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10 Aprile 518
Venerdì 14 Aprile 2023
Plàigheach
L'eco di un grido disperato pervade i sensi che mi restano mentre precipito nel nulla, accompagnandomi in una discesa che sembra non avere fine. Ben presto mi rendo conto che sono io ad urlare, nel tentativo di scacciare il dolore atroce che sconquassa le mie membra a partire dalla gamba destra. E' dunque mia la disperazione che sento? Non dovrebbe essere possibile, non dopo aver dato la vita per rinunciare per sempre a queste manifestazioni di debolezza. Eppure la fitta lancinante che sento è reale, e il sangue che mi resta non ha modo di placarla.
Cosa è successo? Dove ho sbagliato? Cerco invano una risposta nel buio che mi circonda, mentre lotto per non perdere l'ultimo ricordo che ancora resiste avvinghiato alla mia mente: lo scontro con lo Jaeger, il Cacciatore Senza Nome, culminato con l'affondo della sua lama sinistra che mi ha precipitato in questa coltre di tenebra.
Teegan. Un nome che non associo a nessun volto e non credo d'aver mai sentito prima: eppure, le sillabe che compongono questo vocabolo inaudito rimbalzano dentro la mia testa come rocce sospinte da una frana, provocandomi un dolore che non provavo dai tempi in cui ero... Chi ero, prima? Chi sono, adesso?
«Un plàigheach: un essere imperfetto. Questo è ciò che sei.»
Un altro termine che non comprendo. Chi ha parlato? Dove mi trovo? Mi sforzo di rispondere, ma ogni tentativo di proferire parola risulta vano. Ciò che mi ha trascinato qui, qualsiasi cosa sia, mi ha anche privato della facoltà di emettere suoni.
«Ma io posso aiutarti: posso renderti completo.»
La voce, calda e suadente, è di una donna che non ho mai sentito prima. Stavolta però non è seguita dal silenzio, ma da un sinistro e incomprensibile rantolo gutturale che proviene da qualche parte dietro di me.
Procedo a tentoni nella direzione da cui provengono quei suoni. I miei occhi si sforzano inutilmente di distinguere qualcosa, qualsiasi cosa, nei meandri dell'oscurità che mi circonda. Un minuscolo barlume è tutto ciò che mi serve: una singola scintilla su cui poter lavorare. A dispetto di quanto potreste pensare, non siete creature delle tenebre, ripeteva Giersberg durante le adunate di orientamento: al contrario, siete la conferma del trionfo della luce: la notte che avete dentro, e che d'ora in avanti sarà parte di voi, non serve che a far risplendere il vostro sole interiore. La notte che ho dentro, il mio sole interiore. Chi era Giersberg? Chi sono io? Se solo riuscissi a ricordare...
«Tutto ciò che devi fare è ricordare chi sei.»
Frammenti di memoria cominciano a ricongiungersi dentro la mia testa, formando un disegno via via meno abbozzato. Il dolore si fa più intenso: un artiglio infuocato percorre il mio corpo, scavandomi nel cuore e nel cervello alla ricerca di volti, sensazioni, emozioni. Giersberg, me stesso, i miei compagni. E prima di loro le montagne, il villaggio in cui sono nato, l'addestramento per diventare tutto ciò che poi ho scelto di abbandonare. Bandito, questo fu il verdetto: così scelse di definirmi sir Wilson quando la mia rinascita fu completa. Le dita adunche della mano che scandaglia i miei ricordi dissotterrano stralci di conversazioni che io stesso avevo dimenticato. «Ma bandito nel senso che eri a capo di una banda, o che devo stare attenta alla mia borsa?» Nessuno dei due, Ayza: è un altro il significato di quella parola.
«Hai abbandonato la tua stirpe, il tuo destino, la tua libertà, per diventare schiavo del sogno di un altro.»
E' vero, l'ho fatto. Ma non è forse quello il significato della parola libertà? Al termine dell'addestramento mi sono guadagnato il diritto di poter fare una scelta. E anche se la strada che ho scelto di seguire è parsa di segno opposto a chi non ha potuto far altro che disporre il mio esilio, di fatto mi ha portato al medesimo traguardo: sono comunque diventato un mutaforma, un essere dai poteri ancestrali che combatte i soprusi dell'ordine costituito per restituire alla sua gente ciò è stato loro indebitamente sottratto. A cambiare, dopo tutto, è soltanto la forma che ho scelto. Bandito, dunque, per canoni e convenzioni: ma giammai fedifrago o traditore.
«Sei il pallido riflesso di ciò che potevi essere... e che saresti dovuto diventare.»
Non è così! Mi sforzo di rispondere, ma ancora nessun suono fuoriesce dalla mia gola. Un altro ruggito cavernoso risuona intorno a me, come a dar voce alla mia frustrazione. Chi sei? Cosa vuoi da me? Con che diritto stai infestando i miei pensieri? Continuo a scrutare nel vuoto, alla ricerca di un appiglio che mi consenta di individuare la mia interlocutrice.
«Non importa chi sono. L'unica cosa che deve interessarti è che posso farti uscire da qui.»
La falsità che trasuda dalle sue parole è quasi palpabile: non ho idea di cosa sia questo posto, ma sono certo che se sono finito qui è colpa della megera che mi sta parlando. Palesati, strega! provo a esclamare, di nuovo senza alcun esito. Poi, finalmente, comincio a mettere a fuoco qualcosa. Il manto d'ombra che mi circonda inizia a ritrarsi, lasciando affiorare una serie di simulacri diafani: Temu, Jarva, Sami, Nox, Laèl... E poi ancora Mandy, sir Wilson, Aghvan, Giersberg, Manuel, Ayza, Kzar. Ciascuno di loro è circondato da un turbine di immagini, suoni e sensazioni familiari. Le sagome di Manuel e di Kzar cominciano rapidamente a sgretolarsi, come se non avessero la forza di tenersi insieme: le osservo mentre svaniscono, unitamente a quelle degli altri compagni caduti, finché non restano solo i volti con cui ho condiviso l'ultima parte della mia vita.
«Quelle che vedi sono le persone che ti hanno impedito di diventare quello che meriti. Sono loro, i tuoi nemici.»
Stronzate, mormoro senza emettere fiato: tutte le decisioni che mi hanno portato ad essere ciò che sono le ho prese autonomamente e riguardano soltanto me. Se pensi di tenermi rinchiuso in questo posto per convincermi a volgere la spada contro i miei fratelli hai fatto male i tuoi conti, strega maledetta. Un altro rantolo spettrale rimbomba nell'aria, sovrapponendosi ai miei pensieri.
