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22 marzo 518
Venerdì 18 Ottobre 2024

Otto promesse (parte 1)

SAGA



«Si chiama Eostar!»

«In realtà il nome corretto è Ostara

«No, si chiama proprio Eostar...»

«... che è un modo sbagliato di pronunciare Ostara!»

«Eostar!»

«Ostara!»

«Eostar!»

«Ostara!»

«Eostaaaaaar!»

I toni del dibattito si accendono fino a catturare la mia attenzione, distogliendomi dal leggero ondeggiare dei panni ancora da raccogliere.

"Freya, guarda che ha ragione lui", esclamo mentre mi accingo ad arpionare i lembi di una tovaglia particolarmente grande: "qui la chiamano Eostar". Una breve ed energica scrollata e la ripongo nella cesta piegata in quattro, ripetendo un gesto che ho imparato a forza di osservare mamma e poi perfezionato nel corso dei tanti anni che sono passati.

"... perché nessuno ha mai detto loro che si chiama Ostara!" risponde lei, alzando un dito sopra la testa e poi volgendolo verso di sé. "Ma adesso possono contare su di NOI, che possiamo finalmente rivelare la verità!" Così dicendo si volta nuovamente verso il suo interlocutore, sfoggiando la tipica espressione di chi la sa lunga, molto più lunga di te.

Ruben la guarda in cagnesco, quindi gira il collo di lato, incrociando le braccia in segno di stizza e guardando fisso di fronte a sé. "E allora non ti presto la MIA paglia... E potrai dire addio al tuo Kuklalàr".

"Oh no!", esclama Freya fingendo disperazione e infilandosi le mani nei capelli, "non puoi farmi questo: che ne sarà del mio povero Kuklalàr!"

Ruben cerca di restare serio, evitando di guardare Freya negli occhi. Restano così per qualche istante, poi i loro sguardi tornano lentamente a incrociarsi: un attimo dopo scoppiano entrambi a ridere, ed io con loro.

E' già passato più di un anno, ma ancora tutto questo mi sembra incredibile: a dispetto di tutti i calci che il destino ha avuto la malacreanza di assestarci siamo ancora qui, insieme e serene, circondate da persone oneste e generose. E poco importa se, almeno inizialmente, la loro intenzione di accoglierci è stata corroborata dalla promessa di una cospicua parte della diaria di Vodan: con il passare dei mesi siamo diventate parte integrante di questa comunità, che oggi si regge anche grazie al nostro piccolo contributo.

Già, Vodan... Dove stai? E' più un mese che non ti fai vivo. L'ultima volta mi avevi promesso che saresti tornato prima di Ostara. Stai aspettando l'ultimo minuto, così da fare la tua solita entrata a effetto? Magari vestito da Re dell'Inverno... Sarebbe una bellissima sorpresa, Freya ne sarebbe entusiasta. La osservo mentre corre con Ruben verso il vecchio deposito, dove sceglieranno con cura i sacchi di paglia che, nel giro di poche ore, diventeranno dei bellissimi Kuklalàr. Sono proprio carini, insieme. Lui però è ancora un bambino, lei invece ultimamente è cresciuta tantissimo. Hai visto com'è diventata grande? Ha già quattordici anni... Wow. E' già praticamente una donna.

Poi ripenso a quando l'avevo io, quell'età, e... ehm... no, beh, in fondo lei è ancora una bambina. Grazie al cielo. Non c'è fretta. Nessuna fretta davvero.

Saga Thorn - Immagine 02



RUBEN


«Chi arriva ultimo cambia le lenzuola di Laury... per un mese!» Urlo mentre la sorpasso. Vai così! Sono partito dopo, eppure so già che arriverò prima: anche se sono (di poco!) più piccolo, resto comunque più veloce di lei. Del resto lei è una ragazza, è normal...

