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15 novembre 518
Giovedì 17 Febbraio 2011

Cattivi maestri (prologo)



15 novembre 518

Di nuovo a Chalard. I picchi delle Falayse costeggiano il lato sinistro della via maestra, celando il sentiero che porta al Monastero di Foucault. Chissà se quella strada si ricorda ancora di me: ci conoscevamo bene qualche anno fa, quando non vedevo l'ora di percorrerla per tornare a Beid... Dai miei fratelli, da mio padre, da Sir Thomas. E' con lui che cavalco oggi, insieme a una trentina di soldati da lui comandati. Ma non è Foucault il monastero a cui siamo diretti: la nostra meta è Noyes, ben più modesto tempio per fama e dimensioni e del quale a dire il vero non conservo un buon ricordo: quel luogo mi ha vista entrare debole e febbricitante, lontana da me stessa come non ero mai stata.

Neanche a farlo apposta, una torre fa capolino dalle colline davanti a noi. La sua sagoma fruga tra i miei ricordi, con la grazia che si addice un ospite indesiderato. La Torre del Tramonto, così la chiamava la mia entusiasta sorella: immagino quante feste, tra quei grossi mattoni... Annoia persino da questa distanza. Mi aspettano lunghe giornate. Ma non temete, Padri di Noyes, non è stata la cortesia ad avermi fatto accettare il vostro invito: la Marca di Beid esaudirà le vostre richieste di sua spontanea volontà. Avete chiesto soldati e risposte e state per ricevere entrambe le cose, con l'augurio che possiate farne buon uso.



17 novembre 518

Secondo giorno a Noyes. Il vento è freddo, il cibo si lascia mangiare. Lenzuola pulite, materassi ridicoli, e il rumore... il rumore è ovunque, come fosse il padrone di casa. Che davvero qualcuno possa studiare, in questo collegio? A saperlo prima avrei chiesto di farmi mettere un letto in biblioteca, l'unico posto dove il silenzio è riuscito a restare sul trono: graziose fanciulle vestite di bianco consultano testi e allenano la mano alla scrittura, lontano dagli schiamazzi dei maschi in cortile. L'istinto meno che assente di mescolarmi a loro si tramuta per forza di cose in ineludibile necessità.

"Rosalie Lambert, incontrarvi è per me un piacere e un onore: ma ancora più grande è la gioia nel vedervi sfogliare il memoriale di Giosìa il Venerabile".

L'anziano sacerdote che disturba sia pure educatamente la mia lettura ha un che di familiare: che sia...

"Voi... siete di Beid, non è vero?"

Annuisce, presentandosi come Padre Camarque. Mi saluta di nuovo, dicendo di conoscermi. Mi racconta la sua vita. Ammetto che le sue storie riescono a suscitare il mio interesse: questo monaco sa parlare bene, sembra essere un tipo interessante. La mia attenzione schizza alle stelle quando si mette a raccontare di mio padre: non gli dò tregua, voglio sapere tutto, lo ascolto per ore. La cosa divertente è che non sa dirmi nulla che io già non sappia: ma sono cose che voglio sentire e risentire ancora, come una bambina con la sua favola preferita. E come una bambina, mentre lo ascolto, penso che questa sera dormirò felice e sognerò qualcosa di meraviglioso.



18 novembre 518

Terzo giorno a Noyes. Il vento freddo è morto, ucciso da una brezza gentile che mi carezza con il suo soffio delicato fino a svegliarmi. Le lenzuola scivolano via come seta, e anche la colazione ha un sapore diverso. I materassi... Quelli sono ancora ridicoli: sognare mio padre dà luogo a miracoli, ma per tramutare queste cotenne di gallo in qualcosa di simile a piume non basterebbe tutta la misericordia di Pyros.
Dopo essermi lavata, pettinata e profumata, decido di dare sollievo alla mia schiena indolenzita: il buonumore mi accompagna mentre percorro il chiostro del collegio, salutando gli uccellini che scendono a dissetarsi nelle piccole pozzanghere riempite dalla pioggia notturna. Oggi sarà il primo giorno di colloquio, in cui mi verrà chiesto di raccontare quello che mi è successo.

Fino ad ora sono stata trattata nel migliore dei modi: Padre Quart in persona è venuto a ricevermi, ringraziandomi per aver accettato una richiesta così delicata. Nei due giorni che hanno seguito il mio arrivo ho conosciuto Sir Arles, il Comandante dei Paladini, Padre Horace Ashby, il Rettore del Collegio dove si trova la mia stanza, e molte altre personalità importanti di questo monastero. Hanno fatto del loro meglio per mettermi a mio agio, forse temendo che avrei potuto cambiare idea.

Le loro paure non sono del tutto infondate, e vantano radici tanto fresche quanto solide. I toni con cui meno di un mese fa mio padre il Marchese aveva risposto alla lettera inviatagli da padre Quart erano stati, per usare un eufemismo, piuttosto categorici. Egli non avrebbe consentito all'uomo che aveva avuto l'ardire di penetrare nei giardini del Palazzo di Beid di tornare sul suo territorio, tanto meno per porre a sua figlia domande di qualsivoglia tipo; di contro, comunicava il suo rammarico per aver appreso che l'altra sua figlia era stata inviata nientemeno che a Delos, fatto di cui egli non era stato messo a conoscenza.

Il rammarico è un sentimento di amarezza o contrarietà: per una persona normale può essere talvolta simile al rimpianto o al disappunto. Per il Marchese di Beid è qualcosa che può essere considerato simile a un fulmine che colpisce il tronco di una quercia secolare: il lavoro di molti, moltissimi anni che diventa cenere nel giro di pochi istanti. Questo, se lo so io, lo sanno di certo anche Sir Arles, Sir Bruno e Padre Quart. Il primo e il terzo hanno scritto entrambi una lettera di scuse, mentre il secondo è partito da Chalard per non fare più ritorno.

Quando tutto sembrava ormai perduto gli Dei sono scesi a mettere una pezza su questo disastro diplomatico, facendo spuntare dal nulla Lord Albert con tutti i suoi soldati. Alleanze impreviste, un monastero attaccato e a rischio di cadere, forse il primo di una lunga serie. La barba incolta di Lord Albert ha fatto cadere i pochi capelli che erano rimasti ai Padri di Noyes, ma ha anche provocato il loro perdono da parte del Marchese: trenta soldati a Noyes, cento a Foucault, e altri ancora a presidio delle strade e dei passi principali a scongiurare qualsiasi pericolo di attacco. Questa è stata la seconda risposta di Beid, della quale faccio parte anch'io: visto che colui che fu mio compagno di cella non poteva venire a trovarmi, ho convinto mio padre il Marchese a farmi portare da lui.

