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Forum di Myst

 
« La prossima volta che due elfi si faranno venire idee geniali, io me ne sbatterò della decisione "democratica" »
- Kar Dun -
 
Vodan Thorn
Tempi Cupi
Vodan Thorn
Mai fidarsi di un cuoco magro.
creato il: 08/02/2013   messaggi totali: 26   commenti totali: 28
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1 maggio 518
Mercoledì 5 Novembre 2025

Una cosa divertente che non farò mai più (parte 3)

1. Oh shit, here we go again
(antico detto popolare elfico)




Uno dei vantaggi di avere un occhio solo è che quando sbatti le palpebre fai metà della fatica.

Non è molto, ma quando la tua esistenza è scandita da giorni in cui non puoi fare altro che aspettare il momento in cui ti porteranno del cibo immangiabile, e da notti passate ad asciugarti le purulente secrezioni di un'orbita vuota invece di dormire, impari ad apprezzare i piccoli traguardi.

Da fuori, tutto sommato, sembro ancora un bel ragazzo. La benda mi dona, conferisce quell’aria misteriosa che fa impazzire le ragazze e mette a disagio i preti. Se non fosse per il pallore, per le occhiaie e per il fatto che ormai peso come un corvo bagnato, potrei quasi spacciarmi per un veterano malinconico, uno di quelli che raccontano storie di guerra mezze inventate per farsi offrire da bere. Come quel tipo lì di Ghaan con il nome stupido... com'è che si chiamava? Aspetta... sì, Dan Bucky.

Il problema sono le forze che mi stanno abbandonando. La febbre e la nausea mi devastano dal giorno in cui mi hanno riportato in questa lurida cella, e i lacci che mi hanno messo ai piedi e ai polsi per impedirmi di fare altre stronzate non sono di grande aiuto. Non si sono neanche presi la briga di curarmi.

«Se non ce la fa a riprendersi da solo, non mi serve: non so che farmene di un corpo debole».

Questa frase, pronunciata da Bondred al momento di affidarmi ai due nuovi cani da guardia che mi hanno trascinato in questa cella al termine del nostro scontro, continua a ronzarmi nel cranio come una mosca in una bottiglia.

Non so che farmene di un corpo debole. Magari è proprio questo, l'esperimento di cui parlava: vedere quanto a lungo un uomo riesce a sopravvivere legato, senza un occhio e costretto a mangiare la sbobba improponibile che mi danno.

Negli ultimi giorni ho pensato incessantemente a ogni possibile modo per uscire da qui: spezzare i lacci, aggredire le guardie, provocare un incendio, fingermi morto... Ma anche nell'improbabile ipotesi in cui riuscissi a liberarmi, cosa potrei fare dopo? Come posso sconfiggere un Innalzato in queste condizioni? Temo che in questo momento la strategia più saggia sia quella di starmene fermo, zitto e buono, nella speranza che il destino sia così cortese da farmi pescare, se non una mano, almeno una carta decente.

Neanche a farlo apposta, avverto un cigolio e un rumore di stivali. Che sia già ora del rancio? No, a giudicare dall'arnese che hanno portato - una lunga asta di metallo con un semicerchio dentato in cima - immagino sia arrivato il momento di un'altra udienza nella sala del grande stronzo.

«Solleva il mento», mi dice uno dei due. Faccio come dice, lasciando che le estremità biforcute dello strumento di cattura mi scivolino sotto la gola, stringendomi il collo in una morsa fredda e pesante. Solo allora l'altro comincia a slegarmi. Non hanno voglia di correre rischi: non posso certo biasimarli, visto quello che è toccato in sorte ai loro predecessori.

La strada verso la torre non è lunga, ma il fango riesce comunque a farmi rimpiangere ogni passo, risvegliando crampi che non ricordavo dai tempi dell'ultima sgambata. I due mi scortano come se stessero portando un orso in gabbia: uno di fianco, con la mano sulla spada, l'altro che mi spinge da dietro con l'arnese ben stretto tra le mani, pronto a costringermi a terra se solo dovessi starnutire. Ce la metto tutta per non inciampare, ma la benda al posto dell'occhio non aiuta a mantenere l'equilibrio.

Appena varco la soglia, il calore confortevole del fuoco mi avvolge come l'abbraccio di una... sirena. Non so perché, ma mi viene in mente Kalyah Niadh, o Kalina la Divina, come la chiamano adesso. Non la vedo da quel giorno in cui mi recai alle Case della Gioia con Groombor, la riconobbi e provai vergogna al punto che mi passò la voglia. Chissà che fine ha fatto.

«Ti sei ripreso?» La voce sprezzante di Bondred mi riporta nella torre. «Come va l'occhio?»

«Ogni tanto mi manca».

Scoppia a ridere, subito imitato dai due coglioni che mi circondano. «Sono contento di vedere che ti senti meglio, anche se non hai una bella cera: ti vedo deperito...».

«Dicono che succeda spesso, quando non ti danno da mangiare».

«Hai ragione. Ho preferito tenerti leggero, per evitare che... insomma, che ne combinassi un'altra delle tue. Ma ho buone notizie: da oggi cambierà tutto».

Oh merda, ci risiamo. Attendo in silenzio ciò che ha da dirmi, deciso a non dargli la soddisfazione di credere che m'importi davvero.

Non posso immaginare che, di lì a poco, accadrà qualcosa destinato a mettere in discussione tutto ciò che credo di sapere: su Bondred, sul destino che mi attende, e persino su ciò che resta della mia famiglia.



2. The cake is a lie
(messaggio inciso su una cassa di aiuti provenienti da Lankbow recuperata al porto di Uryen)


«La prima cosa che devi sapere è che da oggi tornerai a mangiare come si deve. Consideralo un premio per quello che hai passato nelle ultime settimane. Il tuo corpo ha resistito a settimane di fame, febbre, mutilazioni. Avresti anche potuto tirare le cuoia, eppure... eccoti qui».

«Eccomi qui».

Bondred fa un cenno a uno dei due scagnozzi, che si avvia verso una delle porte della sala. Quando la apre, un inconfondibile odore di stinco arrosto si diffonde nell'aria, provocandomi una fitta allo stomaco a dir poco lancinante. Con mia grande gioia, poco dopo un sacco contenente quella pietanza prelibata viene gettato ai miei piedi. Lo sgherro deposita un secondo sacco al centro della sala, quindi riprende il suo posto.

«Serviti pure», mi esorta Bondred. «Non fare complimenti. Ma lascia un po' di spazio per la torta: qualche giorno fa era il tuo compleanno, o sbaglio?».

Per una volta, ubbidisco con piacere: mentre addento quel cosciotto, speziato e saporito proprio come piace a me, penso che potrei cogliere l’occasione per strozzarmi con un ossicino e lasciare Bondred con un palmo di naso. Non faccio nemmeno in tempo a finire il pensiero, che il soldato alle mie spalle strattona la tenaglia che mi ghermisce il collo. «Non troppo in fretta: potresti sentirti male.»

Bondred attende pazientemente che termini il pasto, poi prende di nuovo la parola.

«Ora che ti sei rifocillato, possiamo passare alla seconda cosa che devi sapere: il motivo per cui ti trovi qui».

«Era ora», rispondo. «Sono tutto orecchi. Prima che tu me lo dica, però, vorrei farti una domanda: cosa ti fa pensare che, qualsiasi cosa tu voglia farmi, smetterai di starmi sul cazzo e diventeremo amici?»

Scuote la testa. «Credimi, non ho bisogno della tua fedeltà. Continui a non capire perché sei convinto che io voglia renderti un Innalzato o qualcosa di simile, mentre invece la verità è molto più semplice...»

«E cosa diventerò, allora? Un coglione come le guardie incapaci di cui ti sei circondato?»

«Penso che farò prima a mostrartelo: l'occhio che ti è rimasto dovrebbe bastare per farti un'idea». Così dicendo, Bondred tira fuori una piccola chiave di metallo, con la quale comincia ad aprirsi l'elmo di ferro.

Quando la maschera si spalanca, stento a credere ai miei occhi nel riconoscere il volto tumefatto di Robert Proutz, un vecchio soldato di Uryen con cui abbiamo avuto a che fare non molto tempo fa. Barun lo aveva sbattuto in cella a seguito di una missione durante la quale aveva perso la brocca, ma poi era stato liberato... O almeno, così ci avevano detto. Chi poteva immaginare che Bondred fosse proprio lui? Ci ha fregati a tutt...

...Aspetta un momento: questa storia non ha alcun senso. Il vecchiaccio decrepito che si staglia innanzi a me non può essere Proutzo, e se mai lo è stato una volta, di certo oggi ne conserva solo i tratti. Non è passato neanche un anno dall'ultima volta che lo abbiamo visto, e all'epoca avrà avuto una cinquantina d'anni... ma il volto consunto e scavato che mi osserva con occhi divertiti non può averne meno di settanta, forse anche di più.

«Che storia è questa?» Domando, visibilmente infastidito. Proutzo non sarà un'aquila, ma non merita di essere confuso con questa carogna.

Il losco figuro che si spaccia per Robert Proutz mi risponde con un sorriso beffardo. «A giudicare dalla tua reazione, mi sembra di capire che questa faccia non ti è nuova. E non è l'unico soldato di Uryen che devo ringraziare per il regalo che mi ha fatto: magari conoscevi anche il tipo che lo ha preceduto?»

Così dicendo afferra il secondo sacco e ne rovescia il contenuto, che colpisce con un tonfo sordo il pavimento della sala per poi rotolare lentamente verso di me. Quando capisco di cosa si tratta, la fame mi passa del tutto.

«Non sembra affatto una torta», rilevo con una smorfia di disgusto.

«Spiacente», ridacchia Bondred: «la torta era una cazzata».

Osservo la testa umana che giace davanti a me. A un primo sguardo, sembra essere stata recisa di recente: labbra ancora tese, pelle intatta. La cosa più inquietante sono gli occhi, vividi e lucenti come sfere di vetro. Dubito si sia trattato di uno scontro epico, il poveraccio avrà avuto almeno ottant'anni... Poi noto una serie di tratti del volto che la memoria comincia a riconoscere. Quando i ricordi riemergono del tutto, il sangue mi si gela nelle vene.

«Stefen Mahl», mormoro lentamente. Una recluta di Uryen con cui abbiamo avuto a che fare in quell'assurda missione sotto il comando di Kain Werber. Ricordo bene quando ci chiese di seguirlo nel suo folle progetto di ammutinamento, e quanto si incazzò quando feci fuori la principessa Nordra di cui si era innamorato. Quanto tempo sarà passato? Due anni? Come ha fatto a ridursi così?

«A quanto pare hai conosciuto pure lui», commenta Bondred. «Un altro che è durato ben poco: ma la sua testa l'ho impagliata comunque, per ricordo... Lo faccio sempre, dopo».

Le sue parole mi guidano lentamente nella comprensione della verità. Dunque è così: questo stronzone si impadronisce del corpo degli altri. E' un cazzo di parassita, non troppo diverso dalle larve che divorano il cervello dei Risvegliati o dai sieri demoniaci che hanno corrotto le spoglie di Cynthia Haller, Mirai Raaken, William Deed e chissà quanti altri. A giudicare dall'aspetto moribondo il suo ospite attuale è alla fine del ciclo e ha bisogno di un nuovo poveraccio da infettare... Porco cazzo.

