fa. Vogliono portare via i marmocchi». I marmocchi? In che senso?

«Beh, si», risponde il capo, sollevando le spalle. «Del resto è proprio di questo che parla l'accordo. Tuttavia, anche scambiare due parole con una bella ragazza non ci fa mica schifo...»

«Andatevene», ringhia Scimus, digrignando i denti e brandendo la sua cucchiara - una grossa pala da neve - verso il soldato più vicino. «Andatevene ora, finché potete farlo: qui non c'è niente per voi». Quello, per tutta risposta, solleva un batocchio di legno non meno lungo e pesante della rancogna di Mà.

Capisco in fretta che il compito di Giada e Kalina in questi frangenti, ovvero il mio compito ora, è impedire alla situazione di degenerare.

«Perché invece non mettiamo via le armi e ci sediamo?» Così dicendo mi avvicino al tavolo. «Sono certa che potremmo raggiungere un accordo, magari diverso, ma comunque... soddisfacente».

Guardo il capo negli occhi, quindi abbasso lentamente lo sguardo. Il pavimento è ingombro dei resti dei ceri, caduti a terra e in gran parte spezzati. Aspetto che si avvicini, cosa che puntualmente accade. Mi scruta, quindi mi prende il mento tra le mani, sollevandomi il volto verso la luce delle torce che scoppiettano nel silenzio della stanza.

«Come ti chiami?»

«Saga», gli dico. E' il momento della verità: se sono venuti per me lo saprò adesso, guardandolo negli occhi. Con stupore, realizzo che non è affatto così. Non è gente dei Creedon. Non stanno cercando noi.

«E dimmi, Saga», continua lui, con voce suadente. «Quanti anni hai?»

«Ventidue».

Annuisce con un sorriso compiaciuto. Fatti coraggio, Saga: è il tuo momento. Se giochi bene le tue carte, puoi sperare di accontentarlo da sola e mandarlo via con poco. Del resto è questo che sei diventata, no? Un pugno di mesi di pace e illusioni non possono cambiare il destino a cui questo feudo maledetto ti ha condannata.

«E allora...» mormora lentamente, avvicinandosi con la bocca al mio orecchio e abbassando la voce fino a renderla quasi un sussurro.

«.... e allora non servi a un cazzo».

Il guanto ferrato dell'armatura mi colpisce in pieno volto, lacerandomi la guancia e iniettandomi il naso di sangue. Precipito su una sedia, che si rompe sotto di me riempiendomi le mani e i fianchi di schegge affilate. Non sento il rumore del mio corpo che cade, nelle orecchie c'è solo un fischio assordante che mi arriva fin dentro al cervello. Il capo mi assesta due calci in rapida successione, quindi mi sputa addosso. «Troia che non sei altro! Pensavi di fottermi, eh? Che cosa avevi intenzione di fare?». Mi raggomitolo a terra, cercando di proteggermi la testa dall'assurda reprimenda di questo pazzo violento. Dove ho sbagliato?

Il fallimento del mio tentativo di mediazione provoca conseguenze opposte a quelle che erano le mie intenzioni: la situazione degenera. Mà brandisce la rancogna e si avventa su uno dei soldati, gridando qualcosa che non comprendo. Scimus mi si piazza davanti, mulinando la cucchiara e costringendo il capo a fare due passi indietro. Goran blocca un fendente al corpo e risponde con una gomitata all'indirizzo di uno dei soldati, mentre Karel viene colpito alla spalla dall'altro, per fortuna - credo - in modo non grave.

«Fatevi sotto, vigliacchi!», urla il capofamiglia alla marmaglia di balordi. «Ben detto!» Gli fa subito eco Scimus: «Facciamo vedere a questi bastardi che sono venuti a mungere la vacca sbagliata!».

Provo a rialzarmi, puntellandomi sugli avambracci sanguinanti: devo aiutarli, devo fare la mia parte. Raggiungo una credenza, mi sollevo, torno in piedi, spreco istanti preziosi alla disperata ricerca di qualcosa da afferrare: una scopa di saggina, un vaso, una padella per le castagne. Sono lenta. Nel momento in cui riesco finalmente a girarmi, il manico della padella stretto tra le mani tremanti, Scimus stramazza al suolo, colpito al volto da un fendente. Un istante dopo è la volta di Karel, raggiunto alla schiena da un secondo colpo di mazza drammaticamente più energico del primo. Goran e Mà sono ancora in piedi, ma a breve si ritroveranno con due avversari a testa.

«Io aspetterei settembre, per quella» mi schernisce il capo, ruotando la spada nella mia direzione. «Ma se proprio hai fretta di usarla...»

Quello che accade dopo è fin troppo scontato. Mi avvento su di lui agitando la padella, consapevole di non avere alcuna speranza, e così è. Un taglio sul dorso della mano mi costringe ad abbandonare la presa, un calcio ben assestato mi spedisce nuovamente con la faccia sul pavimento.

Agli altri non va molto meglio: la rancogna morde l'aria un paio di volte, quindi finisce anch'essa a terra, ben presto seguita da Goran e Mà. Abbiamo perso. E adesso?

Il capo mi posa la punta dello stivale sulla spalla, poi comincia a spingere, sempre più forte, osservando con un ghigno sadico la mia smorfia di dolore crescente. Non è venuto per me ma in compenso mi odia più di chiunque altro. Deve avere il dente avvelenato contro le donne: non lo manderà Creedon, ma lo ricorda parecchio. Anche io ti disprezzo, sai? Anche a me fanno schifo quelli come te. Non sei che l'ennesimo spaporchio molesto, egoista e violento, condannato ad essere respinto per tutta la vita. Stringo i denti, cercando di resistere per non dargli soddisfazione, ma non è umanamente possibile. Il suo piede accompagna la mia articolazione in una torsione innaturale, costringendola prima a tendersi, poi a piegarsi fino a raggiungere il limite, e infine, inevitabilmente, a dislocarsi con un rumore sordo. La mia bocca si contorce in un grido strozzato. Il dolore è atroce, ma riesco a non perdere i sensi. Non ancora.

«Salite a prendere il resto di questi pezzenti», lo sento ordinare a due dei suoi sgherri. «Voialtri, disarmateli e teneteli d'occhio».

Con la coda dell'occhio li osservo mentre salgono le scale. Ripenso alle parole di Karel: Vogliono prendere i marmocchi. Possibile? Perché? A cosa gli servono? Sia come sia, spero che Freya, Ruben e gli altri siano riusciti a scappare lontano.

Vodan... dove diavolo sei? Abbiamo bisogno di te! Avevi promesso...

Saga Thorn



RUBEN



«Come va il ginocchio?»

«Migliora a vista d'occhio», rispondo a Last con un sussurro, mentre continuo a scrutare i dintorni. Dove si sarà cacciato il nostro inseguitore?

«Credo che abbia smesso di seguirci: magari è andato dietro ad Arken e Freya».

Mi auguro di cuore che non sia così. Più riusciamo a tenere l'attenzione di quel soldato rivolta verso di noi, più loro avranno il tempo di raggiungere il boschetto e mettersi al sicuro.

«Eccolo», mormora Last all'improvviso: «Laggiù, vicino al semenzaio!»

Perfetto, penso mentre raccolgo una pietra tra le mani. Mentre mi accingo a tirarla, ripenso alle innumerevoli volte che abbiamo giocato a nascondino in questo labirinto di alberi e arbusti che circondano casa nostra. Io, Freya e Arken eravamo i più bravi. L'unica differenza è che stavolta dobbiamo vedercela con un adulto. L'unica differenza è che stavolta non è un gioco. Beh, vediamo come se la cava questo finto soldato. Lancio il sasso, che compie una lenta parabola nella sua direzione, quindi mi accovaccio tra i cespugli.

Thud!

«Lo hai mancato!», bisbiglia Last.

«Idiota, non miravo a lui: preparati a correre appena si sposta». Last non ha mai imparato le tattiche basilari del nascondino... per questo finisce sempre a contare.

Prevedibilmente, il rumore attira l'attenzione dello scagnozzo: quando si volta, dandoci le spalle e facendo un paio di passi nella direzione che speravo, scatto in piedi e comincio a correre. Il ginocchio abbaia ancora, ma non morde più. Last mi segue come un'ombra: insieme risaliamo furtivamente il sentiero, tenendoci bassi e sfruttando la copertura della fitta siepe di alloro che costituisce il vanto di zio Scimus. Il nostro inseguitore si accorge della manovra e si mette a inseguirci, ma nel punto dove decide di tagliare non c'è un sentiero e ben presto l'erba alta lo costringe a rallentare. Ricordo quando Hart mise il piede dentro un nido di serpenti proprio da quelle parti e mi auguro che al nostro inseguitore succeda la stessa cosa, magari anche peggio. Lo sento bestemmiare: ha capito che adesso dovrà tornare indietro e fare il giro lungo. Bene così.

«Ahah, hai sentito? Ha detto porco p...»

«Ho sentito: non ti distrarre, resta concentrato».

Risaliamo verso casa, approfittando del vantaggio di tempo che ci siamo guadagnati. Il sentiero si apre, regalandoci uno scorcio sul vialetto che porta all'ingresso di casa nostra. I cavalli dei finti soldati, malmessi e denutriti, pascolano davanti alla porta, addentando con scarsa convinzione le primule di zia Mà.

«Hai visto?» esclama Last, puntando il dito poco più indietro: «hanno anche un carretto».

«Già. Mi chiedo cosa se ne facciano, visto che è vuoto». Il sospetto è che siano venuti per riempirlo con la roba nostra. Ci avviciniamo con cautela, fino a sentire stralci della discussione che sta avendo luogo all'interno: a quanto pare non mi sbagliavo, questi cercano qualcosa... O peggio, qualcuno. Devo portare via Saga.

«Aspettami qui», dico a Last: «io cerco di entrare dal retro».

«Va bene, ma... cosa devo fare se torna il soldato?»

«A quel punto mi fai un segnale... il fischio da pastore, d'accordo?». Il fischio da pastore è la specialità di Last, quando lo fa si sente fino a Uryen. «E poi corri da Oger Esmor come se avessi il pepe al c...» La frase mi muore in gola, mentre il mio sguardo si leva verso l'abitato di Esmor e incontra la grande colonna di fumo che si perde nelle ombre della sera ormai incombente. Sotto di lei, bagliori giallastri che non promettono niente di buono.

«Oh cazzo», mormora Last. «Ma che, hanno già acceso i pupazzi?»

Scuoto la testa. Magari, Last. Non è certo paglia, quella che sta bruciando. «... E poi corri verso il boschetto, d'accordo? Così ci incontriamo tutti quanti lì».

«D'accordo. Ma non tirarmi il pacco, eh? Non fare che poi non venite». Lo sento stringermi il braccio, forte. Anche lui adesso ha paura. Come me.

«Tranquillo: te lo prometto».

Di lì a poco raggiungo la porta sul retro: chiusa. Anche le finestre sono sbarrate. Sollevo gli occhi alla ricerca di un'apertura verso cui potermi arrampicare e vedo Eliane che mi guarda dall'alto.

«S-C-A-P-P-A», mi comunica senza emettere un fiato, enfatizzando i movimenti delle labbra: quindi indica in basso, appena dietro di me. Mi volto giusto in tempo per intravedere la sagoma dell'ennesimo soldato, che proprio in quel momento fa capolino dall'angolo opposto della casa.

«Hey, tu: fermo lì!»

Fossi matto. Scatto a correre a perdifiato nella direzione opposta, ignorando i guaiti lamentosi del ginocchio, mentre quello si getta all'inseguimento. Che faccio? Dove vado? L'impulso è quello di dirigermi verso il boschetto, ma prima devo trovare il modo di avvertire Saga. Viro dunque in direzione del frutteto, con l'idea di seminare anche questo inseguitore e poi, magari, tornare sul retro e cercare di contattarla tramite Eliane. Posso farcela. Mi sento come i protagonisti della storia che ci raccontava nonna Laurel, in cui una banda di ragazzini - i "marmocchi", come li chiamava lei - riusciva a mettere sempre nel sacco i soldati della Signoria. Tra un attimo raggiungerò il frutteto. Posso farcela. Non sento più i passi del mio inseguitore, forse ha mollato... ma non posso voltarmi, se mi voltassi perderei velocità e non è una buona idea. Posso farcela.

Poi sento un rumore strano e perdo contatto con il terreno. Rotolo a terra, senza capire cosa sia successo. Un'altra radice? Provo a rialzarmi e a quel punto sento il polpaccio che comincia a urlare a squarciagola, ma una roba che al confronto il ginocchio era muto. Un dolore assurdo, più forte della puntura di un calabrone. Mi tocco la gamba e sento che è bagnata, poi mi guardo le le mani e le vedo rosse. Ma come...

«Dove pensavi di andare, moccioso?» Il bastardo si avvicina a grandi falcate, stringendo in mano quello che sulle prime mi sembra un ramo. No, non è un ramo... è un arco. Abbasso gli occhi sulla mia gamba sinistra, che proprio non vuole saperne di muoversi, e vedo il piccolo pennacchio di piume grigie che spunta dal terreno a circa un metro da me. Pensa se mi prendeva in pieno.

«Ecco, lo vedi cosa mi costringi a fare? Voi mocciosi la dovete piantare di scappare! Non vi hanno insegnato che dovete ubbidire agli adulti, da queste parti?»

Da queste parti. Questi tizi non sono di Dossler, e forse neppure dell'Anterlig. Da dove vengono, allora? E cosa vogliono da noi?

«Avanti, alzati!»

Scuoto la testa. E poi, anche se volessi, la gamba mi fa un male d'inferno.

«Non fare la femminuccia», insiste quello, allungando una mano con l'intenzione di tirarmi su. «Altrimenti mi toccherà fart...»

La frase gli muore in gola, mentre un altro pennacchio di piume - stavolta di colore azzurro - affiora lungo la trachea, appena sopra al bavero dell'armatura.

«Non provare a toccarlo, bastardo!»

Astea? E' la voce di Astea! La vedo emergere lentamente dal frutteto, tra le ombre della sera e la foschia indotta dai rinnovati spasmi della gamba, mentre incocca un'altra freccia. Ma non è necessario: il finto soldato si porta le mani al collo, cercando invano di afferrare l'aria che non ha più modo di inspirare, quindi crolla al suolo in attesa che la vita lo abbandoni. Un colpo perfetto.

«Uno in meno», commenta lei, senza scomporsi. «Come stai?», mi chiede poi, guardandomi la gamba.

«Mi ha preso di striscio... me la caverò».

«Ce la fai a camminare?»

«Si, ma... perché? Cosa vuoi fare?»

«Che domande», risponde lei, brandendo l'arco e indicando la daga che porta alla cintola. «Ammazzarli tutti».

«Sei matta? Non ce la farai mai: sono in sett...» Poi metto a fuoco il corpo esanime riverso davanti a noi. «... ok, sono in sei. Ma sono comunque troppi, per te da sola».

Le mie parole smorzano la sua risolutezza. Riflette. «Hai ragione», conclude poi con un sospiro. «Dobbiamo cercare aiuto. Forse dagli Esmor

«Non penso sia una buona idea: mi sa che ci sono già passati. Io e Last abbiamo visto una colonna di fumo...»

«Capisco. Vorrà dire che cercheremo altrove: aspettami qui, torno subito».

Resto solo col morto, guardandola sparire tra i peschi in fiore con la grazia di una nereide delle lande. Mia sorella mi ha appena salvato la vita. E' molto meglio dei protagonisti delle storie di nonna Laurel. Come ha fatto a diventare così forte e coraggiosa? Mi avvicino al cadavedere. Siamo sicuri che sia morto, si? La pozza di sangue in cui è riverso non sembra lasciare adito a dubbi. Oltre a un arco aveva anche una daga, simile a quella di Astea. La sfilo con cautela dal fodero, cercando di non tagliarmi. Da oggi, questa sarà la mia arma.

«Attento a non tagliarti», mi avverte, mentre riemerge dal frutteto in groppa a Jofnar, il suo cavallo: «quella fa male».

«Lo so: adesso è mia».

«Sta bene, puoi prenderla: adesso però salta su. Vediamo se riusciamo raggiungere qualche soldato di Uryen... quelli veri, intendo».

Saltare non è esattamente facile, considerando la condizione delle mie gambe, ma in un modo o nell'altro riesco a issarmi su Jofnar. Certo che è davvero enorme, oltre che bellissimo. Io e Laury le avremo chiesto almeno cento volte come è riuscita ad averlo: il duello rituale, la trattativa, il vestito da principessa. Per questo gli ha dato quel nome particolare: nella lingua dei Nordri significa principe.

«Sei pronto?»

Annuisco. In men che non si dica siamo lanciati al galoppo, in direzione della torre Nove.

«Astea?»

«Dimmi».

«Finirà tutto bene, vero?»

«Ma certo. Andrà tutto bene, vedrai: dobbiamo solo trovare Ivan Reiner, o John Striker, o Kelly... o Vodan».

«Me lo prometti?»

«Te lo prometto».

Astea Trent - Immagine 3



KAREL



«Vi prego, non fatelo... possiamo pagare». Vorrei poter fare qualcosa in più che pregare questi figli di puttana, ma la realtà è che ci hanno conciati per le feste. Le armi devi saperle usare, diceva sempre il mio buon amico Stern Rock, altrimenti è meglio non averle. Aveva ragione lui... alla fine abbiamo soltanto fatto una figura di merda. Persino Gomar, che un pò di Rocca l'ha fatta, non è riuscito a combinare molto.

«Non rompere i coglioni, vecchio», mi risponde il loro capo, che gli altri chiamano Grom. «Potevi pagare prima, quando ti abbiamo dato la possibilità: hai voluto alzare la cresta, ed ecco il risultato».

«Abbiamo amici nell'esercito», insisto: «abbiamo sempre fatto il nostro dovere. Ci deve pur essere qualcosa che possiamo...»

La voce mi muore nel petto, quando vedo uno dei soldati che trascina sulle scale il corpo esanime di mia moglie.

«Nora! NORA!»

«Tranquillo, oh... Mica è morta! Le ho dato solo una mazzata in testa, ma si riprenderà... credo».

«Perché? PERCHE'? Maledetti... maledetti assassini». Mi trascino in direzione delle scale fino a raggiungere il punto in cui si trovano Saga e Scimus: entrambi vivi, benché ridotti all'impotenza come noi.

«Hai capito, Grom? Questo pensa che siamo degli assassini».

«Tocca spiegarglielo, che non è morto nessuno...».

«... per ora».

«Esatto. Per ora. O, per meglio dire, non ancora».

«Ancora per poco, però... Se continuano a fare gli stronzi a 'sta maniera!».

«Già», conclude Grom, interrompendo il siparietto imbastito dai suoi sodali. «Per questo è il caso che ci diamo tutti una calmata. D'accordo?»

Annuisco, come se non avessi capito che ci sta soltanto prendendo per il culo. Ci siamo sforzati di restare calmi, persino quando ci hanno fatto capire cosa volevano. Hanno iniziato loro a colpirci, quando Saga ha provato a... mediare... nell'unico modo possibile... E guarda come l'hanno ridotta. Bestie, questo sono: alla stregua dei Nordri, forse addirittura peggio. Ma adesso non posso fare altro che assecondarli. Mi sforzo di guardare l'unico lato positivo: quel bastardo ha ragione, non è ancora morto nessuno. E il mio compito è mantenere tutti in vita, costi quel che costi.

Grom si siede sulla mia poltrona, quindi mi indica l'unica sedia ad essere rimasta in piedi. «Siediti, Karel. Ti chiami Karel, giusto?»

Annuisco ancora. Raggiungo la sedia e mi tiro su. Grom è l'unico con un'arma e un'armatura decenti, gli altri hanno tutti mazze, bastoni e pezzi di cuoio male assortiti. Eppure non si comportano come dei semplici banditi. Mercenari in disgrazia? Disertori?

«Posso vedere quelle carte?» Chiedo educatamente, sforzandomi di contenere la rabbia.

«Oooh, così mi piaci, Karel» risponde Grom con soddisfazione. «Guardiamo cosa dicono le carte».

Ciò che leggo ha dell'incredibile. Niente di quanto c'è scritto ha la minima possibilità di essere vero. Dai nove ai quattordici... Ma che senso ha?

Guardo Grom negli occhi, scuotendo la testa. «Conosco bene i soldati della Rocca: non autorizzerebbero mai una cosa del genere. Il comandante Barun...»

«Il "comandante" Barun è un disertore e non comanda più nulla da settimane», si affretta a precisare Grom, come se ripetesse una filastrocca imparata a memoria: «adesso al comando c'è Sir Gadman Scherer. Lo sanno anche i sassi...».

Lo so bene anch'io: l'ho detto apposta per vedere se lo sapeva lui, e a quanto pare è così. Questo significa che la storiella dell'acquisto di bambini non se la sono inventata loro di sana pianta. E chi, allora? Possibile che davvero...

«A quanto pare non conosci così bene i soldati della Rocca. Scommetto che non conosci neppure l'Asilo...».

«Qui c'è scritto VOLONTARIAMENTE» lo interrompo, puntando il dito su uno dei fogli. «... che accetteranno SPONTANEAMENTE e VOLONTARIAMENTE di...».

«Ma certo! SPONTANEAMENTE e VOLONTARIAMENTE, s'intende. E infatti noi siamo proprio qui per convincervi che è la scelta migliore che potete fare. Chi può convincerli ad andare meglio dei loro genitori? E i soldi saranno divisi equamente: metà a loro, che vi daremo adesso, metà a noi che vi abbiamo fornito questa opportunità, e siamo tutti contenti. Nessuno muore, nessuno si fa male... L'accordo perfetto».

«Spiacente, non venderemo i nostri figli alla Rocca di Tramontana. Vi ringraziamo per l'offerta, ma preferiamo rispettosamente declinare». Come se ne avessimo realmente facoltà. Ma ormai non resta che continuare a tenere in piedi questa stupida recita, nell'attesa che questo bastardo si decida a dirmi cosa intende fare.