"Sono la fidanzata di Sir Thomas: chiedo che mi sia concesso l'onore di accompagnarlo in questo incarico".

e ancora:

"Vi prometto che farò del mio meglio per riportare a casa Solice".

ma soprattutto:

"Voi più di tutti sapete cosa mi è capitato in quelle grotte, e potete comprendere il mio desiderio di fare giustizia dei responsabili: se quest'uomo conosce un modo per arrivare a loro, non posso esimermi dall'aiutarlo nella sua ricerca... e dall'apprendere quelle informazioni".

Sono qui perché mio padre il Marchese ha ascoltato le mie argomentazioni, perché ha avuto fiducia in me. Ho aspettato a lungo questa occasione e ora devo sfruttarla al meglio, affinché la mia visita sia fruttuosa: l'uomo con cui sto per recarmi a parlare è già in debito con me, e presto farò in modo che lo sia ancora di più. Scoprirò la verità sulla mia prima madre, sugli individui che mi hanno rapita... e su Amon.
E poi, finalmente, darò corso alla mia vendetta.



18 novembre 518, qualche ora più tardi

Il tramonto spinge il sole verso il basso, nascondendone i raggi dietro alla Torre che ruba il suo nome e tingendo l'aria di tonalità autunnali. Domani chiederò a Padre Quart di accompagnarmi dentro quell'austero edificio: voglio salire fino in cima, guardare la campagna da lassù. Mentre percorro il sentiero di ciottoli che conduce alle stanze del collegio ripenso al mio primo dialogo con Netjerikhet Zauemia Ruinethot... Quanto lo odiavano i genitori per avergli trovato un nome del genere? forse volevano una femmina. A parte questo, non avrei mai immaginato di...

"Quanta fretta! Ti aspetta forse qualcuno?"

Come dicevo ieri, il rumore di questo posto riesce a volte ad essere fastidioso. Qualsiasi governante strilla come se stesse parlando con...

"Sto parlando con te. Sei sorda, forse?"

Mi volto in direzione della mia inattesa interlocutrice: è una delle graziose fanciulle della biblioteca, e sembra avere più o meno la mia età.

"Allora sei muta, oltre che sorda..."

La maleducazione è un malanno fastidioso: parte dalle campagne, ma basta perderla di vista un attimo e la ritrovi nelle città, nei castelli... ovunque. Questo collegio, apprendo amaramente mentre mi accingo a rispondere, mostra di non essere immune a tale infausto contagio.

"Scusate, ma non credo di conoscervi: di grazia, a che titolo avete intenzione di prendere il mio tempo?"

Sorride. "Sei stronza come pensavo, Rosalie. Stronza e altezzosa."

Oh Dei, e adesso questa chi è? La osservo, certa di non averla mai vista prima d'ora. Mora, occhi scuri... un serpentello a forma di treccia che scende da un lato del viso. Vuoto totale. La osservo per alcuni secondi: mi guarda fissa e mi riempie di insulti, mentre sorride. Stronza, e sorride. Stronza e altezzosa, e sorride. Stronza, altezzosa, arrogante, assassina... Assassina? Rifletto. Ecco la scorciatoia che mi porta sulla buona strada. Tra un insulto e l'altro comincio a riconoscere l'accento. D'improvviso, sono io a sorridere.

"Interessante: e così fanno studiare anche voi in questo collegio. Magari è l’occasione per imparare come si ricostruiscono le case…"

La cugina arde di di odio e rancore: parla di mio padre e dei miei fratelli, colpevoli di averle ucciso i familiari. Alzo le spalle. e allora? non sei l'unica orfana di guerra. Potrei parlarti anch'io di mio padre e di come è stato ucciso, o di tanti altri genitori morti con e senza la spada in pugno. Servirebbe forse a qualcosa? Non sei disposta ad ascoltermi, proprio come io non intendo ascoltare te. Quello che vorresti fare, invece, è saltarmi addosso qui nel cortile. Eppure, vedo che ti trattieni. Come mai?

Alle galline non insegnano l’autocontrollo. A dispetto delle sue maniere da contadina manesca, questa ragazza non è una popolana. Quando le chiedo il nome risponde a improperi, segno che dev’essere insignificante. Il nome di suo padre, forse? seguono altri insulti: insignificante pure lui. Un Dominus forse, o magari un cavaliere. Perché sto sprecando il mio tempo con te, gallinella di Keib? Che siano i Padri di Noyes a farti da fattore. Riprendo il mio passo, ignorandola. Poi arriva la sfida, soffice come un guanto, sulla nuca.

“Dormi bene, stanotte".

Mi allontano senza voltarmi, soffocando il giullare impazzito che ride a squarciagola dentro di me. Dormi bene anche tu, cuginetta, sappiamo entrambe che ti manca il coraggio per fare alcunché.

Rosalie Lambert - Immagine 4
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7 novembre 518
Giovedì 27 Gennaio 2011

Caccia notturna.

Corte Fabris, signoria di Ratel, Baronia di Laon.