Cerco di utilizzare a mio vantaggio il pallido alone luminoso che tratteggia le forme spettrali che mi circondano: i miei ricordi... il mio sole interiore. Non ho bisogno che di un minuscolo barlume, dopo tutto. La coltre di oscurità arretra ancora, consentendo ai miei occhi di tracciare il profilo di una figura femminile che si staglia proprio di fronte a me.
«Eccoti, finalmente!»
La voce cristallina che risuona nell'aria non è la mia, ma quella di Mandy. Il fantasma con le sue sembianze si anima e prende colore, per poi volgersi in direzione dell'entità che ho appena individuato. Il dolore non accenna ad attenuarsi, ma comincia a diventare meno insopportabile: non ho idea di come la nostra protettrice abbia fatto a raggiungermi, ma sono felice di non essere più solo.
Mandy avanza di un passo, poi un altro, poi un altro ancora, fino a quando l'aura di luce che la pervade non illumina la figura che si staglia di fronte a noi. Il volto che emerge dalle ombre, così come la foggia e i colori dell'abito che indossa, non lasciano alcun dubbio. E' davvero una strega: una strega di Elsenor. E' la prima volta che ne incontro una, ma i lineamenti, meravigliosi e terribili in egual misura, rendono giustizia a tutte le leggende che ho sentito.
Mentre la osservo, incapace di distogliere lo sguardo, mi tornano alla mente i versi di una filastrocca che gli anziani del mio villaggio erano soliti cantare ai bambini che giocavano ai pirati.
Sei e otto mozzi ai piedi, quattro e due a coprir le spalle,
Tre di guardia al lato a monte, sette son su quello a valle,
nove mani sul timone, un rapace svetta a prora
cinque spade stan nel mezzo: è un vascello di Ilsanòra!
Le incursioni dei predoni Elsenoriti non erano un problema per noi, avevamo persino degli antenati in comune... a patto di garantire il rispetto di un'unica, importantissima regola: non invadere il loro territorio, per nessun motivo.
«Kalya Niadh, suppongo. O preferisci che ti chiami... Kalina?»
A differenza mia, Mandy è in grado di parlare. Il tono della sua voce ostenta una sicurezza che mi riempie di speranza: se quello entro cui ci troviamo è un incubo, lei dovrebbe sentirsi a casa. La nostra ospite, tuttavia, non dà l'impressione di essere preoccupata della sua intrusione. Si limita a guardarci, senza rispondere.
«Lascialo andare», prosegue Mandy, avanzando ancora: «Questo luogo non ti compete». Poi, per la prima volta, si gira verso di me, rivolgendomi un sorriso. Adesso ce ne andiamo, sembra quasi volermi dire. Lo spero davvero. Il suo sguardo indugia per alcuni istanti oltre le mie spalle, e per un attimo ho come l'impressione di vederla avvampare di paura.
«Non sono stata io ad aver oltrepassato il confine per prima», risponde la strega. «Dovresti saperlo... come dovrebbe saperlo lui». L'artiglio infuocato torna a rovistare nel mio cervello, provocandomi nuovamente un dolore atroce. Crollo a terra tra gli spasmi, impossibilitato a urlare, mentre la strega continua a saccheggiare i miei ricordi con la foga di un branco di roditori in un granaio.
«Fermati!» esclama Mandy. «Lui non sa nulla: se stai cercando delle risposte, chiedi a me.»
«E chi ti dice che io intenda parlare con voi?»
«Lo dico io.»
«Tu non sei niente, qui dentro: ti trovi qui soltanto perché io ho deciso di farti entrare.»
«Ah si?», risponde Mandy con aria di sfida: «guardati la mano sinistra, allora».
La strega solleva lentamente il braccio, puntando il pugno verso di noi: quindi lo apre, mostrando una mano di sole quattro dita.
«Ho la tua attenzione, adesso?» Esclama Mandy, visibilmente soddisfatta. «Come vedi, rubare a casa dei ladri non è così facile come pensavi...».
La strega annuisce con un sorriso, poi serra nuovamente la mano a pugno e la riapre: come un assurdo gioco di prestigio, le dita sono di nuovo cinque. Un lampo di paura attraversa il volto di Mandy, subito seguito da una smorfia di dolore: osservo impotente la mia protettrice lanciare un urlo e poi crollare a terra in preda agli spasmi.
«Come ho già detto, non sono io ad aver cominciato. Siete stati voi a non aver rispettato i patti.»
«Posso... spiegarti...» rantola Mandy, cercando di rialzarsi. «Vogliamo... negoziare... una... pace...»
«Risparmia il fiato», la interrompe la strega, muovendo qualche passo in direzione dei simulacri che mi circondano: «ho già appreso tutto quello che volevo sapere.»
«Non.... non sai niente, invece. Ho parlato con... Yara... vogliamo...mmMPfhhh...» La voce di Mandy si trasforma in un un mugolio di suoni incomprensibili: guardandola mi accorgo con orrore che le sue labbra sono scomparse, lasciando il posto a spaventosi lembi di pelle che le serrano la bocca in una maschera di sangue, piaghe e cicatrici.
«Avresti dovuto mantenere la guerra al di là del Traunne. Non lo hai fatto, violando un accordo stipulato da persone più sagge e prudenti di te. Sei tu ad esserti spinta a rubare a casa dei ladri, e lo hai fatto in modo talmente maldestro da distruggerla oltre ogni rimedio. E' troppo tardi per cavartela negoziando una pace, Mandy Sphere: in un modo o nell'altro renderai conto delle tue azioni.»
Mandy scuote la testa, sforzandosi di urlare qualcosa di minimamente comprensibile attraverso il suo grottesco bavaglio di carne: niente da fare. Kalya la osserva per qualche istante, quindi la congeda con un singolo gesto della mano, confinandola al di fuori di questo incubo. Prima di dissolversi, la mia protettrice mi lancia un'ultimo sguardo disperato: non mollare, questo intende dirmi: tornerò. Ma sappiamo entrambi che non andrà così.
La strega torna a rivolgersi nella mia direzione. «Dove eravamo rimasti?»
Scuoto la testa: non contarci, stronza: non importa cosa cercherai di offrirmi.... non mi convincerai mai a tradire i miei compagni. Ma mentre mi sforzo invano di dar voce ai miei pensieri, realizzo con orrore che non sta affatto guardando me: sta guardando dietro di me. Il grugnito oltretombale che risuona ancora una volta alle mie spalle e il ricordo dello sguardo terrorizzato di Mandy mi fanno comprendere che non è dalla mia inaudìbile voce che la strega attende una risposta: non sono io il suo interlocutore... Non lo sono mai stato.