«Bene! Adesso che hai compreso ciò che ti aspetta, possiamo parlare di affari».

Valuto la possibilità di dirgli che se lo può scordare, che non esiste al mondo la possibilità che io sia interessato a sentire cosa ha da dire o da propormi: oppure, visto che le possibilità di fuga da questo posto mi sembrano scarse, di fare buon viso a cattivo gioco e provare a togliermi di mezzo con discrezione, prima che lo stronzone possa...

«Stai già pensando a come tirartene fuori, eh? Vedi, è questo che mi piace di te: l'innata capacità di sopravvivere che ti ritrovi. Un dono del tutto sconosciuto agli insulsi cagasotto che mi è toccato abitare negli ultimi tempi... ed è anche il motivo per cui sono durati così poco».

Abitare. Abitare. Persino le parole scelte da questo essere spregevole fanno venire la nausea. Vuole entrare dentro di me, prendersi il mio corpo.

«Considerati fortunato» aggiunge con un sussurro, quasi paterno. «Non sono in molti quelli a cui concedo l'onore di sapere cosa li attende prima che accada. Di solito mi portano dei rottami di carne: gente moribonda o mezza scema che non ho alcun interesse a conoscere. Con te, invece, è stato molto divertente: un po' mi dispiace che non ci resta molto tempo... Ma ci tenevo a metterti a parte».

Resto immobile, muto. Se apro bocca finirò per vomitare lo stinco e no, se voglio provare a combinare qualcosa devo prima di tutto recuperare energia.

«E dai, non fare quella faccia! Sarai ricordato come colui che mi ha donato una nuova vita: non è forse un bel modo di morire?»

Non devo ascoltarlo. Me lo sta dicendo apposta, per spezzarmi ancora di più, per instillarmi la consapevolezza di aver già perso... E la cosa peggiore è che ci sta riuscendo. Per lui non sono un uomo: sono un involucro, un guscio da riempire. C'è solo una cosa che posso sperare di fare in qualche m...

«Ah-ah», esclama scuotendo la testa, come se potesse leggere il flusso dei miei pensieri. «Non pensarci neppure: toglierti la vita non ti è permesso... io non lo permetterò. Al contrario, farò in modo di farti arrivare riposato, ben nutrito e in forze... Proprio come il maiale che ti sei appena mangiato».

«Non contarci troppo», mormoro digrignando i denti.

«Lo so, lo so che sei un osso duro», risponde lui: «è proprio per questo che ho deciso di prendere delle ulteriori precauzioni. Entrate pure!» esclama poi, rivolto verso la porta da cui era uscito lo stinco.

Mi preparo con un sospiro a questa ennesima rivelazione, certo che giunti a questo punto niente possa più sorprendermi.

Grosso errore.



3. We're back, bitches!
(scritta rinvenuta su diverse frecce elfiche scagliate durante la Campagna del Nord)




Un colpo di battente metallico risuona nella stanza, seguito da passi leggeri che riecheggiano sul pavimento di pietra. Bondred si volta e solleva un braccio, con l'aria di un anfitrione che si accinge a introdurre degli ospiti di riguardo.

«Vodan, ti presento i tuoi nuovi angeli custodi. Con loro a sorvegliarti non dovremo più preoccuparci delle tue stronzate e potremo tutti dormire sonni tranquilli».

Due ombre varcano lentamente la soglia: si muovono fianco a fianco, con la postura rigida di chi sa di essere giudicato e teme di sbagliare qualcosa.

La prima si rivela essere un ragazzino travestito da soldato: tredici anni, se arriva a tanto. Capelli scuri tagliati di netto, occhi svegli, un’espressione fin troppo seria per la sua età. Quello che più mi colpisce è il modo in cui porta l'usbergo di cuoio rinforzato che gli hanno messo addosso: un peso che dovrebbe risultare insopportabile per il suo corpo minuto, ma che stranamente non sembra creargli alcun problema. Quando i suoi occhi incontrano il mio, il loro colore innaturale mi gela il sangue. Ma non è che per caso lo hanno Innalzato? Ma no, non può essere: è appena un bambino. Cosa vado a pensare...

Poi l'occhio che mi resta si posa sulla figura accanto a lui, e improvvisamente il mondo si frantuma in mille pezzi.

Freya Thorn

Non è possibile. Freya.

Il mio respiro si tramuta in pietra. Resto interdetto, incapace di muovermi o proferire parola. Cosa... come... perché? La mia mente corre veloce, vagliando tutte le possibilità. Le hanno scoperte. L'ha portata qui per costringermi a stare buono, come ha tentato di fare con Vian. Perché farle indossare un'armatura, però? Per prendermi in giro? Non capisco...

Un istante dopo è lei a riconoscermi, e nei suoi occhi percepisco la mia stessa identica sorpresa. Ma subito dopo, insieme allo stupore, scorgo qualcosa di infinitamente peggiore. Il pallore della pelle, le sottili venature scure che le corrono lungo il collo come filamenti di inchiostro... Come il suo compagno. Come Annie. Come Bondred. No. Non può essere. Non lei.

«Cosa c'è, Vodan? Hai perso la lingua?»

Mi costringo a volgere lo sguardo verso Bondred. Vorrei vomitargli addosso ogni insulto possibile, ma la voce non ha modo di uscire. La consapevolezza di ciò che ha fatto a Freya mi paralizza. Non resta più niente da dire, nessuna mossa da tentare. Mia sorella è nelle sue mani. Ha vinto lui.

«Lascia che ti spieghi: questi due baldi giovanotti sono i primi esemplari stabili di soldati Innalzati dell'Esercito di Uryen. Un piccolo miracolo, se pensi a quante tentativi hanno dovuto fare altrove per raggiungere risultati analoghi. Un tasso di successo più unico che raro, per il quale dobbiamo ringraziare...»

Non riesco a capire. Perché non limitarsi a prendere Freya in ostaggio? Perché renderla un demone al pari di William e Annie? Che bisogno c'era? Lo ha fatto solo per ferire me?

Bondred continua a parlare, citando con orgoglio nomi, numeri, dati e altra roba che non comprendo. Perché stai perdendo tempo, lurido verme? Hai già vinto. Facciamola finita, prenditi il mio corpo e sollevami dal supplizio di avere a che fare con te. Spero che almeno Saga ce l'abbia fatta e che non mi tocchi lo strazio di vederla uscire da quella maledetta porta, né oggi, né mai. Una voce nella mia testa mi esorta invano a riflettere meglio sulle parole del mio aguzzino, sugli sguardi brevi ma insistenti che mi sta lanciando Freya. Mi rifiuto di ascoltarla, di ragionare, di capire. Non voglio più saperne di questa storia, di questa torre, di questi esperimenti maledetti.

«...Allora, cosa ne pensi? Ah, e non commettere l'errore di sottovalutarli soltanto perché sembrano dei ragazzini: se proverai a fare qualche stronzata delle tue, ti accorgerai che...»

Freya mi rivolge un ultimo cenno, poi rompe il contatto visivo e torna a guardare fissa davanti a sé. Bondred prosegue nell'estatica descrizione del suo operato, quasi deluso dall'assenza dei miei soliti commenti sarcastici: continua a ciarlare di bambini rastrellati, asili di ricerca, pupilli... fino a quando, improvvisamente, una scintilla di lucidità si accende dentro di me. Uno dopo l'altro, i pezzi si incastrano, e finalmente comprendo il senso recondito delle parole di Bondred - e il messaggio che mia sorella cercava di comunicarmi.

Bondred non lo sa.

Ignora chi sia lei, e anche cosa siamo l'uno per l'altra. Freya non si trova qui per il nostro legame di sangue, ma perché è rimasta coinvolta negli assurdi esperimenti di questo pazzo miserabile. Per un incredibile scherzo del fato, lei e quell’altro ragazzino - di cui ignoro il nome ma che, ora che lo guardo meglio, mi pare di aver già visto da qualche parte - saranno i miei nuovi carcerieri.

No... non è un semplice scherzo: è la carta che stavo aspettando. Una sola, e difficilissima da giocare, ma incredibilmente buona. La cosa più difficile è scacciare la disperazione che mi pervade al pensiero che anche lei è stata trascinata in questo inferno, vittima innocente di questo maniaco sanguinario e del suo lurido branco di predatori. Ma devo farlo, ad ogni costo. Se voglio provare a giocarmi quest'ultima mano devo seppellire quel dolore nelle profondità del mio animo e tenerlo lì fino a quando non sarà finita, sgombrando i pensieri per un'ultima mossa disperata che comincia lentamente a prendere forma.

Siamo di nuovo in gioco, figlio di puttana: forse non ho modo di vincere questa partita, ma posso ancora fare in modo di trascinarti nella merda con me.



4. You either die a hero, or live long enough to see yourself become the villain
(dal libretto de "Il Cavaliere Oscuro", tragedia in tre atti originaria della Marca di Rastan)


L'unico momento della giornata in cui riesco a parlare con Freya è quando Kevan va a fare rapporto a Bondred. Le prime volte ho provato a farlo anche quando si allontanava, prima che mia sorella mi spiegasse che non era una buona idea: quel ficcanaso ha orecchie persino migliori di quelle del loro capo.

Nei due giorni che sono trascorsi dal nostro incontro mi ha raccontato una serie di cose: tutte terribili, nessuna esclusa. L'attacco agli abitati di Trent e Esmor, il rapimento suo e degli altri ragazzi, i crudeli esperimenti a cui è stata sottoposta nell'Asilo di Ricerca sul Morbo dei Risvegliati, il ricatto di Saga tenuta prigioniera chissà dove che l'ha costretta ad assecondare i suoi aguzzini. Ogni parola che pronunciava era come una pietra: ho immaginato la sua voce tremante, la paura, le notti in cui la costringevano a subire cose che, soltanto poche settimane fa, avrei avuto difficoltà persino a nominare di fronte a lei. Più volte, nell'ascoltare i resoconti di quelle ordalìe, mi sono dovuto mordere la lingua per non urlare e attirare l'attenzione di Kevan.

Ma la cosa peggiore di tutte, per quanto mi dia fastidio ammetterlo, è l'amara constatazione di quanto sia cambiata. La ragazzina ribelle che parlava al vento, che sognava di addomesticare i falchi e che restava incantata davanti alle lucciole quasi fossero stelle cadute dal cielo, è svanita per sempre. Al suo posto c’è una creatura silenziosa e disciplinata che cammina come un soldato, non abbassa mai lo sguardo e appare svuotata di ogni emozione. È come se l'avessero svuotata del suo calore e poi riempita di ghiaccio. Persino la sua pelle ha perso colore, assumendo quella stessa tonalità grigia con venature violacee che tante volte ho visto sul corpo di Annie Volvert. E mi vergogno di me stesso ripensando alle volte in cui ho guardato la mia compagna d'armi pensando con sollievo che, fortunatamente, quella sinistra maledizione aveva colpito lei e non le mie sorelle.

Anche oggi, al nostro terzo incontro, vengo invaso da questi pensieri. Cerco di scacciarli passandole una mano sul dorso come facevo una vita fa: la sua pelle è fredda come il marmo. Mi sorride, ma è evidente che questo contatto conforta più me che lei.