«Davvero? Che peccato». Grom si alza, scrollando le spalle con l'aria sconsolata di un mercante non è riuscito a concludere un buon affare. «Beh, ragazzi, avete sentito il capofamiglia: purtroppo non se ne fa niente». E così dicendo si dirige verso la porta, facendo cenno a tutti di levare le tende.

«Che peccato!»

«Oh no! Questa non ci voleva.»

«Davvero una disdetta!»

«Eravamo a tanto così dal chiuderla, e invece...»

Non so se mi sta più sui coglioni Grom o il teatrino di guitti che gli tiene il gioco. Gomar mi osserva. Gli faccio capire di tenersi pronto, tra pochi istanti questo farabutto smetterà di fare lo scemo e saremo chiamati a giocarci il tutto per tutto.

«Aspetta un momento», esclama Grom, un attimo prima di varcare la porta ormai scardinata. «Perché non chiediamo direttamente ai ragazzi?»

«Buona idea!»

«Perché no?»

«Mi sembra il modo migliore per cavarsi da questo impaccio.»

«D'altronde non sta mica bene che decidano i genitori per il loro avvenire...»

A un cenno di Grom, i miei familiari - Patty, Eliane, Gertie, Desiderio e la piccola Laury - vengono condotti giu dalle scale e messi in fila indiana di fronte al tavolo, che viene rimesso in piedi. Nora, ancora svenuta, viene adagiata sulla mia poltrona, mentre Grom rimane in piedi. Scimus, Saga e Mà restano riversi a terra.

«Eccoci qua», esordisce Grom. «Adesso faremo un gioco, vi spiego come funziona. Prima di tutto vi dividerete in due gruppi: quelli che non hanno ancora compiuto quindici anni possono restare qui, davanti a questo tavolo: gli altri andranno a mettersi lì, di fianco alla poltrona in cui riposa la signora. Forza, da bravi».

Desiderio e Laury sono gli unici a restare vicino al tavolo, gli altri raggiungono lentamente Nora. Tutti hanno capito che, almeno per il momento, devono ubbidire senza fiatare.

«Molto bene», riprende Grom rivolgendosi ai due rimasti di fronte a lui. «Adesso vi darò la possibilità di scegliere tra due possibili opzioni: una vi consentirà di guadagnare un bel gruzzoletto e diventare degli eroi, salvando la vita non soltanto alla vostra famiglia ma anche a tutti gli abitanti della Signoria, e forse, chissà, persino a quelli di tutta la Contea! L'altra, beh...» conclude, guardando in direzione di Nora e degli altri, «...l'altra, no».

Scende il silenzio. Laury tira su col naso, sforzandosi di non piangere. Guardo Grom, che attende con ansia una risposta. Ho capito cosa vuoi fare, spregevole carogna, ma non funzionerà: non riuscirai a portarceli via, neanche col ricatto. Non te lo permetteremo mai, neanche se dovessi ammazzarci tutt..

«Capo, abbiamo un problema!» La voce arriva da fuori, dev'essere uno dei due scagnozzi che erano rimasti fuori. Sentiamo i passi pesanti che si avvicinano, quindi lo vediamo attraversare la cornice della porta. Non è solo, purtroppo.

«Last!» Grida Mà, con la voce rotta dal dolore. «No, vi prego! Lui no! E' piccolo, ha bisogno di me!»

«Piccolo? A me pare anche più grandicello degli altri», commenta Grom grattandosi il mento. «Quanti anni hai, Last?» Non dirglielo! Menti!

«Quattordici e mezzo». Cazzo.

«Perfetto! Accomodati pure lì, insieme agli altri due... Stavamo giusto facendo un gioco». Mentre Last raggiunge Desiderio e Laury, Grom guarda il suo compare con aria interrogativa: «Beh? Qual è il problema?»

«Bernie è morto».

«Morto? Che dici?»

«Si, morto. Colpito da una freccia, al collo». Si porta la mano sotto al mento, indicandosi il pomo d'adamo. «Proprio qui».

Il resoconto prosegue, con Grom che incalza il suo sgherro con crescente preoccupazione e l'altro che spiega per sommi capi: non è opera di Last, ovviamente; lui è stato acciuffato dopo, lo ha beccato nei dintorni della casa mentre il ragazzo stava cercando di capire come aiutarci. L'arciere viene descritto come un probabile militare, che subito dopo aver abbattuto il loro sodale è scappato a cavallo insieme a un altro ragazzino. «Non credo si trattasse di uno di questi pezzenti», conclude: «il cavallo era di razza, un autentico stallone... Un Garkan degli Altipiani, credo». Il mio cuore manca un battito: Astea! Grazie agli Dèi è riuscita a scappare... Chi sarà il ragazzino? Freya? Ruben?

Grom riflette, visibilmente contrariato. «Va bene», dice poi, rivolgendosi al nuovo arrivato. «Prendi il mio cavallo e corri dietro a quello stronzo: portamelo qui, vivo o morto non mi interessa. E vedi di riportarmi anche il moccioso... Vivo».

Lo scherano non perde tempo: un attimo dopo è già fuori, mentre Grom torna a rivolgere l'attenzione a noi.

«Cambio di programma: dobbiamo velocizzare le cose. Voi tre giovanotti, li vedete questi fogli? C'è scritto che, se volete, potete venire con noi alla Rocca di Tramontana, dove vi addestreranno per farvi diventare dei soldati dotati di poteri straordinari, che vi renderanno molto più forti di me o di qualsiasi altro, nonché immuni al morbo dei Risvegliati. Se accettate, SPONTANEAMENTE e VOLONTARIAMENTE, non torceremo un capello ai vostri genitori, anzi riempiremo di soldi le loro tasche, e nessuno di voi ci vedrà più. Se vi rifiutate, beh... Lasciare il feudo in mano ai Risvegliati sarebbe davvero da vigliacchi. E a quel punto anche io potrei rifiutarmi di fare il bravo. Remon, Tuck, Portatemi la puttana».

Saga viene sollevata di peso e portata di fronte a Grom. E' ancora cosciente, nonostante il dolore e le ferite.

«Scommetto che non sei imparentata con nessuno di loro, vero? Si capisce dagli sguardi dei mocciosi». Lei non risponde, limitandosi a guardarlo negli occhi con la fierezza che la contraddistingue. Non ha paura di lui, penso. E' abituata a un tal genere di marrani. Ma è un errore, perché questo atteggiamento sprezzante lo farà infuriare ancora di più.

«E' mia nipote», intervengo. «Viveva oltre il Traunne, l'abbiamo presa con noi lo scorso autunno».

«Che stronzata», commenta Grom. «Non puoi mentire a casa del cazzaro».

«E' la verità!» insisto. «Fa parte della famiglia: ti prego, non farle del mal-»

Lo scagnozzo di nome Tuck mi assesta un colpo alla schiena che mi svuota i polmoni, togliendomi il fiato. «Hai sentito il capo? Basta stronzate». Gli altri due non tardano a unirsi al coro.

«E' veramente una vergogna».

«Non c'è davvero più morale in queste campagne».

Grom sghignazza, quindi fa un passo e si china in terra a raccogliere qualcosa, per poi tornare verso Saga. Il coltello di Scimus.

«Allora, dicevamo: se vi rifiutate - e siete liberi di farlo, sia chiaro - ecco qualche esempio di ciò che potrebbe succedere a quelli più grandicelli...»

Coltello di Scimus - Immagine



FREYA



Il limitare del Bosco dei Mirtilli si palesa di fronte a noi, una sinistra macchia nera che nasconde l'orizzonte e che risulta ancora più scura del buio della sera che la sovrasta. Per la famiglia Trent, quel bosco è come un vecchio amico con cui hanno litigato da tempo e che adesso viene guardato con diffidenza: la Bestia dei Mirtilli, i Calabroni Grigi... Per me è soprattutto la dimora di Amelia e Dina, dell'eroismo di Aidrich Ramsey, del tragico sacrificio di Cynthia Haller e di tante altre avventure che popolano i racconti di Vodan.

Tuttavia, fino ad oggi non ci sono mai entrata davvero. E quella fila di alberi dai rami adunchi che incombe minacciosamente sul sentiero che stiamo percorrendo non sembra affatto suggestiva e stimolante come la mia immaginazione mi aveva indotta a pensare.

«Hai visto? Ci siamo quasi!» Arken fa di tutto per tenermi su di morale. «Una gita nel bosco, la notte di Eostar: in fondo è emozionante, no?»

«Assolutamente», confermo, stringendomi nelle spalle. Ho i brividi, e non è certo freddo. Che poi in fondo, a voler essere sinceri...

«Hai freddo? prendi questa!» dice avvicinandosi, togliendosi la mantella e mettendola sopra la mia. La accetto volentieri, ringraziando. Lo sguardo mi cade sugli oggetti che porta appesi alla cintura: un coltello da intaglio, simile a quello che tante volte ho visto in mano a suo padre, e la sua fionda. Due armi.

«Per ogni evenienza», risponde lui, quasi a giustificarsi.

Di lì a poco arriviamo alle propaggini del bosco.

«Perché gli alberi sono così spogli? Vodan diceva che erano sempreverdi...»

«Perché sono morti», risponde lui.

«Morti?»

«Stecchiti. Letteralmente».

Li guardo. Non sembrano affatto morti stecchiti! Mentre camminiamo, Arken mi spiega come muoiono gli alberi, e i cinque indizi che ti fanno capire che sono spirati. I buchi, l'angolo, la corteccia, gli insetti e i parassiti.

I parassiti. «Come quelli del morbo dei risvegliati

«Non proprio», risponde lui. «Quelli sono parassitoidi, nel senso che sono loro a uccidere l'ospite. Il parassita vero ha invece tutto l'interesse a tenerlo in salute, perché è grazie a lui che sopravvive».

«Come gli Innalzati, allora».

«Innalzati? Sarebbe?»

E' vero, penso: la storia degli Innalzati l'ho raccontata a Ruben, ma non a lui. Provvedo quindi a metterlo a parte delle informazioni che ci hanno raccontato Vodan, Kelly, John Stryker e altri soldati, felice di potergli insegnare anch'io qualcosa. Arken è molto più grande di me, di Ruben e degli altri: se lo volesse potrebbe andare alla Rocca e diventare lui stesso un soldato, seguendo le orme dei suoi cugini Tank e Hart. Ma non credo che sia quella la sua aspirazione: a lui piace disegnare, intagliare il legno e riparare le cose, come suo papà.

«Incredibile: e così Ghaan ne ha diversi, e noi soltanto uno».

«Una», mi affretto a precisare. «Annie. Tank e Hart la conoscono bene! La conoscevano... anche prima che...»

«Capisco». Mi chiede anche di William Deed ma lì ho poco da dirgli, visto che non ne so molto... A parte il disastro che ha combinato e gli sforzi del terzo plotone per rimettere le cose a posto, tutte cose note anche a lui.

Il bosco ci ha inghiottiti da un pò. Mi auguro che sappia dove stiamo andando, perché io mi sono sicuramente persa e non credo che saprei tornare. Non che sia una ipotesi, almeno per ora. Però...

«Ormai dovremmo averlo seminato», dice a un certo punto, guardandosi alle nostre spalle. «Tu vedi qualcosa?» Mentre osserva le cime degli alberi in lontananza, vedo che strizza gli occhi. E' una cosa che gli ho visto fare spesso, specie quando c'è poca luce. Ruben sostiene che si sia rovinato gli occhi a forza di intagliare il legno a lume di candela, ma lui dice che è un difetto che hanno quasi tutti nella sua famiglia, e che comunque gli basta socchiudere gli occhi per vederci benissimo. In effetti con la fionda è il più bravo di tutti.

Scuoto la testa: neanche io vedo nulla. In compenso è sceso un freddo pazzesco, neppure la doppia mantella riesce più a porvi rimedio. Anche quest'anno il Re dell'Inverno è duro a morire.

«Ti va se proviamo ad accendere un fuoco?» Mi propone, sfregandosi energicamente le mani. Vederlo con quella camicia leggera mi fa sentire male, e anche un pò in colpa.

«D'accordo: ma ne siamo capaci?»

«Secondo me sì».

Per prima cosa scegliamo un buon posto, una piccola radura tra gli alberi, quindi ci dividiamo i compiti: lui prende la resina e le pigne, io preparo i rametti e l'archetto. Quando è tutto pronto ci sediamo l'uno di fronte all'altra, nel sottobosco, mettendo insieme quello che abbiamo raccolto e preparato. Nel frattempo è praticamente scesa la notte, ma riesco comunque a vedere i suoi occhi azzurri che mi fissano, vicinissimi ai miei.

«Adesso ci dobbiamo fare un culo pazzesco, lo sai vero?»

«Eh...»

Non riesco a trattenere una risata, che subito coinvolge e trascina anche lui. Per un pò restiamo così, a ridere come due scemi, accovacciati tra le foglie e gli aghi di pino. Poi ci mettiamo al lavoro, dandoci il cambio all'archetto.

«Abbiamo qualche speranza di riuscirci, secondo te?» Chiedo dopo qualche minuto.

«Il figlio di un contadino e la figlia di una locandiera? Vorrei ben vedere!»

«No perché sai, a me non sembra che stia funzionando...»

«E' sempre così, all'inizio: abbi fede. E poi... ti ho fatto una promessa, no? Dobbiamo accendere... il nostro cero...»

Sorrido. «Ma non ce l'abbiamo mica, il cero...»

«Vorrà dire che sarà questo fuoco, il nostro cero. Ci stai?»

Annuisco, divertita e un pò lusingata. «Ci sto».

«Bene! Fatti dare il cambio, allora...» Mi toglie l'archetto dalle mani, quindi riprende a muoverlo su e giù, impegnandosi il doppio di prima. Le sue dita sono fredde, persino più delle mie... Se non altro tutta questa fatica sta avendo l'effetto di scaldarci un pò.

«Senti, ma... che ti hanno fatto?» Mi chiede a un certo punto.

«Chi?»

«Gli uomini da cui vi nascondete. A Dossler».

«Beh... Non molto a me, in realtà. Mi ero tagliata i capelli, tenevo un profilo basso. Sai com'è...» Sospiro.

«Certo». Silenzio. «Scusami», aggiunge dopo un pò. «Non avrei dovuto chiedertelo».

«...non fa niente». Silenzio. «Non chiederlo mai a Saga, però».

«Capisco».

Ancora silenzio, stavolta più lungo, rotto soltanto dal costante sfregamento del rametto contro l'esca di corteccia e muschi secchi. Poi, quando nessuno di noi se lo aspettava più, si verifica il miracolo.

«Aspetta... aspetta! Lo senti questo odore?»

«Credo di... si!»

«Continua, continua...»

«...eccola! La vedi?»

«La vedo! La vedo!»

Avvicino le mani a coppa e soffio delicatamente per tenerla viva, mentre lui continua a muovere l'archetto: pian piano la tenue scintilla prende coraggio, comincia a brillare sempre più forte, poi finalmente sboccia in uno splendente petalo di fuoco che rischiara la notte intorno a noi.

Passiamo i minuti successivi a raccogliere rami e rametti per ravvivare la fiamma, finché non la sentiamo crepitare.

«Il nostro cero!» esclamo, sfinita e soddisfatta.

«Te lo avevo promesso, no? Adesso però dobbiamo custodirlo...»

«Esatto! Finché non arriveranno gli altri».

Già, gli altri. Cosa sarà successo alla fattoria? Con un pò di fortuna Ruben è riuscito ad avvisare Saga, magari a farla uscire di soppiatto mentre Karel e gli altri distraevano i soldati. La mente mi si riempie di scenari positivi: immagino quegli uomini seduti a tavola, convinti ad assaggiare un pò della zuppa di Mà, mentre Saga li beffa calandosi dal retro con una corda fatta di lenzuoli annodati. Perché no, in fondo? Il nostro fuoco alla fine si è acceso, contro ogni previsione: magari è un buon segno.

A un tratto Arken sgrana gli occhi, voltandosi in direzione della boscaglia. «Hai sentito anche tu?»

Scuoto la testa. Lui si porta un dito alle labbra, facendomi cenno di fare silenzio, quindi si alza lentamente.

«MAGARI-SONO-LORO», mormoro con un filo di voce, enfatizzando i movimenti delle labbra.

«VADO-A-VEDERE», risponde lui, parlandomi allo stesso modo. «TU-RESTA-QUI». Muovendosi in punta di piedi raggiunge l'albero più vicino, poi prende la fionda dalla cintola e un sasso dalla tasca. Poi mi guarda negli occhi, sollevando nuovamente il dito verso l'alto: il gesto è identico a quello di prima, ma il significato è completamente diverso. Ne sta arrivando uno.

Pochi istanti dopo, un losco figuro fa la sua comparsa sul ciglio della radura. Il robusto mantello che lo avvolge non mi impedisce di riconoscerlo: è lo stesso bastardo che ci stava inseguendo prima. Come a fatto a trovarci? Abbiamo sbagliato ad accendere il fuoco? Arken si appiattisce contro l'albero, mentre il manigoldo muove lentamente un passo verso di me.

«Sei rimasta da sola? E' una fortuna che ti abbia trovata, allora».

«Chi... chi ti manda? Cosa vuoi da me?» gli chiedo, cercando di evitare di tradire con gli occhi la posizione di Arken. Devo guadagnare tempo.

«Nessuno. Voglio solo proporti... un accordo. Andiamo, ti riporto a casa».

Mi guardo intorno, cercando di capire quale sia la mossa migliore. Alla fine decido di alzarmi, assecondandolo. «Va bene», rispondo sommessamente, sollevando le mani verso di lui: «mi arrendo».

«Saggia decisione».

Fa un altro passo, con l'intento di afferrarmi il polso sinistro. Resto immobile, aspettando che la sua mano mi sfiori, poi scatto in avanti gettandomi addosso a lui. La differenza di forza, peso, dimensioni è persino più grande di quanto pensassi: non riesco a spostarlo neanche di un passo, mentre le sue braccia possenti si chiudono a tenaglia, cingendomi la schiena.



«Presa!» esclama con soddisfazione, flettendo le ginocchia per sollevarmi. In quel momento, le mie mani libere lo afferrano al volto, scostandogli il cappuccio del mantello: sotto ha un elmetto, proprio come immaginavo. Mi allungo su di lui, infilando le dita sotto al bordo metallico ai lati della nuca, quindi glielo calo sugli occhi. Lui reagisce scrollando la testa e sollevandomi in aria, non so se con l'intento di scagliarmi a terra o di stringermi fino a stritolarmi...

Non lo sapremo mai. Il sasso scagliato dalla fionda di Arken si schianta con violenza sul suo osso occipitale. Le braccia si alleggeriscono all'istante, consentendomi di sottrarmi alla presa e scivolare a terra. Un attimo dopo Arken gli piomba addosso da dietro, piantandogli il coltello nella nuca. Cadono insieme a terra, a un palmo dalle braci del nostro cero.

«Ti ammazzo, pezzo di merda: ti ammazzo!» Urla mentre continua a stringere il manico del coltello, come se lasciarlo significasse concedere al nostro aggressore il diritto di rialzarsi... Ma la ferita parla chiaro: non lo farà.

«Basta, Ark», gli dico, coprendo la sua mano con la mia. «E' andato. Ce l'hai fatta». Alla fine lo convinco a mollare la presa. Ci rialziamo lentamente, osservando il macabro spettacolo che abbiamo messo in scena. E' la prima volta che togliamo la vita a un altro essere umano, che vediamo qualcuno andarsene così.

«E' morto, vero?» La sua domanda è un misto indescrivibile di orrore, rimorso e sollievo. Riesco a comprenderlo soltanto perché è ciò che provo anch'io.

«Non ancora, ma morirà presto... ed è quello che merita. Se non lo avessi fatto, mi avrebbe uccisa. Hai fatto la cosa giusta. Mi hai salvata». La macchia rossa di sangue si allarga lentamente, tracimando dal collo fino a lambire il cerchio di pietre che delimita il fuoco.

«Ho protetto... ho custodito il nostro cero».

Apro la bocca per rispondergli, ma un improvviso rumore di rami che si spezzano mi fa trasalire, costringendoci a tornare alla realtà. Ce ne sono altri. Arken mi fa nuovamente cenno di fare silenzio, ma stavolta non facciamo in tempo a organizzarci. Un sibilo sinistro attraversa la radura, seguito da un rumore sordo. Arken solleva la gamba sinistra, portando alla luce un piccolo fiorellino grigio all'altezza della coscia che sta già cominciando a tingersi di rosso.

«Scappa!» fa in tempo a dirmi prima che il dolore lo investa, costringendolo a crollare a terra tra i gemiti. Ma anche se avessi intenzione di abbandonarlo, non potrei andare da nessuna parte: stavolta sono in quattro e arrivano da tutti gli angoli, chiudendoci ogni possibile via di fuga.

«Ma tu guarda che casino».

«Assurdo...»

«...Davvero increscioso».

«Non li sanno più educare, questi ragazzi».

Il primo che ha parlato, presumibilmente il loro capo, si avvicina al corpo esangue del nostro aggressore, mentre gli altri ci puntano le armi addosso. «Faccia a terra», esclama uno di loro. «Fate una mossa falsa e vi ammazzo entrambi».

«Come sta messo?» Domanda un altro.

«Non bene», risponde il capo con un sospiro. «Ma la lama del coltello è ridicola, credo che si sia spezzata: se ci sbrighiamo, forse se la caverà».

L'altro sputa a terra. «Se tira le cuoia, metto a verbale che mi doveva quattro bronzi. L'ho detto, eh?»

Quello che ci ha spinti a terra tira fuori delle corde. «Avete capito, mocciosi? Abbiamo fretta». Procede quindi a legarci le mani dietro la schiena, spingendoci la faccia contro la terra umida in una posizione che mi consente soltanto di vedere i loro piedi.

«Ma nel carretto ne entrano altri due? Non siamo già al completo?»

«Chiedi loro l'età, facciamo prima...»

«Ma non ce li hai gli occhi? Sono entrambi troppo grandi, non vanno bene».

«Il maschio di sicuro, lei non so...»

«Basta chiacchere, buoni a nulla: tiratemeli su».