Testimonianza di Ernst Whale, contadino


Sono arrivati nel cuore della notte. Io e mia moglie stavamo dormendo, quando abiamo sentito forti grida che provenivano dalla casa accanto. Ho detto a Adelaide di restare a letto, mi sono alzato ed ho aperto la finestra per capire che stava succedendo.
Davanti, nell'aia, non c'era nessuno ed era buio pesto. Ma con la finestra aperta si sentivano meglio le grida dei vicini, che chiamavano aiuto, invocavano pietà.
"Ernst! Che sta succedendo!" mi ha chiesto Adelaide, saltando giù dal letto, "che cosa..."
"Chiuditi in cantina coi bambini", le ho ordinato. "Io vado a vedere".
Infilo gli zoccoli e la mantella, scendo le scale, mentre sento di sopra i passi trafelati di mia moglie che sveglia i piccoli, li infagotta in fretta, tranquillizzandoli a bassa voce. Rivolgo una silenziosa preghiera a Pyros, che ci protegga, poi prendo l'attizzatoio dal caminetto e mi avvicino alla porta di casa.
Da fuori le grida dei vicini continuano.
Spingo piano le imposte della finestra di cucina per dare un'occhiata all'aia, che è ancora deserta. Poi mi avvicino alla porta di casa e la apro.
E' una notte fredda e dall'odore di brina capisco che l'alba non è lontana.
La porta accanto alla mia è spalancata, da dentro scorgo della luce.
Noi siamo povera gente, nessuno qui chiude a chiave la porta, nessuno ha soldi da buttare per una serratura, e nessuno ha in casa niente di prezioso che valga la pena rubare.
Ma proprio mentre faccio questo pensiero, riconosco le grida di Clarisse, la figlia adolescente dei miei vicini. Un fiore delicato, un piccolo tesoro.
La prima a correre fuori dalla casa è una donna. La riconosco più dalla voce che dalla figura, che è infagottata in un mantello e in un'armatura. "Io vado al fienile!" sta dicendo lei, mentre avanza con una spada in mano ed una torcia nell'altra mano, "voi muovetevi subito ai cavalli!"
Mi passa accanto, non si accorge di me, provo a colpirla con l'attizzatoio.
Sbatto su qualcosa di duro, lei non sembra ferita. Si gira verso di me e mi punta la spada. "Sparisci, se non vuoi morire" mi dice. Serissima.
"Chi siete..." provo a domandare. Lei avanza di un passo nella mia direzione, costringendomi ad arretrare. "Sono Martha. Ora inizia a correre... e ringrazia che non ho tempo da perdere".
Che avrei dovuto fare? Sono un padre di famiglia, ho delle responsabilità verso i miei figli, verso mia moglie... senza di me loro sarebbero perduti.
Ho iniziato ad arretrare lentamente, sempre stringendo in mano l'attizzatoio.
Lei, Martha, avanza verso il fienile, all'altro lato dell'aia. Subito dietro di lei esce dalla porta un uomo armato, che mi rivolge un'occhiata arcigna. E immediatamente dopo ne esce un altro, con tra le braccia un grosso fagotto che si muove debolmente.
"Fermatevi..." provo a dire, ma la voce mi muore in gola. L'ultimo che esce dalla casa è il più grosso della banda, armato di mazza e con una faccia patibolare. Fa alcuni passi verso di me, mi vede incespicare all'indietro e scoppia a ridere.
Succede tutto velocemente. Martha dà fuoco al fienile, gli altri corrono verso le betulle in fondo all'aia, dove avevano lasciato dei cavalli. E si danno tutti alla fuga.
Aspetto qualche istante, ansimando. Poi mi faccio coraggio ed entro in casa di Georg, il mio vicino. Tutto tace.
"Georg..." provo a chiamare. "Sono io, Ernst..."
La casa è buia, si intravede solo un chiarore irregolare che proviene dalla cucina, che sta sul retro. Mi inoltro di qualche metro e sento odore di fumo. "Georg!" chiamo ancora, stavolta a voce alta. Entro in cucina. Una tovaglia sta bruciando, ed illumina le sagome sinistre di tre persone riverse a terra. Riconosco il mio amico, sua moglie e il figlio maggiore, un ragazzo di quindici anni. Stanno a terra, in una pozza di sangue.
"Oh, Dei..." mormoro, mi chino su di loro, nessuno respira. L'aria stessa si sta facendo più fumosa, tanto che ricordo finalmente di avere ancora in mano l'attizzatoio: prendo con la sua punta la tovaglia in fiamme, spingendola nel caminetto spento, prima che provochi un incendio.
"Il fienile..." mormoro amaramente. Per il fienile c'è poco da fare... eppure qualcosa bisogna fare.... Sono l'unico uomo della corte, ormai, e solo Pyros sa come potrò placare le fiamme.
Ai pozzi, al torrente, mobilitare gli uomini delle corti vicine.... ma proprio mentre sto per uscire da casa mi sento chiamare da una vocina debole. "Ernst... sei tu?"
Mi si gela il sangue nelle vene. E' il piccolo Gabriel, il più piccolo dei figli di Georg, un bambino di cinque anni. Lo vedo uscire tremante dal sottoscala, con i piedi scalzi e la camicia da notte indosso.
"Non guardare!" gli ordino.
"Sono... tutti morti, vero?" chiede lui.
Sospiro. "Vieni, ti porto a casa mia, Adelaide ti scalda un po' di latte".
"Tutti..." mormora lui, e mi segue a testa bassa.



Testimonianza di Samuel Horton, soldato

Quei bastardi hanno fatto l'errore più grande della loro vita, questo è poco ma sicuro.
Hanno sconfinato.
Lo sapevamo già che c'erano questi banditi, criminali sanguinari capeggiati da una donna, e che da qualche settimana non facevano altro che tormentare Navon, Luceen, quei posti lì. E non è che ci volesse un genio a capirlo, il problema era proprio legato a chissà che trascorsi tra questa banditessa, Martha, e Sir Andrè. D'altronde lo sanno tutti che è un donnaiolo, chissà che sarà successo tra di loro, per suscitare una simile voglia di vendetta.
Mah, fatti loro, dico io. Fatti loro e di quei poveracci villici di Sir Andrè, che come sempre ci vanno di mezzo... e comunque peggio per loro.
Ma stavolta Martha e i suoi complici hanno sconfinato. Attaccando Corte Fabris sono entrati nel territorio della Signoria di Ratel, e qui a Ratel non si scherza.
Magari, ironia della sorte, nemmeno se ne sono resi conto di avere sconfinato... ma al mio Dominus non interessa. Come non gli interessa se a capeggiare la banda è un bandito, una banditessa, un orco o un adoratore degli Dei oscuri. Si dice che in passato ne abbia fronteggiati a dozzine... chissà se è vero, ma potrebbe anche essere.
Ho portato io stesso la notizia al Castello, ed ho avuto l'onore di parlare con il Dominus in persona. Era tarda mattina, lui sedeva sul molo ai piedi delle mura, insieme a un paio dei suoi figli, ed insegnava loro a pescare.
Quando mi ha visto si è alzato, allontanandosi dai bambini per non farli sentire. Gli ho raccontato dell'assalto alla corte, del rapimento della ragazzina e dell'assassinio di quel contadino, della moglie e del figlio maggiore. Il Dominus ha ascoltato tutto con attenzione, adombrandosi poco a poco.
"Non possono passarla liscia", ha detto poi, quasi con rimpianto. "Stanotte li andiamo a stanare". Poi si è rivolto ai due ragazzini, ordinando loro di rientrare nel castello.
"Partiamo al tramonto, portami cinque tuoi compagni dei migliori. E che non abbiano paura dei cani".
Sento un brivido per la schiena. Il Dominus vuole utilizzare nella caccia i tremendi cani di sua moglie, Lady Dorothy. Che Harkel ci aiuti.
Poco prima del tramonto io e cinque dei miei compagni siamo davanti alle porte del Castello. Si sente l'abbaiare di molti cani.
Appena il sole è calato dietro l'orizzonte, le porte si aprono e Sir Porter esce dal castello, attorniato da una mezza dozzina di grossi segugi. Indossa una vecchia corazza di piastre sul tronco, braccia e gambe sono coperte da cuoio rinforzato. Non ha con sè lo scudo, ma soltanto due daghe alla cintura. Eppure sembra incredibilmente a suo agio con un simile equipaggiamento.
Trae da una sacca un vestito, lo fa annusare i cani e quelli iniziano a guardarsi intorno, poi tutti insieme prendono una direzione e iniziano a correre verso il bosco. Li seguiamo.
Sir Porter cammina insieme a noi, a piedi, e a un tratto è costretto a fermarsi a riprendere fiato. "Sono un po' arrugginito", commenta con un mezzo sorriso, "come le mie daghe".
I cani, quasi potessero intuire la volontà del Dominus, rallentano il passo, anche se continuano a muoversi senza esitare nella stessa direzione, verso sud, lungo il fianco di una collina.
Raggiungiamo il crinale quando il cielo è ormai scuro, e le prime stelle iniziano a brillare tra le nuvole.
La zona boscosa che divide Ratel da Navon è ampia e fitta, attraversata da pochi sentieri. Offre infiniti ottimi rifugi a dei fuggiaschi, e senza un valido aiuto cercare Martha e i suoi compari sarebbe come trovare un ago in un pagliaio.
Ma per fortuna noi abbiamo un aiuto, un aiuto spaventoso e quasi sovrannaturale: i cani di Lady Dorothy non conoscono esitazione, e appena raggiunto il crinale iniziano la discesa muovendo lungo il percorso meno intuitivo, il più scoperto e diretto verso Sud.
Poco a poco i cani iniziano a manifestare un'eccitazione crescente, sembra che la preda sia vicina. Sir Porter ci fa cenno di tenerci pronti, avanziamo di buon passo verso il nemico con le armi in pugno.