«Sono sempre io, Vodan», mi sussurra non appena ha la certezza di essere fuori dalla portata di Kevan. «So che mi vedi diversa, ma è così».

Devo abituarmi a questo fatto che mi legge dentro. Ieri mi ha spiegato che dipende dalla capacità di ascoltare il respiro e il battito del mio cuore, e che con gli altri Innalzati non funziona perché loro possono controllare entrambe le cose. «A suo modo è una cosa bella», mi ha detto: «non sento più le mie emozioni, ma posso sentire le tue».

«Hai proprio ragione», le dico: «sei sempre tu».

Oggi trovo finalmente il coraggio di dirglielo. Nei due giorni passati ho esitato, raccontandomi la scusa che non fosse pronta per sopportare il peso di ciò che voglio chiederle di fare. Una menzogna comoda: in realtà ero io a non essere pronto. Lei ascolta il mio piano senza fare una piega, neanche quando le confermo che, se deciderà di assecondarmi e mettersi contro Bondred, le conseguenze non potranno che essere quelle che entrambi immaginiamo.

«Quindi oltre a te perderò anche Saga», mi dice, senza tradire alcuna emozione. «Resterò da sola... di nuovo».

Annuisco. Sola, braccata e in pericolo mortale, visto che di certo lo stronzone farà tutto quanto in suo potere per uccidere anche lei. L'unica speranza che avrà sarà raggiungere i Disertori della Rinascita, sperando che siano ancora vivi... Loro, insieme ai miei compagni, potrebbero essere in grado di proteggerla. Le parlo anche di Colin, del lavoro che sta facendo con Annie e dei risultati ottenuti nel contenimento della sua condizione. Con un po' di fortuna, quella potrebbe diventare la sua nuova famiglia. E' davvero poco, me ne rendo conto, ma che alternativa abbiamo? Consentire a quel mostro sanguinario di rinascere per l'ennesima volta?

«Potrebbe non essere sufficiente a fermarlo», mi dice. «Nulla gli vieta di prendere qualcun altro: in fondo per lui un corpo vale l'altro...»

Sentendola parlare capisco che i suoi dubbi non sono dovuti in alcun modo alla paura o al pensiero di perdere Saga, ma a una lucida valutazione delle nostre effettive possibilità, al rapporto pragmatico tra costi e benefici. Decido di sfruttare questa sua attitudine: le spiego che non siamo soli a combattere questa guerra e che dobbiamo sperare che il nostro operato, la nostra piccola rivoluzione, venga sostenuta e rafforzata dalle azioni degli altri soldati impegnati al fronte. Le ricordo che Bondred ci ha messo quasi due mesi a prepararmi per quello che si accinge a fare e che, nella peggiore delle ipotesi, anche soltanto ritardare la sua rinascita di qualche settimana potrebbe avere un peso determinante per stabilire chi avrà la meglio. Le faccio il discorso delle dita e del pugno, dell'esercito che colpisce all'unisono grazie ai movimenti indipendenti dei suoi effettivi.

E infine ribadisco ciò che, amaramente, sappiamo entrambi: che Saga è spacciata in ogni caso, perché quello stronzone opportunista di Bondred non la lascerà mai andare.

«E se invece, più semplicemente, ti portassi via con me?» Mi chiede a un certo punto. «Saga morirebbe comunque, ma almeno tu saresti vivo... e potremmo vendicarci di lui, insieme».

La tranquillità con cui fa questi discorsi è impressionante, non potrò mai abituarmi. La sua proposta avrebbe senso, se soltanto non avessi visto Bondred all'opera in quella maledetta notte di pioggia: non c'è modo di scappare da quel mostro, otterremmo soltanto un breve interludio prima della sua inevitabile resurrezione: nella peggiore delle ipotesi dentro al mio corpo, nella migliore in quello di chissà quale altro disgraziato. Mi faccio forza e le spiego che no, l'occasione migliore per vendicarci il destino ce l'ha data qui e ora, e c'è solo un modo per sfruttarla al meglio.

«Ti ricordi quella storia che ci raccontava sempre mamma quando eravamo piccoli?»

«Il Cavaliere Oscuro? Sì, me la ricordo».

«Ti ricordi cosa diceva? O muori da eroe...»

«... o vivi abbastanza a lungo da diventare il cattivo».

«Già», annuisco. «Proprio così. Assurdo come a volte le storie...».

«Hai ragione», mi dice alla fine: «lo farò».



5. Even a pawn can change the game
(antico proverbio Greyhavenese)




Mettere in atto il piano sotto lo sguardo vigile di quel mastino di Kevan - o "Fante", come si compiace di farsi chiamare - sarà davvero difficile. Quello stronzetto non dorme, non mangia, a momenti non sbatte neanche le palpebre: un gufo impagliato che osserva ogni mia mossa e non mi lascia tregua neppure quando devo pisciare.

Come se non bastasse, temo che sospetti qualcosa. Non so come abbia fatto a capirlo, probabilmente dai battiti del mio cuore quando il mio sguardo si posa su Freya. Con un po’ di fortuna potrebbe essersi convinto che sono attratto da lei. Ho persino pensato di buttare lì qualche battutaccia quando lei va a fare rapporto da Bondred e restiamo soli, ma dubito che potrei ingannarlo: l’istinto di queste creature è troppo acuto, rischierei soltanto di mandare tutto in malora. Tanto vale restarmene in silenzio e aspettare che mia sorella porti avanti il nostro folle piano senza farsi beccare.

Le informazioni di cui ho bisogno arrivano quando resto nuovamente solo con lei.

Notizia numero uno: il "trasferimento", così come la chiama Bondred, avverrà al sorgere del terzo sole a partire da oggi. E ti pareva che lo stronzone non andava a pescare nel mazzo proprio quella data? Queste ricorrenze stanno diventando insopportabili. Tralasciando questo dettaglio fastidioso, significa che ci resta davvero poco tempo.

Notizia numero due: l'intera faccenda avrà luogo al terzo piano della Torre, una sorta di laboratorio degli orrori che il nostro sta finendo di allestire. La stanza non è chiusa a chiave, tant'è che Freya è riuscita persino a entrarci, ma c'è un armadio di ferro chiuso da una serratura protetta da un ingegnoso sistema di leve meccaniche che scattano solo se disposte nell'ordine corretto. Inutile dire che il codice lo conosce solo Bondred, così come l'ubicazione della chiave. Scommetto che è proprio lì dentro che lo stronzone conserva i sieri e tutte le altre diavolerie necessarie per il rituale.

Notizia numero tre: Bondred ha spiegato a Freya e Kevan che il "trasferimento" dovrebbe concludersi nel giro di qualche ora: una volta terminato, il loro compito sarà quello di sigillare la torre con lui dentro e restare a guardia per due settimane, assicurandosi che nessuno entri. Un discreto letargo, tutto considerato. Prendo un frammento di pietra da un angolo della cella e lo uso per rappresentare questa informazione sul muro.

Grangia di Veldren - Incisione 01

Due giorni di tempo per prepararci. Un giorno per morire. E poi, nella malaugurata ipotesi in cui dovesse andare tutto in vacca, tredici giorni in cui Freya potrà sperare di mettersi in salvo. Oppure...

Sospiro profondamente mentre scruto quella lunga serie di segni. Funzionerà?. Ci vorrebbe Colin: lui sì che saprebbe districarsi in questo marasma di porcherie. Io posso soltanto improvvisare e sperare che tutto riesca ad incastrarsi per il meglio.

«Funzionerà?» mi fa eco Freya, osservando la mia opera d'arte.

«Lo spero». E' veramente un piano di merda, non c'è che dire.

«Quindi abbiamo tempo fino a dopodomani. Poi...» non finisce la frase, puntando un dito in direzione del teschio che ho tracciato.

«Esatto». Quello sarà l'ultimo giorno in cui vedrò il volto di mia sorella... Ma è un prezzo che pagherò volentieri, se servirà a impedire allo stronzone di indossare il mio.

Trascorriamo i minuti successivi a mettere a punto gli ultimi dettagli, quindi decido di cambiare discorso. Non voglio che il ricordo delle nostre ultime conversazioni resti intriso soltanto di morte.

«Perché Kevan si fa chiamare Fante?» le chiedo a un certo punto.

«E' un nome che gli ha dato la persona che ci ha ridotti così», mi spiega lei. «A quanto ho capito, deriva da un gioco che fanno a Greyhaven. Ne ha dato uno a tutti, ciascuno diverso dall'altro: Alfiere, Fante, Cavaliere, Regina...».

«A te quale ha dato?»

«Torre».

«In che senso "Torre"? Perché non Regina?»

«Credo che dipenda da come ha attecchito la sostanza che ci hanno iniettati... e dal ruolo che ricopriremo quando saremo schierati in battaglia. Il Fante e il Cavaliere aprono il cammino, poi si sviluppano l'Alfiere e la Regina...».

«E la Torre?»

«La Torre si attiva per ultima, dopo l'arrocco».

«...E allora cosa diavolo ci fai qui? Avrebbero dovuto mandare il Cavaliere!»

«Non ne ho idea», risponde accennando un sorriso. «Ma ti è andata bene, non credo che saresti riuscito a convincere Cavaliere a disertare e a farti fuori!».

Ridiamo insieme, per la prima volta da quando ci troviamo qui. Accadrà soltanto un'altra volta, anche se ancora non possiamo saperlo.

D'un tratto la sua espressione torna seria: Kevan deve essere sulla via del ritorno. La osservo mentre esce dalla cella con grazia e furtività innaturali, richiudendo il chiavistello dietro di sé. Come Annie... Come Bondred.

«Che è successo?» esclama Kevan pochi secondi dopo, indicandomi con un cenno del capo. «Ha creato problemi?»

Lo stronzetto deve aver sentito il rumore della serratura.

Freya scuote la testa. «Ha preso un sassolino... ho preferito controllare che non facesse stupidaggini».

Kevan mi osserva divertito. «Se ha intenzione di crepare ingoiando serci, può risparmiarsi la fatica: al massimo cagherà un po' di sangue». Mi accorgo che mi guarda in modo strano, come se cercasse di leggermi dentro. Faccio del mio meglio per evitare che il battito del mio cuore mi tradisca. Ci manca solo che un pedone del cazzo cambi le sorti della partita.



6. Skill issue
(epitaffio inciso su una tomba anonima nel cimitero di Camlan)


Gli ultimi tre giorni della mia vita passano in modo sorprendentemente veloce.

Kevan e Freya continuano a rimpinzarmi di cibo, osservandomi con attenzione mentre mangio per evitare che possa strozzarmi: è evidente che Bondred mi vuole in forma per il "trasferimento".

Non appena restiamo soli, le chiedo con impazienza come va con l'armadio.

«Non ci crederai mai... Sono riuscita ad aprirlo!», mi risponde con un lampo di orgoglio negli occhi.

Ha ragione: stento a credere alle mie orecchie. Possibile che la buona sorte, per una volta, si sia ricordata di noi?

Le chiedo come abbia fatto, e lei non si fa certo pregare. Bondred non ha mai inserito la combinazione in presenza sua o di Kevan, ma è riuscita a "sentirla" da lontano contando il numero degli scatti di ciascuno dei quattro ingranaggi. Fortunatamente neanche lui ha idea di quanto il suo udito sia sviluppato. Quanto alla chiave, è riuscita a prenderla in una delle rare occasioni in cui Bondred ha avuto la buona creanza di lavarsi. Pochi istanti per agire, ma sufficienti a neutralizzare tutte le fialette di siero presenti nell'armadio. Con un po' di fortuna, lo stronzone non se ne accorgerà fino a quando non sarà troppo tardi.