I tre bestioni ci afferrano e ci rimettono in piedi, portandoci al cospetto del capo. Cosa posso fare? Scappare mi sembra impossibile. Sono esausta, stremata dalla lotta di poco fa. Arken ha una freccia conficcata nella gamba... E' finita, penso. Mi riporteranno a Dossler, dove diventerò la schiava di qualche parente di Creedon... o peggio. E' un bene che Saga non sia venuta, magari è riuscita a scappare altrove.

Il capo mi tira uno schiaffo, riportandomi alla realtà.

«Ti ho chiesto quanti anni hai!»

«N-non lo so», mormoro. «Ho smesso di contarli...» Cosa cambia quanti anni ho? Facciamola finita, mettimi in quel carretto e portami via.

«Vuoi fare la spiritosa? Molto bene, vediamo se riderai ancora adesso che sgozzo come un maiale quello stronzo dell'amico tuo».

«No! Non farlo, ti prego! Lui non c'entra niente..»

«Lo so benissimo, che non c'entra niente! Infatti ho chiesto a te, mica a lui...»

«Quattordici. Ho quattordici anni!»

«Sicura? Mi sembri più grandicella...» Allunga la mano verso... Non mi toccare!

Mi ritraggo con uno scatto. «Lo giuro. Sono nata il-»

Mi zittisce con un'altro schiaffo. «Non me ne frega un cazzo del giorno in cui sei nata: queste cose le racconterai alla Rocca di Tramontana. Avanti, in marcia! Qui abbiamo finito».

Alla Rocca di Tramontana? Che significa? Non capisco...

«E di quest'altro che ne facciamo? Sta perdendo molto sangue...» Mi volto a guardare Arken e subito realizzo quanto ha ragione: la gamba è un disastro, se non gli prestano subito i primi soccorsi morirà di sicuro.

«Vi prego, curatelo!» cado in ginocchio, implorando il capo con le lacrime agli occhi. «Vi seguirò senza fiatare, ma vi imploro...»

«Scherzi? Quello stronzetto ha praticamente ammazzato uno dei nostri! E poi comunque ormai è spacciato, non lo vedi?»

«Non è detto! Se fermate il sangue, potrebbe... Vi supplico!»

Terzo schiaffo. «Falla finita! Dobbiamo andare. E spegnete quel cazzo di falò». Poi mi afferra per l'avambraccio e mi trascina via: lontano da lui, dal fuoco, dall'abitato di Trent. Mi sforzo di non distogliere gli occhi da Arken, i nostri sguardi si incontrano per l'ultima volta. Ha gli occhi vitrei, il dolore dev'essere atroce. Mi sussurra qualcosa, enfatizzando i movimenti delle labbra.

«.....-V-I-V-I»

Scuoto la testa disperatamente. Non ho capito!

«S-O-P-R-A-V-V-I-V-I»

Annuisco. Provo a comunicargli qualcosa anch'io, resistendo con tutte le mie forze agli inesorabili strattonamenti del bestione. «A-N-C-H-E T-»

E poi il fuoco, il nostro cero, si spegne del tutto.

«Pisciare sopra le braci è sempre la mejo cosa».

«Pratico ed efficace! A parte l'odore...»

«Abbiamo salvato un altro bosco».

Arken Trent - Immagine 01

scritto da Saga, Ruben, Karel, Freya , 00:26 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
22 marzo 518
Venerdì 18 Ottobre 2024

Otto promesse (parte 1)

SAGA



«Si chiama Eostar!»

«In realtà il nome corretto è Ostara

«No, si chiama proprio Eostar...»

«... che è un modo sbagliato di pronunciare Ostara!»

«Eostar!»

«Ostara!»

«Eostar!»

«Ostara!»

«Eostaaaaaar!»

I toni del dibattito si accendono fino a catturare la mia attenzione, distogliendomi dal leggero ondeggiare dei panni ancora da raccogliere.

"Freya, guarda che ha ragione lui", esclamo mentre mi accingo ad arpionare i lembi di una tovaglia particolarmente grande: "qui la chiamano Eostar". Una breve ed energica scrollata e la ripongo nella cesta piegata in quattro, ripetendo un gesto che ho imparato a forza di osservare mamma e poi perfezionato nel corso dei tanti anni che sono passati.

"... perché nessuno ha mai detto loro che si chiama Ostara!" risponde lei, alzando un dito sopra la testa e poi volgendolo verso di sé. "Ma adesso possono contare su di NOI, che possiamo finalmente rivelare la verità!" Così dicendo si volta nuovamente verso il suo interlocutore, sfoggiando la tipica espressione di chi la sa lunga, molto più lunga di te.

Ruben la guarda in cagnesco, quindi gira il collo di lato, incrociando le braccia in segno di stizza e guardando fisso di fronte a sé. "E allora non ti presto la MIA paglia... E potrai dire addio al tuo Kuklalàr".

"Oh no!", esclama Freya fingendo disperazione e infilandosi le mani nei capelli, "non puoi farmi questo: che ne sarà del mio povero Kuklalàr!"

Ruben cerca di restare serio, evitando di guardare Freya negli occhi. Restano così per qualche istante, poi i loro sguardi tornano lentamente a incrociarsi: un attimo dopo scoppiano entrambi a ridere, ed io con loro.

E' già passato più di un anno, ma ancora tutto questo mi sembra incredibile: a dispetto di tutti i calci che il destino ha avuto la malacreanza di assestarci siamo ancora qui, insieme e serene, circondate da persone oneste e generose. E poco importa se, almeno inizialmente, la loro intenzione di accoglierci è stata corroborata dalla promessa di una cospicua parte della diaria di Vodan: con il passare dei mesi siamo diventate parte integrante di questa comunità, che oggi si regge anche grazie al nostro piccolo contributo.

Già, Vodan... Dove stai? E' più un mese che non ti fai vivo. L'ultima volta mi avevi promesso che saresti tornato prima di Ostara. Stai aspettando l'ultimo minuto, così da fare la tua solita entrata a effetto? Magari vestito da Re dell'Inverno... Sarebbe una bellissima sorpresa, Freya ne sarebbe entusiasta. La osservo mentre corre con Ruben verso il vecchio deposito, dove sceglieranno con cura i sacchi di paglia che, nel giro di poche ore, diventeranno dei bellissimi Kuklalàr. Sono proprio carini, insieme. Lui però è ancora un bambino, lei invece ultimamente è cresciuta tantissimo. Hai visto com'è diventata grande? Ha già quattordici anni... Wow. E' già praticamente una donna.

Poi ripenso a quando l'avevo io, quell'età, e... ehm... no, beh, in fondo lei è ancora una bambina. Grazie al cielo. Non c'è fretta. Nessuna fretta davvero.

Saga Thorn - Immagine 02



RUBEN


«Chi arriva ultimo cambia le lenzuola di Laury... per un mese!» Urlo mentre la sorpasso. Vai così! Sono partito dopo, eppure so già che arriverò prima: anche se sono (di poco!) più piccolo, resto comunque più veloce di lei. Del resto lei è una ragazza, è normal...

«Chi arriva ultimo DORME con le lenzuola di Laury... per un mese!» risponde lei, recuperando terreno fino ad affiancarmi. Maledetta! Come fa ad andare così veloce? Non importa, basta correre ancora più veloce. Col cavolo che ci dormo, nelle lenzuola pisciate di Laury!

Torno avanti, ma lei non ci vuole stare: tenta di superarmi tagliando per una piccola macchia di arbusti, che supera con un salto. Che peste! Quando atterra, i capelli le ricadono sulle spalle come spighe di grano. Li ha sempre avuti così lunghi? Che ti frega dei suoi capelli, Rub! Mancano trenta metri al vecchio deposito... la devi superare adesso!

Con enorme difficoltà la raggiungo: percorriamo l'ultimo tratto affiancati, con le spalle che quasi si toccano. Sento il suo respiro affannato: sono avanti? Sono avanti!

Poi, d'improvviso, la tragedia, il disastro, la catastrofe assoluta: metto il piede nel posto sbagliato, perdo l'equilibrio e capitombolo tra le foglie bagnate. Sento la terra umida nel naso, sotto le unghie, dentro ai calzoni, ovunque. Che tu sia maledetta, stupida e nodosa radice di faggio, proprio lì tra i piedi miei dovevi andare a crescere. La caduta fa un male cane, ma non è niente rispetto al dolore delle risate che stanno per ricoprirmi. Eccole, le sento... E' la fine, l'inferno di ghiaccio, la vergogna totale: voglio morire.

«Oh Dèi! Come stai? Tutto bene?»

Se non altro, Freya non ride: anzi, lei è... china su di me, intenta a guardarmi con aria preoccupata. Le risate provengono da quelle zucche vuote dei miei cugini, che spuntano dalla porta del vecchio deposito con il consueto ghigno intagliato al posto della bocca. E dire che è Eostar, mica Samhain.

«...Che figura di merda!» Sentenzia Arken, mettendosi una mano davanti agli occhi.

«Speriamo almeno che non si sia cacato sotto!" gli fa eco Last, mimando il gesto di tenersi la pancia per le troppe risate. Spero solo che la terra che mi è entrata nelle mutande non si veda troppo, altrimenti vaglielo a spiegare... «Le mie condolenze, Frey: non dev'essere facile badare a quell'impiastro tutto il giorno...».

«Si dice condoglianze", risponde lei con aria scocciata, senza voltarsi e continuando a guardare me. «E comunque, il mio nome non è Frey».

Grosso errore, imbecille: Frey è, anzi era, il fratello gemello di Freya... E lei non lo sopporta, quando la chiamano con il suo nome. La guardo e vorrei dirglielo, che io mi ricordo di questa cosa e non lo farei mai questo errore, mica come quell'idiota di Last... Ma se glielo dicessi adesso farei la figura del cretino, no?

«Come stai?» mi ripete, ignorando i due deficienti sghignazzanti. «Ti fa male qualcosa?»

«No, no... tutto bene». In realtà mi fa malissimo il ginocchio, ma non posso fare la femminuccia proprio adesso. Rifiuto orgogliosamente la sua mano gentile e mi tiro su da solo, fingendo di ignorare lo spiedo arroventato che mi trapassa l'articolazione. «Visto? Non è niente! Ti ha detto fortuna, sai... senza quel colpo di sfortuna avrei vinto io!»

Le mie parole vengono seguite dagli applausi derisori dei due figli più scemi di Scimus Trent. Freya li ignora e mi sorride. Anche lei non li sopporta, ne sono certo. A una come lei non possono piacere persone così stupide, egoiste e cattive. E pensare che un tempo li trovavo simpatici...

«Scommetto che siete venuti a prendere la paglia», esclama Arken. «Se volete possiamo prestarvi la nostra carriola, così la portiamo più comodamente e senza faticare».

Scuoto la testa: «grazie ma no, preferiamo portarcela da soli».

Così dicendo arranco verso il deposito, ignorando il dolore al ginocchio. Lancio un'occhiata di sufficienza al trabiccolo su cui i miei cugini hanno caricato i loro sacchi e mi accingo a riempire i nostri due, uno per me e uno per Freya fingendo che vada tutto bene, che il dolore allucinante che dal ginocchio si sta propagando verso ovunque non esista. Lei si offre di aiutarmi, ma non serve: faccio da solo, è un lavoro da uomini. I due scimus mi osservano in silenzio, tra il rispettoso e il divertito: mi aspettano al varco, quando i sacchi saranno pieni e mi toccherà sollevarli. Ecco, ci siamo. Uno, due, tre... Fatto! Dai, non fa poi così male. Sento il peso dei loro sguardi mentre mi trascino fuori dal deposito. E' così evidente che sto soffrendo come un cane?

«Usiamo la carriola, dai», sentenzia Freya con un tono che non ammette repliche: «grazie», aggiunge poi rivolgendosi ad Arken, che accoglie la nostra resa con un sorriso piacione.

«Figurati! Mi fa piacere aiutarvi. A proposito, volevo chiederti una cosa... Hai già deciso con chi accenderai il cero, stanotte?»

No! maledetto: volevo chiederglielo io! Sono giorni che sto aspettando il momento giusto, e alla fine mi ero deciso a farlo oggi... stasera, per la precisione. Avrei voluto farlo mentre preparavamo i Kuklalàr. Tra poco, cioè. E adesso lui...

Freya scuote la testa. «A dire il vero, non ancora...»

«Capisco. E dimmi, ti andrebbe di... insomma, di accenderlo con me?»

Lo odio. Vorrei che morisse. Vorrei vedere il suo fegato pascolato dai vermi. Freya esita, incerta, poi mi guarda con aria interrogativa.

«In realtà... non so se...»

«Ah», la interrompe Arken, «te lo ha già chiesto Ruben? E' così, Rub? Ma quindi... non è che per caso state ins...»

«MA COSA VAI BLATERANDO?» Le parole mi escono da sole. «Assolutamente no! Ti pare?» OK, ora sono io a voler morire. Non potevo rompermi la testa contro quella radice? Vi prego, spiriti della foresta, ghermitemi ora e sprofondatemi nel terreno, adesso, in questo istante.

«Meno male, è un sollievo! Allora, Freya... che dici? Va bene?»

Lei mi guarda, come stupita dalla mia reazione. «Non so, credo... va bene».

«Davvero? E' una promessa?».

«...Ok».

Bleah! Solo a pensare all'idea di vedere Freya che accende il cero insieme ad Arken mi viene da vomitare. Sai che c'è? Stanotte vado a letto presto, chi se ne frega di Eostar. Anzi, col cavolo: aspetto che arrivi il momento di fare il Kuklalàr, quando finalmente saremo io e lei da soli, e allora le dirò che... che... che quell' "ok" ad Arken non mi ha fatto per niente piacere, ecco! Ma proprio per niente! Ma ti pare che dici "ok" a uno così? E poi, fai il Kuklalàr con me e accendi il cero con lui? Valle a capire le ragazze, valle a capire!

«Rub, ti muovi? O ti serve aiuto?»

«Non serve, ce la faccio!»

Carico a malincuore i due sacchi sulla carriola, dubitando di poter fare anche solo un altro passo aggravato da quel peso. Ci mettiamo a risalire per la strada che ci ha condotti qui, superando ben presto l'odiosa radice che ha finito per rovinarmi la giornata: vorrei prenderla a calci, se non fosse che con la sfortuna che ho oggi finirei di certo per rompermi un piede.

Poi Last punta un dito di fronte a noi: verso l'orizzonte, in direzione dell'abitato di Esmor. «Scusate, ma... chi sono quelli?»

«Mmm... Non lo so», risponde Arken, strizzando gli occhi: da lontano non ci vede tanto bene.

«Soldati», mormora Freya. «Dev'essere... Si, dev'essere Vodan!» E poi fa per correre verso quel gruppo di uomini, con il volto che le si illumina di un rinnovato sorriso.

«Ferma!» grido, afferrandole il polso per trattenerla. Il movimento mi costringe a caricare il peso sul ginocchio malconcio, che reagisce lanciandomi uno spasmo lancinante che mi lascia senza fiato. La mano si apre e Freya si divincola facilmente, continuando la sua corsa verso quello che crede sia il plotone di suo fratello.

«Freya! Fermati!» Le urlo nuovamente, invano. «Non hanno...»

«Lasciala andare, no?» mi interrompe Last, come sempre l'ultimo a capire: «che problema c'è?»

"Non hanno lo stendardo», mi fa eco Arken. «Quelli non sono soldati di Uryen».

Ruben Trent - Immagine 01



KAREL



«Ragazzi, abbiamo visite!»

Il tono allarmato che leggo nella voce di Mà non promette niente di buono: vedi se mi non tocca alzarmi di nuovo, dopo una giornata intera passata a spargere semi.

«E allora ditelo che non volete farmele fare, queste candele», sbotta Scimus, sbattendo sul tavolo il coltello con cui era intento a intagliare l'ennesimo cero per la notte di Eostar.

«Ma lo sai che sta venendo davvero niente male?» Esclama Nora, gli occhi fissi sul lungo moccolo giallastro. «Che cos'è, una volpe?»

«Quasi... un lupo! Vedi le orecchie? La volpe le ha più grandi...»

«...Vero! E come mai un lupo?»

«Mi diceva Saga che era un simbolo di Harkel... vero, Saga?»

«Saga è uscita a ritirare il bucato mezz'ora fa», gli risponde Mà. «Alzalo quel collo, ogni tanto!»

«Basta candele», taglio corto, mentre costringo le mie stanche membra a sollevarsi dalla poltrona. «Vediamo chi viene a rompere le scatole». Poi vedo che Mà sta prendendo la rancogna da sopra al camino e capisco che si tratta di soldati.

La rancogna è un ramo di olivo insolitamente lungo e resistente che si tramanda nella mia famiglia da generazioni: Scimus è solito dire ai nostri ospiti che risale all'età dei Khan, ma in realtà mi sembra di ricordare che lo abbia raccolto nostro nonno nei dintorni di Mar. Fatto sta che, da quando i Nordri hanno cominciato a farci visita, è diventato il compagno preferito di Mà.

Butto un'occhio fuori dalla finestra: «sono in sette, tutti a cavallo».

«Saranno i tuoi ragazzi, Gomar», commenta Scimus. «Lo dicevo io, che non si sarebbero persi la minestra di legumi e tartufo di Mà».

«Non credo», risponde Gomar, alzandosi a sua volta. «Tank diceva che li avrebbero mandati a Dossler...»

«E avranno fatto un cambio, sapendo della minestra: io ci avrei provato».

«Non sono i ragazzi», confermo poco dopo aver aperto la porta. «Vado a vedere cosa vogliono. Gomar, dai un'occhio qui: se vedi che butta male, tirate fuori i pezzi». I pezzi sarebbero la mia mazza, la cucchiara di Scimus e la spada che s'è tenuto Gomar dai tempi in cui era soldato: le uniche armi che abbiamo. A parte la rancogna di Mà, s'intende. Ironicamente, l'unica che abbia mai fatto il morto è la cucchiara.

Mà mi accompagna fuori, trascinando la rancogna. «Che sia Vodan con gli amici suoi? E' un mese che non si fa vivo, quel filibustiere! Sarebbe anche ora che portasse un pò dei soldi che ci deve...»

Scuoto la testa. «Non è lui: e neanche Ivan. Non mi sembra di averli mai visti, questi». E non è una cosa buona, aggiungo tra me e me mentre accelero il passo. Come anche il fatto che non vedo nessuno stendardo.

Mà digrigna i denti: «non saranno mica...»

«No, non sono neanche Nordri. Saranno viandanti che cercano cibo, o forse un posto in cui passare la notte...»

«...o magari soldi. Ma vedo che hanno anche un carretto con le sbarre, o sbaglio? Come quello che portava in giro Seth Lakeman, te lo ricordi?».

«Già. E non mi piace per niente. Vado a parlarci, tu torna in casa e fai salire le ragazze».

«D'accordo».

«I marmocchi dove stanno?»

«I miei giravano dalle parti del vecchio deposito, stavano prendendo i sacchi...»

Annuisco. «Recuperali e falli salire tutti su: e dì Gomar e Scimus di preparare i pezzi».

«Va bene. Ma tu stai in campana, eh?».

«Tranquilla».

«Promesso?».

«Promesso».

In quel momento mi viene incontro Saga, con la cesta piena di panni ancora tra le braccia. «Li conosci?» mi chiede con aria interrogativa e un pò preoccupata. Anche lei non sembra averli mai visti, il che potrebbe essere un bene: magari non sono uomini dei Creedon. «Mai visti», le rispondo. «Rientra a casa e vai su con gli altri, qui me la vedo io».

«Freya è tornata?», mi chiede con aria preoccupata, guardando in direzione del vecchio deposito.

«Non lo so: vedi se sta in casa, altrimenti falla cercare da Eliane: tu è meglio che non ti fai vedere, casomai fossero gli uomini di chi-sai-tu». Saga fa cenno di sì con la testa, quindi affretta il passo verso casa.

La cosa peggiore quando sei il capo famiglia è che devi sempre prendere la decisione giusta. A me questa cosa riesce bene con le bestie e le sementi, ma con le persone è un'altro paio di braghe. Stringo i pugni per farmi coraggio e, solo in quel momento, mi accorgo di avere in mano il coltellaccio di Scimus, con la punta della lama ancora sporca di cera. Devo averlo raccolto d'istinto, quando mi sono alzato: ormai il mio cervello si è abituato a prevedere l'arrivo dei casini. Lo nascondo sotto la camicia e mi avvicino ai sette, alzando la mano in segno di saluto: vediamo come butta.

Karel Trent - Immagine



FREYA


Le gambe si muovono da sole, senza sforzo, del tutto immemori della corsa a perdifiato di pochi minuti fa. Ho sperato tanto di poter passare Ostara insieme a Saga e a Vodan! Fosse mai che, per una volta, gli Dèi avessero deciso di farmi contenta? Sarebbe quasi come ai vecchi tempi, a Nuova Lag...

Uno dei soldati mi nota, mi indica. Di lì a poco si girano tutti verso di me. Sono in sette. Nessuno di loro sembra essere Vodan, e non vedo neanche Kelly e John. Di fronte a loro, sul sentiero, ci sono Karel Trent e sua moglie Nora che li stanno raggiungendo a grandi passi. Anche loro mi vedono, e subito mi fanno cenno di andare verso casa. Hanno un'espressione preoccupata. Il soldato che mi ha vista scende da cavallo e comincia ad avanzare nella mia direzione. Cosa sta succedendo?

«...Non hanno lo stendardo. Quelli non sono soldati di Uryen».

La sentenza di Arken mi investe come una folata di vento gelido. Oh no, penso tra me e me, mentre la memoria mi scava nella testa facendo emergere i ricordi di oltre un anno fa. Gli scagnozzi dei Creedon: ci hanno trovate!

Torno rapidamente sui miei passi, volgendo le spalle al falso soldato che, nel frattempo, ha già cominciato a scendere verso di noi: «Dobbiamo scappare!» Poi guardo Ruben, e mi ricordo del suo ginocchio: fa finta di niente, ma si capisce che può a malapena camminare. «Come facciamo?»