Testimonianza di Josh "Manigrosse" Kayafils, bandito

E' stato un attacco improvviso e velocissimo.
Ci sono piombati addosso prima i cani, circondandoci da ogni parte. Poi gli uomini, cinque o sei in tutto, capeggiati da un vecchio combattente armato di due daghe che poi, con sorpresa, ho scoperto essere il Dominus di Ratel.
Abbiamo avuto il tempo di prendere le armi prima che ci arrivassero addosso, Martha ci ha gridato di resistere e di mandarli all'inferno, Robert ne ha steso uno con un colpo fortunato alla gola.
Ma ben presto ho capito che era persa.
Caduto il soldato, su Robert si è scagliato quel vecchio demonio, con due daghe ed un'agilità sorprendente per la sua età. L'ha colpito ripetutamente, fino a lasciarlo a terra rantolante.
Io ho subito gettato la spada gridando "mi arrendo! mi arrendo!" mentre quella pazza di Martha corre verso la ragazzina, le punta la spada sotto la gola urlando ai nostri assalitori di andarsene, altrimenti l'avrebbe sgozzata.
Ho colto un attimo di esitazione nei loro sguardi, ma poi il vecchio senza tanti complimenti fa due passi verso Martha. "Non peggiorare la tua situazione, è già abbastanza brutta".
"Avvicinati e l'ammazzo!" insiste lei, ormai come impazzita.
"Lascia la ragazzina e getta la spada"
"Mai!"
Accade contemporaneamente: lui trafigge Martha, mentre Martha colpisce alla gola la ragazzina.
Il resto è storia. Sia Martha che la ragazzina sono sopravvissute, l'una è stata portata come me prigioniera al castello di Sir Porter, l'altra rispedita a casa sua. O a quel che ne è rimasto.
Lungo la via del ritorno, il soldato che mi aveva in consegna aveva voglia di parlare.
"La cosa che mi piacerebbe sapere" mi dice mentre avanziamo per il bosco al lento passo dei feriti, "è se avevate capito sì o no di aver sconfinato nel territorio di Ratel"
Scuoto il capo. "Non sono di queste parti", rispondo.
"Eh... è stato un grosso errore, credimi. Il nostro Dominus è una persona tranquilla, ma non gli si possono fare sgarri, altrimenti si paga amaramente".
Non ho niente da dire, in effetti pagheremo amaramente, penso tra me. Ma il soldato insiste con le sue domande.
"E come mai stavate facendo guerra a Navon? Era un problema personale tra la vostra capobanda e il Dominus?"
Mi stringo nelle spalle. "So che si conoscevano, sì. Non conosco però i loro trascorsi".
"Ehh... quel Sir Navon, lo dicono tutti che era un donnaiolo... sembrava avesse messo la testa a posto, ultimamente, ma poi con tutto quel che gli è capitato..."
POvero me, mi è toccata una comare come sorvegliante, invece di un soldato.
"Non lo so", rispondo tentando di chiudere in fretta. "Non ne ho idea nè mi è mai importato qualcosa".
"Ah... ma della ragazzina sì, te n'è importato eccome, eh?"
Lo sapevo, lo sapevo che era lì che sarebbe andato a parare. E questa sua morbosa curiosità non lo rende poi così migliore di me, questo bastardo.
"Vuoi sapere se l'ho stuprata anche io?" gli domando.
Lui esita, si volta a guardarla, a guardare quella poveretta che avanza zoppicando al fianco del Dominus, avvolta in un mantello non suo. Poi annuisce.
"L'hai fatto?"
"Sì, l'ho fatto. E se non la smetti di fare domande, toccherà presto anche a tua sorella", rispondo tranquillo.
"Eh?", il soldato trasale: "non ti permettere a dire mai più una cosa simile!"
Non dico più nulla.
Tutto questo è già abbastanza penoso.
La nostra grande fuga, iniziata a Spandel qualche mese fa, si conclude qui, nelle prigioni del castello di Ratel.
scritto da Annika , 14:19 | permalink | markup wiki | commenti (2)
 
12 ottobre 518
Lunedì 15 Novembre 2010

12 ottobre dell'anno degli Dei 518
Bosco di Navon


"La nebbia porta sempre il sole", diceva suo padre, il vecchio Pjotr. "Esci tranquillo nella nebbia, perchè l'Occhio di Pyros sorgerà presto a scaldarti".

Eppure quel mattino Yesso Bravo, mentre avanzava trascinando il suo carretto tra gli alberi, si sentiva inquieto.
La nebbia era densa, biancastra, e attraverso di essa riusciva a stento a scorgere i tronchi scuri ricoperti di edera.
Yesso conosceva bene quel sentiero, che da Luceen arrivava nel fitto del bosco, e avrebbe potuto percorrerlo ad occhi chiusi. In una radura più avanti, oltre un leggero avvallamento, il giorno precedente aveva abbattuto una grossa quercia malata, ed oggi bisognava farla a pezzi e portare la legna in paese.

"Mai che qualcuno si offra di darmi una mano", borbottò tra sè con voce appena più alta del necessario, per farsi un po' di compagnia da solo. Il bosco assorbì le sue parole, che si dissolsero nell'aria ovattata.

Ogni volta che superava la deviazione del sentiero che portava al Prato di Neve, il luogo in cui l'inverno prima era stato trovato il corpo di Ludmilla, Yesso Bravo si fermava e si raccoglieva in una breve preghiera.
Così fece anche quel mattino.
Poggiò a terra i due manici del carretto, accompagnandolo con attenzione per non far cadere l'ascia a terra, poi sciolse i muscoli contratti delle gambe, in particolare di quella gamba sinistra che ancora ricordava, nelle giornate umide, l'impronta della morning star del vecchio Bob Delmontesque.
Chiuse gli occhi, sospirò. "Abbi misericordia, oh Kayah, dell'anima della dolce Ludmilla, e aiuta il nostro signore Sir Andrè a trovare e punire chi le ha fatto del male".