E quando finalmente riesco a voltarmi, ignorando il dolore che torna a tormentare ogni singola fibra del mio corpo, non posso far altro che mettere a fuoco la più grande delle mie paure.
L'altro me stesso: la progenie di Kraalor che scalpita nelle mie vene, anelando una libertà che fino ad oggi sono riuscito a negargli. E' lui il plàigheach, l'essere imperfetto che la strega di Elsenor intende rendere completo, provocando un risveglio funesto da scagliare contro i miei compagni analogo a quello verificatosi ad Uryen: sangue per sangue, fioritura per fioritura. E poco importa che io sia o meno il mandante o l'artefice di quella catastrofe: per Kalya Niadh non sono che un ostacolo da oltrepassare per raggiungere la sua vendetta.
E va bene, strega di Ilsanora: prova pure a corteggiare la metà oscura del mio sangue. L'altra metà venderà cara la pelle. Se credi che te la darò vinta così facilmente, ti sbagli di grosso.
20 dicembre 517
Domenica 3 Ottobre 2021
Una vita fa
Entrare in un'erboristeria è diventata una sorta di esperienza mistica: migliaia di odori che non riconosco saturano l'aria, alternandosi e sovrapponendosi nell'attirare l'attenzione dei miei sensi. Mi ricordo quando, una vita fa, accompagnavo mio padre in tante botteghe simili a questa. Gli odori erano gli stessi, ma all'epoca non avevo modo di apprezzarne le singole capacità espressive: si limitavano a mescolarsi in una sorta di miasma dolciastro. A quel tempo la mia malattia aveva appena cominciato a manifestarsi: ricordo le suppliche di mio padre affinché l'arcigno erborista ci vendesse a buon prezzo balsami e lenitivi che puntualmente si rivelavano utili solo a prosciugare i suoi risparmi, non certo il liquido che tormentava i miei polmoni.
Qui allo Stelo di Grandiflora l'erborista è una donna, ma ugualmente arcigna: nei miei confronti, almeno. Non perde tempo a chiederci cosa vogliamo, sa fin troppo bene perché abbiamo deciso di rovinarle la giornata con un'altra visita non annunciata.
"Chi non muore si rivede", si limita a dirci col sarcasmo che la contraddistingue, puntandoci addosso il consueto sguardo protettivo da sorella maggiore che non ha paura di niente: neppure di due innalzati di Ghaan.
"Anche a me fa piacere rivederti, Myrna". E' la verità: non ho niente contro di lei, anzi comprendo il suo disagio: al posto suo mi comporterei allo stesso modo.
Lei si limita ad annuire. Khzar accenna un saluto sollevando la mano. Poi il ballatoio sopra di noi si ravviva di passi familiari e sento il cuore battermi nel petto come non faceva da mesi. Punto gli occhi sulle scale, in attesa di vederla scendere.
Accidenti quanto è cresciuta: sembra alta il doppio dell'ultima volta. Quanto tempo è passato? Sicuramente troppo. Spalanco le braccia un attimo prima che mi salti addosso e la stringo forte. "Ayza! Finalmente! Mi sei mancata: ho pregato tantissimo...". Piccola mia, non hai idea quanto mi sia mancata tu.
"Passerai la Rinascita con noi, vero? Così potrai raccontarmi tutte le tue ultime avventure!"
Myrna ci osserva in silenzio, combattuta come sempre quando è costretta ad assistere alle nostre effusioni: è evidente che questa situazione le pesa. Più volte mi sono chiesta cosa sono per lei: una mostruosità a cui non ha voluto negare il suo aiuto? Una spina nel fianco della sua famiglia? Un motivo di sofferenza per Ireena nello sventurato (o magari auspicabile) giorno in cui inevitabilmente morirò?
Certo non sua cugina. Non più, almeno.
"Dobbiamo parlare, Ayza", mormora con espressione grave. Lontano dalle orecchie di Ireena, aggiunge con gli occhi, facendo un cenno verso il piano di sopra.
Annuisco. "Lasciami solo qualche minuto, prima". Non voglio interrompere questo abbraccio: ogni battito del cuore di Ireena mi restituisce un pò del sollievo che gli ultimi mesi mi hanno strappato via. Chiudo gli occhi e mi concentro unicamente sulla regolarità di quel ritmo, cacciando via ogni altro pensiero.
Il battito della vita, così lo chiamava Manuel. Più forte, autentico e motivante di qualsiasi sostanza. E' a questo che devo tendere, sempre e comunque. E' questa la sensazione a cui anelare, a cui per nulla al mondo voglio rinunciare. La vita. La dolcezza. La comprensione. L'umanità. Ireena.
"Ascoltami bene, Ayza: tu non hai bisogno di questa merda. Lo sai, invece, di cosa hai bisogno? Di qualcuno che ti accetti per quello che sei. Che sia pronto ad amarti e a rispettarti e contento quando torni sana e salva. Che sappia aspettarti per tutto il tempo che occorre. Può essere un parente, un amante, un amico... persino un animale. Ma dobbiamo trovarlo, d'accordo? Perché sarà quella persona a fornirti l'appiglio a cui dovrai aggrapparti per restare in vita".
Ricordo quando mi dicesti tutte queste cose e io risposi che avevo già scelto: che volevo te. Ma non potevi accettarla, questa risposta: eri troppo impegnato, troppo egoista, troppo vigliacco per essere tu il mio appiglio. O forse sapevi già che saresti morto prima di me. Bella fregatura che mi hai dato, Manuel: era quasi meglio tenersi i polmoni scassati.
I pochi giorni che trascorro a Trost riescono a farmi dimenticare l'orrore degli eventi avvenuti a Caaron: l'attacco dei risvegliati, l'eruzione del vulcano, la morte di Manuel e di quasi tutti i nostri compagni. La versione che io e Khzar raccontiamo a Ireena, di gran lunga più avventurosa e meno cruenta di quanto accaduto, aiuta molto anche me. Non riusciamo tuttavia a nasconderle del tutto l'amara consapevolezza che l'epilogo sia stato molto diverso da come avremmo voluto: il prezzo più alto di questa stupida e insulsa guerra continua ad essere pagato dagli strumenti incolpevoli di comandanti sempre più spietati. Eppure sono stati proprio quei sacrifici, oltre alla morte di Manuel, a fornirci un'occasione irripetibile per mettere fine a tutto questo.