«Ci penso io», esclama Arken, ribaltando la carriola con un gesto deciso. I quattro sacchi di paglia rotolano in terra con un rumore sordo, dando vita a una scena simile alle pratiche di pulizia che tante volte ho visto sbrigare alle guardie dell'Ongelkamp di Dossler quando giungeva l'ora di disfarsi dei corpi di chi non ce l'aveva fatta. Neanche i nostri Kuklalàr ce la faranno, penso con malinconia. Non oggi, almeno.

«Forza Ruben, sali!».

Ruben si accovaccia nel cassone senza esitare: un istante dopo Arken volge la punta della carriola verso il vecchio deposito e prende a spingerla con le sue braccia nodose lungo il sentiero fitto di radici, con noi dietro di lui. La ruota sobbalza più volte, restituendo a Ruben contraccolpi dolorosi, ma lui non fiata: nessuno di noi lo fa, mentre corriamo a perdifiato lungo i sentieri che tante volte abbiamo battuto con ben altro spirito, immersi nei nostri giochi. E' già ora di andare? E' già finito anche questo posto? Il solo pensiero mi riempie gli occhi di lacrime. Non sono pronta per andare via, non ancora. Devo avvertire Saga, dobbiamo...

«Dove la nascondiamo?» chiede Arken non appena la sagoma del vecchio deposito ci nasconde agli occhi dello sgherro in avvicinamento.

Lo sanno, penso. Lo hanno capito anche loro che quelli sono venuti per me.

«Nel deposito sarebbe un suicidio», risponde Ruben: «se lo stronzo decide di guardarci dentro la becca di sicuro».

«Ma se torniamo alle case?» domanda Last.

«E cosa risolvi, idiota?», lo rimbrotta Arken: «è proprio quello il primo posto dove andranno a cercarla i soldati».

Ruben si guarda intorno. «Se tagliate per il campo di ravanelli potete arrivare al boschetto...»

«Si, questa può funzionare», annuisce Arken, che poi si volta verso di me. «Da lì puoi raggiungere il bosco dei mirtilli, e a quel punto... a quel punto non ti trovano più».

«Non VI trovano più», precisa Ruben, scendendo dalla carriola. «Devi andare con lei».

Arken lo guarda con aria interrogativa. «Perché?»

«Perché non può andare nel bosco, da sola, di sera, con i soldati in giro: te lo devo spiegare?»

«Vabbè. E invece voi? Che fate?»

«Noi andiamo ad avvisare Saga», continua Ruben, facendo cenno a Last di seguirlo. «Ti ricordo che quelli stanno cercando anche lei». E ci assicuriamo anche che stiano tutti bene, penso con un filo di ansia.

Arken annuisce. «E col ginocchio, come fai?»

«Non dobbiamo scappare», risponde Ruben, scrollando le spalle: «non stanno cercando noi. E poi mi sta già passando». Non si direbbe, a giudicare da come appoggia il peso. Sospiro.

«Ma siete sicuri?» Interviene Last: «e se invece...»

«Stà zitto, idiota», lo interrompe Arken. «Va bene, Rub: ho capito». Quindi si gira nella mia direzione. «Forza, principessa: muoviamoci!»

«Mi raccomando, dì a Saga che la aspettiamo nel bosco», mi affretto a dire a Ruben prima di separarci. Da lì, una volta insieme, potremo raggiungere la casa di Dina, penso tra me e me, cercando di farmi coraggio. Con un pò di fortuna, ce la caveremo anche questa volta. Abbiamo visto e vissuto di peggio.

«Ricevuto», mi risponde Ruben con un cenno di intesa.

«Stai attento, mi raccomando. E se vedi che butta male... raggiungici anche tu».

«Contaci: lo farò».

«Promesso?».

«Promesso».

Freya Thorn

... to be continued



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10 aprile 518
Giovedì 2 Marzo 2023

Giustizia

E così alla fine l'ho fatto.

A me è toccato il compito di dare fiato al tuo progetto, ai tuoi obiettivi, a tutto ciò per cui ti sei spesa in questi lunghi ed estenuanti mesi. Sono riuscita a non vanificare i tuoi sforzi? Vorrei esserne certa. Ma so che era questo che ti aspettavi da me, dal giorno in cui mi hai chiesto di tornare a indossare l'abbraccio dell'angelo. "Mi serve il tuo aiuto". E poi mi hai raccontato il tuo sogno: una prospettiva visionaria che in quel momento, con le truppe di Ghaan intente ad assediarci scagliandoci addosso orde di risvegliati, non aveva alcun senso. In tutta Angvard non c'era anima viva che potesse comprendere quel disegno, neppure tuo fratello... Nessuno che non fosse in grado di scorgere nei tuoi occhi, di avvertire nelle tue parole la fulgida luce di Dytros. Il giorno dopo ero nuovamente al tuo fianco, pronta a seguirti come facevo da bambina: con lo stesso spirito di quando, tenendoci per mano, ci avventuravamo alla ricerca dei misteri sepolti nei meandri sotterranei della Sacra.



Ricordo tutti gli incontri, i consigli di guerra, le discussioni estenuanti avute con i nostri ufficiali, consiglieri e alleati: Alman, Zaaver, Vonner, Acab. Ricordo la tua passione e le loro espressioni scettiche: ai loro occhi sembravi una sprovveduta, un'ingenua, una pazza. Più volte sei stata sul punto di essere esautorata. Eppure non ti sei mai arresa. Hai sempre puntato sugli altri, sulla loro capacità di ascoltare, comprendere e perdonare: amici o nemici che fossero.

Come quel giorno in cui Ymir Braccia d'Orso ti precipitò giù dal burrone: in quell'occasione arrivasti a mettere in gioco la tua stessa vita pur di raggiungerlo, parlare la sua lingua, scuotere i suoi valori. E i tanti che all'epoca si affrettarono a raccontare la tua disfatta vengono oggi smentiti dalla presenza di un suo ambasciatore che attende il tuo risveglio per offrirti un'alleanza.

O come quando, sola in tutta Angvard, prendesti la decisione di rilasciare Mandy Sphere, autrice di un sanguinoso attacco condotto all'interno delle nostre case con l'obiettivo di attentare alla tua stessa vita, in cambio dell'unica persona che poteva indicarci l'accesso alla Sacra. Gran parte degli scettici che all'epoca si scagliarono contro una scelta apparentemente così scriteriata si trovano oggi oltre quella fortezza, all'interno di una città entro le cui mura nessuno era mai riuscito a entrare.

Questa è la giustizia che hai portato tra gli uomini in guerra, accecati da un conflitto che ha separato comunità, parentele, affetti, credenze, amori... e che, in questo giorno sacro, ho provato a raccontare in tua vece. Ma non sono in grado di andare oltre questa rappresentazione: nessuno lo è. Per questo ti chiedo, ti imploro di tornare. E se offrire la mia vita può servire a qualcosa, chiedo solennemente a Dytros, nel giorno a lui consacrato, di prender...

Vesa il Bandito - Immagine

«Chi sei? Come hai fatto a entrare?»

«Non gridare, non chiamare aiuto: se lo fai, qualcuno morirà».

Così dicendo, la figura incappucciata entra nella stanza. Un passo dopo l'altro, lentamente, lasciando dietro di sé una scia di sangue che osservo con orrore. Dev'essere uno degli Innalzati superstiti di Ghaan. Eppure qualcosa nelle sue movenze, nei suoi abiti, riporta alla mia mente il ricordo di un'altra persona. L'Uomo senza Volto, la belva assetata di sangue che spense gli occhi innocenti di Kyr in quell'infausto giorno alla Rocca di Horen: Joad Kempf.

«Chi hai ucciso, assassino?» Esclamo. Penso a Peter, ad Hans e agli altri soldati di guardia a quest'ora: mi si stringe il cuore al pensiero che siano morti. Sento il desiderio di vendetta che mi pervade, mentre cerco con lo sguardo il mio braccio di legno. E lo vedo lì, sulla sedia dove l'ho lasciato pochi istanti fa in preda al dolore, grosso modo equidistante tra me e lui.

«Te l'ho già detto: non sono qui per uccidere nessuno. Anzi, intendo complimentarmi per il discorso che hai fatto».

«Risparmiami il tuo sarcasmo e dimmi cosa vuoi». Mi alzo, ma mi rendo conto che ogni tentativo di raggiungere la protesi prima di lui sarebbe vano: e anche se ci riuscissi, indossarla richiederebbe del tempo. La mano che mi resta raggiunge l'elsa della spada: sia come sia, venderò cara la pelle.

«Ho bisogno che tu ti finga morta per un pò». Si avvicina al mio braccio, lo osserva, lo prende: la vista della sua mano che lo stringe, dei suoi occhi che contemplano la mia incompletezza, è un oltraggio che mi ferisce intimamente. Sguaino la spada.

«Se vuoi vedermi morta, dovrai...»

Non mi lascia neppure terminare la frase. I suoi colpi sono rapidi, precisi, spietati. Eppure, non posso perdere questo scontro: devo fermarlo, o almeno dare l'allarme. La scrivania mi aiuta a tenerlo a bada: sembra sorpreso, forse non si aspettava tanta resistenza da parte di una come me. Aspetto il momento buono, poi rompo la mischia e apro la bocca per urlare...

... Ma il maledetto non aspettava altro. Con una rapidità inumana chiude la distanza che avevo faticosamente costruito tra noi e mi colpisce al ventre con l'elsa della lama, togliendomi il fiato: poi, non contento, afferra la coda dei miei capelli e la strattona verso il basso, spalancandomi la bocca in un disperato bisogno di aria.

E infine soffia, sputandomi in faccia qualcosa che aveva tenuto in bocca fino a quel momento. L'aria intorno a me si riempie di un odore di aceto, agrumi e fiori appassiti.

«Perdona i miei modi, Paladina di Dytros, ma abbiamo poco tempo: è giunto il momento che tu chiuda gli occhi».

Mi sento afferrare dietro la schiena, poi sollevare da terra. Vorrei impedirlo, ma il mio corpo è diventato improvvisamente molto più pesante. Osservo impotente la sostanza vischiosa colarmi sul viso, sulle labbra. Credo che si tratti dello stesso preparato anestetico che abbiamo trovato in uno dei laboratori sotterranei di questo edificio. L'odore è lo stesso, ma non dovrebbe essere così potente. Provo a divincolarmi, ma le mie membra rispondono in ritardo. Dirotto le energie residue in un ultimo, disperato tentativo di gridare, ma il mio aggressore è lesto a tapparmi la bocca con un panno umido imbevuto della stessa sostanza di prima.

«Credimi, così è meglio per tutti: e comunque dicevo davvero, prima: il discorso mi è piaciuto... e non è morto nessuno. Non ancora, almeno». Così dicendo mi toglie la spada e mi lega alla sedia. Poi esce così come era entrato, lasciandomi lì, con la testa china sulla scrivania: cosciente, ma impossibilitata ad aprire gli occhi o a gridare.

Perché lo ha fatto? Che senso ha correre un rischio simile in una città invasa da truppe nemiche se lo scopo è quello di lasciarmi in vita? Pensa, Crystal: rifletti, adesso che è l'unica cosa che puoi fare. Ragiona con la testa di Yara, in questo giorno sacro e cruciale per il futuro del tuo tempio, dei tuoi fratelli e di queste lande martoriate dalla guerra.

Crystal Kanban
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10 Aprile 518
Domenica 5 Febbraio 2023

Neter



Adesso

La paladina ha finito il suo discorso e si accinge a percorrere la strada che la separa dal Sanatorio. Bohemond la segue come un'ombra e in generale i soldati di Angvard mi sembrano tutti sul chi vive: evidentemente Kailah ha passato le informazioni che le ho fornito a chi di dovere. Bene così. Francamente dubito che qualcuno di loro potrebbe fare granché nel malaugurato caso in cui lei decidesse di entrare in azione, ma se non altro avranno il tempo di suonare il corno, o quantomeno di urlar...

AAAaaagh-

Eccolo: il rantolo di un povero disgraziato colpito a morte in qualche vicolo intorno alla Fortezza. Praticamente impercettibile in questo casino, ma non per me.

Chi hai fatto fuori, stavolta? Mi bastano pochi passi per scoprirlo: una guardia di Angvard. Il suo compagno è ancora vivo. Lo hai lasciato così apposta per farlo urlare, in modo che possa attirare l'attenzione. La porta a cui le tue vittime facevano la guardia conduce alla caserma: non esiste posto più stupido per tentare una sortita. Non è qui che vuoi colpire.

Mi avvicino al soldato superstite, che sta cercando di portarsi alla bocca il corno. Quando mi vede ha un sussulto, come se per un attimo mi avesse scambiata per il suo aggressore. Lo prendo come un complimento.

Mi guardo intorno: nessuna traccia di lei.

«Aiutaci... ti prego...»

Alzo le spalle. «Non sono un medico, ma non hai niente di troppo grave: la buona notizia è che te la caverai». La cattiva è che il suo compagno invece è già stecchito, ma non è il caso che lo sappia adesso. Poi gli sfilo delicatamente il corno dalle mani, scuotendo la testa. «Atteniamoci al programma: la musica parte alle nove e trenta, dopo la cena sociale».

«Ferma... che fai...»

«Ti salvo la vita, genio: ma con discrezione, senza trascinare in questo evidente diversivo decine di soldati che devono invece restare al loro posto.»

Mi avvicino alla porta e suono il batacchio con tutta la forza che ho: poi, per sicurezza, sferro anche due pugni e un calcio. Dovrebbe essere sufficiente. «Ascoltami bene: quando verranno a soccorrerti, dì loro di non suonare il corn...» Troppo tardi: ha già perso i sensi. E pensare che c'è chi si stupisce che quell'inetto di Athos Alman voglia far fare tutto a noi Innalzati.

Torniamo a noi. Dove sei andata? Nel vicolo non ci sono impronte né tracce recenti. Alzo lo sguardo. I palazzi della Contrada della Scure hanno tetti sufficientemente robusti per saltarci sopra, evitando le strade affollate e illuminate a festa. Del resto, siamo state addestrate anche per questo... una vita fa.



Una vita fa

«Coraggio, ragazze: è molto più facile di quello che sembra». La voce di Kzar è tranquilla, rassicurante. Mentre parla tende persino la mano, come a voler comunicare che, nel malaugurato caso in cui le esaminande dovessero cadere, penserà lui ad afferrarle. Manuel e Sir Wilson osservano la scena dal basso, senza dire una parola.

«A sentire te sembra tutto facile», gli dico a bassa voce. Ci troviamo sul tetto del secondo edificio più alto della città: cadere da questa altezza forse non equivale a morte certa per un Innalzato, ma quasi.

«Beh, noi ce l'abbiamo fatta senza problemi: ce la faranno anche loro».

«Chi lo sa». E' in questi momenti che comprendo quanto Kzar sia migliore di me... Non soltanto come Innalzato, ma anche dal punto di vista umano. Per lui quelle due sono potenziali compagne, per me sono più che altro delle possibili rivali. Lui fa il tifo per loro, io no... o comunque, non me ne frega niente. Del resto, l'esame di oggi è anche una sfida tra il gruppo di Manuel e le nuove leve di Sir Wilson. Noi siamo i bambini prodigio, quelli che riescono a spostarsi di tetto in tetto in armatura senza problemi: loro... Beh, tra poco vedremo.

La prima a saltare è Felda. La meno dotata, almeno secondo me, ma anche la più disciplinata. In prove come questa la virtù più importante non è la forza del sangue o dei muscoli, ma la consapevolezza dei propri limiti. Anche perché, come dice Manuel, la prima crescerà, col tempo e l'esercizio: la seconda, no.

Lo slancio di Felda è buono, ma la distanza percorsa in aria è a malapena sufficiente per raggiungere il tetto dove ci troviamo. I piedi atterrano pericolosamente vicini al cornicione, a pochi centimetri dal vuoto: se al posto nostro ci fossero dei nemici, basterebbe un calcio sferrato al momento giusto per vanificare il tentativo e precipitarla giù. Noi abbiamo saltato molto meglio di così. Ma Kzar alza il pugno in segno di esultanza; sir Wilson annuisce, visibilmente soddisfatto; Manuel applaude, addirittura. L'elogio della sufficienza. Rabbrividisco al pensiero del giorno in cui Felda dovrà coprirmi le spalle in battaglia, ma in fondo ha ragione Kzar: devo imparare ad essere più fiduciosa, per cominciare va bene anche così.

E' il momento di Cyanide... O Nox, come preferisce farsi chiamare. Effettivamente con un nome così orrendo mi sarei trovata un'alternativa anch'io. Manuel ci ha raccontato che sua madre è stata stuprata da un pirata di Norsyd durante un saccheggio e che poi è morta subito dopo averla messa al mondo: quello scherzo di nome le è stato dato dagli zii, gli stessi che poi l'hanno venduta a Sir Wilson per quattro spicci. Dicono che il suo sangue sia migliore di quello di Felda, ma che la capacità di controllo lasci ancora un pò a desiderare.



Nox si getta in avanti con uno scatto rapidissimo, disegnando un arco molto più stretto di quello di Felda... troppo stretto. Il piede colpisce a grande velocità il delicato innesto che divide il cornicione e la gronda, frantumando entrambi. Le sue ginocchia ruotano verso il basso, colpendo violentemente la prima fila di tegole poste alla base del tetto. L'impatto restituisce tutta la spinta del salto all'indietro, scaraventando la poveretta verso il basso. Esame fallito, direi così ad occhio.

Istintivamente, non capisco neppure io perché, mi getto verso di lei: non riesco ad afferrarla per un soffio. Quindi, spinta più dall'istinto che dalla ragione, decido di seguirla, precipitandomi nel vuoto. Non so cosa mi prende: che il buon cuore di Kzar mi abbia contagiata a tal punto? Forse la storia della sua infanzia mi ha fatto più pena di quello che pensavo: o magari, più semplicemente, mi va di fare bella figura con Manuel e Sir Wilson, agguantandola con un gesto atletico prima che la sua testa si sfracelli sul selciato a pochi passi da loro.

Il problema è che si tratta di un tentativo stupido, non appena mi trovo in aria capisco che non ce la farò mai. Riesco a raggiungerla, la mia mano la sfiora, ma non ho modo di agguantarla né di arrestare la nostra caduta. A saltare me la cavo bene, ma per compiere questo salvataggio serviva avere un paio di ali. Non posso fare altro che osservare Nox precipitare insieme a me, con l'amara consapevolezza che a breve toccheremo terra entrambe: lei di testa, io di schiena. Lei morirà sul colpo, io potrei cavarmela con qualche osso rotto... Forse.

Poi, un attimo prima che le punte dei suoi capelli bianchi tocchino terra, Nox mi mette un piede in pancia, si dà una vigorosa spinta ed effettua una giravolta in aria che le consente di atterrare in piedi: da lì si produce in un'altra capriola, scaricando a terra gran parte della forza d'impatto, per poi rimettersi in piedi con un unico movimento elegante e aggraziato. Una manovra da manuale.

Immediatamente dopo sono io a toccare terra, schiantandomi di schiena su un carretto di paglia a dir poco provvidenziale. Quando si dice la fortuna...

Per qualche istante vedo tutto nero: capisco di essere ancora viva quando sento gli applausi divertiti di Sir Wilson. Apro gli occhi e vedo una mano: l'afferro, pensando che sia quella di Manuel, e mi rialzo a fatica, poi mi accorgo che è quella di Nox.

Nox - Immagine 3

«Sei viva», mormora con voce fredda. Non è una domanda, ma una constatazione. Sembra quasi delusa. La guardo: non sembra molto amichevole, eppure se è riuscita a fare quel numero da circo è anche merito dei miei addominali. La sua mano stringe con forza la mia, come se volesse frantumarla. I suoi occhi biancastri mi scrutano con aria di sfida, come a dirmi "pensavi che sarei stata io a schiantarmi, e invece..."

Alzo le spalle, sottraendo con uno strattone la mia mano alla sua morsa non appena riesco a rimettermi in piedi: nell'istante in cui lo faccio, sento una fitta lancinante trafiggermi il fianco. Le pallide orbite di Nox mi scrutano il ventre con morbosa curiosità. Seguo il suo sguardo e mi accorgo che ho una grossa scheggia di legno che mi spunta dalle viscere.

«Fa male, vero?» Non rispondo. Altroché, se fa male: chissà chi ha messo in giro la leggenda che gli Innalzati non sentono il dolore. Lo sopportiamo ma lo sentiamo, eccome se lo sentiamo. Piuttosto, perché questa scema continua a guardarmi con malcelata delusione per il fatto che ancora respiro? Ha capito che sono saltata giù per aiutarla, o...

La sua mano raggiunge la punta della scheggia. «Puoi gridare, se vuoi...» mi dice, guardandomi negli occhi con aria fredda e inespressiva. Le sue dita si serranno sul legno, imbrattandosi del mio sangue. Poi, lentamente, comincia a spingere. Ma cosa cazz...

Adesso basta. La spingo via con forza, sopportando ben volentieri un'altro spasmo di dolore pur di mettere un pò di distanza tra me e questa stronza sadica. «Ma tutto a posto?» Esclamo, visibilmente infastidita. Lei mi guarda impassibile, senza tradire alcuna emozione. Che razza di...

«Tutto a posto, Ayza?» Manuel e Sir Wilson ci raggiungono, interrompendo la nostra conversazione. «State bene, ragazze?» Fa eco Kzar dal tetto sopra di noi. Lei mi guarda, portandosi un dito alle labbra in segno di silenzio. Riesco a sentire il mio sangue, su quel dito. Avevo ragione: vuole sfidarmi.

Stà tranquilla: non sarà adesso che ti farò fare la figura di merda che meriti. Nel frattempo, impara a saltare.



Adesso

Sono passati diversi minuti dal diversivo e ancora non è successo niente. Qual è il tuo obiettivo, Nox? Madre Magdalene è protetta da un soldato esperto e la sua fede le consente di mascherare il suo odore, quindi non puoi trovarla facilmente. Lady Yara non è verosimile, troppi soldati e porte di ferro tra te e lei. Quanto a Crystal... lei è un bersaglio facile, il Sanatorio a quest'ora è sicuramente a corto di soldati: mi conviene andare lì.