«Sei sicura che non ti abbiano vista?»

Mi risponde di sì: né Kevan né Bondred hanno mostrato segni di sospetto nei suoi confronti. Cazzo, è forte la mia sorellina! Del resto è la Torre, mica un pedone del cazzo.

Entusiasta per questo successo insperato, decido di prendere nota delle posizioni corrette delle leve del marchingegno, trascrivendo le lettere corrispondenti su un'altra pagina del mio diario segreto.

Grangia di Veldren - Iscrizione 02

Nei giorni successivi, però, accade qualcosa di strano.

Kevan smette di recarsi alla Torre. È soltanto Freya a essere convocata, mentre lui rimane piantato qui, a pochi passi da me, senza mai perdermi di vista neppure per un istante. Mi chiedo se questo cambiamento repentino sia dovuto al fatto che i due non hanno più nulla da dirsi, oppure se abbiano mangiato la foglia. Del resto, anche se fosse, non potrei farci proprio niente.

E così, tra una mangiata e l'altra, arriviamo a ridosso di quella fatidica alba.

«Il tuo maestro non ti dice più cosa fare?» Finisco per chiedergli a un certo punto, quando manca una manciata di ore al sorgere del mio ultimo sole. In quel momento siamo da soli: mia sorella è con Bondred, presumibilmente per organizzare la mia ultima visita alla Torre.

«Ti piacerebbe che me ne andassi, eh?» risponde con un ghigno sinistro.

C'è qualcosa, nel tono delle sue parole, che mi provoca un brivido di disagio. Proprio in quel momento, Freya apre la porta esterna.

La guardo, facendo del mio meglio per comunicarle i miei pensieri. Lo sanno.

Lei mi annuisce con aria sconsolata. Un attimo dopo, Bondred fa il suo ingresso dietro di lei.

«E bravi», esclama lo stronzone, sferrandole una robusta pacca sulla spalla. «Stavolta me l'avevate quasi fatta».

Lo stronzetto si alza, sguainando la sua spada. In quel momento mi accorgo che Freya è disarmata.

«Mi tocca ringraziare Kevan», continua lo stronzone. «E' stato lui ad accorgersi che c'era qualcosa di strano tra voi due. Come se vi conosceste già...»

Freya fa per scattare in avanti, ma lui è più rapido: la afferra e, lentamente ma inesorabilmente, la costringe in ginocchio.

«...E così ho pensato di chiedere a qualcuno che poteva togliermi questa curiosità. E chi meglio di sua sorella maggiore? Avresti dovuto sentire come urlava: ne deve aver viste parecchie, considerando la sua resistenza! Ma con me, alla fine, parlano sempre».

Freya cerca di liberarsi, ma ogni suo movimento è inutile: Bondred le blocca entrambe le mani, quindi la schiaccia a terra con un piede.

«Vedi di calmarti, bestiolina: come ti ho già detto, Saga è ancora viva... Ma se mi crei altri problemi, ti garantisco che le spaccherò la testa oggi stesso».

«Sono stato io a chiederglielo!» esclamo. «Lei non ci avrebbe mai pensato. Non sono neanche certo che ci sarebbe riuscita...».

«Fai silenzio!» mi zittisce Bondred. «Lo so fin troppo bene che sei stato tu: è nella tua natura. Saresti disposto a fare qualsiasi cosa pur di assaporare un ultimo brandello di vendetta... persino sacrificare quel che resta della tua famiglia. Sapevi perfettamente che, se ti fossi ucciso o fatto uccidere, le avrei ammazzate entrambe: eppure non hai esitato, neanche per un istante. Ma te l'ho detto, è proprio questa tua fame insaziabile a piacermi. Quello che ti manca è la virtù dell'esecuzione, la capacità di portare a compimento ciò che ti proponi di fare: non difetti di attitudine o intenzione, ma di talento. Ma non preoccuparti, penserò io a colmare questa tua lacuna... una volta che abiterò dentro di te!»

Kevan ascolta il suo maestro con un'ammirazione quasi estatica: Freya mi ha detto che, a differenza della maggior parte dei Pupilli, lui non ha più nessuno da perdere: Bondred e i suoi compari non hanno avuto bisogno di minacciarlo, si è praticamente offerto volontario. Lo stronzetto raggiunge lo stronzone, riceve in custodia mia sorella e la trascina fuori dalla fattoria.

Resto solo con Bondred. Lui sorride, io per niente: non nego di aver sperato in un finale diverso.



7. My job here is done
(formula pronunciata dai marinai di Nuova Lagos al momento di mollare gli ormeggi)




«Non preoccuparti,» mi dice Bondred indicando la porta con un cenno: «Freya starà bene. Lei ci tiene ai suoi parenti, a differenza tua: l'amore che prova per la sorella le impedirà di assecondarti ulteriormente o di fare altre stronzate».

Annuisco.

«E tu, invece? Ti è rimasto qualche asso nella manica?»

Alzo le spalle. «Cos'altro potrei fare?» rispondo, mentendo spudoratamente. «Sappiamo entrambi che al termine di questa conversazione mi condurrai alla torre, dove mi addormenterò per sempre...»

«Esatto. E poi, un attimo prima di cominciare il trasferimento, aprirò l'armadio...»

Cazzo.

«...E in quel momento mi accorgerò, con grande sorpresa, di essere a corto del Sangue degli Antecessori! O sbaglio? Non è forse così?»

Sollevo gli occhi al cielo: mi sembrava troppo bello per essere vero...

«Per fortuna», continua portandosi due dita al petto, «porto sempre con me una piccola scorta per le occasioni speciali.» Da sotto la veste fa tintinnare una sottile catenina d'argento, alla cui estremità pende una fiala di vetro scuro, grande quanto un pollice. «Non è molto, ma è più che sufficiente per mandare all'aria i vostri propositi».

«D'accordo», mormoro con un filo di voce: «è finita. Hai vinto tu».

Ma lui non si accontenta della mia resa: vuole schiacciarmi, vedermi distrutto, privarmi di ogni speranza. Del resto, se ho capito bene ciò che mi spiegava Freya, portare le vittime alla disperazione assoluta aumenta le possibilità di successo di questo tipo di rituali. Le sue mani raggiungono le fibbie dell'elmo che gli copre la faccia, slacciandole febbrilmente. Quando l'ultimo legaccio cede, mi accorgo che il volto che ha rubato a Robert Proutz è invecchiato di altri dieci anni. Eppure sono passati soltanto una manciata di giorni... E' evidente che anche questo involucro è sul punto di crollare. Spero che sia anche merito mio, che il nostro scontro abbia contribuito ad accelerare la rovina che lo divora.

«Questa è la faccia che ha visto Saga quando sono andato da lei», mi dice con soddisfazione. «Non penso che il nostro incontro le sia piaciuto molto: dovevi sentire come implorava di fermarmi! Mi ha persino supplicato di ucciderla... Ma io non l'ho fatto. E sai perché?»

Sospiro. «Perché ti serve viva per ricattare Freya...»

«Ti sbagli. L'ho risparmiata perché ho intenzione di tornare da lei con la tua faccia... così da darle modo di rivolgere le grida e gli insulti alla persona direttamente responsabile del suo strazio. Questo è il futuro che hai ottenuto con i tuoi patetici tentativi di fottermi. Quanto a Freya, in fondo non ha colpe, se non quella di essersi lasciata trascinare dalle brame di gratificazione di suo fratello. Non ho intenzione di punirla... non troppo, almeno: resterà in vita, servendo nei ranghi dei Pupilli sotto il mio comando. La prima cosa che le ordinerò di fare sarà procurarmi un altro po' di questo sangue: è piuttosto impegnativo, sai... Potrebbe persino rimetterci la pelle. Se sarà fortunata, sopravviverà. E magari, col tempo e con il mio aiuto, imparerà a odiare quel coglione egoista che non si è fatto scrupoli di sacrificare quel che resta della sua famiglia pur di strappare alla sorte un briciolo di soddisfazione prima di crepare. Questo, ovviamente, fino a quando riuscirà a conservare lucidità... Sai cosa succede agli Innalzati nel giro di pochi anni, Vodan? Guardami, guardami bene!»

Stavolta le sue parole colpiscono in pieno, proprio dove fa più male. Crollo a terra come un ramo spezzato, mentre l'unico occhio che mi resta si riempe di lacrime di rabbia e frustrazione. Bondred fa una pausa, compiacendosi per qualche istante del suo trionfo. Vorrei potergli negare questa ennesima soddisfazione, ma non ne ho la possibilità. Ho spinto le mie sorelle oltre l'orlo dell'abisso, e il dolore atroce che provo nel rendermi conto delle conseguenze è il prezzo che mi tocca pagare. Lo avevo messo in conto, certo che la posta in gioco valesse il sacrificio, ma non avevo idea di quanto sarebbe stato devastante.

Resto in ginocchio, la testa bassa, in attesa che lo stronzone si decida ad aprire il catenaccio della cella.

«In piedi, campione: andiamo a celebrare degnamente questa Walpurgisnacht

Ci siamo. Inspiro per l'ultima volta l'aria fetida e stantia di questa cella, in attesa che le sue braccia mi raggiungano; poi mi lascio sollevare, accompagnando il movimento con le gambe. Nel rialzarmi, spingo con forza il piede destro contro le pietre del pavimento, fino a sentire il tacco dello stivale premere sul tallone. Con un ultimo, deciso gesto, concentro tutto il mio peso in quel minuscolo punto nascosto. Spero che Bondred non colga il fremito che mi attraversa nel silenzioso, repentino istante in cui la suola cede, lasciando affiorare la sottile scheggia di vetro celata nello strato sottostante. Un senso di pace mi avvolge mentre la sento affondare nella carne, annunciandomi che quello che potevo fare, l'ho fatto. Il mio ruolo in questa storia è terminato.

Lo stronzone mi trascina fuori dalla fattoria verso la torre, le dita che mi serrano il braccio come catene forgiate nell'inferno ghiacciato. Di certo può sentire il mio cuore battere all'impazzata, ma questa volta dubito che riuscirà a indovinarne la ragione. Se potesse farlo, scoprirebbe che il motivo è dovuto al fatto che, per la prima volta nella mia vita, sento il bisogno di pregare.

Prego che Freya trovi la forza di fuggire da questo inferno, e che la sorte la guidi verso i miei compagni.

Prego che qualcuno o qualcosa compia l'impossibile e riesca a liberare Saga... fosse anche la morte, se non vi sono alternative.

Ma soprattutto prego che, tronfio nella convinzione della propria vittoria, il miserabile pezzo di merda che sta per prendere possesso del mio corpo non si accorga di quest'ultimo piccolo scherzo che gli ho preparato con tanto zelo.

Una cosa divertente che non farò mai più.



8. If it bleeds, we can kill it
(urlo di guerra tradizionale dei cacciatori di Wyrm del Khanast di Feith)


(tre giorni prima)

«Perché proprio un coccio di bottiglia?»