Anche Ireena non vede l'ora di raccontarmi le sue avventure. Apprendiamo così, non senza un certo stupore, di aver interagito con le medesime persone: la pristina della Mantide e i suoi compagni di Uryen.
Myrna ascolta la maggior parte delle nostre conversazioni. Lei non conosce i dettagli del piano, ma ha capito da tempo da che parte stiamo e cosa vogliamo fare: è il motivo principale per cui non ha impedito a Ireena di diventare il mio appiglio, evitandomi di ricorrere eccessivamente alla Garmonbozia e dunque salvandomi da morte certa. Per questo le sarò per sempre debitrice e farò tutto quanto in mio potere per proteggere lei e sua sorella.
[...]
"Non l'hai protetta, invece", esordisce Myrna con un sospiro dopo essersi chiusa la porta alle spalle. La sua camera è meno spoglia dell'ultima volta: all'epoca c'era un letto solo, adesso ce ne sono due. L'odore di Ireena è ovunque: dormono insieme, ora. Perché?
Poi inizia con il suo racconto, che mi colpisce come una sassata in pieno viso. Scopro così che non sono stata l'unica a raccontare una versione più avventurosa e meno cruenta delle mie (dis)avventure... E vengo a conoscenza di tutti gli eventi accaduti a Trost lo scorso ottobre: il piano dei soldati di Uryen per entrare nel Nosocomio e liberare un sacerdote in punto di morte; la generosa offerta di Myrna di aiutarli; la missione di Ireena e della pristina della Mantide e il sacrificio di entrambe in quellla lurida stanza del Nosocomio. E l'insostenibile peso della mia assenza, che ha permesso a un simile scempio di avere luogo.
Sento il sangue nero di Kraalor scorrermi violento nelle vene: non posso permettere a quel verme innominabile di vivere un solo giorno in più. Ogni suo respiro è una bestemmia nei confronti di tutto ciò che c'è di puro, un'aberrazione che deve cessare; non posso...
"Non puoi farlo", mi dice Myrna. La mia faccia è un libro aperto, o per meglio dire una sentenza. "Non puoi farlo", continua, "perché faresti saltare tutto quello per cui avete... e abbiamo... lavorato".
Scuoto la testa: ha ragione, ovviamente, ma in questo momento non voglio sentire ragioni. "Puoi dire quello che ti pare, ma io non me ne andrò da questa città senza prima averlo ucciso".
"Lo farai, invece".
"Perché?"
"Perché me lo devi".
La ascolto mentre parla: il suo cuore non perde un colpo, a differenza del mio. E' di sua sorella che stiamo parlando: il bene che le vuole è incalcolabile, eppure, persino nel ricordo di quello che le hanno fatto... di quello che quel mostro le ha fatto... riesce a tenere a freno l'emotività molto meglio di me. Il suo è un discorso sofferto ma razionale: la logica ineffabile di chi non cerca l'appagamento immediato della vendetta personale ma una giustizia condivisa, profonda e duratura.
"Ascoltami bene, Ayza: quando uscirete da quella porta, tu e il tuo compagno farete quello che va fatto... A Ghaan, non qui. E' un altro il lestofante che dovete togliere di mezzo. Siamo intese?".
Annuisco. E contiinuo ad annuire anche dopo, quando mi dice che Ireena ha accettato di compiere quell'operazione di sua spontanea volontà e consapevole dei rischi: e quando mi dice, mentendo spudoratamente, che lei ha compreso ed approvato quella scelta. Che siamo tutti soldati in questa battaglia, pur con un diverso modo di combattere.
Ho tanto da imparare da questa bottega: e rimpiango quei giorni di una vita fa, quando potevo sentire soltanto quella fragranza dolciastra e rassicurante, senza riuscire a distinguere i tanti aromi più o meno disgustosi che servivano a comporla. Ma poi si diventa grandi, e non c'è esercito che riesca più a nascondere il sangue e il sudore di ciascuno dei propri soldati.
[...]
Non mi resta che congedarmi. Myrna mi apre la porta: poi, mentre passo, mi abbraccia all'improvviso.
"Abbi cura di te".
La stringo: in questo momento, complice la stanza, ha praticamente lo stesso odore di Ireena.
"Lei dorme, vero?" Domanda inutile. Posso sentire il suo respiro da qui: si è addormentata di sotto, cullata dalle note della viella di Khzar. Le chiedo di poterla vedere un'ultima volta e lei me lo concede: senza svegliarla, così da risparmiare a entrambe un saluto inutilmente doloroso.
"Abbi cura di te", mi ripete.
"Tornerò", mi viene da risponderle. Poi penso che forse, dopo tutto, è l'ultimo augurio che vorrebbe sentirmi dire. "Ma non prima di aver fatto ciò che va fatto", aggiungo.
Khzar è sulla porta ad aspettarmi. La nostra marcia verso le mura della città è accompagnata dai primi fiocchi di neve.
"Pensavo che avremmo passato la Rinascita a Trost", mi dice senza nascondere una punta di rammarico.
Scuoto la testa. "Quella è una delle poche famiglie che dedica Yule alle divinità anziché al cibo o al Signore dei Ladri: non abbiamo il diritto di rovinare la loro celebrazione con il nostro sangue guasto".
Khzar annuisce: "In Absentia", chiosa poi con tono solenne.
"Sembri un coglione quando lo dici, sai?"
Khzar alza le spalle: "Hai ragione: eppure quando lo diceva Manuel sembrava un modo di dire fantastico, no?"
"Già".
"Prova a dirlo tu: magari suona meglio...".
"Non ci penso nemmeno!"
Quando raggiungiamo le mura le prime luci dell'alba squarciano la notte di fronte a noi, disegnando in lontananza il profilo familiare dell'Angelo di Pietra. Le guardie di Trost si mettono sull'attenti: spero che conserveranno la stessa deferenza anche quando, tra qualche settimana, tornerò ad ammazzare il Camerlengo: sarà mia cura donargli una morte adeguata alle bizzarre e stravaganti usanze della città in cui vive.
14 gennaio 518
Domenica 21 Giugno 2020
Il Viaggiatore
"Mi chiedi chi sono, Colin, e da dove vengo, e so già che faticherai a trovare un senso nella mia risposta. Mi è impossibile tracciare un confine tra la mia natura e il luogo da cui sono stato strappato, così come sarebbe per te impossibile distinguere tra il mare e le onde che lo increspano. Semplicemente io ebbi ad essere là dove il Respiro è ancora impetuoso, oltre i confini di questo mondo ormai arido. Sono giunto qui non per mio desiderio ma trascinato dal fluire del Respiro, e posso ben contarmi tra le vittime della follia di Marv Fedai: il varco che egli volle aprire tra questa realtà morente ed altre più vitali turbò e scosse il Respiro in cui io ero, e qui mi trascinò assieme alle altre cose stolide che intendeva aizzare contro di voi. Non confondermi con quelle bizzarrie, né con la bestia senza mente che si dibatteva nelle acque torbide a Klarheit: in verità in esse vi è assai più della vostra natura che della mia, cose di carne e sangue il cui "dove" è solo un accidente.