La Strada dei Ponti, che collega la piazza della Fortezza al Sanatorio, è gremita di tavolate e gente che attende di essere servita. I bambini, non paghi delle pignatte che hanno spaccato per tutto il pomeriggio, giocano e corrono da tutte le parti. Con questo casino di suoni e odori capire chi c'è e cosa succede dentro al Sanatorio è impossibile anche per me: non mi resta che dare un'occhiata di persona. Fortunatamente non hanno ancora riparato il rosone. Mentre atterro dentro alla sala di meditazione ripenso a quando Kzar ed io lo abbiamo rotto, meno di due mesi fa, poche ore prima che lui incontrasse il suo destino. Peccato che non ci sia lui al posto mio, ora... Saprebbe cosa fare. Soprattutto, saprebbe come comportarsi con Annie, cosa che io...

All'improvviso mi assale un terribile sospetto: Annie, la Pristina della Mantide. E se fosse lei, l'obiettivo di Nox? Annuso l'aria, cercando di concentrarmi, mentre corro verso le scale che portano ai piani inferiori. Sento l'odore di Crystal e quello di Bohemond: stanno parlando. Intorno a loro, nelle altre stanze, avverto la presenza di altre persone, probabilmente malati e soldati. Non sembra esserci alcun problema, almeno per ora, a parte il tanfo pestilenziale della Carminia. Che faccio? Resto qui o faccio un salto a vedere come sta Annie? Lei e Colin sono venuti a sentire l'ultima parte del discorso di Crystal, Nox potrebbe averli visti e seguiti fino alla casa dell'erborista. Con loro ci sono soltanto una vecchia e un soldato anziano, se li attacca non ce la faranno mai.

Risalgo in fretta le scale fino alla sala di Meditazione, quindi mi arrampico sullo scheletro del rosone fino a raggiungere il tetto. La casa dell'erborista è a sud-ovest da qui, ma gli echi delle tavolate mi impediscono di...

... E poi la vedo, in piedi sul tetto della casa a nord del Sanatorio: lo stesso da cui spiccò quel salto, una vita fa.

Non dice una parola, ma non è necessario: mi è sufficiente osservare il bianco dei suoi occhi, freddo e inespressivo, per capire come stanno le cose. Il suo obiettivo non è Madre Magdalene, Lady Yara, Crystal, e neppure Annie. Il suo obiettivo, stanotte, sono io.



Una vita fa

«Siete ancora in tempo per ripensarci».

La voce di Kzar tradisce una certa preoccupazione. Il suo è un tentativo velleitario, ma come sempre ha ragione: se sarò sconfitta, lui perderà una valida compagna d'armi... e forse, perché no, una buona amica; ma anche se vincessi, Manuel non sarà affatto contento... e Sir Wilson andrà su tutte le furie.

Comunque andrà, saremo tutti puniti duramente: una tra me e Nox con la morte, l'altra per aver commesso il fatto, e tutti gli altri per non avercelo impedito. Eppure, non è certo il primo regolamento di conti tra Innalzati a cui assistiamo da quando siamo qui: l'unica differenza è che stavolta il livello è davvero molto simile, quindi il rischio di farsi male, davvero male, è concreto... Specie considerando che lei non vede l'ora di togliermi di mezzo.

Nox - Immagine 2



I nostri compagni si dispongono ai lati dello spiazzo dove ci troviamo, in attesa che lo scontro abbia inizio.

«Sei pronta, Ayza?» mi chiede Vesa: a lui spetterà il compito di interrompere lo scontro se Nox non sarà in grado di dichiararsi sconfitta. Il mio padrino, ovviamente, sarà Kzar.

«Si», esclamo: «sono pronta». Kzar rivolge la stessa domanda a Nox, che si limita ad annuire e a sollevare la sua imponente lama nera verso il cielo.

Un istante dopo mi è addosso. E' drammaticamente più veloce dell'ultima volta che l'ho vista combattere, ma il problema vero è il peso della sua arma rispetto alle mie. I suoi colpi mi schiacciano a terra, togliendomi il tempo di reagire come vorrei.

Il principale punto debole di un'arma a due mani è il cambio di ritmo, in quanto chi la brandisce ha bisogno di mantenere una certa regolarità tra offesa e difesa; ma la tecnica con cui Nox manovra la sua lama si basa su un presupposto diverso, che soltanto un essere con la forza di un Innalzato può mettere in pratica. Le sue mani ruotano in continuazione intorno all'elsa, facendo mulinare la lama come un vortice che non si ferma mai: l'unico modo per colpirla è penetrare all'interno di quel vortice, rischiando di essere fatta a pezzi...

... Oppure colpirla a distanza, che è proprio ciò che intendo fare non appena sarò riuscita a mettere un pò di spanne tra me e lei. Metto dentro una serie di finte quindi salto all'indietro, evitando i suoi affondi e uscendo dalla portata della sua lama. Continuo a saltare una, due, tre volte, quindi mi piego sulle ginocchia e scaglio con forza le mie due spade verso di lei: quella di destra al ventre, quella di sinistra al torace, così da chiuderle ogni velleità di schivata. Se vuole sopravvivere dovrà bloccarle entrambe con un colpo estremamente preciso della sua lama, altrimenti sarà lei ad essere tagliata in due.

Le mie lame impattano all'unisono il vortice nero che la circonda: una delle due le lambisce appena il fianco, l'altra rimbalza a terra a poca distanza da lei, tra le grida entusiastiche degli Innalzati che osservano lo scontro. Non credo ai miei occhi: è riuscita a deviarle entrambe. Come diavolo ha fatto a diventare così forte? Adesso sono io ad essere nei guai.

Mi sento addosso lo sguardo di Kzar. So cosa sta pensando: sono disarmata, arrendermi ora non sarebbe troppo disonorevole. Scuoto la testa. Per lui, forse: per me non è un'opzione.



Adesso

«Vuoi la rivincita, eh? D'accordo: la avrai». E' venuta preparata, come e più dell'altra volta: posso sentire il profumo della Garmonbozia che la pervade dalla testa ai piedi. Si prepara a spiccare il volo per raggiungermi, elegante e bellissima come sempre: lo stesso luogo, lo stesso salto di una vita fa. Va bene, stronza: vediamo se hai imparato a non romperti i piedi sul cornicione.

Ci lanciamo nel vuoto insieme, librandoci in aria come due predatori notturni. Combattere in aria quando non sai volare è la cosa più difficile da imparare in assoluto: e io e lei, dopo Kzar, eravamo le migliori.



Il mio tetto è più alto, cosa che mi fa pensare di avere un minimo di vantaggio. Grosso errore: la portata della sua lama mi prende in contropiede, costringendomi a difendermi e a perdere stabilità.

E poi arriva il peso, sotto forma di pressione fortissima sulle mie spade. La sua arma mi sale addosso come una ruota, colpendomi una, due, tre volte grazie al vortice scaturito dall'innaturale rotazione impressa dalle sue mani. Quelle dannate braccia le sono ricresciute meglio di prima. Riesco a deflettere il primo colpo, al secondo ci pensa l'armatura, il terzo mi penetra tra il fianco e il dorso. Sento il suono del corpetto che si squarcia come fosse carta, quindi il freddo mortale di quel ferro nero che mi scava dentro la schiena. L'impatto mi scaglia verso il basso, proiettandomi giù, nel vuoto. Rivivo la caduta di una vita fa, ma stavolta Nox non si trova sotto di me in procinto di schiantarsi ma sopra, in alto, con i piedi ben saldi sul tetto del Sanatorio. Questa volta è mio il corpo che precipita verso il selciato, sono io ad aver fallito l'esame.



Una vita fa

Si mette male. Ho recuperato le mie spade, ma per farlo ho dovuto incassare due o tre colpi che non promettono nulla di buono. Non so se oggi questa sadica è in stato di grazia o sono io ad essere particolarmente lenta, ma non riesco a mettere a segno un colpo che sia uno.

Guardo in direzione di Kzar: lo so cosa stai pensando, amico mio. Forse dovrei davvero arrendermi, se non fosse che non ho alcuna intenzione di farlo. Piuttosto la morte, la sofferenza, l'inferno di ghiaccio, le fiamme eterne, le tempeste di acido di Aghvan: ma la resa, mai.

Ayza Reich - Immagine 3

Poi, appena dietro Kzar, i miei occhi mettono a fuoco qualcosa di impossibile. Una cascata di capelli biondi che circondano un viso angelico, due occhi dello stesso colore del cielo che mi guardano carichi di affetto, comprensione e speranza: una bambina... no, è una ragazza ormai. Ireena? Riesco a scorgerla solo per un attimo, poi la visione viene interrotta dalla sagoma di Nox che si staglia di fronte a me, elegante e spaventosa, in procinto di darmi il colpo di grazia.

«Fa male, vero?»

Ancora quella domanda: quanti mesi sono passati da quel giorno? Abbastanza per trasformare una ragazzina sadica in una guerriera spietata... ma non per renderla più forte di me. Non ancora. All'epoca non le risposi, adesso ho tutta l'intenzione di farlo.

«Altroché, se fa male. Ma stavolta non ci sono Manuel e Sir Wilson a cui rendere conto: siamo solo tu, io e i nostri compagni, di fronte ai quali stai per fare la figura che meriti.»

Chiudo gli occhi, concentrandomi sull'immagine di Ireena. Il sangue degli Antecessori ribolle dentro le mie vene: tutte le energie che mi restano si concentrano nei muscoli delle gambe, mentre mi preparo a sferrare un ultimo, micidiale colpo.



Adesso

Ironia della sorte, anche questa volta lo schianto della mia caduta viene attutito da un carretto di paglia a dir poco provvidenziale. Chissà se il proprietario è lo stesso: dovrei riempirlo di soldi, è la seconda volta che mi salva la vita.

L'impatto è comunque devastante. Sento schegge da tutte le parti, proprio come quel giorno di una vita fa. Stavolta però Nox non mi porgerà una mano per farmi rialzare, ma la maledetta lama nera con cui intende farmi fuori. Chissà se mi toccherà sentire ancora quell'odiosa domanda: sarebbe la terza volta. Certo, la risposta che le diedi l'ultima volta dovrebbe esserle rimasta particolarmente impressa: pensava di avermi in pugno, e invece rimase senza fiato... e senza braccia.

Io stessa non riuscii a capire cosa mi successe, come fui in grado di compiere quello scatto fulmineo che la lasciò immobile sul posto, sconfitta e mutilata. In seguito Manuel mi avrebbe spiegato che alcuni Innalzati, quando vengono messi di fronte a situazioni di vita o di morte, possono sviluppare una facoltà innata. Quel giorno, in quel preciso istante, io sviluppai la mia. Quando Manuel comprese la sua versatilità decise di chiamarla neter, dal nome di una sostanza alchemica che si trova nei sotterranei dell'Avamposto e in diverse altre zone di Ghaan. Una polvere biancastra che può essere utilizzata in vari modi: come detergente, come fertilizzante... o come esplosivo.

«Cosa è stato?»

«Sembrava uno schianto!»

«Siamo sotto attacco? Chiamate qualcuno, presto!»

Le strade sono affollate e illuminate: la gente passeggia e mangia per strada, in attesa che inizi la musica e si aprano le danze. E' piuttosto normale che ci abbiano notate: il punto è capire se è un bene o un male.

Due bambini mi si avvicinano, osservandomi alla luce della torcia che arde a poca distanza da noi. Male, direi: molto male.

«Sei ferita, signora? Guarda, Ron... è ferita!» Seguo i suoi occhi e mi accorgo della grossa scheggia di legno che mi spunta dalle viscere, proprio come una vita fa. Mi viene da ridere: ci mancava anche questa. Ti prego, bambina, non chiedermi se fa male.

«Ma cosa dici, Yanna! non è sangue vero, quello... E poi, non vedi che sta sorridendo? E' una recita... stanno recitando!».

Yanna guarda Ron con espressione interrogativa, quindi sposta nuovamente lo sguardo su di me: «Davvero state recitando?» Poi entrambi sollevano gli occhi sopra di noi, fino a raggiungere la sagoma nera di Nox che si staglia sul tetto del Sanatorio contro il cielo stellato, in attesa che quella conversazione finisca per scendere a darmi il colpo di grazia... Sempre che gliene freghi qualcosa di risparmiare questi due marmocchi. Nel dubbio, meglio non rischiare.

Annuisco a Yanna. «Si, certo», le dico dandomi una pacca sulla ferita. «E' tutto finto, non vedi? Io e la mia amica lassù stiamo preparando un numero... Se andate verso il palco, tra poco lo vedrete. Avanti... andate, adesso!».

Yanna tira un sospiro, visibilmente sollevata. «Possiamo vedervi mentre vi allenate?» chiede Ron.

Scuoto la testa. «Assolutamente no! Vi rovinereste lo spettacolo...» E, cosa ancor più grave, rischiereste di crepare. «Forza, correte al palco: ci vediamo lì!». Caro Dytros, se non vuoi che la tua prima festa qui a Ghaan resti impressa nelle lapidi di questi due mocciosi, aiutami a farli smammare.

I ragazzini cominciano a correre. Poi a un tratto Yanna si ferma e si volta verso di me, proprio sotto alla torcia che illumina l'angolo della strada. la sua chioma di capelli biondi si apre a incorniciarle il viso, mentre mi guarda con due occhi dello stesso colore del cielo.

«Chi è più forte, signora? Tu, o la tipa sul tetto?»

Incomincio lentamente ad alzarmi, sfilandomi di dosso le schegge più fastidiose: venti metri sopra la mia testa Cyanide Noctis solleva la sua lama verso il cielo stellato, preparandosi a saltare giù per finire il lavoro. Pare proprio che questa festa non sarà così pallosa, dopo tutto.

«Io, Yanna: sono più forte io.»

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9 Aprile 518
Venerdì 6 Gennaio 2023

E' stato bello finché è durato



Dodicimilaquattrocentoquindici, dodicimilaquattrocentosedici, dodicimilaquattrocentodiciassette...

E così alla fine è successo. Era inevitabile? Si. Però non mi sarebbe spiaciuto se fosse durata un pò di più. Magari fino alla festa che stanno organizzando i suoi compagni, che sono certa sarà molto pallosa.

Ho sempre avuto un rapporto strano con le feste. Quando ero piccola non mi facevano scendere in strada per paura che mi prendessi chissà che malattia, la quale mi avrebbe di certo uccisa visto come erano messi i miei polmoni. A volte partecipavo dalla finestra, con il migliore vestito che avevo, scrutando quel mondo festoso e distante dai vetri della mia camera; altre volte mi disinteressavo e andavo a dormire presto, fingendo di preferire la solitudine e il silenzio a quegli eventi mondani e rumorosi; e poi c'erano i giorni in cui stavo semplicemente troppo male per alzarmi, e allora mi veniva da odiare ferocemente tutti quei ruffiani e quelle cortigiane imbellettate che ballavano e si divertivano mentre io a stento riuscivo a respirare.

La mia famiglia non era povera, ma le cure al Nosocomio costavano troppo. Se sono viva è solo grazie a zia Masha e ai medicamenti che vendeva sotto costo a mio padre, togliendo il pane di bocca alle sue figlie e sfidando le ire dell'arcigno marito. Fino a quando la malattia arrivò a un punto tale che neanche i decotti di zia Masha riuscivano più a liberarmi i polmoni... e allora non restò che accettare l'offerta che il Camerlengo faceva a tutti i malati più o meno terminali: offrirsi volontari per un farmaco segreto che alcuni ricercatori stavano sperimentando altrove. Il prezzo da pagare era soltanto uno: rinunciare al proprio nome e alla propria famiglia, per sempre.

Fu così che me ne andai... letteralmente. Venni dichiarata morta a 17 anni, con tanto di esequie. Al cimitero di Trost c'è persino una piccola lapide a mio nome. Nei mesi successivi conobbi Messer Kurr, che a sua volta mi introdusse a Sir Wilson: fu proprio lui a dirmi che avrei dovuto affrontare un lungo viaggio, il più lungo della mia vita... ma che ne sarebbe valsa la pena. Aveva ragione? Non lo so. Mi verrebbe da dire di si, visto che poi alla fine non sono più morta. Poi però, quando mi trovo al cospetto di quelli che sono vivi davvero, mi chiedo se posso ancora definirmi tale.

Non è da me deprimermi in questo modo. La verità è che mi manca Ireena, in questo momento avrei davvero bisogno di lei. Ma dopo quello che ho fatto non posso più rischiare di metterla in pericolo.. e così non mi resti che tu, putrida marmellata di carne morta arancione dal nome impronunciabile. Io e te, ancora una volta avvinte in una spirale di agonia ed estasi, finché morte (quella vera) non ci separi. Ti vedo, mentre mi osservi dall'angolo buio in cui ti ho nascosta, ansiosa di entrarmi dentro e soddisfare la bestia che vive dentro di me. Ma so anche quanto puoi essere pericolosa per chi non ti conosce e non riesce ad assumerti a piccole dosi.

Chissà cosa sarebbe successo se quell'indiota di un soldato Greyhavenese ti avesse scagliata addosso a me: magari saresti riuscita a fottermi di brutto di nuovo, o magari no. Chi se ne frega, mi viene da dire, visto che ormai non penso di averne ancora per molto. E invece sei finita in faccia ad Annie, la quale invece qualche compagno e aspettativa di vita ce l'ha ancora. E quindi no, vederla leccare le fughe del pavimento di quella recondita stanzetta nei sotterranei del Sanatorio nella speranza di raccogliere qualche scolatura di te non mi sta bene. Perché Annie è sotto la mia protezione. Ho fatto una promessa e intendo mantenerla, quindi toglitela proprio dalla testa.

Purtroppo però io non sono Ireena, Manuel, Dharkan, o chiunque altro possa fornirle un valido supporto. Mi ha tollerata solo per una manciata di giorni, fin quando ho continuato a centellinarti per ridurre il trauma del distacco. E durante quel periodo è stata eccezionale, accontentandosi di quel poco che le davo senza mai fare storie. Io al posto suo probabilmente l'avrei ammazzata, come ho cercato di fare con Manuel: lo amavo, eppure sono stata più volte sul punto di frantumagli la testa a cazzotti pur di avere un pò più di te. Alla fine ha dovuto rinchiudermi per giorni... per il mio bene, certo, ma anche per il suo.

Annie è diversa: è ''speciale''. Sia Manuel che Kzar me lo dissero più volte, ma io mi rifiutavo di dar loro retta. Forse ero gelosa, magari volevo essere io quella ''speciale''. E invece avevano ragione loro. Lei è una ''pristina'', non è nata da una fiala inoculata da uno scienziato pazzo ma dall'unione fisica tra una donna e un demone. La differenza tra lei e me è la stessa che intercorre tra lo sperma e il piscio. Cosa pensavo di fare? Diventare amiche? Prendere il posto della sua adorata Ali? Ovvio che no. Un serbatoio di droga, questo sono stata, uno spirito neanche troppo affine con cui confrontarsi e scontrarsi fino all'arrivo dei suoi veri compagni. Saranno loro a fornirle il supporto che io non posso darle.

In ogni caso, il fantasma di Ali non ha nulla da temere: non ho intenzione di venir meno alla parola data. Farò in modo di tenere Annie in vita, anche se non passeremo più le notti insieme a parlare finché non ci viene sonno (ovvero mai) o a scrutare l'orizzonte in cerca di meraviglie che possiamo vedere soltanto noi. Il problema è che per farlo mi servi tu, dannata merda arancione, perché le bestie con cui presto o tardi ci dovremo misurare non hanno mai smesso di prenderti e io senza il tuo aiuto non li reggerò mai.

Laèl, il Re Muto; Temu, il Mordighiaccio; Vesa, il Bandito; Jarva, il Nordro; Sami, l'Orbo; Nox, la Dama Bianca. Ognuno di noi aveva un soprannome assegnatogli personalmente da Sir Wilson. Io, modestamente, sono (anzi, ero) la Dama Sterminatrice. Persino Annie ne ha uno: la Pristina della Mantide. A sentirlo incute un gran timore, peccato che non sia ancora in grado di onorarlo sul campo. E dire che stavamo facendo grandi progressi: poi sei arrivata tu e hai dovuto rovinare tutto... come al solito.

"Ayza, ma tu invece la prendi la Garmonbozia?" Ma vaffanculo, stupido maschio giudicante: cosa diavolo ne vuoi sapere tu, pensa a scolarti il tuo liquorino afrodisiaco e non rompere i coglioni.

Va beh, inutile rimuginarci: tanto vale tornare a contare le pecore. Dov'è che ero rimasta?

Dodicimilaquattrocentodiciotto, dodicimilaquattrocentodiciannove, dodicimilaquattrocentoventi...

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25 marzo 518
Giovedì 30 Dicembre 2021

Non guardare in basso



«Non guardare in basso».

Annuisco. Fossi matta! E poi, non credo che ci riuscirei neanche se lo volessi: tutta la mia concentrazione è impegnata a sopprimere il dolore al braccio e a ignorare le artigliate del gelido vento del Nord, che da settimane ci circonda come un branco di lupi.

Mentre June mi ripete i dettagli del piano non posso fare a meno di osservare, di sentire la stretta delle corde che mi cingono a questo stregone sconosciuto, schiena contro schiena, mentre vengono serrate sempre di più. Cosa succederà se non dovessero reggere? Domanda stupida. La risposta si trova 300 metri più in basso, analoga a quella che un destino eroico ma impietoso ha voluto fornire al tenente Ramsey, a sir Brian Sturm, e chissà a quanti altri prima di loro. E' forse un pensiero blasfemo, questo? No: Padre Jamel ci ha spiegato che è normale avere paura, e di certo l'esperienza con sir Bloch ce lo ha confermato tante volte.

Tante volte al giorno, negli ultimi tempi.

«Non guardare in basso: io te l'ho detto, eh?»

Annuisco nuovamente, poi mi rendo conto che per come siamo messi lo streg... sir Dust non può vedermi: provo a parlare, ma il freddo e la paura non mi hanno lasciato neanche un filo di voce.

«Puoi farcela».

Mi sento stupida.