Freya solleva le spalle. «A parte che è un'ampolla... e comunque, non ho trovato di meglio. Ti ricordo che mi tengono in un laboratorio».

«Non era mica un rimprovero! Ero solo curioso: mi sarei aspettato un ago, uno spillone, una cosa così...» Mi chino a osservare il frammento di forma irregolare che mia sorella è riuscita a introdurre nella mia cella. Ha l’aspetto di una falce di luna, levigata su un lato e scheggiata sull'altro: un'appendice affilata si alza come una zanna rotta, ricoperta da una patina scura e sinistra.

«Fai attenzione», mi avverte: «è molto tagliente».

Annuisco. Le chiedo dove ha raccolto il sangue, se è stato difficile, se ha avuto paura. In realtà sono tutte cose che già so, i mesi passati con Annie mi hanno aiutato a capire come funziona. I Risvegliati non aggrediscono quelli come lei, anche se nessuno ha realmente capito il perché: magari perché non li percepiscono come una minaccia, o forse perché non sono sufficientemente appetitosi. Ma ho davvero voglia di sentire la sua voce.

Mi spiega che il compito principale affidato ai Pupilli come lei è togliere di mezzo i Risvegliati che ancora infestano questo lato del Traunne: la maggior parte è stata già eliminata dai soldati di Uryen negli ultimi mesi, ma restano ancora decine di esemplari intrappolati all'interno di grotte, pozzi, rovine e altre cavità naturali. Alcuni di loro, mi spiega, si trovano addirittura sott'acqua, intrappolati tra i fondali e i detriti del fiume.

Al termine del suo racconto, decido di togliermi un altro dubbio. «Quante possibilità ci sono che quel pezzo di vetro sporco di sangue resti infetto per i prossimi due o tre giorni?»

«Non molte», risponde confermando i miei timori. «Ma nel periodo in cui mi hanno tenuta prigioniera nell'Asilo, ricordo che gli alchimisti usavano degli stracci imbevuti per rallentare il rilascio delle sostanze». Così dicendo, prende un panno e me lo porge. Lo noto a malapena, colpito ancora una volta dalla terrificante noncuranza con cui riesce a evocare i giorni in cui era oggetto dei perversi esperimenti di quegli aguzzini.

«Vodan? Tutto bene?»

«No... cioè sì, certo».

«Altre domande?»

Scuoto la testa. Non resta che stabilire il posto migliore dove occultare questa roba: gli sguardi sospettosi che Kevan continua a lanciarci non promettono niente di buono. Sarà che a forza di essere sbattuti in prigione per false accuse si finisce per diventare paranoici, ma la vita mi ha insegnato che se qualcosa può andare storto, lo farà. Per questo abbiamo deciso di giocarci quest'ultima carta con qualche giorno di anticipo.

Ci mettiamo a riflettere insieme. Ancora non lo sappiamo, ma quella sarà la nostra ultima conversazione: è quasi ironico che sia dedicata a escogitare il modo più efficace di condurmi alla morte.

Alla fine concordiamo che il posto migliore sia lo stivale: arrotoliamo lo straccio all'interno del tacco, con la scheggia sistemata in modo che la parte tagliente venga a trovarsi appena sotto la suola. Poi annaffiamo il tutto a dovere e infine, con la massima cura, rimettiamo a posto il calzare. Le mani mi tremano mentre finisco di assemblare quell'ordigno infernale: mi auguro con tutto il cuore che ne sarà valsa la pena.

«Perfetto», commenta Freya osservando il mio operato.

«Vero? Avrei dovuto fare il ciabattino, invece del cuoco...»

«... Altroché, considerando cosa combinavi in cucina!»

Ridiamo insieme, per l'ultima volta, quasi dimentichi che da un momento all'altro Kevan uscirà dalla Torre.



Mentre mi rimetto lo stivale, facendo attenzione a non spingere troppo, mi torna in mente un'ultima domanda che volevo farle.

«Freya?»

«Sì?»

«Sei assolutamente certa che lo stronzone non sia immune?»

Con mio grande sollievo, la vedo annuire. Mi spiega che è stato lui stesso a lasciarselo sfuggire in un discorso tenuto ai Pupilli durante l'addestramento, che mi ripete parola per parola.

"Il fatto che non vi attaccheranno non vi rende immuni all’infezione: nessuno di noi lo è. Se dovessero mordervi, o se entrerete in contatto con il loro sangue, sarete preda di atroci sofferenze e, alla fine, tirerete le cuoia".

«Ha detto proprio così?», le chiedo, quasi deliziato da quella scelta di parole. «Atroci sofferenze e poi tirare le cuoia?»

Freya annuisce. «E poi ha aggiunto: "se volete sopravvivere, ricordate che sul campo di battaglia esiste una sola regola: se può sanguinare, può anche morire. Ed è una legge che vale per chiunque, anche per quelli come noi"».

«Eccellente,» mormoro, lasciando che un sorriso beffardo mi deformi le labbra. «Mi piacciono le storie con un lieto fine.»

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21 marzo 518
Sabato 1 Novembre 2025

Una cosa divertente che non farò mai più (parte 2)



21 marzo 518

Nei pochi giorni successivi alla chiacchierata con Bondred la mia sorte è stata decisa senza che potessi oppormi in alcun modo. Stavolta, vista l'evidente complicità del Burgravio, non è stato neanche necessario fingere un processo, inventare accuse o costringermi a firmare una confessione: mi hanno direttamente caricato su uno di quei carretti per prigionieri che usano da queste parti e poi scaricato in una fattoria diroccata adibita a prigione a un tiro di balestra dalla Torre Dodici. Una zona di Uryen dove non eravamo mai stati e che, come avrei avuto modo di scoprire di lì a poco, era stata affidata a Bondred per i suoi affari privati.

E' qui che, sotto lo sguardo ben poco vigile di due cani da cortile con l’elmo, ho passato le ultime tre settimane: un susseguirsi di giorni scanditi da sonni agitati, veglie interminabili, pasti raffermi e un paio di stronzate che ho fatto nel patetico tentativo di migliorare la mia condizione, prevedibilmente vanificate da quel bastardo del mio carceriere.

Il problema è che cominciano a mancarmi le forze: le ferite non accennano a rimarginarsi, la fame morde ogni giorno di più, i ricordi cominciano a farsi confusi e il tempo ha smesso di darmi gran parte dei suoi riferimenti. Ma non è la prima volta che mi ritrovo dietro le sbarre, e se c'è una cosa che ho imparato a fare in questi antri di pietra e silenzio è tenere conto dei giorni che passano. Per questo so che oggi è una ricorrenza speciale. È il momento dell'anno in cui si accendono i ceri e si osservano svanire insieme alla ragazza con cui speri di andare a letto; in cui il mondo muta forma, tingendosi dei vividi colori che preludono alla primavera...

... Ed è anche il giorno in cui avevo promesso a Saga e a Freya che sarei tornato a trovarle... Mi sa che non ce la farò, è sopraggiunto un impegno a forma di gabbia che mi tiene bloccato qui. L'unica consolazione è che non dovrò fornire spiegazioni per questa benda sull'occhio.

Ma andiamo con ordine.

Grangia di Veldren - Immagine 1

Tre settimane prima

Il carretto mi scarica a terra senza troppi complimenti. Finire con la faccia nel fango è particolarmente fastidioso, specie quando piove e hai i polsi legati dietro la schiena.

«In piedi!», mi intima uno dei due bovari delle Lande destinati a diventare i miei carcerieri.

Mi alzo a fatica, ancora indolenzito per le sberle ricevute al momento di salire sul carro, e mi faccio spintonare verso il portone di ingresso della torre.

La sala è illuminata da un caminetto che scoppietta allegro: al centro c'è un robusto tavolo di legno, dietro il quale mi attende Bondred con la sua consueta maschera di ferro.

«Ben arrivato!», esclama divertito: «fatto buon viaggio?»

Sospiro. «Vedo che muori dalla voglia di prendermi per il culo, ma avrei un'urgenza», rispondo poi, in totale sincerità.

«Immagino tu voglia capire perché ti abbiamo portato qui...»

Scuoto la testa. «Non me ne frega niente: è che devo cacare.»

«Ah!»

«Eh.»

«Ci vorrà solo un minuto: puoi resistere, o Barun vi ha addestrato a farla come i cavalli?»

Alzo le spalle. «Farò del mio meglio, ma non ti prometto niente.»

E' davvero un peccato che abbia il volto coperto da quell'elmo: mi perdo tutte le sue reazioni. Che gusto c'è a far incazzare i propri superiori - o carcerieri, che poi in fondo è la stessa cosa - se non si può godere del loro fastidio?

«Sei una persona divertente, Vodan. E' anche per questo che ho deciso di scegliere te. E poi la tua storia mi ha ricordato quello che ho vissuto io: un susseguirsi di accuse, condanne e cazzate...»

E niente, muore proprio dalla voglia che io gli chieda perché mi ha portato qui, per cosa mi ha scelto, etc: si capisce tantissimo. Fossi matto se glielo chiedo, piuttosto mi faccio cavare i denti uno a uno.

«Lusingato: ora posso andare al cesso?»

Bondred fa un cenno ai bovari, che in men che non si dica mi scortano sul retro della torre. La latrina è relativamente pulita: o sta piovendo da giorni, o in questa torre ci abitano davvero in pochi. Beh, buono a sapersi.

Mentre mi slegano i polsi valuto la possibilità di fare una stronzata in più di quanto ho dichiarato: probabilmente non è una buona idea, anche se riuscissi ad avere la meglio su questi due coglioni dovrei vedermela con Bondred... Tuttavia, qualcosa mi dice che se non ci provo adesso non scapperò mai più. E poi, vista la situazione, cosa ho da perdere?

«Stai attento, idiota: mi hai quasi preso lo stiv...»

Il calcio tra le gambe lo coglie di sorpresa: bovaro #1 si accascia a terra dolorante, mentre bovaro #2 sguaina la spada e si prepara a dare l'allarme. Prima che lo faccia riesco ad assestargli due pugni: il primo prende l'elmo e mi fa un male cane, il secondo lo prende in mezzo al collo, strozzandogli l'urlo in gola e facendolo cadere in avanti, dritto sulla merda mia e di chi sa chi altro. Bene così. Mi chino a raccogliere l'arma e quando mi rialzo, tra la pioggia, scorgo distintamente il gioviale mascherone del padrone di casa.

Ci siamo. Adesso vedi non rovinare tutto: hai sicuramente affrontato di pegg.... Non faccio neanche in tempo a finire il pensiero. Bondred mi colpisce alla testa, al volto, al braccio dell'arma, alla bocca dello stomaco. Ogni colpo è come una valanga, ma il problema vero è la velocità: non riesco neanche a capire quale arriva prima. La spada del bovaro finisce chissà dove, mentre rotolo a terra nel fango concimato che circonda la latrina. Come fa ad essere così veloce? Come?

«Fatta tutta?» Mi osserva dall'alto, il volto incastonato in quell'insopportabile scolapasta, con le gocce di pioggia che gli cadono intorno.

«Vaffanculo», sbuffo mentre mi rialzo. I suoi pugni sono più pesanti di quelli di Garruk e Greg messi insieme. «Innalzati del cazzo: scherzi della natura, questo siete».