Forse vi fu un tempo in cui il Respiro permeava ogni cosa ed ogni luogo, ma se così fu, non ne serbo il ricordo. Forse altri che tu diresti simili a me furono generati QUI prima del mio tempo, quando ancora non vi era altro che QUI. Forse ciò che tu chiami "demone" e ciò che ritieni invece originato dalla Natura a cui ti senti di appartenere sono state una una cosa sola, prima di disperdersi oltre il Respiro. Ti sei chiesto perché sia possibile fare ciò che Marv Fedai e Muireal hanno fatto, e cioè violare i confini invisibili del vostro mondo per trascinarvi dentro bestie di ogni sorta...e me?
Sono un viaggiatore, Colin, portato dalle correnti del Respiro fino a voi, cose di carne e sangue di ogni "dove", per diventare cosa sola con voi, conoscere i vostri desideri e i vostri timori, le vostre virtù e le vostre miserie, i vostri saperi e le vostre ignoranze. Scorro attraverso voi per fare ritorno al Respiro, come un fiume che percorre innumerevoli terre per ricongiungersi al suo mare, portando con me il ricordo di coloro che ho visitato. Non sono vostro nemico più di quanto possa esserlo il piede nei confronti del sentiero che calpesta: conosco l'odio e la malizia solo per tramite vostro, ed essi sono per me come gli usi di una gente straniera, curiosi vezzi che non sento miei. Temi che io possa essere un pericolo per voi, ma la verità è che non ho ragione di nuocere ad alcuno a patto che il mio transito non venga ostacolato.
Ma come vi ho detto, il Respiro è flebile e scarso in questo mondo, e non ho desiderio di rimanervi oltre: farò ciò che devo per proseguire il mio viaggio, e tanto più mi aiuterete, tanto meno incomodo rischierò di arrecarvi."
In seguito alle ripetute interazioni con il "Viaggiatore" e ritornando sui brani specifici dell' "Evocatio Demonorum", Colin è in grado di mettere meglio a fuoco le informazioni che il testo fornisce a proposito dei cosiddetti "philosopher".
Intelligenze incorporee come il Philosopher hanno origine in uno spazio interstiziale tra i mondi caratterizzato da uno Yoki molto alto, e penetrano nelle varie realtà attraverso i varchi che di volta in volta si aprono (ad es. quelli prodotti dalle evocazioni demoniache). Questa entità è una sorta di collettore di informazioni che viaggia di mondo in mondo, legandosi a forme di vita corporee più o meno intelligenti e incamerandone le cognizioni e gli istinti: di fatto si potrebbe dire che il Philosopher non sia altro se non un'espressione dello Yoki in grado di migrare e stabilirsi in creature ospiti diverse. In questo senso il Philosopher non può neppure dirsi una forma di vita, e in quanto tale non deperisce né muore, tuttalpiù disperdendosi qualora non vi siano più le condizioni per la sua sussistenza. Non avendo un ciclo di vita vero e proprio, il Philosopher non ha neppure una funzione riproduttiva ed esemplari distinti "si verificano" come meri fenomeni dello Yoki del luogo da cui originano.
Il Philosopher desidera naturalmente legarsi a creature ospite, assumendone il controllo ma al tempo stesso assorbendone i processi mentali e i ricordi, al punto che la sua "identità" risulta trasformata e arricchita ad ogni passaggio. Sebbene acquisisca le cognizioni linguistiche e il bagaglio di nozioni e competenze del suo ospite, l'entità non ne mutua però le pulsioni, gli obiettivi o l'orientamento morale/religioso: essa resterà sempre amorale e opportunista, incapace di empatia e interessata solo all'esplorazione delle realtà in cui è giunta per il tramite delle creature che lo ospitano. Ciò non significa che un Philosopher non sia in grado di simulare una personalità amichevole quando questo sia strumentale al raggiungimento dei suoi scopi, stratagemma che peraltro usa con grande frequenza. Le pulsioni fisiologiche delle creature viventi sulle prime risultano sgradevoli e persino sconcertanti al Philosopher, che tenderà pertanto a reprimerle ingenerando possibili sospetti e soprattutto mettendo a rischio la sopravvivenza stessa del suo ospite. E' possibile che la maggiore dimistichezza acquisita ad ogni transito renda più semplice l'adattamento ai bisogni del corpo che occupa, rendendo possibili possessioni sempre più durature (e discrete).
In virtù dello Yoki che lo costituisce il Philosopher è in grado di esprimere effetti telepatici, telecinetici e di interazione dimensionale analoghi a quelli prodotti con i corrispondenti incantesimi dei Maghi, ed è anche in grado di alterare il fluire del Potere nell'ambiente in cui si trova per trarne sostentamento (questo soprattutto nei mondi poveri di Yoki come Sarakon) e per recuperare le forze. Il Philosopher è consapevole della precarietà della sua sussistenza in realtà povere di Yoki e pertanto tenderà a voler fare ritorno nel suo luogo di origine qualora il suo livello di Yoki approssimi la soglia al di sotto della quale sarebbe per lui impossibile aprire un varco verso "casa".
Forse vi fu un tempo in cui il Respiro permeava ogni cosa ed ogni luogo, ma se così fu, non ne serbo il ricordo. Forse altri che tu diresti simili a me furono generati QUI prima del mio tempo, quando ancora non vi era altro che QUI. Forse ciò che tu chiami "demone" e ciò che ritieni invece originato dalla Natura a cui ti senti di appartenere sono state una una cosa sola, prima di disperdersi oltre il Respiro. Ti sei chiesto perché sia possibile fare ciò che Marv Fedai e Muireal hanno fatto, e cioè violare i confini invisibili del vostro mondo per trascinarvi dentro bestie di ogni sorta...e me?