«Puoi farcela, May».

June mi guarda seria, cercando di infondermi coraggio con la sua voce calma. Mi sono offerta di andare al posto suo, costringendo entrambe ad accettare questa insolita inversione dei ruoli: io quella che va, lei quella che resta.

No, non mi sono offerta: l'ho imposto, a lei e a sir Bloch. L'ho fatto perché era la cosa più logica, al di là di qualsiasi considerazione formale. Non siamo forse tutti uguali, quando indossiamo la Cappa? E poi con questo braccio sarei stata un peso ancora più grande, forse insostenibile per la nostra spedizione: persino sir Bloch non è in grado di scendere giù da un crepaccio portandomi sulle spalle. Li avrei costretti a tornare indietro: non potevo permetterlo.

Eppure, non vedo alcuna preoccupazione nei suoi occhi: lei ci crede davvero, che io possa farcela. Voglio crederci anch'io. Il primo passo da fare è proprio qui, pochi metri di fronte a me.

Nel vuoto.

«Bene, allora noi andiamo: buona discesa!»

Un istante dopo, i miei piedi artigliano l'aria. Il buio della notte e il non vedere nulla si spogliano immediatamente di ogni carattere salvifico e ghermiscono impietosi i nervi dei miei sensi ottenebrati. Le corde si serrano all'inverosimile attorno alle spalle e alla vita, togliendomi il respiro e torcendomi il braccio che reagisce scalciando vividi lampi di dolore puro, pristino, assoluto. Non mi resta che stringere i denti e pregare, mentre sir Dust si sforza di nuotare trascinando il peso di entrambi attraverso il nulla.

[...]

«Sei sveglia?»

la voce di sir Dust sembra arrivare da molto lontano, complice il torpore e le strane correnti in cui siamo immersi da tempo immemorabile.

«Siamo... siamo vicini?» chiedo speranzosa: ormai dovremmo esserci.

«Si procede: diciamo che tra poco saremo a metà».

Oh, Dèi! Più che volare, sembra che stiamo precipitando all'infinito. Ma posso farcela. Devo solo stringere i denti ancora un pò.

[...]

L'atterraggio non è stato semplice: lo streg... sir Dust ha cercato di fare del suo meglio, ma il mio braccio non ha voluto saperne di collaborare.

«Stai bene?»

Non posso mentire, quindi non dico nulla: posso solo restare qui, raggomitolata a terra in mezzo alle corde che ancora mi stringono mentre i soldati che ci hanno visto arrivare ci circondano, spianando una varietà di armi minacciose contro di noi.

«E voi chi cazzo siete, di grazia? Vi dò venti secondi per convincermi a non riempirvi di frecce e buttarvi di sotto».

«Tranquilli», dice sir Dust. «Veniamo in pace: lei è una Paladina, io sono un... beh, un noto alleato della Signoria».

«Hai sprecato dieci secondi», gli risponde quello che sembra essere il capo dei soldati. «Continua così e tra poco scopriremo se sai volare anche da morto».

Mentre cerco di recuperare il fiato per poter dire qualcosa, un altro soldato mi si avvicina. Scruta le corde, il braccio, le vesti.

«Forse dice il vero», esclama all'indirizzo del comandante, quindi si china a guardarmi il viso. Non appena mi riconosce si toglie l'elmo, quindi la riconosco anch'io. La tensione si scioglie in un sospiro di sollievo: siamo salvi.

«Dave, corri a chiamare Lach: è ferita. Mark, vieni ad aiutarmi: la portiamo noi».

Siamo salvi, penso. Ma il dolore non accenna a passare e sento gli occhi che mi si chiudono. Non è il momento di perdere i sensi, ma il mio corpo non è d'accordo. Sento le braccia dei miei soccorritori che mi tirano su delicatamente, mentre le loro voci si fanno sempre più lontane, man mano che mi perdo nuovamente nell'oscurità.

«Che cazzo fai, Luna? Li conosci? Chi cazzo sono?»

«Lui, non ne ho idea. Ma lei è Lady May Van Laren... e credimi, l'ultima cosa che puoi augurarti è che muoia per colpa nostra».

[...]

Un drago che volteggia intorno a una torre, librandosi su fiamme color zaffiro. La torre ha il nome di una dama bellissima: tutti avrebbero voluto sposarla, ma lei decise di non donarsi a nessuno. Una Paladina... no, non andò così. Il Drago vacilla, colpito da qualcosa, quindi precipita: le fiamme o i soldati, nessuna scelta è esente da conseguenze. L'impatto è violento, le urla agghiaccianti.

Apro gli occhi di scatto, cercando di agguantare gli ultimi frammenti del sogno prima che sfuggano via per sempre. Il braccio resta fermo, immobile, di fianco a me.

«Fate attenzione, Milady: siete ferita».

Scuoto la testa. Non so dove mi trovo ma l'ansia mi assale: quanto tempo ho dormito? E' già troppo tardi? Osservo con orrore le due persone che vegliano al mio capezzale: una è Lady Luna, l'altro non credo di averlo mai visto prima.

«Devo... devo avvertire i miei compagni: vi prego...»

«State tranquilla», mi risponde Lady Luna. «Ci penso io». E comincia a chiedermi cosa mi serve, senza farmi domande su altro. Quando le ho spiegato tutto, mi chiede se me la sento di alzarmi. Non posso mentire, ma posso stare zitta. E alzarmi.

«Lach, resta con lei e assicurati che sia in grado di muoversi: io vado a dire al Comandante che saliamo sulla Torre».

«Scommetto che la prenderà benissimo», commenta il soldato chiamato Lach. Poi si gira verso di me: sembra simpatico. «Allora, principessa... te la senti di dirmi dove ti fa male?»

Sorrido. «Non sono una principessa! E tu, invece? Sei un caporale o un soldato scelto?»

Lach scuote la testa: «Soldato semplice. Ma so curare le ferite, per questo sono qui: ti prometto che ce la metterò tutta per non farti male... non più del necessario, almeno. D'accordo?».

«Va bene».

[...]

Le successive ore trascorrono in modo frenetico: non appena il Comandante Arthur Gramm ha modo di verificare la mia identità, il suo atteggiamento sospetto nei confronti miei e di sir Dust lascia il posto a una passiva accettazione delle mie volontà. Detesto farlo, ma la situazione è tale da costringermi a sconfessare ogni dichiarazione d'intenti che possa ostacolare quello che devo fare. Del resto è per questo che sono voluta andare io, no? Ed è per questo che sir Bloch si è arreso all'idea di mandare me.

Con mia grande sorpresa sir Dust mi confida che per il momento preferisce farsi da parte, lasciando a me l'onere (ma anche l'onore) di condurre i negoziati con il comando della Sacra: a quanto pare non ama mettersi in mostra, o forse non gli piace molto avere a che fare con i soldati.

In ogni caso, grazie all'intercessione di Lady Luna riesco a ottenere la collaborazione degli altri caporali, cosa che mi consente di comunicare a June e agli altri tutte le informazioni di cui hanno bisogno.

In breve:

- La Sacra è affidata a due plotoni di Angvard, comandati dai caporali Alan Fabre e Gerald Ritter, e a uno di Dossler, guidato dal Caporale Scelto Luna Regent: in tutto, gli effettivi sono meno di 20.

- Il comandante in capo è il Caporale Scelto Arthur Gramm, succeduto al Sergente Maggiore Karl Heines, nominato da Lady Yara e deceduto alcuni giorni fa.

- Nessuna notizia sull'esito della guerra o sulle sorti di Lady Yara Raleigh.

- I soldati di Angvard si chiedono perché Lady Yara non sia tornata a dare notizie alla guida del Wyrm, che dovrebbe poter percorrere la distanza tra Ghaan e la Sacra in tempo ragionevole.

- Oltre agli effettivi, la Sacra ospita anche alcuni prigionieri: uno di loro, un certo Joad Kempf, è riuscito a evadere dalla cella in cui era stato rinchiuso e adesso vaga per la Sacra, sfruttando evidentemente delle conoscenze pregresse sull'edificio.

- Il fuggiasco ha ucciso tre effettivi, tra cui il Sergente Maggiore Karl Heines: il comando è quindi formalmente passato al suo vice, il caporale scelto Arthur Gramm, benché il suo grado sia pari a quello di Lady Luna.

- L'ingresso della Sacra è bloccato da qualche settimana dal clan Nordro degli Jotnar, guidato dal temibile Ymir Braccia d'Orso: la sua presenza, oltre a bloccare l'uscita, impedisce l'arrivo di ogni messaggio proveniente dall'esterno.

Le informazioni che riesco a trasmettere consentono ai miei compagni di approntare un piano d'azione, che richiede un ulteriore lavoro da parte mia: dovrò convincere il comandante ad autorizzare una sorta di "finta sortita" all'indirizzo dei Nordri, così da distrarli quel tanto che basta per consentire al gruppo di attraversare la spianata alle loro spalle senza farsi notare.

Non sarà facile: il comandante finora ha finito con l'assecondarmi, ma a giudicare da come si comporta con Lady Luna sospetto che non abbia alcuna intenzione di farsi dire cosa fare da una come me. Probabilmente mi considera una nobile viziata che, forte dei suoi titoli, si diverte a giocare alla guerra spiegando ai soldati veterani cosa devono fare... E il fatto che sia stata costretta a tirare fuori il mio lignaggio pochi istanti dopo essere atterrata sulla sua torre più alta insieme a uno stregone non mi consente certo di dargli torto.

Mi aspetta una lunga serata.

[...]

Pyros sia lodato! Fino all'ultimo ho temuto che sir Gramm e sir Ritter non mi avrebbero dato ascolto, ma alla fine Lady Luna e sir Fabre sono riusciti a vincere le sue ritrosìe: è stata proprio la decisione di Lady Luna di mettersi alla guida della spedizione al comando dei suoi uomini a convincerlo - o per meglio dire a costringerlo, visto che l'alternativa sarebbe stata lasciarla sola e fare rischiare la vita all'ultimo plotone di Dossler.

Spero che, quando diventerò grande come lei, riuscirò anch'io ad avere un pò del coraggio e della tenacia di Lady Luna: la sua calma e la capacità di prendere sempre la decisione giusta mi ricordano June. Ed è proprio con lei che devo mettermi in contatto adesso, visto che sono praticamente l'unica che, per ovvi motivi, non può partecipare alla sortita. Con me sono rimasti solo Stephanie e Duncan, due soldati di Angvard che hanno il compito di portarmi nuovamente sulla torre e assicurarsi che non rimanga da sola, vista la presenza inquietante dell'ospite indesiderato.

La Sacra è davvero imponente, ma le ombre della notte, la neve e il fatto che sia quasi deserta la rendono a tratti spettrale. Ho sentito delle storie, a Dossler, su questo luogo: storie di uomini che sono riusciti a sopravvivere per decenni all'interno di queste mura, isolati dal resto del Continente, sfidando la rigidità delle intemperie, gli attacchi degli eserciti nemici e persino la presenza di mostri ancestrali.

«Come si chiama questa torre?» Chiedo a Stephanie, che mi precede lungo la prima rampa di scale.

«Non mi ricordo», risponde lei... «Aspetta, ce l'ho sulla punta della lingua: mi pare... mi pare...»

«Torre della Speranza», risponde il soldato dietro di me con uno strano tono di voce. «Quella che sta per abbandonarti».

«Come dite?» Chiedo mentre mi giro verso il suono della voce del soldato che mi hanno detto chiamarsi Duncan. Ma non c'è nulla, lì: soltanto oscurità.

Poi un calcio fortissimo mi colpisce proprio lì, sul braccio, provocandomi una fitta lancinante di dolore e precipitandomi al suolo.

Joad Kempf - Immagine

«Aithan Sèth, Kaairhàn», sibila Duncan sguainando la spada. No, non è una spada... e non è neppure Duncan.

«Tutto ok?» domanda Stephanie poco sopra di noi, ignara di ciò che sta per compiersi: mezza rampa di scale è tutto ciò che ci separa, eppure non farà mai in tempo. Non potrò avvertire June e gli altri della situazione al passaggio segreto, di quello che sono riuscita a ottenere.

I miei giorni finiscono qui, al piano terreno della Torre della Speranza. Sir Bloch, è stato un onore servire Pyros sotto il vostro comando. Alla fine avevate ragione voi: era una mossa troppo rischiosa. Ma c'è qualcosa che non sia troppo rischioso per una come me?

Addio June: solo gli Dèi sanno quanto non vorrei darti questo dispiacere, mi auguro che tu riesca a comprendere che non hai alcuna colpa di questo sfortunato epilogo.

Mamma, papà... avrei voluto rendervi più fieri di me. Padre Jamel saprà come consolarvi: vi dirà che, se non altro, sono morta all'interno di una Sacra della Luce.

Ma allora perché intorno a me non vedo altro che tenebre?

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scritto da May Van Laren , 21:16 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
4 febbraio 518
Martedì 23 Novembre 2021

La Vecchia Guardia



I venti del Nord si presentano col Samhain, ma è tra Gennaio e Febbraio che fanno i danni veri. Il fiato del Samaelen: così lo chiamavano ad Angvard fino a non molto tempo fa, prima che la Guerra delle Lande e le piaghe che ne sono derivate mettessero definitivamente sotto terra quel poco che restava della mia generazione.

«Sai per caso quanto manca, Jim?»

La sfrontatezza di quelle parole mi rammenta in un baleno che no, sfortunatamente non tutta la vecchia guardia è stata richiamata in servizio presso gli Dei: c'è anche chi, ad oggi, continua a dimostrarsi indegno persino di crepare.

«Non ne ho idea», mormoro scuotendo la testa. «Arriveremo quando arriveremo. E ti ho detto cento volte di non chiamarmi così». Accelero il passo, con l'obiettivo di liberarmi di quella presenza sgradevole. Tentativo velleitario, a quanto pare: dopo pochi istanti sento nuovamente il peso della sua mano tozza gravare sulla spalla della mia armatura, come ad aggiungere fastidio al fastidio.

«Eddai, non fare il burbero: ne abbiamo passate tante, insieme. Pensavo che ci avessimo entrambi messo una pietra sopra...»

«Quando sarai morto, forse». Gli tolgo la mano con un gesto secco. «O quando lo sarò io. Aspettiamo che arrivino quelle, di pietre».

Cork alza gli occhi al cielo. «Te la leghi troppo al dito, Jim. 'Ste guerre del cazzo non meritano l'impegno e la passione che ci metti te».

«Sono tramontati i giorni in cui potevi parlare di merito, Cork: li hai fatti tramontare tu, a forza di ripetere queste fanfaronate da sfaticato travestito da irredentista. Dì piuttosto che non ti va di fare il tuo dovere, ché fai miglior figura. Anzi, non dire niente: risparmia il fiato, così forse non stramazzi nella neve come il somaro recalcitrante che sei diventato».

Cork sospira. «Ho capito, ho capito: ce l'hai ancora con me. Non me la sento di biasimarti, in fondo. Né posso pretendere che tu comprenda i miei motivi. Speravo solo che potessi almeno apprezzare il fatto che sto qua, a marciare in mezzo alla neve, proprio come te... ».

«Lo sai benissimo perché ti trovi qui.»

«Si: perché voglio contribuire alla battaglia di Lady...»

«No», esclamo voltandomi di scatto verso di lui. «Sei qui perché l'alternativa era la forca. E non t'azzare a nominare chi ha avuto la benevolenza di concedertela, questa scappatoia: non voglio sentirti pronunciare il suo nome.»

«D'accordo», dice, alzando le mani, «d'accordo. Non sono degno neanche di pronunciare il suo nome: posso almeno pensare che, FORSE, disperdere le forze in questo modo, per giunta nel mese più freddo dell'anno e contro avversari equipaggiati molto meglio di noi, non si sta rivelando quell'idea geniale che magari poteva sembrare sulla carta?».

«Tienila bene a mente questa tua opinione, Cork» gli rispondo, volgendogli le spalle e rimettendomi in marcia: «è il motivo per cui io sono al comando di questa spedizione, mentre tu sei quello che tra poco monterà le tende».


Rak-Jim - Immagine 2


Come se poi l'avessi chiesto, di essere al comando di questa spedizione. Intendiamoci, Lady Yara ha sempre ragione e se lei vuole che io metta radici sul Valico di Mulligan per guardarle le spalle mentre lei va a rischiare la vita a Ghaan non chiedo di meglio, anche se questo significa non poter essere al suo fianco quando perforerà il cuore del Signore di Ghaan e di Aghvan l'(ancora per poco) invitto con la lancia sacra che ho forgiato per lei... Una privazione che mi lacera il cuore, e che pur tuttavia riesco a farmi violenza al punto di sopportare.

Ma condannarmi a trascinarmi dietro Corcazzo no, questo è un tiro mancino che proprio non meritavo.

Non molto dopo il costruttivo scambio di opinioni con il neo-reintegrato sergente Cork raggiungiamo finalmente la cima del costone che conduce al Valico di Mulligan, la cui vista ci offre uno spettacolo da mozzare il fiato. L'Angelo di Pietra si staglia solenne verso il cielo, con il sole al tramonto che lo avvolge di un mantello di fiamme possenti e rigogliose: alle sue spalle, fiera nelle sue antiche vestigia di pietra nera, si erge la Sacra dei Difensori. Non sono molte le meraviglie in grado di suscitarmi simili emozioni, specie da quando il destino ha deciso di condurmi qui: ma questa vista, questo scorcio glorioso al centro di una landa fredda e desolata, non può lasciare indifferente neppure il cuore ormai invecchiato di un esule di Ammerung. Mi chiedo cosa penserebbe Mastro Greb Kun di fronte a quest'opera di ingegno così magnificamente incastonata nella roccia.


Angelo di Pietra - Immagine


Una volta Minar il Bianco mi raccontò che uno dei Runi apocrifi del Khal-Valàn attribuisce la costruzione della Sacra a Vainar, figlio di Ilmarinen: secondo la leggenda, il fabbro leggendario progettò e fece costruire quel maniero per condurre gli esperimenti che lo portarono a costruire la Sposa d'Argento e d'Oro, il simulacro con le sembianze della sua defunta moglie Maaren più volte menzionato nel canone: un tentativo di creare la vita oltrepassando i limiti imposti dalla natura e violandone dunque i dettami, espondendosi in tal modo alla collera divina. I figli di Krynn hanno un nome proibito per riferirsi a questo tipo di costrutti: una parola che nessuno dei miei fratelli pronuncia a cuor leggero, in quanto è da secoli considerata tabù. Un termine bandito dall'uso comune che designa un organismo privo di vita e dunque di significato, tragico risultato di ricerche compiute in preda all'orgoglio, alla vanità e alla bramosìa, ma anche all'amore più folle, cieco e disperato. E non posso fare a meno di chiedermi se non sia stata anche la perversione malsana di questo sentimento a guidare i primi passi compiuti dai nostri abietti avversari nei recessi dei laboratori di Ghaan. Mentre questi pensieri mi attraversano la mente continuo a osservare quel manto argenteo di neve illuminato dai raggi dorati del sole che si staglia innanzi ai miei occhi e mi domando se l'Angelo di Pietra, in fondo, altro non sia che...

«Accidenti, che spettacolo!»

La voce del soldato scelto Dresden, vibrante di sincera emozione nonché decisamente meno fastidiosa di quella di Corcazzo, mi restituisce bruscamente alla realtà. E mi fa pensare che in fondo, perché no, questo "spettacolo" merita di essere valorizzato.

«E' il vostro giorno fortunato, pelandroni!» esclamo rivolgendomi alla truppa: «vi concederò una breve pausa prima di raggiungere la cima: chissà che la maestosità di questo panorama non riesca a rendervi dei soldati decenti!».

I ragazzi annuiscono e rompono le file: non siamo in marcia da molto, ma il terreno e il freddo li hanno già resi esausti. C'è chi cerca un sasso dove sedersi tra la neve che ci circonda a perdita d'occhio e chi ne approfitta per pisciare o mangiare; altri ancora mi raggiungono sul ciglio del costone per ammirare l'Angelo e la Sacra. Tra questi c'è Dresden, accompagnato da Julia, la ragazza con cui si è fidanzato qualche mese fa. Ricordo ancora il giorno in cui me lo disse e il mio brusco commento di disapprovazione: i rapporti tra soldati di uno stesso esercito portano solo problemi, specie se vengono a trovarsi addirittura nello stesso squadrone. Eppure, questi due non hanno mai fatto nulla che potesse mettere in imbarazzo me o l'esercito... Anche perché ho fatto sempre in modo di tenerli separati. Tuttavia, in questa missione mi hanno chiesto di farsi assegnare alla stessa unità, e io... beh, ho deciso di accontentarli. Ebbene si, lo ammetto: per una volta ho deciso di fare uno strappo alle mie stesse regole. L'ho fatto perché ho ben presente le difficoltà di ciò che stiamo facendo e le scarse probabilità di tornare a casa che ha ciascuno di questi ragazzi... ciascuno di noi. Quell'impenitente farabutto di Corcazzo non ha tutti i torti: se non ci uccideranno i Nordri, i Risvegliati, gli Innalzati o i soldati di Ghaan, è probabile che lo farà il freddo. Ma questi ragazzi sono entrati nell'esercito di Angvard nel momento più difficile, e quando hanno capito cosa li aspettava non si sono tirati indietro. A quanto ho capito, se tutto andrà bene, Julia e Dresden contano di sposarsi in primavera: saranno gli Dèi a stabilire se avranno la possibilità di vivere mano nella mano, ma fino ad allora non sarò io a negar loro quella di andarsene insieme. E questo non vale soltanto per loro, ma per tutti i soldati di Angvard che ho addestrato e che hanno scelto di...

«Tiè, guarda là: che je poi dì a 'sto montarozzo, Jim?»

A lui, niente: a te, invece, che consumi la mia aria, penso nervosamente. Eppure, tocca ammettere che persino un pusillanime come Corcazzo, sia pure con l'ascia del boia alla gola, alla fine ha deciso di mettersi al servizio di Lady Yara. Conoscendolo, poteva sicuramente riuscire a farsi dare un'assegnazione meno rischiosa: magari dai suoi amici alla Rocca di Horen, dove pure - bisogna dargliene atto - non è mai scappato. "Non sono miei amici", mi ha detto dopo la cattura, l'unica volta in cui ne abbiamo parlato.