Bondred annuisce, tendendo la mano all'incapace che ero riuscito a disarmare e restituendogli l'arma: «per essere una maledizione ha i suoi lati positivi: torniamo dentro?»

Lo seguo senza possibilità di scelta, lasciando alla pioggia sferzante il compito di ripulirmi. I due mastini bastonati si accodano dietro di noi, guardandomi in cagnesco e meditando vendetta.

Tornati dentro la torre, Bondred riprende la parola.

«Allora Vodan, le cose stanno così: nelle prossime settimane prenderai parte a un esperimento che, diciamo così, ti cambierà la vita».

Lo sapevo: vogliono rendermi innalzato, o iniettarmi qualche diavoleria analoga. Scuoto la testa: «Spiacente, non sono interessato: senza offesa, ma preferisco crepare che diventare un mostro come te».

«Oh, credimi... è proprio così che andrà».

«Cosa? Crepare, o diventare un innalzato?»

Bondred scuote la testa. «Non diventerai mai un innalzato: sei troppo vecchio... senza offesa».

«Quindi hai intenzione di farmi fuori: beh, magari scoprirai che ho la pelle più dura di quanto pensi».

Bondred annuisce. «Meglio così. Penso che per oggi abbiamo finito», conclude poi, rivolgendosi ai due idioti: «portatelo nella sua camera». La coppia di animali mitologici col cervello di cane e la testa di cazzo mi si affianca, spintonandomi verso il portone d'ingresso della torre. Quello che avevo colpito tra le gambe mi sussurra qualcosa sul fatto che di lì a poco ci divertiremo un sacco.

«Vedo che avete fatto amicizia», commenta Bondred guardandoci uscire. Non mi resta che prepararmi a quello che sta per succedere: speriamo solo che si stanchino in fretta.

Torre Dodici - Immagine



Due settimane prima

I due bovari con l'armatura mi hanno preso a calci per un paio di giorni, poi abbiamo fatto pace. Ho lividi ovunque e un paio di costole rotte, ma sopravviverò. Bondred è venuto a trovarmi soltanto oggi, a giudicare dai movimenti che ho sentito nelle stanze limitrofe presumo sia stato impegnato a ricevere altre cavie.

«Come va?» mi chiede dalle profondità gutturali del suo imperturbabile mascherone.

Alzo le spalle. «Se i soggetti dei vostri esperimenti li trattate così, sfido che falliscono...»

Bondred scuote la testa. «Nel tuo caso è diverso: è sufficiente che resti vivo. Qualsiasi ferita che subirai nel frattempo è... trascurabile».

Nel frattempo di cosa, esattamente? Inutile chiederglielo: è evidente che non ha intenzione di dirmelo.

«Capito» mi limito a rispondere.

«Il problema è che sei talmente testardo che potrebbe venirti voglia di tentare la fuga... o magari persino di farti fuori, pur di infastidirmi. Non è forse così?»

Puoi scommetterci, penso con un sogghigno. Persino darmi la morte a furia di sferrare testate contro il muro sarebbe un prezzo lieve da pagare, pur di scorgere un briciolo di delusione dietro quella maschera del cazzo.

«...Ed è per questo che ho pensato di darti un piccolo incentivo a restare calmo: fate entrare la ragazza».

La porta si apre alle mie spalle. Sento i grugniti dei due cani da riporto mentre trascinano dentro qualcuno... una donna, a giudicare dal timbro dei singhiozzi. Prima di girarmi rivolgo una preghiera silenziosa agli Dei, augurandomi che non siano Saga e Freya, che non le abbiano scoperte. Come potrebbero aver fatto? Ci sono pochissime persone che sanno chi sono e dove si trovano: Kailah, Kelly Babel, John Stryker. i miei compagni, la famiglia Trent...

...D'accordo, forse non sono poi così poche. Ma quelle due poverette hanno già passato le pene dell'inferno: esisterà uno straccio di divinità che abbia pietà di loro? Inspiro profondamente, con la morte nel cuore, quindi mi giro verso la porta... e mi vergogno di me stesso per il fortissimo senso di sollievo che mi pervade quando i miei occhi mettono a fuoco il volto disperato di Vian Yor.

«Finalmente insieme!» commenta Bondred sogghignando. «Anche se non mi risulta che l'esercito di Uryen consenta questo tipo di relazioni tra commilitoni... se ci fosse ancora Barun al comando sareste stati degradati, o peggio».

Non posso crederci: questo idiota crede che la poveretta sia davvero la mia ragazza. Deve essere stato quell’altro imbecille di Tom Weiss a metterglielo in testa. Mannaggia alla mia boccaccia…

Nei successivi minuti, prevedibilmente, ci spiega che se accetterò di starmene buono non le accadrà nulla, altrimenti... Ah, che vigliacco figlio di puttana. E meno male che lo chiamano Innalzato: ho visto vermi ben più alti sguazzare nei rivoli di sterco delle segrete di Lagos.

«Mi dispiace» singhiozza Vian: è evidente che i due bastardi non ci sono andati leggeri neanche con lei.

No, cazzo, è a me che dispiace: se ti trovi in questa situazione è soltanto colpa mia.



Una settimana prima

Ci hanno rinchiusi nella stessa cella. Non so se per una sottile forma di scherno, o per una di quelle crudeli curiosità di cui Bondred sembra ghiotto: mi ricorda quel piccolo stronzetto di Nuova Lagos che era solito rinchiudere i topi in un barattolo per vederli prima scopare, e poi azzannarsi quando la fame prendeva il sopravvento. Quel piccolo stronzetto ero io. Solo che all'epoca avevo 10 anni, mentre ho idea che questo bastardo sia vissuto fin troppo a lungo.

Vian è accasciata sul pagliericcio, il volto rigato di lividi e una benda strappata, ricavata da un pezzo della mia camicia, che le fascia il braccio. Da quando l'hanno portata qui non ci siamo detti quasi nulla, anche perché i mastini di Bondred ascoltano ogni nostro respiro. In compenso, piano piano stiamo imparando a comunicare a gesti, leggendo le parole sulle labbra l'uno dell'altra.

Cosa vogliono da te? Mi chiede a un certo punto.

Non ne ho idea, rispondo scuotendo la testa. Ma qualsiasi cosa sia, non penso che ti lasceranno andare.

Annuisce, sconsolata. Come facciamo ad andarcene? aggiunge dopo un pò, guardandomi con aria speranzosa.

Vorrei proprio saperlo. Vorrei avere un'idea, uno straccio di piano di fuga che possa consentire, se non a me, almeno a lei di uscire da questa cella con le sue gambe, e non, come è probabile, in una cassa da morto come quella in cui finirò io. Ma quello stronzo è troppo forte, troppo veloce... Come se non bastasse, a forza di farci mangiare poco e male stiamo cominciando a indebolirci: tra pochi giorni non avremo più le forze neanche per opporci alle attenzioni quotidiane dei nostri carcerieri... come era prevedibile, la presenza di Vian ha trasformato quei due cani in una coppia di maiali.

Non preoccuparti, le rispondo: ho un piano. Ma è una menzogna bella e buona, una cazzata per farla stare meglio. Riesco a strapparle un mezzo sorriso, quindi ne è valsa la pena. E' carina quando sorride. Non è bella come Ardee e non ha il corpo di Dina, ma in altre circostanze, forse... D'accordo, Vodan: adesso fatti venire in mente un modo per metterla in salvo.

Nelle ventiquattro ore successive mettiamo a punto un piano di fuga che fa acqua da tutte le parti, ma che se non altro ha il pregio di tenerci occupati e accendere un barlume di speranza nel cuore di entrambi. Ne discutiamo sottovoce, con la testa vicina, approfittando del rumore della pioggia che batte contro le pareti dell'edificio adibito a prigione e che, se tutto andrà bene, potrebbe aiutarci - o meglio, aiutarla - a scappare.

La pioggia cresce mentre parliamo, facendosi sempre più densa e rabbiosa. Le gocce si trasformano in raffiche, un martellare incessante che fa vibrare le pietre che ci circondano e riempie i lugubri silenzi di questa fattoria diroccata. Ben presto le nostre parole scompaiono, divorate dal rombo dell'acqua e dei tuoni. Lentamente, inesorabilmente, cominciamo ad alzare la voce: i sussurri diventano mormorii, poi esclamazioni, e infine vere e proprie grida che sfidano la furia del temporale. E a poco a poco, quasi senza accorgercene, smettiamo di discutere del piano e iniziamo a metterlo in pratica.

«E' colpa tua!» urla Vian, sovrastando il rombo dei tuoni. «E' per colpa della tua idiozia che mi trovo qui dentro! E' colpa tua se moriremo entrambi!»

«Mia?» sbraito, sforzandomi di sembrare credibile. «Ma che cazzo dici? Ti sei messa in mezzo da sola, hai...»

Lei mi urla in faccia, impedendomi di continuare. «Oh no, non osare! Non dirlo nemmeno! Se non fossi stato così orgoglioso, così testardo, non saremmo qui! Ti sei fidato di chi non dovevi, ti sei messo insieme a quel manipolo di traditori per combattere una guerra che non ti riguardava... Che non MI riguardava!»

«Non sai di cosa stai parlando...»

«...E lo sai perché, Vodan? Perché sei un incapace! Un inetto! E lo sei sempre stato, questa è la verità!»

Continuiamo così per qualche istante. Lei è molto più brava di me, io riesco a malapena a interpretare il ruolo del maschio impacciato che balbetta parole a caso sapendo di avere torto. Siamo entrambi talmente presi che quasi non ci accorgiamo quando i cani da guardia decidono di abboccare alla nostra esca venendo a godersi lo spettacolo più da vicino.

«Che succede qui? Già finita la luna di miele?»

Vian mi annuisce in modo impercettibile: è il momento di passare alla seconda fase di questa ridicola sceneggiata: che gli dèi ci aiutino...

«Vaffanculo!» le urlo a pieni polmoni, quindi mi avvento su di lei, spintonandola con forza contro il muro alle sue spalle. Lo abbiamo provato più volte, ma mai a questa velocità: il tonfo che ne esce suona fin troppo vero. Lei tossisce e barcolla, cercando di riprendere fiato. Mi sa che le ho fatto male...

«Vaffanculo!» ribadisco, sferrandole un cazzotto in pancia. La osservo mentre cade a terra, quindi le assesto un paio di calci al basso ventre, enfatizzando il movimento il più possibile.

«Troia che non sei altro» concludo, sputandole addosso. «Hai paura di morire, eh? Beh, adesso ti risolvo il problema!» Mi chino su di lei, serrandole le mani al collo. Poco dopo lei comincia ad annaspare, gemendo e cercando di prendere aria. La pressione che applico è minima, ma non dovrebbe essere facile capirlo per i due stronzi che ci stanno guardando... o almeno spero.

«Basta così» esclama uno di loro, colpendo le sbarre con una specie di randello. «Allontanati da lei».

Lo ignoro, continuando a fingere di strangolare la mia "fidanzata".

«Va a finire che l'ammazza...» dice l'altro.

«E 'sti cazzi!» gli risponde il compare, scrollando le spalle. «Facesse pure... Tanto sono fottuti comunque».

Come temevo: questi pendagli da forca hanno un sacco di concime al posto del cuore, figurati se abbiamo speranza di impietosirli al punto da convincerli ad aprire la porta. Però sembrano aver abbassato la guardia... Devo provarci comunque: ora o mai più.