Sono un viaggiatore, Colin, portato dalle correnti del Respiro fino a voi, cose di carne e sangue di ogni "dove", per diventare cosa sola con voi, conoscere i vostri desideri e i vostri timori, le vostre virtù e le vostre miserie, i vostri saperi e le vostre ignoranze. Scorro attraverso voi per fare ritorno al Respiro, come un fiume che percorre innumerevoli terre per ricongiungersi al suo mare, portando con me il ricordo di coloro che ho visitato. Non sono vostro nemico più di quanto possa esserlo il piede nei confronti del sentiero che calpesta: conosco l'odio e la malizia solo per tramite vostro, ed essi sono per me come gli usi di una gente straniera, curiosi vezzi che non sento miei. Temi che io possa essere un pericolo per voi, ma la verità è che non ho ragione di nuocere ad alcuno a patto che il mio transito non venga ostacolato.
Ma come vi ho detto, il Respiro è flebile e scarso in questo mondo, e non ho desiderio di rimanervi oltre: farò ciò che devo per proseguire il mio viaggio, e tanto più mi aiuterete, tanto meno incomodo rischierò di arrecarvi."
In seguito alle ripetute interazioni con il "Viaggiatore" e ritornando sui brani specifici dell' "Evocatio Demonorum", Colin è in grado di mettere meglio a fuoco le informazioni che il testo fornisce a proposito dei cosiddetti "philosopher".
Intelligenze incorporee come il Philosopher hanno origine in uno spazio interstiziale tra i mondi caratterizzato da uno Yoki molto alto, e penetrano nelle varie realtà attraverso i varchi che di volta in volta si aprono (ad es. quelli prodotti dalle evocazioni demoniache). Questa entità è una sorta di collettore di informazioni che viaggia di mondo in mondo, legandosi a forme di vita corporee più o meno intelligenti e incamerandone le cognizioni e gli istinti: di fatto si potrebbe dire che il Philosopher non sia altro se non un'espressione dello Yoki in grado di migrare e stabilirsi in creature ospiti diverse. In questo senso il Philosopher non può neppure dirsi una forma di vita, e in quanto tale non deperisce né muore, tuttalpiù disperdendosi qualora non vi siano più le condizioni per la sua sussistenza. Non avendo un ciclo di vita vero e proprio, il Philosopher non ha neppure una funzione riproduttiva ed esemplari distinti "si verificano" come meri fenomeni dello Yoki del luogo da cui originano.
Il Philosopher desidera naturalmente legarsi a creature ospite, assumendone il controllo ma al tempo stesso assorbendone i processi mentali e i ricordi, al punto che la sua "identità" risulta trasformata e arricchita ad ogni passaggio. Sebbene acquisisca le cognizioni linguistiche e il bagaglio di nozioni e competenze del suo ospite, l'entità non ne mutua però le pulsioni, gli obiettivi o l'orientamento morale/religioso: essa resterà sempre amorale e opportunista, incapace di empatia e interessata solo all'esplorazione delle realtà in cui è giunta per il tramite delle creature che lo ospitano. Ciò non significa che un Philosopher non sia in grado di simulare una personalità amichevole quando questo sia strumentale al raggiungimento dei suoi scopi, stratagemma che peraltro usa con grande frequenza. Le pulsioni fisiologiche delle creature viventi sulle prime risultano sgradevoli e persino sconcertanti al Philosopher, che tenderà pertanto a reprimerle ingenerando possibili sospetti e soprattutto mettendo a rischio la sopravvivenza stessa del suo ospite. E' possibile che la maggiore dimistichezza acquisita ad ogni transito renda più semplice l'adattamento ai bisogni del corpo che occupa, rendendo possibili possessioni sempre più durature (e discrete).
In virtù dello Yoki che lo costituisce il Philosopher è in grado di esprimere effetti telepatici, telecinetici e di interazione dimensionale analoghi a quelli prodotti con i corrispondenti incantesimi dei Maghi, ed è anche in grado di alterare il fluire del Potere nell'ambiente in cui si trova per trarne sostentamento (questo soprattutto nei mondi poveri di Yoki come Sarakon) e per recuperare le forze. Il Philosopher è consapevole della precarietà della sua sussistenza in realtà povere di Yoki e pertanto tenderà a voler fare ritorno nel suo luogo di origine qualora il suo livello di Yoki approssimi la soglia al di sotto della quale sarebbe per lui impossibile aprire un varco verso "casa".
5 dicembre 517
Mercoledì 13 Novembre 2019
Dal diario di Marv Fedai
5 dicembre 517
Morto Adrien, improvvisamente si sono ricordati di me. È venuta lei in persona a chiedermi di sostituirlo in uno spettacolo commemorativo, dal nome solenne di “La tempesta imperfetta”.
Si è inginocchiata vicino alla poltrona, coi capelli sciolti sulle mie ginocchia inerti, profondendosi in lacrime. “Eravate amici, abbiamo bisogno di te, della tua arte… solo tu puoi aiutarci a mettere in scena lo spettacolo che Adrien merita”
Avrei voluto rifiutarmi, dopo quel che è successo tra di noi, ma non ce l’ho fatta, non ne ho avuto il coraggio.
Sono di nuovo schiavo di Lucida, e stavolta per sostituire dietro le quinte del Gran Teatro il vecchio amico che me l’ha portata via. Dannazione. Perché sono così debole?
La morte di Adrien mi ha preso alla sprovvista. Le circostanze del suo ritrovamento, ignobili e misteriose, lasciano interdetti.
Non so se abbia prevalso in me il dolore o un vago e vergognoso senso di soddisfazione. Era più un amico o un rivale?
Che poi rivale… chi credo di prendere in giro? Sono tutte illusioni! So bene di non avere mai avuto possibilità. Le lusinghe di Lucida hanno sempre e soltanto riguardato le mie capacità magiche. Diverso sarebbe se non fossi un uomo spezzato: ho colto più di una volta in passato gli sguardi di lei verso mio fratello, leggendo in essi il rimpianto di ciò che avremmo potuto essere. Se la mia mente e il mio cuore albergassero nel corpo intatto di Theo, Lucida avrebbe scelto me.
Oggi pomeriggio mi farò accompagnare al Gran Teatro e Ruyard mi spiegherà che genere di effetti spettacolari servono per “La tempesta imperfetta”. Voglio superarmi: sarà il più grande spettacolo mai messo in scena a Feidelm dai tempi di Ukut-Testa-Di-Martello.
Lo faccio per Adrien, in memoria della nostra vecchia amicizia, o per dimostrare che sarei stato migliore di lui? Oppure lo faccio per Lucida, per quei capelli biondi su cui solo poche ore fa ho posato la mano?
Forse non ha importanza. Ormai cosa cambia?
6 dicembre 517, a notte
È fatta. Dei, che spettacolo!