«Chi arriva ultimo DORME con le lenzuola di Laury... per un mese!» risponde lei, recuperando terreno fino ad affiancarmi. Maledetta! Come fa ad andare così veloce? Non importa, basta correre ancora più veloce. Col cavolo che ci dormo, nelle lenzuola pisciate di Laury!

Torno avanti, ma lei non ci vuole stare: tenta di superarmi tagliando per una piccola macchia di arbusti, che supera con un salto. Che peste! Quando atterra, i capelli le ricadono sulle spalle come spighe di grano. Li ha sempre avuti così lunghi? Che ti frega dei suoi capelli, Rub! Mancano trenta metri al vecchio deposito... la devi superare adesso!

Con enorme difficoltà la raggiungo: percorriamo l'ultimo tratto affiancati, con le spalle che quasi si toccano. Sento il suo respiro affannato: sono avanti? Sono avanti!

Poi, d'improvviso, la tragedia, il disastro, la catastrofe assoluta: metto il piede nel posto sbagliato, perdo l'equilibrio e capitombolo tra le foglie bagnate. Sento la terra umida nel naso, sotto le unghie, dentro ai calzoni, ovunque. Che tu sia maledetta, stupida e nodosa radice di faggio, proprio lì tra i piedi miei dovevi andare a crescere. La caduta fa un male cane, ma non è niente rispetto al dolore delle risate che stanno per ricoprirmi. Eccole, le sento... E' la fine, l'inferno di ghiaccio, la vergogna totale: voglio morire.

«Oh Dèi! Come stai? Tutto bene?»

Se non altro, Freya non ride: anzi, lei è... china su di me, intenta a guardarmi con aria preoccupata. Le risate provengono da quelle zucche vuote dei miei cugini, che spuntano dalla porta del vecchio deposito con il consueto ghigno intagliato al posto della bocca. E dire che è Eostar, mica Samhain.

«...Che figura di merda!» Sentenzia Arken, mettendosi una mano davanti agli occhi.

«Speriamo almeno che non si sia cacato sotto!" gli fa eco Last, mimando il gesto di tenersi la pancia per le troppe risate. Spero solo che la terra che mi è entrata nelle mutande non si veda troppo, altrimenti vaglielo a spiegare... «Le mie condolenze, Frey: non dev'essere facile badare a quell'impiastro tutto il giorno...».

«Si dice condoglianze", risponde lei con aria scocciata, senza voltarsi e continuando a guardare me. «E comunque, il mio nome non è Frey».

Grosso errore, imbecille: Frey è, anzi era, il fratello gemello di Freya... E lei non lo sopporta, quando la chiamano con il suo nome. La guardo e vorrei dirglielo, che io mi ricordo di questa cosa e non lo farei mai questo errore, mica come quell'idiota di Last... Ma se glielo dicessi adesso farei la figura del cretino, no?

«Come stai?» mi ripete, ignorando i due deficienti sghignazzanti. «Ti fa male qualcosa?»

«No, no... tutto bene». In realtà mi fa malissimo il ginocchio, ma non posso fare la femminuccia proprio adesso. Rifiuto orgogliosamente la sua mano gentile e mi tiro su da solo, fingendo di ignorare lo spiedo arroventato che mi trapassa l'articolazione. «Visto? Non è niente! Ti ha detto fortuna, sai... senza quel colpo di sfortuna avrei vinto io!»

Le mie parole vengono seguite dagli applausi derisori dei due figli più scemi di Scimus Trent. Freya li ignora e mi sorride. Anche lei non li sopporta, ne sono certo. A una come lei non possono piacere persone così stupide, egoiste e cattive. E pensare che un tempo li trovavo simpatici...

«Scommetto che siete venuti a prendere la paglia», esclama Arken. «Se volete possiamo prestarvi la nostra carriola, così la portiamo più comodamente e senza faticare».

Scuoto la testa: «grazie ma no, preferiamo portarcela da soli».