Mi alzo in piedi, continuando a stringere il collo di Vian: il cane da guardia continua a picchiare sulle sbarre con il manganello, quasi a volermi incitare a compiere l'estremo gesto. Mi concentro su quel battito, cercando di cogliere il momento perfetto per agire: bam, bam, bam... Adesso.

Balzo verso di lui, scagliandomi addosso alle sbarre: il mio braccio sinistro afferra il suo prima che riesca a ritrarsi, il destro gli strappa il manganello dalle mani. Vian riesce a ghermire il compare, impedendogli di prendere le distanze e tenendo anche lui a portata della mia nuova arma per una manciata di istanti preziosi.

Comincio a sferrare mazzate come un forsennato, consapevole che la nostra vita è appesa all'esito di ogni singolo colpo. Schizzi di sangue colpiscono le sbarre, le pareti e i nostri volti, seguiti di lì a poco da denti, cartilagini rotte, schegge di cranio e Reyks solo sa cos'altro. Continuo a colpire finché Vian non mi posa la mano sulla spalla. Molliamo la presa all'unisono, osservando con soddisfazione i due corpi martoriati che si accasciano al suolo: è finita. Abbiamo vinto.

Recuperiamo le chiavi dalla cintura del più grosso, le dita tremanti per la fatica e l’adrenalina: in pochi istanti la serratura cede, consentendoci di uscire dalla cella e raggiungere la porta esterna. Quando finalmente spingiamo l’anta che dà sul cortile, la pioggia ci travolge come un fiume in piena, lavandoci via il sangue e le frattaglie dei nostri carcerieri. Siamo fuori.

«Ce l'abbiamo fatta!» esclama lei, raggiante. «Grazie», aggiunge poi, voltandosi verso di me. «Grazie per avermi salvata». Salvata? C'è mancato poco che la condannassi a morte...

«Adesso vai», le rispondo: «corri fino alla torre quattro, senza fermarti. Io vedrò di tenere occupato Bondred... se la sorte ci assiste, questo temporale non gli consentirà di seguirti neanche con le sue dannate capacità da Innalzato».

«Sei sicuro?» mi chiede lei, afferrandomi il polso. «Possiamo provare ad affrontarlo insieme: siamo una bella squadra, dopo tutto...» E' davvero carina quando sorride.

Scuoto la testa. «E' compito mio: tu devi raccontare questa storia, ricordi?»

Annuisce. Mi stringe il polso un’ultima volta, poi si stacca, si volta e corre via. La seguo con lo sguardo finché la sua figura non viene inghiottita dal muro d’acqua che ci circonda.

Per alcuni istanti penso davvero di avercela fatta, di essere riuscito a salvarle la pelle. Mi illudo che la pioggia sia abbastanza fitta da nasconderla ai sensi di Bondred... che la sorte, per una volta, abbia deciso di voltarsi dalla parte giusta.

Poi, oltre il muro d’acqua, intravedo una sagoma in movimento. Una figura alta, scura, che avanza con passo tranquillo, come se la tempesta gli obbedisse. Nella sua mano destra brilla un riflesso metallico; sulla spalla sinistra... No, non ho bisogno di vederlo meglio per capire cos'è.

Bondred - Immagine 2

«Bel tentativo», esclama Bondred continuando a camminare verso di me, «ma vi è andata male. Non mi aspettavo che fossi così stupido da condannarla a morte...»

Resto impietrito mentre si avvicina, costringendomi a guardare in faccia le conseguenze del mio ennesimo errore. Un rivolo scuro le cola dalla bocca... deve averla colpita alla schiena. Il suo viso ha lo stesso colore di un attimo fa, ma quel sorriso è scomparso per sempre: nessuno potrà più vederlo, per colpa di questo miserabile assassino.

«Hai colpito alle spalle una ragazza disarmata» mormoro digrignando i denti: «persino le larve mi fanno meno schifo di te». Non ho più alcuna voglia di scherzare con questa creatura abominevole: mi sento pervaso dalla voglia di ucciderlo, di spaccargli la testa come ho fatto con i suoi scagnozzi. Voglio sentire in bocca il sapore del suo cervello.

Bondred mi guarda con soddisfazione. «Finalmente, Vodan: finalmente sento l'odore della tua rabbia... finalmente mi mostri il lupo cannibale che alberga dentro di te».

Ho già sentito queste stronzate una volta, esattamente un anno fa: le stesse parole, lo stesso tono di chi crede di conoscermi, di sapere chi sono, di stabilire cosa posso o devo diventare. Allora, come oggi, pioveva a dirotto. Allora, come oggi, lo stronzo che ambiva a insegnarmi la vita nascondeva il proprio volto dietro una maschera di onnipotenza per giustificare le proprie abiette e ripugnanti azioni. Ricordo il clangore dell’acciaio, il sapore del sangue e la speranza che, per una volta, la giustizia divina si schierasse dalla mia parte. Forse è proprio il dio della giustizia di Bohemond a riportarmi sempre qui, a inchiodarmi sullo stesso cardine di questa maledetta ruota del tempo per vedere se, ciclo dopo ciclo, ho imparato qualcosa.

E la risposta, anche stavolta, è no.



Sollevo lentamente la spada che mi sono premurato di recuperare dal corpo esanime del secondo scagnozzo. Di fronte a me non c'è solo Bondred, ci sono anche Kraighar Tarkhun, Cathàl e tutte le altre prove che il destino mi ha messo di fronte. Ognuno di loro pretendeva qualcosa da me, e fino ad oggi sono sempre riuscito a deluderli tutti. Non permetterò a un Innalzato senza un briciolo di onore di mandare in vacca questa tradizione.

Bondred mi osserva divertito, impervio alla mia furia. «Se è un'altra lezione che vuoi, sarò lieto di impartirtela».

Avanzo. Il fango schiocca sotto gli stivali, la pioggia cade a secchiate e l'acciaio vibra nell'aria come un animale affamato. Le nostre lame si incrociano dove un tempo sorgeva il cortile di questa fattoria. Il primo colpo spetta a me: un fendente rabbioso, basso, mirato al ventre. Parato con una grazia disumana. Il contrattacco mi sfiora la gola, portando con sé un sibilo di vento e la certezza che, se avesse voluto, ora sarei morto.

Ne seguono altri: fendenti, stoccate, affondi disperati. Ogni volta che credo di aver trovato un varco, la sua spada è lì ad aspettarmi. Mi costringe indietro, passo dopo passo, senza fretta. Ogni suo movimento trasuda scherno nei miei confronti, ogni parata è solo un modo più elegante per ricordarmi quanto valgo poco.

Le sue lame mi investono come grandine: fendono la pioggia, spaccano l’aria. Mi colpisce al fianco, alla spalla, alla mano. Sento la presa allentarsi, ma non mollo: la rabbia per il destino a cui ho condannato Vian mi costringe a restare in piedi, sostenendo un ritmo che solo chi ha tradito la propria natura umana può mantenere. Ben presto la disperazione diventa la mia unica arma.

Quando finalmente riesco a ferirlo - un graffio, niente più - lui guarda il sangue sul palmo e sorride. «Finalmente un segno di vita!»

Poi contrattacca, polverizzando in un istante quel briciolo di vantaggio che mi ero illuso di aver guadagnato. La sua lama si abbatte in diagonale: sento l'acciaio sfiorarmi la guancia, poi colpirmi in pieno volto con la stessa rapidità di un serpente. Avverto una vampata di calore, seguita da un dolore acuto e violentissimo. Le ultime immagini che mi passano davanti sono il bagliore di un fulmine riflesso sulla lama e il corpo esanime di Vian riverso nel fango... poi tutto si annebbia.

Non ci vedo più.

Cado in ginocchio, mentre il mondo che mi circonda perde la sua simmetria. Sento Bondred gravare su di me, la sua ombra che soffoca ogni altro suono.

«Hai perso qualcosa?» chiede con un sogghigno. «A parte questo scontro, intendo».

Mi rialzo come posso, il lato sinistro del volto che brucia come se fosse a contatto con un tizzone ardente. Poi un ultimo colpo mi raggiunge alla testa, facendomi perdere i sensi.

«Non preoccuparti, è solo un'occhio: a tempo debito ricrescerà».

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28 Febbraio 518
Sabato 20 Settembre 2025

Una cosa divertente che non farò mai più



«E così tu saresti Vodan.»

«Si, signore.»

«Non credo che abbiamo mai avuto occasione di parlare, prima d'ora...»

«No, signore.»

«Eppure sei qui già da due anni... Come ti trovi alla Rocca di Tramontana?»

Gadman Scherer mi riempie di domande stupide. Chi sono, da dove vengo, dove ho fatto la muffa in galera, come sono stato liberato... Tutte cose che sono sicuramente scritte nel foglio che tiene di fronte a sé. Appunti di Barun? Non credo: il vecchio detestava scrivere, figuriamoci se avrebbe perso tempo a prendere nota delle mie disgrazie. Dev'essere roba che gli ha passato qualcuno.

«Qui c'è scritto che hai fatto alcune dichiarazioni piuttosto forti, quando ti hanno interrogato a Lagos... E le accuse che ti ha mosso questa donna... Lady Grimhild Roch... sono ancora più forti.»

«Non sono sicuro di ricordare, signore...»

Cazzata. Ricordo benissimo cosa ho raccontato, anche perché coincide perfettamente con quello che ho vissuto su quella maledetta isola. Quando la fame ti costringe a mangiare carne umana non te lo scordi... anche se appartiene a uno stronzo. Lady Roch non aveva tutti i torti a volermi vedere marcire dietro le sbarre, anche se suo marito era uno dei peggiori ufficiali di bordo che si fossero mai visti - e a Nuova Lagos ne vedevamo a bizzeffe, di incapaci.

«Sono certo che te lo ricordi, invece... Uomini che divorano altri uomini. Non proprio roba per deboli di stomaco...»

«...Direi di no, signore.»

Parla dei Risvegliati... o di me? Probabilmente entrambi. Ma le domande successive sono tutte su di loro: quanti erano, come erano fatti, se indossavano qualcosa di particolare, se per caso avevo visto da dove venivano... Poi mi chiede dell'isola: dove ci siamo schiantati, di che colore era la spiaggia, se c'erano altri atolli nei pressi, se per caso io o qualche mio defunto compagno di viaggio avevamo visto qualche insediamento abitato...

«Mi rincresce non potervi essere di aiuto, signore.» In realtà non mi dispiacerebbe affatto tenergli nascosto qualcosa: peccato che io non abbia davvero visto una mazza. Ma poi, insediamenti abitati nell'arcipelago di An Reilig? Mi sa che non c'è mai stato.

«Tutt'altro, Vodan... è stata una conversazione preziosa.»

Ah beh, se lo dice lui...

«Ho soltanto un'ultima domanda... a cui ti prego di rispondere con la massima sincerità, come se ne andasse della tua vita.»

«Certamente, signore...»

«Ti hanno morso?»

Lo osservo mentre mi scruta, come se cercasse di carpire chissà quale reazione.

Alzo le spalle. «Negativo, signore... Altrimenti non sarei qui, credo.»

Sorride. «Esistono degli immuni, a quanto pare... Molto rari, ma ci sono. Ne abbiamo avuto conferma.»