I morti si risvegliano e muovono arti inerti e putrescenti, mentre dalle onde emergono creature fantastiche e sensuali…
Lucida ha indossato il suo abito nuziale: che bella. Ho i brividi al solo pensiero.
Mentre da dietro i fondali guardavo le danze e mi lasciavo trasportare dalla voce di Ruyard e del coro, ho avuto per un momento la sensazione di poter io stesso fluttuare, libero dalla mia prigione di legno e metallo.
Adesso sono sfinito, già so che non riuscirò a chiudere gli occhi per l’eccitazione, mi sento svuotato da ogni stilla di potere magico. Ho dato tutto, e adesso la mia mente è leggera, al punto da spingermi a fantasticherie impossibili e bellissime.
Chissà, forse potrei accettare di rifarlo.
7 dicembre 517
Theo stamattina mi ha portato il famoso Darkenblot a casa.
Ancora non mi ero finito di preparare, dopo la notte piacevolmente insonne che ho trascorso. Quante volte mi aveva parlato di questo Darkenblot, io chissà che mi aspettavo. E invece è soltanto Jeremy Overdeen, che tante volte ho incontrato alla bottega di Mastro Mortimer buon’anima e persino una volta o due al banchetto di Frumentario.
Ci siamo salutati, con grande stupore di Theo, che pensava che non ci conoscessimo.
Overdeen per farla breve mi dice che servirebbe il mio aiuto per liberare un suo amico, ingiustamente rinchiuso nelle segrete della Chiesa del Radioso.
“Io che c’entro?” gli ho chiesto.
Dopo la morte di Adrien, Overdeen non ha nessun mago su cui contare, questo è il succo. Nessun mago, quindi si rivolge a me.
Da mesi sapevo che Theo faceva parte dell’organizzazione di Darkenblot, e che Theo abbia un fratello mago – storpio – non è un segreto per nessuno. Ma solo ora che è morto Adrien, nientemeno che il temuto Darkenblot si scomoda per venire a trovarmi a casa.
La cosa divertente è che gli ho detto di arrangiarsi, e che ho già consumato ogni briciola di potere magico ieri sera allo spettacolo: adesso sono più inutile di un comodino.
Overdeen ha un po’ insistito, ma ha presto capito che nemmeno i maghi possono fare l’impossibile.
Ci siamo salutati cordialmente, se in futuro dovesse servirgli il mio aiuto, nei limiti del ragionevole, glie lo fornirò volentieri. Lo devo a Theo, più che altro. Con tutto il daffare che mio malgrado gli do, credo sia giusto ricambiare.
16 dicembre 517
Che gli Dei mi perdonino.
Vale forse l’amor fraterno più del rispetto di ciò che è sacro?
L’incantesimo che da anni studio in segreto, le carte preziose di Frumentario, gli scritti antichi che custodisco, a questo forse sono destinati?
La Chiesa del Radioso è il luogo in cui, da bambini, mio fratello ed io ci recavamo alle funzioni, insieme ai nostri genitori. Ricordo l’atmosfera solenne, il profumo delle candele, la penombra satura di santità. Potevo ancora camminare, e correre, a quei tempi. Ignoravo di possedere il dono della Magia. O forse non lo possedevo, ed è stato proprio l’incidente a trasformarmi.
Il Potere si manifestò poco tempo dopo. Chissà se si sarebbe palesato ugualmente, se non fossi caduto: eppure è bizzarro che, di due fratelli gemelli, soltanto uno sia capace di dominare il Potere Magico. Proprio lo storpio, il debole, il moribondo: io.
Avrei barattato tutta la Magia del mondo per poter correre di nuovo, per arrampicarmi, per poter sognare un giorno di possedere una donna… ma il mio destino ha scelto diversamente. Mi ha inchiodato ad una sedia, all’immobilità, ad uno studio incessante e solitario. Intanto Theo correva, si arrampicava, cresceva. Viveva.
Nessuno è senza peccato. Theo ha fatto le sue scelte, non tutte le condivido. Conosco le sue frequentazioni e so capire se, quando a notte tarda rientra a casa, mio fratello ha versato del sangue, o ha giaciuto con una donna, o nel vino ha trovato lo sfogo delle sue immense energie vitali.
Immense energie vitali.
Sarebbe patetico se negassi di invidiare con struggente rancore tutta la vitalità di mio fratello. Ma tu hai più cervello, direbbe Theo se mi sentisse.
Ho più cervello, forse. E a che mi giova? Se vivo inchiodato ad una sedia semovente, incapace persino di liberare i miei intestini nella domestica solitudine di una latrina?
Theo è la mia finestra sulla vita. Vivo attraverso i suoi racconti, i suoi sguardi, i segni che porta indosso. Inutile consigliarlo, inutile dirgli di stare alla larga da certi soggetti desiderosi soltanto di sfruttare la sua smisurata energia.
Theo ha fatto le sue scelte, molte sbagliate.
Eppure chi sono io per colpevolizzarlo?
Io vivo grazie alle ricchezze che Theo guadagna con la vita che ha deciso di condurre. Pago i costosi libri di cui ho bisogno con i suoi soldi, con i soldi di Overdeen. Ho necessità di servitori che mi puliscano e mi nutrano, di medicine per alleviare il dolore, di reagenti.
Theo non mi ha mai detto di no. Mai.
Diceva nostra madre, prima che Kayah l’avesse in gloria, che Theo aveva la “melanconia del sopravvissuto”. Diceva che in quel momento, sotto le ruote del carro, sarebbe potuto scivolare lui al mio posto, e che è soltanto un caso se sia rimasto io con la schiena spezzata. “Si sente in colpa per non essere lo storpio, si sente in colpa per non essere te”.
Non so leggere così a fondo nel cuore di mio fratello, ma nostra madre era una donna saggia. Theo non mi ha mai fatto mancare alcunché, si è sempre preso cura di me con dedizione e amore fraterno.
Amore fraterno.
Torniamo al nodo che mi stringe la gola. Vale l’amore per un fratello abbastanza da immolare ad esso la propria anima?
Perché è l’anima in gioco, quando si accetta di compiere un destino così sacrilego, profanare la Chiesa più santa, presso l’altare che vide sposi mio padre e mia madre.
Ed è così che sto qui, ad angosciarmi al lume di una candela, mentre aspetto l’alba. Domattina dovrò dare la mia risposta a Darkenblot.
Non condivido i suoi ideali, mi ripugna il solo pensiero di compiere un simile abominio. Ma Theo è prigioniero nelle segrete di questa Chiesa, che da luogo santo diventa carcere, seggio di tortura e di sopraffazione.