Così dicendo arranco verso il deposito, ignorando il dolore al ginocchio. Lancio un'occhiata di sufficienza al trabiccolo su cui i miei cugini hanno caricato i loro sacchi e mi accingo a riempire i nostri due, uno per me e uno per Freya fingendo che vada tutto bene, che il dolore allucinante che dal ginocchio si sta propagando verso ovunque non esista. Lei si offre di aiutarmi, ma non serve: faccio da solo, è un lavoro da uomini. I due scimus mi osservano in silenzio, tra il rispettoso e il divertito: mi aspettano al varco, quando i sacchi saranno pieni e mi toccherà sollevarli. Ecco, ci siamo. Uno, due, tre... Fatto! Dai, non fa poi così male. Sento il peso dei loro sguardi mentre mi trascino fuori dal deposito. E' così evidente che sto soffrendo come un cane?

«Usiamo la carriola, dai», sentenzia Freya con un tono che non ammette repliche: «grazie», aggiunge poi rivolgendosi ad Arken, che accoglie la nostra resa con un sorriso piacione.

«Figurati! Mi fa piacere aiutarvi. A proposito, volevo chiederti una cosa... Hai già deciso con chi accenderai il cero, stanotte?»

No! maledetto: volevo chiederglielo io! Sono giorni che sto aspettando il momento giusto, e alla fine mi ero deciso a farlo oggi... stasera, per la precisione. Avrei voluto farlo mentre preparavamo i Kuklalàr. Tra poco, cioè. E adesso lui...

Freya scuote la testa. «A dire il vero, non ancora...»

«Capisco. E dimmi, ti andrebbe di... insomma, di accenderlo con me?»

Lo odio. Vorrei che morisse. Vorrei vedere il suo fegato pascolato dai vermi. Freya esita, incerta, poi mi guarda con aria interrogativa.

«In realtà... non so se...»

«Ah», la interrompe Arken, «te lo ha già chiesto Ruben? E' così, Rub? Ma quindi... non è che per caso state ins...»

«MA COSA VAI BLATERANDO?» Le parole mi escono da sole. «Assolutamente no! Ti pare?» OK, ora sono io a voler morire. Non potevo rompermi la testa contro quella radice? Vi prego, spiriti della foresta, ghermitemi ora e sprofondatemi nel terreno, adesso, in questo istante.

«Meno male, è un sollievo! Allora, Freya... che dici? Va bene?»

Lei mi guarda, come stupita dalla mia reazione. «Non so, credo... va bene».

«Davvero? E' una promessa?».

«...Ok».

Bleah! Solo a pensare all'idea di vedere Freya che accende il cero insieme ad Arken mi viene da vomitare. Sai che c'è? Stanotte vado a letto presto, chi se ne frega di Eostar. Anzi, col cavolo: aspetto che arrivi il momento di fare il Kuklalàr, quando finalmente saremo io e lei da soli, e allora le dirò che... che... che quell' "ok" ad Arken non mi ha fatto per niente piacere, ecco! Ma proprio per niente! Ma ti pare che dici "ok" a uno così? E poi, fai il Kuklalàr con me e accendi il cero con lui? Valle a capire le ragazze, valle a capire!

«Rub, ti muovi? O ti serve aiuto?»

«Non serve, ce la faccio!»

Carico a malincuore i due sacchi sulla carriola, dubitando di poter fare anche solo un altro passo aggravato da quel peso. Ci mettiamo a risalire per la strada che ci ha condotti qui, superando ben presto l'odiosa radice che ha finito per rovinarmi la giornata: vorrei prenderla a calci, se non fosse che con la sfortuna che ho oggi finirei di certo per rompermi un piede.

Poi Last punta un dito di fronte a noi: verso l'orizzonte, in direzione dell'abitato di Esmor. «Scusate, ma... chi sono quelli?»

«Mmm... Non lo so», risponde Arken, strizzando gli occhi: da lontano non ci vede tanto bene.