Stephen Cork - Immagine 2


«Perché non sei andato a Horen?» gli chiedo a un certo punto. Non so perché lo faccio, visto che in fondo non me ne frega niente. Ma le parole mi escono così, quasi da sole.

«Te l'ho già detto, Jim: quelli non sono amici miei». Stavolta il tono della sua voce è diverso: come se, in qualche strano modo, il soldato di un tempo fosse riuscito a farsi strada in quella pavida carcassa strafottente per vedere questo tramonto con i suoi occhi. «Mi sono rifiutato di arrestarli perché non mi sembrava giusto... e anche perché non mi fidavo del giudizio dei marmocchi di Tankenborst. Ma mi sbagliavo, Jim: ho visto la luce negli occhi di quella ragazza... quella che non vuoi che chiamo per nome. E credo che hai ragione, sai? Non sono degno di farlo: non ancora. Ma lo sarò, al termine di questa guerra. La chiamerò per nome, a lei e a suo fratello, e saranno la mia Lady e il mio Dominus».

Lo lascio parlare. Non so se e quanto sia sincero, e a dirla tutta neanche mi interessa: i bei discorsi valgono poco finché non godono del supporto di azioni e imprese non dico epiche o gloriose, ma quantomeno adeguate. Tornare a imbracciare lo scudo di Angvard non basta di certo... ma è il primo passo. Questo, se non altro, glielo posso concedere.

Ma non una spanna di più. «Avanti, pelandroni!» esclamo riprendendo il passo: «vediamo di mettere i piedi su quel valico prima che faccia buio: non voglio rischiare di arrivare dopo quei montati di Greyhaven».

Mi chiedo come stiano andando le cose agli altri: tra una manciata ore dovrebbero arrivare ad Antjel e dare inizio alle mosse finali di questa lunga partita. Mi auguro che vada tutto bene.


Valico di Mulligan - Immagine


Il campo è pronto per ospitarci in questa prima notte di veglia sul Valico: se non altro Corcazzo sa ancora come si monta una tenda. La notte su queste cime è fredda il doppio del giorno... o calda la metà, come preferiscono dire a Skogen.

Ogni volta che penso a Skogen mi torna in mente la grottesca parabola di Zodd, il maniscalco che si riciclò soldato, si fece amico del Dominus, ne disonorò la sorella e infine riuscì ad atteggiarsi a gran signore, il tutto senza mai combattere una sola battaglia; o al suo degno compare Vanjar Plank, che iniziò all'ombra della fama e delle glorie del fratello e finì per raccattarne i titoli e il prestigio. Questi uomini e il pragmatismo amorfo che contraddistingue ogni loro azione sono il disonore dell'Altopiano del Tuono: non c'è da stupirsi che ci troviamo su schieramenti opposti. Ed è per colpa loro che siamo qui: Lady Yara teme un attacco alle spalle sferrato da Norsyd e da Ghaan, ma questa eventualità può verificarsi solo con la complicità di Skogen e di Horen. Su Skogen ci avrei potuto scommettere la barba, ma da Horen non mi sarei mai aspettato. Per colpa loro abbiamo dovuto impiegare tre squadroni a proteggere le nostre retrovie: Dossler alla Locanda del Puma, noi al Valico di Mulligan e Greyhaven a far la spola tra qui e l'Angelo di Pietra.

... A proposito, ma dove cazzo sono finiti? A quest'ora dovrebbero essere già arrivati da un pezzo, invece non ce n'è traccia.

Un corno risuona in lontananza, come in risposta alla mia preoccupazione. Poi un altro. E un altro ancora.

«Questa non è Greyhaven», mormora Corcazzo guardandomi negli occhi.

Scuoto la testa. No: questi sono Nordri.

«Tutti in piedi!», esclamo a gran voce, mentre cerco di raggiungere un punto sufficientemente alto per capire cosa ci sta per piombare addosso: «vediamo di regalare una notte indimenticabile a questi scappati di casa».

«Dovremmo essere il doppio di quanti siamo, Jim», mi dice Corcazzo mentre si stringe i lacci dell'armatura. «Dove accidenti sta lo squadrone Vachter, Water, o come cazzo si chiama?»

«Non ne ho idea», rispondo scuotendo la testa. «Spero solo che non li abbiano beccati a valle... altrimenti c'è il rischio che stiano molto peggio di noi». Cork annuisce, serio. Sappiamo entrambi cosa stiamo pensando, e lo sanno anche i nostri ragazzi: quell'esaltato con il martello è ancora in giro e finora chi ha avuto la sfortuna di affrontarlo in campo aperto non ne è uscito bene. Il problema di questi combattenti che brandiscono armi leggendarie non è dato solo da ciò che impugnano, ma anche dall'impatto di quelle diavolerie sul morale delle truppe avversarie. Del resto è una scommessa su cui abbiamo puntato parecchio anche noi, altrimenti non avremmo messo Yrakavin nelle mani di Lady Yara...

«...e un Wyrm sotto alle sue sacre terga». La chiosa di Cork mi fa sobbalzare: per la barba di Vainar, stavo forse parlando ad alta voce? Beh, giunti a questo punto importa poco: se tra i Nordri che stanno arrivando c'è il Signor Martello, c'è un concreto rischio che Corcazzo non dovrà mai pagare per l'oltraggiosa uscita che ha appena...

BBBOOOOOMMMM!

Una scossa di terremoto scuote il Valico, costringendo gran parte di noi a terra. Non facciamo neanche in tempo a mettere la faccia fuori dalla neve che ne arriva un'altra; poi un'altra, quindi un'altra, e poi un'altra ancora. Restare in piedi è praticamente impossibile a meno di non avere un baricentro particolarmente ottimizzato, e io su questo me la cavo piuttosto bene. Lo sapevo, porcaccia Shasda: vedi un pò se non si tratta di quel martello di merda!

«Avanti pigroni, finitela di rotolarvi a terra e alzatevi in piedi: se vogliamo vedere quello che succederà tra poco dobbiamo accendere qualche luc...»

Ma nessuno dei miei ragazzi mi sta ascoltando: l'attenzione di tutti è rapita dalla sagoma gigantesca che di punto in bianco si staglia tra noi e la luna.


Colosso di Mulligan - Immagine


«Cosa cazz...» Comincia a dire Julia. Ma è l'ultima cosa che dice: una mano mostruosa fuoriesce dall'ombra gigante che ci sovrasta e la schiaccia sulla neve come se fosse un insetto. Un istante dopo non c'è più, al suo posto non resta che una macchia nera dalla forma indistinta.

«Scappate!» Esclamo con tutto il fiato che ho in gola. E' un Risvegliato, ne sono certo: uno di quelli grossi. Titanus, Gigantibus, o come diavolo li chiamano giù a Uryen. A dire il vero non so neanche se esiste: o meglio, so per certo che esiste, visto che ce l'ho davanti. Esiste e continua a sbracciare: la sua seconda mossa colpisce in pieno Ethan e spacca lo sperone di roccia sottostante, facendo precipitare nell'abisso il suo corpo devastato insieme a quelli di Damian, Thomas e Victoria.

«Figlio di puttana!» Grido nella sua direzione. Come possiamo affrontare una bestia del genere in queste condizioni? Non riusciamo neppure a vederlo: lui, invece, sembra perfettamente in grado di capire dove siamo. Le sue braccia colpiscono ancora una volta il terreno, precipitandomi nuovamente nella neve. Annaspo impotente in quel mare d'argento, le orecchie piende delle urla dei miei ragazzi mentre vengono dilaniati da quegli arti mostruosi.

«Sta salendo, Jim». Sento la voce di Corcazzo a qualche metro da me: «sta venendo dove siamo noi». Sta urlando con tutto il fiato che ha in gola, ma il frastuono che ci circonda è tale che riesco a udirlo a malapena. E' come se la montagna si stesse spaccando tutto intorno a noi.

«Dobbiamo andarcene da qui», urlo a mia volta. Devo ripeterglielo due volte per farmi sentire. Quindi mi rialzo, cercando di capire qual è il punto migliore dove mettermi ad aspettarlo. Il pendio dove ci troviamo è in discesa: ora che è salito, può solo scendere verso di noi.

Poi arrivano, tutte insieme: piccole, grandi, enormi. Una grandinata di pietre che non ci lascia scampo. Urlo di sollevare gli scudi, poi sento un dolore lancinante alla gamba. Al diavolo il dolore, non ho tempo né voglia di rendermi conto: tutto quello che voglio è portare via i miei ragazzi, salvarne il più possibile, ad ogni costo. Mi guardo intorno per capire se Corcazzo è ancora vivo, ed è in quel momento che lo vedo.

Dresden. Riverso al suolo, nel punto dove fino a qualche istante fa esisteva ancora Julia, il collo trafitto da una scheggia di roccia lunga più di me. Non riesco neppure a capire se è morto nell'assurdo tentativo di proteggere quella macchia informe dalla tempesta di detriti di prima o se, più semplicemente, è stato colpito mentre cercava di mettersi in salvo. Il risultato, ahimé, non cambia.


Sangue sulla Neve - Immagine 2


«E' morto, Jim».

Annuisco. «Porta via i ragazzi», dico a Cork: «dirigetevi a valle».

«A valle? In bocca ai Nordri?»

«Si. Coi Nordri possiamo giocarcela, con questo affare no. E poi magari persino le loro zucche vuote potrebbero capire che non è esattamente la nottata migliore per suonarcele. Andate, presto!»

«E tu cosa vorresti fare, invece?»

«Proverò a ritardarlo. Ora vai, presto!»

Corcazzo annuisce e corre via, sbracciandosi e urlando per attirare l'attenzione. Purtroppo per lui ci riesce fin troppo bene: fa circa dieci passi, poi una mano gigantesca lo raggiunge, lo schiaccia in terra, quindi lo afferra e lo solleva.

E' una scena che riesco a vedere a malapena, fiocamente illuminata dalla luce della luna e dalle poche torce che qualcuno dev'essere riuscito ad accendere nonostante questo casino: eppure non riesco a distogliere gli occhi. Il mio sguardo segue impotente il lento e inesorabile percorso di quell'arto mostruoso, il corpo di Corcazzo avvinto in una stretta mortale malgrado i furiosi tentativi di dimenarsi, fino all'antro di ingresso di quella specie di cranio deforme. Poco dopo cominciano i rumori. E' uno spettacolo orribile, ma se non altro mi consente di capire come diamine è fatta questa immonda creatura. E di illudermi che forse, dopo tutto, ho una possibilità.

Osservo per l'ultima volta quello che resta del nostro accampamento. Stralci di frasi pronunciate soltanto poche ore fa tornano a risuonarmi nella testa, come a prendersi gioco di me e della devastazione che mi circonda. Aspettiamo che arrivino quelle, di pietre. Scuoto la testa. Mantieniti concentrato, vecchia carcassa di un Nano: ti resta ancora un lavoro da fare.

«Ascoltatemi bene! Chiunque riesca a salvarsi sappia fin d'ora che ha il dovere di raggiungere la Sacra e raccontare tutto questo a Lady Yara! E adesso correte verso l'Angelo di Pietra con tutto il fiato che avete in corpo: mi avete sentito, pelandroni? E' un ordine!» Urlo più forte che posso, nella speranza di attirare su di me le attenzioni della bestia. Fortunatamente è proprio quello che succede. Ma un Nano è un brutto cliente per un gigante: o almeno questo è ciò che spero, mentre mi accingo a passargli sotto le gambe, ignorando il frastuono pazzesco che accompagna ogni suo movimento e fingendo di non vedere i pugni che sferra a pochi centimetri dal mio corpo.



Non è facile come pensavi, eh? Non lo è neanche per me: ormai le torce sono distanti e la luna è coperta dalla mole del mio avversario, quindi non vedo nulla. Ma quando siamo arrivati c'era ancora un barlume di luce, e ricordo piuttosto bene com'era fatta la parete di roccia che, secondo Corcazzo, ci avrebbe protetto dal vento. Povero diavolo, penso mentre mi arrampico, ricordando i tanti momenti trascorsi insieme. La bestia impiega qualche istante per capire dove sono e mi concede un pò di tempo, ma non abbastanza: la sua mano gigantesca è sul punto di ghermirmi quando, improvvisamente, uno squarcio di luna illumina la parete di roccia, rivelandomi una nicchia entro cui potermi rifugiare. Ed è lì che, rintanato come un topo, resisto ai suoi tentativi di farmi fare la fine di Corcazzo. Bravo, continua a perdere tempo con me: fino a quando non desiste, nuovamente attratto dalle più facili prede che si stanno riversando a valle. E nel farlo, finalmente, mi dà le spalle. Grosso errore, come conto di potergli insegnare tra poco: non appena riuscirò ad arrampicarmi fino a un punto della parete di roccia sufficientemente alto per fare quello che c'è da fare.

La gamba mi fa un male cane, ma non è certo questo il momento di lamentarsi. Il mostro fa un passo, poi un altro: ancora uno e sarà fuori portata, quindi devo saltare ora. Solo adesso, un istante prima di librarmi nel vuoto, mi rendo conto della tragica inutilità dell'azione che mi accingo a compiere. Persino la nuca, punto debole per eccellenza di ogni predatore, è interamente ricoperta da spessi strati di pietra.

Ma se Yog-Shoggoth pensa che l'amara consapevolezza della vacuità del gesto impedirà alla mia ascia di piantarsi tra le scapole di questa immonda creatura nella gloria sempiterna di Dytros, ebbene, tra pochi istanti avrò ben modo di dimostrargli quanto si sbaglia.

E' così, dunque: non vedrò Lady Yara brandire Yrakavin, non vedrò la fine di questa guerra. Ma non ho alcun rimpianto, perché il ruolo che mi è stato assegnato è esattamente questo: e se anche solo uno dei miei ragazzi riuscirà a salvare la pelle, allora ne sarà valsa la pena.

Per Lady Yara.

Per Ilmatar, Ilmarinen e Vainar.

Per Julia e Dresden.

Per il Sergente Cork.

Per Ammerung.

Per Angvard.

Rak-Jim - Immagine


From the misty dreams of nighttime
I sought the clarity of my days
From the shades of longing
Looked for the familiar glow

The death of my wife's slayer
Brought no comfort to me
No shape from loneliness
For a dream

A queen of gold I made
A silver bride I built
From the Northern summer night
From the winter moon

Responded not my girl
No beating heart I felt
I brought no sighs to the silver lips
No warmth from the cold

Within my heart a flame of desires
Provoked the power of my will
Forced into a silver shape
A golden queen for me

I made our bed under the stars
Covers a plenty, bear skin hides
Stroked the arc of golden curves
Kissed the lips of silver

Queen of gold, I made
A silver bride, I built
From the Northern summer night
From the winter moon

Responded not my girl
No beating heart I felt
I brought no sighs to the silver lips
No warmth to the cold

(Queen of gold) No heart
(Silver bride) I built her
(Queen of gold) No heart
(Silver bride) No warmth
(Queen of gold) I made her
(Silver bride) I built her
(Queen of gold) No heart
(Silver bride) No warmth
scritto da Rak-Jim , 14:14 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
13 marzo 518
Giovedì 9 Settembre 2021

Another one bites the...



... E anche questa è andata.

Era davvero un sacco di tempo che non mi prendevo così tanti rischi: lo scontro con gli Einherjar mi aveva provato parecchio, ma questo bestione spettrale rischiava davvero di farci fuori tutti. Per fortuna i pazzi scatenati con cui mi accompagno hanno desistito dai loro iniziali intenti suicidi e hanno deciso di darmi retta. Si credono esperti di questi luoghi perché sono miracolosamente ancora vivi, ma mi duole constatare che, a distanza di oltre due anni dal loro arrivo, non hanno ancora capito un accidenti.

Il loro difetto principale è senza ombra di dubbio la mancanza di umiltà: la sorte li benedice concedendo loro di vincere uno scontro o due ed ecco che cominciano a credersi invincibili.

"Ma si, dai, apriamo questa porta e prendiamo a calci nel culo quel risvegliato"!

E poco importa se non è un risvegliato ma un innalzato, o un araldo degradato, o chissà cos'altro. Considerare i rischi? Tempo sprecato. Ascoltare i consigli chi ne sa qualcosa di più? Neanche a parlarne. Recuperare le forze? Giammai.

Ci hanno messo più di 2 ore per convincersi ad aspettare il recupero dei miei poteri, nonostante fosse evidente fin dall'inizio che senza di me non sarebbero riusciti neppure ad aprire la porta d'ingresso. A dirla tutta, a momenti non riuscivano ad aprirla neanche dopo, è bastato qualche sasso dietro ai cardini per inceppare il meccanismo a molla con cui sono soliti gettarsi a viso, o per meglio dire a culo aperto verso il nemico.

Eppure, nonostante questo atteggiamento che persino Dagor non esiterebbe a definire eccessivamente temerario, alla fine in qualche modo è andata. Abbiamo eliminato l'incarnazione terrena di una bestia ancestrale a cui il fato aveva donato uno Yoki paragonabile a quello della troia suprema, e ce l'abbiamo fatta con le nostre sole forze... Più o meno.

Era da tempo che non partecipavo attivamente a un'impresa del genere. Devo ammettere che, volendo sorvolare per un istante sui rischi inverosimili che abbiamo corso e sul rapporto costi/benefici a dir poco irragionevole, è una gran bella sensazione: anche se non lo saprà nessuno, io e questi "cacacazzoni random" abbiamo scritto una piccola pagina di storia.

In tutta onestà, questo esito insperato renderebbe persino lecita una considerazione ulteriore: se persino un gruppo male assortito come questo è riuscito a compiere una simile impresa significa che anche la troia suprema può essere sconfitta.

Ma non è questo il momento di perdersi in pensieri così ambiziosi sulla scia di un ottimismo che, confido, sarà rapido a scemare: concentriamoci piuttosto sulle informazioni contenute nel diario che abbiamo appena finito di leggere. Visto che i cacazzoni si stanno scervellando per venirne a capo, forse potrebbero apprezzare un piccolo riassunto cronologico degli eventi. Mi permetterò giusto di prendermi qualche piccola libertà sulle date e sui (pochi) eventi che i dati al momento in nostro possesso ci consentono soltanto di ipotizzare.

Nave Nordra nel mare in tempesta

Tutto ha inizio nel 508, quando una nave di esploratori proveniente da Norsyd ha la (s)fortuna di imbattersi in alcuni cocci provenienti dall'antica città di Dioghail che il mare aveva trasportato sulle coste di un'isola sperduta a largo delle coste di Ilsanora. I Nordri cominciano a smerciare quella roba a Ghaan e a poco a poco la voce si sparge, fino ad arrivare alle orecchie di uno stregone molto potente (Aghvan): il mago capisce subito che quelle chincaglierie sono solo la punta di un iceberg ben più appetitoso e decide di farsi amico l'attuale Duca di Feith, Paul Sallivan, che - per usare un eufemismo - non è la mente più brillante del Granducato. Nel giro di pochi anni Aghvan diventa amico intimo del Duca, del suo compagno di merende (il Conte Veilor Glidewell) e di quell'altro vulcano del fratello (Vargas Glidewell), ai quali promette mari e monti in cambio di un lasciapassare permanente per le sue ricerche a Elsenor e, soprattutto, massima discrezione.

Ottenuto il benestare dei peggiori feudatari del Ducato (e forse della storia), Aghvan comincia a fare spola tra Elsenor e la parte nord-ovest di Feith. In quegli anni (509-513) ad Aghvan succedono tre cose importanti:

1) viene raggiunto da una gran quantità stregoni: c'è chi non vede l'ora lavorare con lui (Reamon, Vorkhan, Griesberg e molti altri), ma anche chi lo cerca per altri motivi (Claire, Luger), vuole dare un'occhiata pur restando a debita distanza (Norman Thelen, Dust) o semplicemente segue la corrente sperando di raccogliere qualche briciola qui e là (Berion);

2) stringe amicizia con il Signore di Ghaan, ennesimo miserabile indegnamente assurto al rango di governante di questo sventurato Ducato;

3) scopre i Resti di Kraalor, ovvero - la faccio semplice - la sua riserva personale di Sangue degli Antecessori;

A seguito di questa scoperta Aghvan mette in piedi uno o più laboratori nelle isole di Ilsanora (quelli che il Diario di Jamie Mourne chiama "i laboratori presso Dioghail") e ne affida la gestione ai suoi seguaci più fidati. Gli esperimenti hanno ben presto bisogno di cavie umane, nonché di qualcuno che si occupi della sicurezza e della gestione degli "incidenti di percorso", rendendo necessaria la presenza di un apparato militare: nascono così i Cercatori del Sangue, gentilmente messi a disposizione dal Signore di Ghaan.

A quel punto (514) cominciano i guai: i primi esperimenti sono un disastro, il Sangue non funziona e anzi provoca effetti collaterali a dir poco deleteri. Da quei laboratori escono (letteralmente) i primi risvegliati, rischiando di scatenare un'epidemia che viene contenuta per miracolo; tuttavia, quegli scellerati tentativi riescono anche produrre qualcosa di spendibile, tra cui almeno un innalzato di cui abbiamo notizia (Bondred): si tratta probabilmente del primo esemplare ad oggi noto, almeno per quanto riguarda Ghaan.

Naufragio

Ma la sfiga è sempre in agguato. Alla fine del 514 Vargas Glidewell si accorge che i selvaggi a cui aveva rifilato perline fino al giorno prima sono molto più furbi di lui: in un attimo la sua testa finisce dove non può più far danni, Nuova Lagos viene spazzata via e il mare si riempie di Gaothlas che fanno a gara a chi affonda più navi Greyhavenesi.