Non c’è altro modo per liberarlo, dice lui. Non ha abbastanza uomini per forzare il blocco, per entrare e tirarlo fuori con la forza. Dice che non c’è tempo da perdere, non si può aspettare che arrivino i rinforzi, perché Theo potrebbe venire assassinato da un momento all’altro.
So che l’interesse di quell’uomo risiede più nel fatto che mio fratello non riveli quello che sa, rispetto a che abbia salva la vita. Ma l’eccezionalità delle circostanze mi spingono a prestargli aiuto.
Conosco un solo incantesimo che possa servire a liberare Theo dalle segrete. Non l’ho mai provato ad evocare, anche se l’ho studiato a lungo, per anni. Nel libro si parla della possibilità di dare ordini ad una Creatura dai poteri immensi, una Creatura prigioniera di altri mondi. Due ordini, forse tre ordini, non di più. E poi la Creatura sarà libera, con tutti i pericoli che da ciò possono derivare.
Se deciderò di evocarla, di compiere questo rituale, ogni atto successivo della Creatura ricadrà sotto la mia responsabilità.
Potrò convivere in seguito con una simile consapevolezza? Oppure un fardello così gravoso sulla mia coscienza sarà troppo pesante da portare, al punto da spezzare il mio cuore, dopo la mia schiena?
Non lo so.
Ma non posso permettere che Theo, il mio unico e adorato fratello, cada per mano di impostori travestiti da guardie civiche, rapitori e assassini, ricattatori. Non posso restare con le mani in mano.
Se avessi ancora l’uso delle gambe, se avessi braccia forti, andrei a combattere a viso aperto contro di loro. Sono però soltanto un povero storpio, con la Magia come unico talento.
Che gli Dei mi perdonino, se possono. Ma devo seguire il mio dovere più profondo, devo salvare mio fratello, anche se so che le conseguenze potranno essere nefaste.
17 dicembre 517
È mattino finalmente!
Una notte interminabile di insonnia e angoscia, dubbi e silenzio viene cancellata dai raggi gelidi del primo sole. È Pyros in persona che emerge dalle nuvole invernali per illuminare la giornata del mio sacrilegio?
Tutta la notte mi sono logorato nell’incertezza, ma ecco che il mattino porta decisione.
Overdeen si è presentato alla mia porta ai primi chiarori. Era livido per il freddo, con il suo bel mantello macchiato di sangue. Non ho osato chiedergliene il motivo.
Ha confermato il piano che mi aveva anticipato ieri sera, senza nemmeno prendere in considerazione la possibilità che io potessi nel frattempo decidere di rifiutarmi.
E dunque si farà.
Oggi pomeriggio, durante la funzione in suffragio per i defunti, nella Chiesa del Radioso, evocherò una creatura demoniaca per ordinarle di liberare mio fratello.
Ma c’è una novità: Overdeen vuole cogliere l’occasione per colpire le guardie corrotte che hanno rapito Theo. Se, come è probabile, si presenteranno alla funzione, un uomo di sua fiducia mi darà un segnale, e sarà proprio allora che compirò il mio rituale.
Liberare Theo e vendicare il suo rapimento, due obiettivi con un solo, eclatante gesto. Non solo: come se non bastasse, sembra che quelle stesse persone siano anche responsabili dell’assassinio di Adrien; danno da giorni la caccia a Ruyard, ed è probabile che presto o tardi aggrediranno anche la povera Lucida.
E se le guardie corrotte non verranno? ho domandato a Overdeen. In quel caso attenderò la fine della cerimonia, mi ha risposto, aspettando che i fedeli defluiscano dalla Chiesa, in modo da non esporre al pericolo più persone dello stretto necessario. Mi sembra ragionevole.
Oggi pomeriggio passerà l’uomo di Overdeen: sarà lui ad accompagnarmi alla Chiesa del Radioso. Meglio così, non voglio che i miei servitori mi vedano mentre compio il rituale, né mi farebbe piacere metterli in pericolo.
Adesso devo radunare le mie carte, i libri ed i reagenti. Ho una sola possibilità, non posso fallire… e sanno gli Dei quanto è difficile un nuovo incantesimo, la prima volta che si prova a lanciarlo. Ma ho studiato tanto, credo che il mio destino sia questo e che riuscirò ad aprire un varco tra questo mondo ed un altro.
Un bel volo di fantasia, per uno storpio.
4 dicembre 517
Venerdì 15 Febbraio 2019
Il modo più veloce di fare carriera
E anche stavolta è scampata.
Quei cretini hanno abboccato alla classica storiaccia di corna: spero che abbiano causato abbastanza casini a quella stronzetta. In ogni caso me li sono levati di dosso per il tempo necessario a raccogliere le mie cose e fare il vento.
Se c'è una cosa che ho imparato, in tanti anni di "cattive frequentazioni", è capire quando è il momento di levarsi di torno. Sparire, evitare rogna. Evitare guai.
Qualcuno ha fatto fuori Adrien. Eh.
Anche il buon vecchio Oskar è irreperibile, mi chiedo se sia stato più veloce di me a far perdere le proprie tracce, o se ripescheranno pure il suo cadavere tra gli scogli del Fronte del Porto.
Dispiace... un po'. Fa rosicare. Ma qual è il modo più veloce di fare carriera, se non sopravvivere a quelli avanti a te? Ed io ho appena fatto due passi avanti.
Adesso la prima cosa è capire chi è l'assassino e che ne è stato degli altri: quel bel deficiente di Heywood, i due fratelli elsenoriti... non credo proprio che sia stato il falegname a farli fuori. Chissà a chi li ha venduti. E in cambio di cosa.
Quanto alle guardie nuove dagli accenti esotici, da dove sono spuntate fuori? Niente male l'amerita. Sicuramente la sanno più lunga di quel che sembra, sembrano di un'altra pasta rispetto ai rammolliti del Caporale Jonas. I rammolliti... superstiti. Ops.
Sta succedendo qualcosa di interessate in città. Già sento il richiamo della notte. Non vedo l'ora di saperne di più. Ed è questo il momento di usare il cervello, muoversi con cautela senza però perdere troppo tempo. Tante piste aperte, occhi aperti e chiappe strette, come si dice. Si dice così, giusto?
Per fortuna dove sono cresciuto l'abitudine è di avere sempre un piano B... e un piano C... e un piano D... la vecchia Generalessa sarebbe orgogliosa di me. Se non fosse per la fine che le ho fatto fare. Ma è acqua passata. Senza rancore, noi non siamo mica i buoni.