«Soldati», mormora Freya. «Dev'essere... Si, dev'essere Vodan!» E poi fa per correre verso quel gruppo di uomini, con il volto che le si illumina di un rinnovato sorriso.

«Ferma!» grido, afferrandole il polso per trattenerla. Il movimento mi costringe a caricare il peso sul ginocchio malconcio, che reagisce lanciandomi uno spasmo lancinante che mi lascia senza fiato. La mano si apre e Freya si divincola facilmente, continuando la sua corsa verso quello che crede sia il plotone di suo fratello.

«Freya! Fermati!» Le urlo nuovamente, invano. «Non hanno...»

«Lasciala andare, no?» mi interrompe Last, come sempre l'ultimo a capire: «che problema c'è?»

"Non hanno lo stendardo», mi fa eco Arken. «Quelli non sono soldati di Uryen».

Ruben Trent - Immagine 01



KAREL



«Ragazzi, abbiamo visite!»

Il tono allarmato che leggo nella voce di Mà non promette niente di buono: vedi se mi non tocca alzarmi di nuovo, dopo una giornata intera passata a spargere semi.

«E allora ditelo che non volete farmele fare, queste candele», sbotta Scimus, sbattendo sul tavolo il coltello con cui era intento a intagliare l'ennesimo cero per la notte di Eostar.

«Ma lo sai che sta venendo davvero niente male?» Esclama Nora, gli occhi fissi sul lungo moccolo giallastro. «Che cos'è, una volpe?»

«Quasi... un lupo! Vedi le orecchie? La volpe le ha più grandi...»

«...Vero! E come mai un lupo?»

«Mi diceva Saga che era un simbolo di Harkel... vero, Saga?»

«Saga è uscita a ritirare il bucato mezz'ora fa», gli risponde Mà. «Alzalo quel collo, ogni tanto!»

«Basta candele», taglio corto, mentre costringo le mie stanche membra a sollevarsi dalla poltrona. «Vediamo chi viene a rompere le scatole». Poi vedo che Mà sta prendendo la rancogna da sopra al camino e capisco che si tratta di soldati.

La rancogna è un ramo di olivo insolitamente lungo e resistente che si tramanda nella mia famiglia da generazioni: Scimus è solito dire ai nostri ospiti che risale all'età dei Khan, ma in realtà mi sembra di ricordare che lo abbia raccolto nostro nonno nei dintorni di Mar. Fatto sta che, da quando i Nordri hanno cominciato a farci visita, è diventato il compagno preferito di Mà.

Butto un'occhio fuori dalla finestra: «sono in sette, tutti a cavallo».

«Saranno i tuoi ragazzi, Gomar», commenta Scimus. «Lo dicevo io, che non si sarebbero persi la minestra di legumi e tartufo di Mà».

«Non credo», risponde Gomar, alzandosi a sua volta. «Tank diceva che li avrebbero mandati a Dossler...»

«E avranno fatto un cambio, sapendo della minestra: io ci avrei provato».

«Non sono i ragazzi», confermo poco dopo aver aperto la porta. «Vado a vedere cosa vogliono. Gomar, dai un'occhio qui: se vedi che butta male, tirate fuori i pezzi». I pezzi sarebbero la mia mazza, la cucchiara di Scimus e la spada che s'è tenuto Gomar dai tempi in cui era soldato: le uniche armi che abbiamo. A parte la rancogna di Mà, s'intende. Ironicamente, l'unica che abbia mai fatto il morto è la cucchiara.

Mà mi accompagna fuori, trascinando la rancogna. «Che sia Vodan con gli amici suoi? E' un mese che non si fa vivo, quel filibustiere! Sarebbe anche ora che portasse un pò dei soldi che ci deve...»

Scuoto la testa. «Non è lui: e neanche Ivan. Non mi sembra di averli mai visti, questi». E non è una cosa buona, aggiungo tra me e me mentre accelero il passo. Come anche il fatto che non vedo nessuno stendardo.