Yesso non era bravo con le parole, rimase qualche istante in raccoglimento e poi riaprì gli occhi, per rimettersi in cammino.
Ma, mentre si chinava per sollevare nuovamente il carretto, scorse con la coda dell'occhio un movimento, un lembo di stoffa, lungo il sentierino per il Prato di Neve.
"Ehi, chi è là!", chiamò. Nessuna risposta.
In una giornata diversa Yesso avrebbe lasciato perdere. Avrebbe ripreso il suo carretto e sarebbe andato a tagliare la legna. Molto spesso d'altronde gente di Luceen, specialmente le donne, andavano a portare fiori e a pregare al Prato di Neve, non c'era niente di così insolito.
Eppure quel mattino c'era qualcosa nell'aria, qualcosa che spinse Yesso a raccogliere la sua ascia dal carretto, e ad incamminarsi, lentamente e con cautela, lungo il sentiero per il Prato di Neve.
A terra, nel fango impiastrato di foglie secche, si scorgevano impronte recenti, senza dubbio di più persone.
Yesso strinse più forte l'impugnatura della sua ascia.

Yesso ricordava bene il gennaio dell'anno passato, quando insieme ad altri uomini di Luceen era andato a recuperare il corpo di Ludmilla. Ricordava l'aria limpida, la neve bianchissima, i raggi del sole che filtravano tra i rami secchi degli alberi. Ricordava ogni asperità del sentiero, che tanto li aveva messi in difficoltà nel trascinare il carretto. Ricordava le strettoie, le pietre affioranti, e tanto più ricordava il silenzio opprimente dei suoi compagni, gli sguardi tesi, le voci sussurrate appena sulle orribili condizioni del corpo da poco ritrovato.

Quel mattino il sentiero era molto diverso, senza neve, senza luce, appariva quasi velato da un sogno.
Yesso avanzava cercando di scorgere di nuovo la sagoma che aveva intravisto nella nebbia, ma senza riuscirci. Eppure le impronte erano reali, non era stata un'impressione, nè un fantasma.
Un fantasma... Yesso non credeva ai fantasmi, anche se le lunghe notti degli anni trascorsi alle Parole d'Oro lo avevano abituato a sussultare ad ogni fruscio, a difendersi da ogni ombra.

Mancava ormai poca strada al Prato di Neve, e Yesso percorse gli ultimi metri nella nebbia trattenendo il fiato, come se stesse entrando in una chiesa.
Aveva piovuto nei giorni passati, la terra era fangosa, e al centro della radura si poteva scorgere la grande pietra bianca che ricordava il punto in cui giaceva il corpo di Ludmilla. Una pietra grezza, piuttosto piatta e liscia, spesso ricoperta dai fiori.
A parte la pietra, la radura appariva deserta.

Anche quel mattino c'erano dei fiori, notò Yesso mentre avanzava con cautela, stringendo l'ascia tra le mani. Fiori sparpagliati, rossastri, disordinati...

"Santi Dei..."
Il respiro gli si fermò. Non erano fiori.
Una mano blasfema aveva tracciato sulla pietra bianca degli scarabocchi ripugnanti e volgari, scritte oscene, utilizzando il sangue di uno scoiattolo che giaceva buttato a terra ai piedi della lapide.
Yesso si chinò, posò due dita sulla carcassa, era ancora tiepida: chiunque avesse commesso quella profanazione non poteva essere lontano.

"Ehi tu!" gridò forte Yesso, rivolto alle ombre degli alberi nella nebbia, tutto intorno a lui. "Come hai osato, esci fuori!"
Aveva gridato d'istinto, senza pensarci. Ma subito il timore di chi potesse essere stato l'autore di un simile gesto gli strinse lo stomaco. L'assassino di Ludmilla era tornato? Oppure chi altri avrebbe potuto compiere un simile assurdo sacrilegio?
Udì un fruscio alle sue spalle, strinse forte l'ascia e si voltò.

Arrivò prima il rumore dello scatto oppure il dolore? Yesso non avrebbe saputo dirlo, mentre scivolava a terra con un dardo di balestra conficcato nella gamba. La solita sfortunata gamba sinistra.
L'ascia gli sfuggì di mano, mentre il calore del sangue si diffondeva intorno alla ferita. Rovinò a terra, nel fango, incapace di alzarsi.
"Per... perchè..." mormorò, col cuore che pompava disperatamente.

"Yesso!", si sentì chiamare da voce di donna.
"Chi..."
Dalla boscaglia emerse una sagoma femminile con la balestra in mano, una mantella scura sulle spalle, i capelli ormai lunghi raccolti in una coda di cavallo. Sembrava in forma, abbronzata, i suoi lineamenti erano induriti ed una cicatrice nuova le tagliava in due un sopracciglio.
"Martha..", biascicò sorpreso.
Lei avanzò di qualche passo verso di lui. Alle sue spalle, nella nebbia, Yesso riuscì a scorgere alcuni movimenti: la ragazza non era sola.
"Ho un messaggio per il tuo Signore" disse lei osservandolo dall'alto in basso. "Puoi dire a Sir Navon che sono tornata per lui. Per lui, e per la sua stupida Paladina bionda del cazzo".

"Martha ma dove... sei stata tutti questi mesi, che ti è..." provò a dire Yesso, incredulo. Il dardo era conficcato in profondità nella sua coscia, gli rendeva difficile anche solo ragionare. Parlare era quasi impossibile.
Lei si avvicinò ancora di un passo, chinandosi accanto a lui.
"Lo saprai presto, amico mio. E non saranno belle giornate. Credimi".
Detto questo, Martha si alzò di nuovo in piedi, incamminandosi verso gli alberi. Poco prima di svanire nella nebbia si fermò un momento.
"E buona festa di Reyks", aggiunse. Dopodichè si allontanò.



scritto da Yesso Bravo , 12:28 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
11 settembre 518
Venerdì 11 Giugno 2010

Speranze future

Il rancore non è diminuito. Non più di ieri, almeno.

Quanto tempo è passato? Due settimane, forse... Sicuramente non più di tre. Alla rocca dell'Aquila fa buio presto, nonostante il sole d'estate... ed è facile perdere il conto quando non esci. Nasconderli alla mia vista non è comunque servito: in questi giorni riuscivo ugualmente a sentire le loro voci, a distinguere quei fastidiosi e sommessi mormorii. I Signori dovrebbero servire i loro sudditi, mi diceste una volta, quando eravate in vena di aforismi. Se fosse vero, padre, avrei fallito il mio compito: le morti di Lisa e del bambino che aveva in grembo privano questo feudo di un erede e distruggono le prospettive di speranza costruite in dieci lunghi anni. Se fosse vero, padre, questi uomini avrebbero tutto il diritto di odiarmi.

"Lord Thedor... vi imploro..."

E' tardi per questa conversazione, padre. Avreste dovuto pensarci prima di farvi carico di questo ingrato fardello. Cosa pensavate di fare, qual era il vostro piano...

"Niente... non volevamo fare... niente. Vi scongiuro... Voi conoscete la misericordia, lo avete dimostrato più volte. Ve lo chiedo in ginocchio, ripensateci...".