Vista la mala parata Aghvan è costretto a riparare a terra, tuttavia non si dà per vinto e, insieme al Signore di Ghaan e ai Cercatori del Sangue, realizza altri tre importanti obiettivi:

1) mette in piedi altri laboratori (tra cui il Laboratorio Segreto di Gultch) e organizza nuove spedizioni di ricerca presso tutte le necropoli che riesce a raggiungere (Osterch, Holov, Cantor, Valith, etc);

2) ottiene altri risultati spendibili da mostrare ai feudatari di Feith, ma anche ad altri potenziali compratori (Greyhaven) interessati a dotarsi di soldati "invincibili" per qualche guerra imminente;

3) scopre l'esistenza di un'altra riserva di Sangue degli Antecessori (nei pressi del fiume Asrael, a nord della città di Feith), che per comodità chiameremo Resti di Shaalaren;

Arriviamo così all'estate del 515, quando inizia la Guerra delle Lande.

Guerra delle Lande - Immagine

Nessuno di noi può sapere con precisione se e quanto le attività e le scoperte di Aghvan abbiano o meno influito sullo scoppio della guerra, e neppure il Diario di Jamie Mourne chiarisce a dovere questo aspetto. Al tempo stesso, le coincidenze temporali sono tali da far venire il dubbio che qualcuno abbia approfittato della situazione per mettere fretta a qualcun'altro, o magari per costringerlo a mostrare le carte: ma magari sono io a pensar male. Fatto sta che Ghaan è forse l'unico feudo dell'intero Esercito Lealista che non esce da quel conflitto con le ossa rotte, riuscendo addirittura a mantenere lo stesso governante (ok, questo forse non è un gran traguardo, ma tant'è).

A gonfiare ulteriormente le vele di Ghaan ci pensa inoltre un'altro scherzo del fato. Durante la guerra Aghvan viene attaccato da Claire, la quale per poco non riesce a farlo secco: lo stregone riesce a sopravvivere ma è costretto ad abbandonare i Resti di Shaalaren, che - complice il goffo intervento di Berion e una discutibile iniziativa dell'Esercito di Uryen - assumono, per usare un altro eufemismo, vita propria. Gli altopiani si riempiono così di Risvegliati (e di Kreepar, ma questi ultimi al momento non ci interessano): ed ecco che Ghaan si trova improvvisamente in vantaggio, in quanto è l'unico feudo del circondario a possedere la "tecnologia" necessaria per garantire - agli Innalzati e a chi si trova vicino a loro - una certa protezione dal morbo.

In conseguenza di tutte queste favorevoli congiunzioni i Cercatori del Sangue riescono dunque a restare operativi, cambiando di lì a poco nome e divisa. A guastare le feste sul più bello arriva però l'incoronazione di David Raleigh, che diventa Dominus di Angvard e reclama una porzione di territorio che, ironia della sorte, contiene tutti i principali laboratori, siti di ricerca, cimiteri e necropoli dove i lavori di Ghaan erano rimasti a metà.

E così si giunge al 516, anno in cui Ghaan comincia la sua guerra di logoramento contro Angvard: l'obiettivo non è tuttavia conquistare la città, ma rendere la signoria impossibilitata a impedire la ripresa delle attività dei Cercatori (ora Custodi) del Sangue: e magari, visto che ci siamo, a testare l'efficacia dei nuovi traguardi acquisiti nel frattempo. Così si spiegano le operazioni compiute a Osterch, alla Sacra dei Difensori e, in ultimo, presso il villaggio di Holov.

Ed è proprio a Holov che si palesa l'ultimo, grande protagonista della nostra storia: la troia suprema, nonché ad oggi unica erede dei Resti di Vaalafor... O almeno credo.

Mirai Raken - Immagine 1

Chi se lo sarebbe mai aspettato? Non certo Aghvan, a cui non resta che veder svanire dalle sue grinfie la terza (e spero ultima) miniera di Sangue. Quel che è certo è che quella creatura, complice un ospite evidentemente perfetto e una sorprendente capacità di adattamento agli intrighi e ai sotterfugi tipici dell'animo umano, riesce in pochi mesi a creare uno scompiglio mai visto prima.

Ciò che è accaduto dopo, come si suol dire, è cosa nota: Yara e David hanno continuato a combattere contro Ghaan; i feudi di Uryen e Dossler sono accorsi in loro aiuto; la stessa scelta (con qualche rassicurazione in più) l'hanno fatta anche Acab e i membri dell'Armata del Corno, un tempo alleati di Ghaan ma poi ragionevolmente disgustati dalle ricerche di Aghvan. Nel frattempo, la troia suprema si è dotata di un manipolo di innalzati, ha fondato una sorta di "religione" e ha stretto alleanze con un'altra mandria di governanti idioti (a Skogen, Trost, Skylaar, nella Valle del Torto e chissà dove altro), la cui madre giumenta è a quanto pare sempre incinta.

E veniamo infine all'ultimo atto - per ora - di questa sceneggiata: l'Armistizio della Rinascita, che segue di qualche mese l'arrivo di uno squadrone di soldati di Greyhaven mandato a "risolvere la situazione" e costringe Angvard e Ghaan a interrompere le ostilità. Un armistizio che, di fatto, lascia Aghvan e i Custodi del Sangue liberi di proseguire con le loro attività, costringendo chiunque non sia d'accordo alla resa o alla diserzione: una vera e propria condanna a morte per chiunque sia così stupido, testardo o ingenuo da farsi guidare dagli ideali anziché dalla logica e dal buon senso. E la mera presenza di uno squadrone di Greyhaven attaccato alle terga di chiunque si accinga a marciare verso Nord avrebbe dovuto insospettire chiunque, con o senza lettere e diari a rendere ancora più forte la puzza di fregatura.

Chi può essere così stupido da disertare a queste condizioni?

Posso capire Yara, lei è una paladina: oserei dire che non può fare altrimenti. Posso capire suo fratello David, ancora troppo giovane e acerbo per comprendere che la sorella è bella che spacciata.

E posso ovviamente comprendere le motivazioni che possono spingere Acab e i suoi: senza la legittimazione di Angvard l'Armata del Corno non è che un branco di disertori sfuggiti alla corte marziale, non c'è alcun futuro per loro nel Ducato che si sta delineando; stando così le cose, tanto vale giocarsela fino alla fine.

Razionalmente parlando, posso spiegarmi persino la scelta "cinica" del priorato di Dossler: il rispetto formale degli impegni presi nei confronti di un'alta rappresentanza della chiesa di Dytros può ben valere la vita di qualche soldato, forse addirittura quella della congiunta più idealista - e guarda caso più popolare - della Sorella Custode.

Ma cosa dire di Marvin Barun, sir Logan Treize e tutti gli altri soldati veterani che sono partiti lancia in resta da Uryen? La loro scelta è l'unica che davvero non riesco a comprendere: in absentia di senno, mi verrebbe da dire. A meno che non siano diventati tutti Paladini, visto che la riconquista della Sacra dei Difensori resterà con tutta probabilità l'ultimo traguardo conseguito prima di essere spazzati via.

E la cosa peggiore è che, facendosi due conti, sarà già tutto finito da un pezzo.

E adesso chi glielo dice a questi?


Dust - Immagine
scritto da Damon Dust , 02:11 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
10 dicembre 518
Venerdì 14 Maggio 2021

Strale del Cielo



A dicembre ad Angvard fa molto più freddo che a Holov. I freddi venti del Nord cominciano a spazzare l'altopiano del Tuono a partire dal Samhain, oltrepassando la protezione fornita dal massiccio mantello dell'Angelo di Pietra. Le leggende raccontano come furono proprio quelle raffiche, in epoche ancestrali, a spandere sul Continente la nebbia infetta soffiata dal Samaelen, anticipando gli eventi del Grande Cataclisma; tra poche ore le sentirò sulla faccia, quando accompagnerò le tre ragazze che siedono di fronte a me nella prima parte del loro viaggio. Ma la mia lotta contro gli elementi cesserà entro poche miglia, smorzandosi tra le confortevoli pareti della Locanda del Puma, mentre il loro cammino continuerà verso Nord: oltre l'Angelo, oltre la Sacra... Poi, ancora, chissà.

"Ma tra tutti i posti decenti di Angvard, proprio qui dovevamo venire?" Chiede Ali, guardandosi intorno.

"Non preoccuparti", la tranquillizza Ceyèn: "non è qui: stanno tutti con Acab, Montaine e il vostro Tenente di Vascello a discutere di navi".

"Buon per lui: non sono ancora pronta. E gli altri suoi compari, dove sono?".

Indico la porta. "Ho mandato via tutti: ci siamo solo noi quattro".

Il nervosismo di Ali è comprensibile: sembra che zio Greg fosse al comando del gruppo che ha ammazzato tutti gli ex-componenti del suo vecchio plotone in uno scontro avvenuto durante la Guerra delle Lande. E adesso le tocca farci questa guerra insieme. Chissà, magari le sto sui coglioni anch'io; per non parlare di Ceyèn. Eppure, quando l'ho invitata a concludere i festeggiamenti, ha accettato di venire: proprio qui, nella tana del lupo. Lei e Annie, la sua compagna innalzata, che non ha detto una parola da quando siamo qui. Chissà, magari lo ha fatto per lei: mi sembra molto giù di morale. O forse quella è la sua espressione normale... non lo so.

Annie Volvert - Immagine 6

"Allora, figlia-di-Acab: arriva o no questo Strale?"

Sorrido. Anche per lei, come per chiunque altro, sono la figlia di Acab. "E' quasi pronto", le dico. Ceyèn mi tiene il tizzone mentre lo accendo. "A chi spetta il primo tiro?" Guardo Annie: magari lei, tanto per rompere il ghiaccio? Niente da fare: nessuna risposta. Se l'innalzamento riduce l'allegria e la gioia di vivere, lei dev'essere davvero innalzatissima.

"Passa qua", dice Ceyèn: "facciamo vedere a queste fanciulle dell'Anterlig come si prende in bocca uno Strale".

Scoppio a ridere, quindi passo a Ceyèn il frutto del mio duro lavoro: "non te lo sparare tutto, eh?"

Ceyèn aspira con forza, come se l'avesse fatto chissà quante altre volte. "...Cazzo! Non scherzavi, quando dicevi che è forte!"

"Ecco, adesso sembri un pò meno Lady Yara!", le dice Ali. Un istante dopo siamo tutte piegate sul tavolo a ridere come sceme, soccombendo impotenti all'immagine di Lady Yara che fuma e che dice le parolacce. Persino Annie accenna un sorriso. Senza esagerare, però. Non sia mai.

Ceyen, da brava rompighiaccio, non si fa scappare l'occasione: "Vuoi provare?" E le porge lo Strale. Annie si volta verso Ali, come a chiederle il permesso. Ecco fatto, penso a quel punto: adesso le dirà di no. E invece Ali alza le spalle: "se non t'ha ucciso il tanfo di questo postaccio, non sarà certo quella roba ad ammazzarti", le dice. E così, contrariamente a ogni previsione, Annie tira una boccata. E poi un'altra. E poi un'altra ancora.

"Alla grande! Brava!" esclamo, battendo le mani. "Si, ma lasciane un pò anche a noi eh?" aggiunge Ceyèn, visibilmente preoccupata.

"Non sa di molto, in realtà..." commenta guardandolo, un pò delusa.

"Vabbè", dico, "tu dagli tempo: serve fare qualche giro, poi a un certo punto sale".

Lo Strale arriva ad Ali: "niente male", commenta dopo un paio di tiri. "Niente male davvero: tuo padre ne ha parecchia, di questa roba? Immagino come se la spasseranno, su quella nave...". Quindi me lo porge, completando il giro.

"Perché hai mandato via tutti?" mi chiede Ali, riferendosi alla locanda deserta.

Alzo le spalle. "E' tradizione che sia il comandante a decidere "quando è ora" e a chiudere la locanda".

"Ma non sei un bravo comandante se non rispetti le regole che tu stessa decidi".

"Hai ragione: infatti non lo sono".

"...O magari volevi conoscere i comandanti degli altri eserciti: se così fosse, non saresti poi così male".

"Magari è quello, si".

Ali sorride. "Se così fosse, hai sbagliato persona: dovevi invitare Barun o Logan, non me. E forse...", aggiunge, indicando Ceyèn alle prese con il secondo giro di Strale, "avresti dovuto chiamare la vera Yara, e non la gemella cattiva che si farà ammazzare al posto suo".

"Hey!", esclama Ceyèn, storcendo un sopracciglio.

Ceyèn - Immagine 3

Scuoto la testa. "E invece penso di avere molto più da imparare da voi due... anzi, da voi tre... che non da Barun e Logan. Quanto a Yara, a dire il vero ho provato a invitarla, ma...".

"... Ma ti ha pisciato", conclude Ali.

"Eh".

"Ci sta".

"... E tu? Perché sei venuta?"

"Perché volevo conoscerti, figlia-di-Acab...".

"Non mi pare, visto che neanche ti va di chiamarmi per nome...".

"... Non me l'hai mai detto, il tuo nome".

"Te l'ho detto quando ti ho invitata...".

"No ma io intendo il nome vero, non il soprannome idiota che vi date tra di voi..." Poi mi guarda. "Un momento, aspetta: ma che davvero... ?".

"Eh".

"Noooo!"

C'è voluto un pò, ma anche Annie adesso ride insieme a noi. Le guardo e penso che ho davvero molto da imparare da ciascuna di loro, se voglio essere meno che una zavorra per i "miei" uomini. Finché si trattava di cavarmela da sola più o meno mi sentivo tranquilla, ma d'ora in avanti sarà diverso. La verità è che ho una paura enorme di essere inadeguata. E da come mi guarda, penso che Ali lo abbia capito.

"Ma che ti frega, scusa?"

"... prego?"

"Che ti frega di imparare a fare il comandante, dico. Tra pochi mesi sarai Lady Sparrow Raleigh e dovrai preoccuparti solo di indossare i vestiti intonati col giorno del mese... a meno che non vorrai fare altro".

Scuoto la testa ."Penso che vorrò fare altro".

"Lo dici adesso, che ancora mangi i Kreepar di Nestor. Aspetta di fare colazione col latte di capriolo, poi vediamo che succede".

"Ma che cazzo vai dicendo", la interrompe Ceyèn: "i caprioli non fanno mica il latte...".

"Tu piantala di rompere e passa quel coso. A proposito, ma... perché lo chiamate Strale?"

"In onore di Ilmatar", spiega Ceyèn. "Della sua lancia sacra, per la precisione: Yrakavin, lo Strale del Cielo".

"E che diavolo c'entra? E' una specie di pipa, quella, mica una lancia. Non è un pò offensiva come cosa? Insomma, voglio dire... messa così, sembra che ci stiamo fumando la lancia di Ilmatar: non mi pare molto rispettoso".

Ceyèn la guarda male. "Guarda che Ilmatar qui la conosciamo molto meglio di te. Quello che sai tu di Ilmatar lo hai imparato dai bardi che hanno messo in musica le storie che i nostri padri, i nostri nonni raccontavano a noi. E ti dico che quelle storie, molte di quelle storie, narrano di come gli antichi guerrieri fossero soliti fumare insieme, prima della battaglia: in suo onore, in onore della sua lancia".

"Bah", sbuffa Ali scrollando le spalle: "noi a Sud preferiamo fare altre cose, prima della battaglia... Con l'aiuto di altri Strali".

"... Stà tranquilla, quello lo facciamo anche noi: credimi sulla parola. Adesso lo passi o te lo vuoi sparare tutto tu?"

Ali Shark - Immagine 3

Ali e Ceyèn continuano a darsele per un pò: io e Annie le guardiamo divertite, mentre lo Strale continua a passare di mano in mano.

"Lo sapete cosa mi ha detto mio padre?" dico a un certo punto. "Che la pianta con cui si prepara questo affare è femmina".

"See, vabbè", commenta Ali. "A forza di salire t'è arrivata al cervello".

"Ha ragione, invece", la contraddice Ceyèn. "Esistono delle piante che funzionano così".

"Ma che dite..."

"E' così, Ali". A sorpresa, anche Annie prende la parola. "La maggior parte delle piante è.... equipaggiata... con entrambe le cose, ma esistono anche alcune specie che hanno esemplari maschi e femmine separati: in quei casi, se vuoi coltivarle, devi farle... impollinare... insieme.... Più o meno, ecco".

"Ben detto, Annie", le fa eco Ceyèn: "continua, mi piace come spieghi queste cose...".

Annie ammutolisce, imbarazzatissima.

"Caspita", commenta Ali, "tutte esperte di piante siete: e quindi chi ci stiamo fumando, adesso? Il maschio o la femmina?".

"La femmina", le rispondo. "Il maschio non si fuma: serve per fare i vestiti, le corde, per cucinare...".

"AHAHAHAHA!", scoppia a ridere Ali: "perfetto!".

[...]



[...]

La serata va avanti così, tra una risata e l'altra, fino a quando anche il rumore degli ultimi festeggiamenti si spegne del tutto.

"Penso che siamo le uniche ancora sveglie in tutta Angvard", dice Ali.

"Parla per te", mormora Ceyèn con la testa reclinata sul tavolo.

Annie osserva le tenebre da una delle finestre: a quanto ho capito ci vede benissimo. Quando ero piccola, per farmi dormire, mio padre mi raccontava che nell'oscurità della notte vivono delle creature fameliche più leggere dell'aria che nuotano alla ricerca della carne dei bambini ancora svegli: non so se è per la paura che mi metteva addosso quella storia, ma non ho nessuna voglia di imparare a vedere al buio: sto bene così.

"Comandante Sparrow", esclama Ali. "Suona piuttosto bene, devo dire".

"Per un ufficiale maschio coi capelli brizzolati funziona", aggiungo. "Per me... non lo so".

"Funzionerà, invece: perché si capisce che vuoi farlo funzionare".

"Davvero? Ed è così facile? Tutto qui?"

"Si, tutto qui: ma non è facile per un cazzo, purtroppo per te. Ti dovrai fare il culo, Comandante Sparrow. Deluderai un sacco di persone, perderai un sacco di uomini...".

"Ecco".

"... E gran parte di quelle perdite saranno colpa tua: tante, tantissime persone moriranno a causa dei tuoi errori".

"Molto incoraggiante".

Ali mi guarda. "Non mi hai invitata qui per incoraggiarti: mi hai invitata per sapere cosa ti aspetta... E perché sai cosa è successo a me".

Annuisco.

"E perché qualcosa di... vagamente simile... è successo anche a te".

Annuisco.

"Tu vieni da Holov, vero?"

"Si".

Annie si volta: d'un tratto l'oscurità non le interessa più, o forse ne sente arrivare una ancora più fitta. A quanto ho capito, è proprio ad Holov che la sua spaventevole esperienza ha avuto inizio.

"Conoscevi Mirai?" Mi chiede, a un tratto.

"Si". Certo che la conoscevo. A quel punto mi aspetto mille altre domande su quell'argomento, e invece non ne arriva nessuna.

Il silenzio viene rotto nuovamente da Ali. "Eri lì quando... insomma, quando è successo?"

"No". Guardo Annie. "Sono stata fortunata. Ero a Feidelm". Già, a Feidelm... Al sicuro. Mentre i miei amici, i miei familiari e quasi tutte le persone con cui ho vissuto morivano divorati dai risvegliati.

"Tu sai per caso se Ac... tuo padre... sapeva che sarebbe accaduto qualcosa a Holov?"

Scuoto la testa. "Non ne aveva idea".

"Ma non puoi saperlo con certezza".

La guardo negli occhi. "Lo so, invece: mio padre detesta i risvegliati. Ha rotto ogni rapporto con Ghaan quando ha saputo che cosa stavano tramando con quello Stregone... E quando Holov è caduta combatteva già dalla parte di Angvard".

"Ma tu non eri lì, quel giorno: ti ha messa in salvo...".

"Ti sbagli: non è andata così. Io e la mia famiglia siamo scappati da Holov durante la Guerra delle Lande, quando la città è caduta per mano di Lord Faulkner. Se fossimo rimasti lì ci avrebbero uccisi tutti, ben prima di quell'infausto giorno. Sono stata a Feith, poi a Trost, quindi a Mavan, Reiliam, a Dossler, a Feidelm. Mi hanno spostata in continuazione, senza mai...".

"Dice la verità", mi interrompe Annie.

"Lo so", dice Ali. "Volevo vedere come reagiva".

"Ho superato l'esame?"

"Si. Ma c'è una cosa che devi sapere, Sparrow figlia di Acab... Visto che, a quanto mi sembra di aver capito, sarai tu ad avere il comando dei soldati che controlleranno gli ingressi della città e che pattuglieranno i confini".

"... A quanto pare sarà così. Cosa devo sapere?"

Ali si gira verso Ceyèn. "Dorme?" Chiede a Annie, che annuisce. "Bene". Quindi si gira nuovamente verso di me.

"Che arriveranno altri soldati. Non invitati, diciamo così: ma arriveranno".

"Da Uryen? Ma non poss..."

"Lo so: arriveranno proprio perché non possono, perché abbiamo detto loro di non venire. Sono fatti così: più dici che devono farsi gli affari loro e più puoi star certa che non se li faranno".

"Sono un pò testardi, insomma..."

"No, è diverso: sono proprio dei cacacazzi. Ma non lo fanno apposta, con cattiveria: sono fatti così, è la loro natura".

"E cosa dovrei fare, qualora dovessero presentarsi?"

"Beh... Non arrestarli, innanzi tutto: visto che con tutta probabilità si presenteranno da clandestini e senza alcun tipo di autorizzazione. E poi... non lo so, magari non rompergli troppo le palle, ecco: tutto qui. Vedi tu, ok? Trattali come se fossero amici nostri. Se poi hanno la pessima idea di passare per Angvard, cerca di mandarli da Birra e Porco: gliel'ho lasciato scritto, ma ho una paura matta che non troveranno il messaggio".

"... Va bene, ho capito: ma come farò a riconoscerli? Me li descrivi?"

"Hai buona memoria? Perché hanno dei nomi, proprio come me e te".

"Ma non saranno mai così scemi da presentarsi come soldati di Uryen..."

"... Tu mettili alla prova".

"E anche se fosse, di certo non useranno i loro nomi veri..."

"Scommettiamo?"

Sparrow Cabot - Immagine 1
scritto da Sparrow Cabot , 01:59 | permalink | markup wiki | commenti (0)
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