Mà digrigna i denti: «non saranno mica...»

«No, non sono neanche Nordri. Saranno viandanti che cercano cibo, o forse un posto in cui passare la notte...»

«...o magari soldi. Ma vedo che hanno anche un carretto con le sbarre, o sbaglio? Come quello che portava in giro Seth Lakeman, te lo ricordi?».

«Già. E non mi piace per niente. Vado a parlarci, tu torna in casa e fai salire le ragazze».

«D'accordo».

«I marmocchi dove stanno?»

«I miei giravano dalle parti del vecchio deposito, stavano prendendo i sacchi...»

Annuisco. «Recuperali e falli salire tutti su: e dì Gomar e Scimus di preparare i pezzi».

«Va bene. Ma tu stai in campana, eh?».

«Tranquilla».

«Promesso?».

«Promesso».

In quel momento mi viene incontro Saga, con la cesta piena di panni ancora tra le braccia. «Li conosci?» mi chiede con aria interrogativa e un pò preoccupata. Anche lei non sembra averli mai visti, il che potrebbe essere un bene: magari non sono uomini dei Creedon. «Mai visti», le rispondo. «Rientra a casa e vai su con gli altri, qui me la vedo io».

«Freya è tornata?», mi chiede con aria preoccupata, guardando in direzione del vecchio deposito.

«Non lo so: vedi se sta in casa, altrimenti falla cercare da Eliane: tu è meglio che non ti fai vedere, casomai fossero gli uomini di chi-sai-tu». Saga fa cenno di sì con la testa, quindi affretta il passo verso casa.

La cosa peggiore quando sei il capo famiglia è che devi sempre prendere la decisione giusta. A me questa cosa riesce bene con le bestie e le sementi, ma con le persone è un'altro paio di braghe. Stringo i pugni per farmi coraggio e, solo in quel momento, mi accorgo di avere in mano il coltellaccio di Scimus, con la punta della lama ancora sporca di cera. Devo averlo raccolto d'istinto, quando mi sono alzato: ormai il mio cervello si è abituato a prevedere l'arrivo dei casini. Lo nascondo sotto la camicia e mi avvicino ai sette, alzando la mano in segno di saluto: vediamo come butta.

Karel Trent - Immagine



FREYA


Le gambe si muovono da sole, senza sforzo, del tutto immemori della corsa a perdifiato di pochi minuti fa. Ho sperato tanto di poter passare Ostara insieme a Saga e a Vodan! Fosse mai che, per una volta, gli Dèi avessero deciso di farmi contenta? Sarebbe quasi come ai vecchi tempi, a Nuova Lag...

Uno dei soldati mi nota, mi indica. Di lì a poco si girano tutti verso di me. Sono in sette. Nessuno di loro sembra essere Vodan, e non vedo neanche Kelly e John. Di fronte a loro, sul sentiero, ci sono Karel Trent e sua moglie Nora che li stanno raggiungendo a grandi passi. Anche loro mi vedono, e subito mi fanno cenno di andare verso casa. Hanno un'espressione preoccupata. Il soldato che mi ha vista scende da cavallo e comincia ad avanzare nella mia direzione. Cosa sta succedendo?

«...Non hanno lo stendardo. Quelli non sono soldati di Uryen».

La sentenza di Arken mi investe come una folata di vento gelido. Oh no, penso tra me e me, mentre la memoria mi scava nella testa facendo emergere i ricordi di oltre un anno fa. Gli scagnozzi dei Creedon: ci hanno trovate!

Torno rapidamente sui miei passi, volgendo le spalle al falso soldato che, nel frattempo, ha già cominciato a scendere verso di noi: «Dobbiamo scappare!» Poi guardo Ruben, e mi ricordo del suo ginocchio: fa finta di niente, ma si capisce che può a malapena camminare. «Come facciamo?»