Avete ragione, padre: conosco la misericordia. E' per questo che siete ancora vivo. Adesso datemi i nomi che vi ho chiesto.

"Non c'è nessuno, Lord Thedor... nessuno vi ha tradito, nessuno che vi abbia in..."

La misericordia, padre, è una concessione che doveste sforzarvi maggiormente di meritare. Un privilegio che conto di revocare al più presto, qualora vogliate persistere in questo ostinato e colpevole silenzio. Davvero pensate che io sia così stupido, così facile da ingannare? Ho anch'io un aforisma per voi, padre: i Sacerdoti dovrebbero pregare, non predicare. Ho ascoltato personalmente quello che dite durante le vostre funzioni. Ero lì. Non mi avete riconosciuto, forse? Non mi stupisce: sapete così poco di me, eppure non vi fate mancare nulla nel descrivere le mie mancanze agli occhi degli Dei. E nell'elencare i miei errori non fate mistero di auspicare il ritorno di una dinastia ormai estinta, dimenticando che ha portato questo feudo sull'orlo della distruzione. Ditemi, padre, quand'è che siete diventato così distratto?

...

Cosa c'è, non dite più nulla? D'accordo, continuate pure a tenere in piedi la vostra sciarada. Ve lo prometto, farò sì che possiate riscoprire presto il dono della parola. Prima che le guardie vi riportino in cella voglio che sappiate un'ultima cosa: oggi ho ricevuto la lettera che stavo aspettando. Presto mi recherò presso la Marca di Beid, dove avrò modo di discutere con il Marchese alcuni dettagli relativi al vostro futuro. Conoscete la Foresta di Veremar, padre? Dicono che quel posto sia in grado di offrire esperienze particolarmente intense. E pensate... se ho ben inteso il senso di quella lettera c'è persino la possibilità che questa Baronia possa ospitare presto un nuovo matrimonio.

Anche se temo che non sarete voi a celebrarlo...

scritto da Thedor Korzeniowski , 18:27 | permalink | markup wiki | commenti (2)
 
23 agosto 518
Venerdì 16 Aprile 2010

Notte dopo notte.

"Siete un uomo di fede?"
L'innocenza. "Siete un uomo di fede?"
No. Non sono un uomo di fede.
"Credi in me?"
L'ombra come sempre si avvicina silenziosa per invadere i miei sogni.
"Va' via". Non mi ascolta. Non mi ascolta mai.
Si avvicina ancora, poi il suo sguardo cade sul ciondolo che porto al collo.
"Toglilo!" mi ordina.
"No".
"Toglilo subito...."
"No".
"Ti prego.... non vorrai lasciarmi sola...."
Devo resistere. Per l'ennesima notte, per l'ennesima volta... devo resistere. Ma la sento piangere sommessamente ai piedi del letto, il suo lamento è straziante.
"TI prego, ti prego Andrè, tu lo sai che hai bisogno di me... che soltanto io posso darti ciò di cui hai bisogno per placare la tua sofferenza".
"Vattene".
Ogni sua lacrima mi brucia sulla pelle, ogni suo singhiozzo mi toglie il respiro.
"Vattene."
"Ama colei che ha ucciso la donna che amavi e le ha strappato il cuore".
"Vattene!"
Stringo la mano sul ciondolo, mi sembra scottare. Non ti amo, non ti amo, non ti amo. Sei un mostro, sei soltanto un mostro, una creatura dannata, una maledetta strega.
"Sangue del tuo sangue".
"No!"
"Perchè fai così, Andrè? Nemmeno più i sogni ci rimangono per stare insieme? Nemmeno qui, nell'unico angolo di libertà che abbiamo... perchè mi rifiuti?"
Sospiro. E' straziante.
Mi si avvicina, protende la mano per accarezzarmi, ma è come se qualcosa la trattenesse, un muro invisibile tra di noi.
"Leva quel ciondolo, ti scongiuro..."
Scuoto il capo. "Lasciami stare, va' via".
Tutto si fa buio intorno a me. Nel silenzio si sente il mio respiro sofferente e il vento fuori dalla finestra. Forse adesso potrò riposare, forse adesso troverò pace. Lady Solice... se voi poteste vedermi in questo istante.
Ma eccola ancora.
"Ti amo".
"Ti amo..."
"... ti amo ti amo ti amo ti amo..."
...
Basta... ti prego smettila!
"Ti amo! Ti amo! Ti amo!"

Mi alzo di soprassalto, in un bagno di sudore. Il sogno è così vivido, così reale.
Ce l'ho fatta, sorrido tra me. Ci sono riuscito.
...
Ludmilla, mio pubblico invisibile. Le mie mani sono ancora mie. Il mio cuore, le mie gambe, il mio cevello. Sono io. E anche se non sono degno.... questa notte facciamo finta che io lo sia.
Perchè ogni notte sarà battaglia. Ogni singola notte... ed ho bisogno di aiuto.


scritto da Sir Andrè Navon , 23:18 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
14 maggio 518
Giovedì 15 Ottobre 2009

Risposta.

Mia spiritosa benefattrice,
siate pur certa la fiamma che arde nel mio cuore è dono di Pyros, come l'occhio di Kayah è il brillante che orna la mia collana.
Mia, sì. Perchè se questa vostra strana e pietosa lettera ha come scopo quello di reclamare indietro il dono che mi faceste, beh... avete consumato inutilmente dell'inchiostro.
"Ricorda sempre quello che sei". QUale condanna peggiore, quale insulto peggiore potevate immaginare per una donna come me, dalle origini tanto umili? Eppure sono orgogliosa di dimostrarvi che no, non solo non ricordo quello che sono, ma che non sussiste più alcun legame con la mia misera vita passata. La mia collana è stata la fonte del mio coraggio, grazie ad essa ho ricordato non "chi sono", ma "chi sarei potuta essere". E lo sono diventato realmente.
Non capisco quanto siete seria, nella vostra lettera. Non capisco di cosa vi scusiate, non capisco cosa vi affligga.
Non ho bisogno di aiuto nè di protezione, so badare a me stessa, so bastare a me stessa.
E non sono mai stata tanto fiera di me.
Solice. Ecco finalmente il vostro nome, un nome che non ho mai sentito. Realmente mi incuriosite. Perchè un simile dono? Perchè adesso una lettera tanto incomprensibile?
Chi siete, Solice, cosa vi muove?
Dopotutto mi piacerebbe scoprirlo.
scritto da Lynn , 21:57 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
15 maggio 518
Sabato 19 Settembre 2009

Un'esperienza.

Strane persone.
Lady Nina mi aveva avvisata, d'altronde, che sarebbe stata un'esperienza. Per le cose che abbiamo fatto, effettivamente avventurose, ma soprattutto perchè ho avuto modo di conoscere più da vicino degli "avventurieri". Beh, se prima avessi avuto dei dubbi, ora so che la loro non è una vita che fa per me.
Le ragazze sono simpatiche.
Desiree specialmente è una persona cordiale, alla mano, molto gentile. E' stata la prima a parlarmi, e mi ha dato l'impressione di rendersi conto dell'originalità dei suoi compagni. Sicuramente è la più normale tra tutti quanti, l'unica con cui penso che potrei, con un po' di tempo, diventare amica.
Solice anche è gentile e disponibile, ma il fatto di essere una paladina me la fa sentire più distante, più lontana dal modo semplice di vedere le cose che ho io, che ha la gente qualunque.
Ma devo dire sono i ragazzi quelli più curiosi, che più mi hanno messa in difficoltà.
Loic ed Elias, specialmente.
Molto legati, molto amici, ma con una strana attitudine non paritetica, come se Elias considerasse Loic una sorta di guida spirituale, o qualcosa del genere. Tant'è che ha cambiato atteggiamento verso di me a un certo punto, inizialmente era molto cortese, garbato (a parte un po' goffo quando mi è cascato addosso nella galleria), e poi, dopo aver visto l'attitudine di sufficienza con cui mi trattava il "signor Loic", ha iniziato a sua volta a essere spocchioso nei miei confronti.
Eric è un tipo taciturno e burlone, sembra sempre un po' distaccato dagli altri, come se sapesse sempre qualcosa che gli altri ignorano, e fondamentalmente glie ne importasse comunque poco. Con me è sempre stato gentile, anche se poco socievole.
Guelfo... strano, forse quello che mi ha messo più paura. Apparentemente piuttosto cordiale, anche se sempre con una certa vena derisoria, di colpo ha scatti di collera spropositati, fa minacce molto gravi (non a me direttamente, per fortuna), e insomma sembra uscire dai gangheri con enorme facilità. Da come parla, sembra essere uno studioso di arti occulte, forse uno stregone. E uno stregone iracondo e impulsivo è un tipo di persona che mette davvero inquietudine! Io credo che gli siano capitate molte disavventure, solo così si spiega una simile attitudine verso il mondo...
E infine... Youri.
Beh, bel tipo. Silenziosissimo, chiuso e molto più grande di età degli altri, a volte mi è sembrato che parlassero di lui come del loro "capo". Beh, io immaginavo che un capo fosse il rompiscatole principale di un gruppo, quello che decide, parla, dice, ordina e così via. Invece raramente ho visto una persona discreta e taciturna come lui. Poche parole, ma sempre presente e attento. Secondo me dietro quello sguardo schivo nasconde un passato davvero interessante. Peccato che non me lo racconterà mai.
Adesso sto qui a Adison Hill, in ansia per la mia signora e i miei compaesani. Ma ho fiducia in Sir Hector, e anche in quella strana combriccola di avventurieri con cui sono arrivata fin qui.
Prego Dytros che il bene trionfi... e sono orgogliosa di aver dato il mio piccolo contributo.


scritto da Claire , 02:25 | permalink | markup wiki | commenti (4)
 
14 maggio 518
Venerdì 10 Luglio 2009

Aspettando l'alba.

L'infelicità assume di notte una colorazione diversa. E' come se rilucesse nel buio, ricoprendo la stanza e il lento scorrere del tempo di una patina bluastra e luminescente, fredda. Si insinua tra le coperte, simile ad un'onda lenta di marea, raggiunge il cuore e si ferma lì, a pesare.
La sento su di me, questa mano fredda che stringe appena la gola, e non ho la forza di ricacciarla indietro. Mi abbandono invece ai ricordi, lasciando che continuino a ferirmi.

Quante volte le mani di Derek mi hanno cinto il collo? Calde e ruvide, coi calli provocati dalle briglie strette per ore e ore ogni giorno.
Allora pensavo fosse soltanto un corriere della Posta Granducale, il migliore, il più rapido e generoso. Ignoravo la sua seconda vita, la "Rosa Bianca", e tanto più ignoravo forse la sua terza vita, il Tradimento.

Ho scoperto più cose su di lui morto di quante non ne immaginassi finchè era in vita. Credevo di conoscere l'uomo che amavo, ma a volte adesso non riesco più a separare i nostri ricordi più belli dal viso incomprensibile dello sconosciuto che ha preso il suo posto.

Derek.
Fingevi anche in quella notte in cui mi hai salvata dal rimorso e dallo strazio eterno? La notte in cui mi hai ridato speranza e vita, in cui hai rimediato al più spaventoso errore che io potessi commettere?
Eri tu o era soltanto una tua maschera l'uomo che galoppava nella tormenta con quel bambino moribondo tra le braccia? Eri tu. Eri tu, Derek... o veramente sono cieca, veramente potrei strapparmi questo cuore e non cambierebbe nulla, perchè è un cuore incapace di distinguere il bene dal male.

L'infelicità consiste nel vedere con chiarezza i propri limiti.
Ed io li vedo, adesso. Riconosco la paura, la debolezza, la contraddittorietà dei miei desideri.
Sei morto, Derek? Sei vivo e traditore? Se tu tornassi da me... sarei disposta a perdonare?

Ieri, mentre cercavo di contattare i ragazzi di Chalard, sono passata alla Stazione di Posta. Ho rivisto il piccolo Josh, mi è venuto incontro tutto sorridente, e l'ho abbracciato. L'ho rivisto per un istante com'era quella notte, bianco, devastato dal vomito, minuscolo tra le tue braccia. Talmente stremato da non avere più nemmeno la forza di piangere. E adesso ha quattro anni, è forte e grassottello, con gli occhi pieni di vita.

Non ci credo, Derek. Non sei un traditore. Ma non riesco nemmeno ad accettare il pensiero che tu possa essere morto, e mi attacco a tutto, anche alle più orribili delle illusioni, pur di avere la speranza di rivederti ancora.

I ragazzi venuti da Chalard sono nei guai, e vorrei tanto riuscire ad avvertirli. Ma come fare? Alla stazione di posta non si sono fatti vivi, nè io posso tornare al Gatto Nero e farmi vedere insieme a loro. Devo trovare un modo... un modo per aiutarli. Non posso deludere anche loro.


scritto da Gailyn , 11:25 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
3 maggio 518
Lunedì 22 Giugno 2009

.. tardi!