«Ci penso io», esclama Arken, ribaltando la carriola con un gesto deciso. I quattro sacchi di paglia rotolano in terra con un rumore sordo, dando vita a una scena simile alle pratiche di pulizia che tante volte ho visto sbrigare alle guardie dell'Ongelkamp di Dossler quando giungeva l'ora di disfarsi dei corpi di chi non ce l'aveva fatta. Neanche i nostri Kuklalàr ce la faranno, penso con malinconia. Non oggi, almeno.

«Forza Ruben, sali!».

Ruben si accovaccia nel cassone senza esitare: un istante dopo Arken volge la punta della carriola verso il vecchio deposito e prende a spingerla con le sue braccia nodose lungo il sentiero fitto di radici, con noi dietro di lui. La ruota sobbalza più volte, restituendo a Ruben contraccolpi dolorosi, ma lui non fiata: nessuno di noi lo fa, mentre corriamo a perdifiato lungo i sentieri che tante volte abbiamo battuto con ben altro spirito, immersi nei nostri giochi. E' già ora di andare? E' già finito anche questo posto? Il solo pensiero mi riempie gli occhi di lacrime. Non sono pronta per andare via, non ancora. Devo avvertire Saga, dobbiamo...

«Dove la nascondiamo?» chiede Arken non appena la sagoma del vecchio deposito ci nasconde agli occhi dello sgherro in avvicinamento.

Lo sanno, penso. Lo hanno capito anche loro che quelli sono venuti per me.

«Nel deposito sarebbe un suicidio», risponde Ruben: «se lo stronzo decide di guardarci dentro la becca di sicuro».

«Ma se torniamo alle case?» domanda Last.

«E cosa risolvi, idiota?», lo rimbrotta Arken: «è proprio quello il primo posto dove andranno a cercarla i soldati».

Ruben si guarda intorno. «Se tagliate per il campo di ravanelli potete arrivare al boschetto...»

«Si, questa può funzionare», annuisce Arken, che poi si volta verso di me. «Da lì puoi raggiungere il bosco dei mirtilli, e a quel punto... a quel punto non ti trovano più».

«Non VI trovano più», precisa Ruben, scendendo dalla carriola. «Devi andare con lei».

Arken lo guarda con aria interrogativa. «Perché?»

«Perché non può andare nel bosco, da sola, di sera, con i soldati in giro: te lo devo spiegare?»

«Vabbè. E invece voi? Che fate?»

«Noi andiamo ad avvisare Saga», continua Ruben, facendo cenno a Last di seguirlo. «Ti ricordo che quelli stanno cercando anche lei». E ci assicuriamo anche che stiano tutti bene, penso con un filo di ansia.

Arken annuisce. «E col ginocchio, come fai?»

«Non dobbiamo scappare», risponde Ruben, scrollando le spalle: «non stanno cercando noi. E poi mi sta già passando». Non si direbbe, a giudicare da come appoggia il peso. Sospiro.

«Ma siete sicuri?» Interviene Last: «e se invece...»

«Stà zitto, idiota», lo interrompe Arken. «Va bene, Rub: ho capito». Quindi si gira nella mia direzione. «Forza, principessa: muoviamoci!»

«Mi raccomando, dì a Saga che la aspettiamo nel bosco», mi affretto a dire a Ruben prima di separarci. Da lì, una volta insieme, potremo raggiungere la casa di Dina, penso tra me e me, cercando di farmi coraggio. Con un pò di fortuna, ce la caveremo anche questa volta. Abbiamo visto e vissuto di peggio.

«Ricevuto», mi risponde Ruben con un cenno di intesa.

«Stai attento, mi raccomando. E se vedi che butta male... raggiungici anche tu».

«Contaci: lo farò».

«Promesso?».

«Promesso».

Freya Thorn

... to be continued



scritto da Saga, Ruben, Karel, Freya , 16:24 | permalink | markup wiki | commenti (0)
Scritto il 18/10/2024 · 82 di 84 (mostra altri)
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