Al galoppo raggiungo la tenuta Dillon, nei pressi di Flavigny.
L'aria è limpida, le colline tutto intorno ricoperte da vigneti e ulivi in fiore. E' l'essenza stessa della primavera, la vedo intorno a me e la sento dentro di me, che ribolle piena di promesse. Percorro il sentiero che attraversa la tenuta, supero una strana faglia nel terreno, oltrepasso un piccolo villaggio.
Ed ecco il Palazzo, poco oltre, severo e tanto solenne da farmi battere forte il cuore. Mi sento terribilmente piccolo mentre busso al portone, una semplice guardia civica che osa... no, non posso nemmeno pensarci.
Viene ad aprirmi un domestico, un signore anziano.
"Perdonatemi, il mio nome è Peoh Blood e vengo da Laon. Sono qui per fare visita a Lady Desiree..."
L'uomo mi guarda incuriosito, esita qualche istante e poi risponde: "Milady è partita da pochi giorni, messere"
"Partita? E per dove?" non riesco a nascondere la profonda costernazione che si abbatte su di me. Ma come, parlava nella sua lettera di un periodo di quiete, di tranquillità nella sua tenuta...
"Non ne sono al corrente, e comunque milady non mi autorizza a dare indicazioni sui suoi viaggi. Spiacente".
Sbaglio o noto un sorriso di compiacimento in questo servitore? Sta forse ridendo sotto i baffi? Ride di me? E' contento della mia delusione?
"Sono un amico di Lady Desiree, e sono certo che lei mi direbbe do..."
"Non sono stato avvisato della vostra visita, messere. Quindi vi prego di non insistere".
"C'è suo fratello, Messer Guelfo?"
Il servitore sorride e scuote il capo. "Spiacente, è assente anche lui".
"E nessun modo per contattarli?"
"Beh, se proprio volete potete lasciare a me un messaggio, e quando torneranno glie lo consegnerò", mi risponde. Nei suoi occhietti leggo curiosità e indiscrezione, sono certo che qualsiasi cosa affidassi alle sue mani sarebbe da lui letto e sbeffeggiato.
"Non importa. Ditemi il vostro nome, comunque. Così quando avrò finalmente l'occasione di parlare con Lady Desiree potrò dirle quanto siate stato ligio alla consegna di non rivelare a nessuno la sua destinazione".
Coglie la minaccia? Non lo so, ma mi guarda con chiaro astio mentre risponde: "Sono Mastro Pepper, e dite ciò che preferite a Milady, quando avrete occasione di incontrarla. Cosa che non accadrà oggi... nè tanto presto, presumo!"
Chiudi gli occhi, Peoh, fa un bel respiro, non rispondere a queste insolenze....
Mi volto e torno in sella, reprimendo a fatica la rabbia. Servitore ignorante e maleducato.
Percorro i primi metri allontanandomi da Palazzo Dillon, mentre lascio lentamente sbollire il fastidio e la frustrazione. Dove sei andata, Desiree? Così poco è durata la tua tregua, il tuo breve riposo tra viaggi e avventure? Sei di nuovo in pericolo, chissà dove e chissà con chi, ed io non so come contattarti!
Maledico l'incarico che mi ha tenuto fuori città due settimane, impedendomi di ricevere prima la tua lettera. Se soltanto fossi arrivato qualche giorno prima....
... se fossi arrivato qualche giorno prima... cosa?
Oggi l'ho potuto vedere coi miei occhi: apparteniamo a classi sociali diverse, tu sei una Signora, possiedi grandi terre, tuo fratello è un Dominus insignito dal Barone. E io cosa sono? Una Guardia civica, figlio del popolo, senza beni nè grandi ricchezze. L'unica mia speranza è continuare a farmi valere, e sempre più salire di ruolo nella Guardia. Ratel ha fiducia in me e sempre più mi assegna incarichi di responsabilità, in fondo non devo disperare.
Non sarò mai un Signore, ma posso col mio impegno diventare qualcuno, e lo farò per te, Desiree, perchè tu possa non vergognarti di me, vergognarti di un simile corteggiatore.
Riuscirò mai a ritrovarti? A convincerti della sincerità dei miei sentimenti?
Prego tanto che sia così, perchè non faccio che pensare a te, e voglio con ogni forza stare al tuo fianco.
scritto da Peoh Blood , 12:15 | permalink | markup wiki | commenti (1)
 
10 aprile 518
Mercoledì 29 Aprile 2009

Insalata di more

In mezzo alle cucine del palazzo c'è una sedia nera, grossa e pesante. Lo scalino di pietra su cui è posta la fa svettare al di sopra dei tavoli e dei forni, consentendo al ciambellano un'osservazione precisa e puntuale dell'andirivieni dei camerieri e dell'operato di cuochi.

Ma non oggi. Ora sono io a sedere su quello scranno, stringendo tra le mani una piccola ciotola d'argento contenente quello che per molti anni è stato il mio piatto preferito: insalata di more. Osservo dall'alto le numerose operazioni che vengono compiute in preparazione dell'evento di questa sera: guardo i molti coltelli affilati, ascolto il lamento sordo delle anatre che vengono uccise soffocate dal loro stesso cibo, spinto con forza giù per la loro gola. Ma non è lì che si sofferma il mio sguardo: la mia attenzione è rivolta sulla superficie di un altro tavolo, sul quale una valorosa combattente è prossima a esalare il suo ultimo respiro. Il rumore dei suoi spasmi sempre più deboli riesce ad attraversare la sala, raggiungendo le mie orecchie malgrado il frastuono di servi e di operai.

Quel suono mi fa tornare alla mente la prima volta che entrai qui dentro: questo stesso giorno di molti anni fa. Ero piccola e impressionabile, non avevo mai visto una cucina così grande e affollata: qui dentro ho visto per la prima e unica volta nella mia vita un'aragosta viva. Certo... viva è una parola grossa: il lungo viaggio che quella povera bestia deve aver fatto da Verriére a qui, rinchiusa in un barile d'acqua salata, aveva di certo strappato via gran parte della forza e della voglia di vivere da quel corpo esanime. Eppure, quella corazza rossa e inanimata che giaceva immobile sul tavolo riuscì comunque a trovare la forza di inarcarsi in un ultimo, disperato singulto di vita: e lo fece davanti ai miei occhi, con un violento e rumoroso scatto che ebbe luogo non appena venni a trovarmi a non più di venti centimetri da lei.

Ricordo ogni istante di quello spavento: il pianto, le lacrime, la mia seconda madre che mi strinse forte per consolarmi. Rammento quanto mi sentii ferita accorgendomi che tutti intorno a me lottavano per non ridere, divertiti per lo spettacolo imprevisto che era stato loro inaspettatamente offerto. Più tardi, quella sera stessa, chiesi e ottenni di mangiare parte di quell'aragosta. Quel giorno, l'insalata di more ha smesso di essere il mio piatto preferito.

Molti anni sono passati da quel giorno: quella corazza impenetrabile e quelle chele sottili non riescono più a provocarmi il medesimo terrore. Eppure, oggi come allora, sento le lacrime affollarsi intorno ai miei occhi, minacciando di buttarsi di sotto come giovani suicide a cui non importa assolutamente niente. Le lascio fare, senza interrogarmi troppo sulla loro origine: che siano di gioia per quello che verrà, oppure di nostalgia per quello che non è più.

Oggi compio diciannove anni. "Un giorno sacro", mi dicono tutti da sempre. A Beid non si festeggia la festa di Dytros, si festeggia il compleanno di Rosalie Lambert. In alto i calici, dunque... e che sia la prima di molte feste.

Rosalie Lambert - Immagine 3
scritto da Rosalie Lambert , 12:00 | permalink | markup wiki | commenti (1)
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