Annuisco. «Temo però che non sia il mio caso...»

Sorride ancora. «Se quello che mi hai detto è vero, in fondo non potresti saperlo... Corretto?»

Annuisco ancora: in effetti non fa una piega.

La conversazione sembra averlo soddisfatto. Prima di congedarmi mi chiede di restare alla Rocca: gli faccio presente che il mio plotone è prossimo alla partenza e lui mi risponde che no, è meglio se questo giro lo salto. Chiedo quali siano le mie consegne e mi viene risposto che mi saranno comunicate a breve: fino ad allora sarà sufficiente restare a disposizione.

Tom Weiss mi scorta giù; il divario poderoso fra la sua statura mingherlina e i corridoi monumentali della Rocca mi incurva le labbra in un sorriso. La parte ottimista del mio cervello mi fa presente che poteva andare peggio; quella sveglia non è dello stesso avviso e sente puzza di fregatura imminente.

Sul far della sera il cielo si apre a strappi color rame. Ho modo di scambiare due chiacchiere con i miei compagni e mangiare un boccone, poi la Rocca viene sprangata e ci mandano a dormire. La nostra camerata è semivuota. Bohemond sogna Kalina (beato lui) mentre a me, per colpa delle domande di Gadman Scherer, tocca rivivere ancora una volta gli orrori vissuti sull'isola di Cabal. A ciascuno la sua isola proibita, suppongo.

All'alba mi tengo “a disposizione”. Faccio il giro delle mura, osservando la città che si sveglia e i campi oltre il bastione: chissà se da Trent hanno già cominciato a seminare. Immagino Saga e Freya lungo i solchi tracciati dall’erpice, con il sacco di ceci e avena sulle spalle, seguite da uno sciame di marmocchi nanerottoli intenti a scacciare i corvi con i loro sonagli di latta. Poi arriva Tom Weiss, che di certo non svetterebbe in mezzo a quella marmaglia, a informarmi che sir Gadman Scherer ha ancora bisogno di me.

Un'altra sgambata tra scale e corridoi e rieccomi nella sala del Comandante: stavolta però sir Gadman non è solo, con lui c'è un altro tizio con il volto coperto da un ridicolo mascherone di ferro che non promette niente di buono. Dice di chiamarsi Bondred.

Bondred - Immagine 1

Non ha gradi sull'armatura e non sembra dei nostri: non l'ho mai visto, ma avverto un non so che di familiare. I miei compagni mi hanno parlato di un pendaglio da forca con un nome del genere, un Innalzato fuggito da Dioghail che pare abbia spadroneggiato al porto di Uryen qualche anno fa. In ogni caso questo tizio è una rogna assicurata, si capisce lontano un miglio.

«Molto piacere», mento accennando un saluto.

«Siediti», risponde lui, tagliando corto. Il pentolone arrugginito che gli ricopre il volto mastica le sue parole, restituendo suoni ovattati: speriamo che non convochi mai Jebediah, il poveretto non capirebbe un accidenti.

Nei successivi venti minuti Bondred mi sottopone a un altro interrogatorio, in cui mi chiede nuovamente quello che ho visto sull'isola di Cabal. A differenza di Gadman Scherer, però, che teneva gli occhi fissi sul foglio di appunti di fronte a sé, lui parla all'impronta, scrutandomi dall'interno delle cavità oscure che gli nascondono gli occhi come se potesse leggere dentro di me la veridicità di ciò che affermo.

«E così non hai visto nulla e non ti è successo nulla», conclude, grattandosi il guscio di ferro che gli fodera la testa. «Ti sei limitato a divorare le carcasse dei tuoi compagni come un avvoltoio, senza mai uscire da quella nave, senza mai guardarti intorno... La gente moriva e tu te ne stavi tranquillo, rintanato in cambusa a farti uno spuntino...»

«Non ero io il problema su quell'isola», rispondo con tono pacato. «E se fossi uscito da quel relitto per guardarmi intorno probabilmente a quest'ora starei ancora lì, vagando sulla spiaggia in cerca di cibo».

Bondred annuisce con un sorriso. «Probabile», aggiunge poi. «Senti... me la togli una curiosità?»

«Posso provarci...»

«Ma... Erano cotti, almeno? o te li sei mangiati crudi...»

Alzo le spalle. «Mah... forse un po' troppo al dente.»

Sir Gadman Scherer volta la testa verso il muro, visibilmente infastidito. Bondred scoppia in una risata, poi torna serio. «Vedi, Vodan... le cose si sono fatte un po' complicate, e anche se mi sembri un tipo a posto non possiamo correre rischi. Motivo per cui...», conclude, scambiandosi un'occhiata con il comandante, «...motivo per cui credo che uniremo l'utile al dilettevole».

«In che senso?» Chiedo.

«Nel senso che verrai con me.»

«Partirete stasera», aggiunge Gadman Scherer, tornando a guardarmi. «Tom ti aiuterà a prendere le tue cose. Tom?»

Tom Weiss compare sulla soglia, svettando come un filo d'erba tra gli alberi del Miestwode. Gadman Scherer mi congeda, Bondred rivolge la sua attenzione altrove. Qualcosa mi dice che sono in arresto. Chissà perché, chissà che cosa ho fatto. Ma soprattutto chissà chi è questo Bondred e cosa pensa che potrei aver visto. Mi sforzo di riflettere su quanto mi hanno raccontato Sven, Kailah e gli altri: l'unica spiegazione possibile è che questi due imbecilli stiano pensando che la nave su cui mi trovavo abbia naufragato nei pressi di Dioghail. Forse Bondred era lì? Da come parla potrebbe tranquillamente essere originario di Ghaan. Ma anche se fosse? Cosa cambierebbe se lo avessi visto?

Mentre Tom mi conduce fuori dagli ambienti del Comandante mi viene in mente che è un bene che Quorton Kraven abbia disertato e si sia diretto al di là del Traunne: se l'obiettivo è togliere di mezzo chi è stato da quelle parti, avrebbero potuto arrestare anche lui. Sulle scale incontriamo una soldatessa che ho visto parlare con Kailah in un paio di occasioni: potrebbe essere un buon momento per lasciare qualche informazione ai miei compagni. Dico a Tom che è la mia ragazza e che vorrei salutarla come si deve, lui sorprendentemente ci casca e mi consente di scambiarci due parole... mettendosi a origliare, ovviamente. Riesco a farle il nome di Bondred ma per il resto mi trovo costretto a parlare per metafore, spero che lei sia sufficientemente sveglia da ricordare tutto e che i miei compagni riescano a mettere insieme i pochi pezzi che mi sono capitati tra le mani.

In quel momento, quando ancora non sapevo un accidenti e non avevo idea della tempesta di merda che si sarebbe sollevata di lì a poco, parlare con quella ragazza mi era davvero sembrata una buona idea.

Non potevo immaginare che l'avrei condannata a morte.

Vian Yor - Immagine 1



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23 gennaio 518
Giovedì 22 Ottobre 2020

Sei mejo te



Come va, vecchio mio?

Mi piacerebbe dirti che qui più o meno stiamo tutti bene, come si fa di solito in questi casi, ma a giudicare dalle urla di dolore che ho sentito negli ultimi venti secondi credo che le cose siano appena peggiorate.

Quanto a me, diciamo che me la cavo: continuo ad avere questo rendimento un pò a singhiozzo, alternando grandi colpi e trovate mediocri. Penso che sia anche un pò colpa tua, visto che la tua daga continua a portarmi una sfiga del cazzo... o magari è solo colpa del fatto che non riesco a maneggiarla come si deve. Del resto se l'avessi saputa usare a quest'ora starei maramaldeggiando in giro per la foresta vestito come un idiota a spadroneggiare insieme agli altri Kraighar, non certo a farmi massacrare di botte da uno di loro.

Già, perché questa bestia che mi si para innanzi con il suo occhio marcio e un puzzo di cadavere da fare invidia ai risvegliati sembra proprio essere uno dei tuoi compari. Anche lui orbo, anche lui vestito come un coglione. Anche lui con la sua sporta di trucchetti del cazzo.

La mia lama non è abbastanza lesta per impedire il suo attacco: una vampa di freddo e tenebre attraversa il mio corpo e riporta la mia memoria a quella maledetta notte di Ostàra in cui mi portasti a vedere il mondo come lo vedi tu. Ma la trovata del tuo epigono non sembra essere all'altezza di quell'orrore, limitandosi a fiaccare il mio braccio e rendendo il primo colpo che riesco a sferrare facile preda del suo claidheamh mòr. Poi sento il tonfo di Sven che rotola in terra alle mie spalle e capisco che no, la barzelletta era buona, sono io a non averla capita: sono solo stato fortunato.

O forse per nulla.

In piedi siamo rimasti io, lui, Colin che sta cercando di salvare la vita di Kailah e uno dei loro rintanato nella boscaglia che tra non molto sarà pronto a colpire. In un modo o nell'altro questa faccenda va chiusa nei prossimi dieci secondi. Io non ho l'elmo, lui ha delle strane fiammelle che gli circondano il collo. Riuscirò ad avere la meglio?, penso mentre sferro il mio secondo attacco. Neanche a parlarne, ovviamente: il mio braccio dà il suo peggio e lui non si fa sfuggire l'occasione per colpirmi la gamba, eludendo ogni mia difesa. Vorrei poter incolpare le botte che ho preso, la stanchezza degli scontri già sostenuti o il torrente di tenebra che mi ha rovesciato addosso, ma la realtà è che non ce l'avrei fatta comunque: quello spadone non ammette alcuna scusa. Non posso far altro che negoziare una tregua, mostrando l'arma che un tempo ti appartenne e che bene o male ho il diritto di brandire. Ancora una volta il tuo nome è oggetto di scherno, ancora una volta vieni descritto come un vile reietto che ha fatto la fine che meritava. Certo che hai lasciato davvero un bel ricordo, eh? Stavolta però non c'è bisogno di dire nulla: lo spaccone che deride le tue imprese è vivo soltanto grazie a una freccia che ha colpito alle spalle il prete che gli stava tenendo testa, il suo giudizio vale meno degli occhi che si ritrova.

Faccio un debole tentativo di spiegare perché ci troviamo lì e il motivo che ci spinge a voler proseguire. Fiato sprecato: "in quella torre per voi c'è solo la morte". A quel punto prende la parola Colin, che cerca nuovamente di far valere le nostre ragioni sottolineando l'urgenza di fermare ciò che sta accadendo prima che sia troppo tardi: arriva persino a raccontargli la triste storia di Muireal, la guerriera Elsenorita che venne per suonare e finì suonata. Niente da fare, il nostro ha già pronta un'altra secchiata di merda da gettare anche su di lei: debole, sprovveduta e dunque meritevole di morire. Ma ha anche dei difetti, verrebbe da aggiungere.

E allora sai che ti dico? Amen: sei mejo te. Fanculo al demone, a Elden Page e a questa foresta del cazzo: il nostro tentativo di salvare il mondo finisce qui. Del resto, considerando quanto andate d'accordo e vi stimate l'un l'altro, non mi stupirei affatto se quel diavolo d'un topo riuscisse a farvi ammazzare tutti a vicenda nel giro di un paio di settimane.
scritto da Vodan Thorn , 06:07 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
7 dicembre 517
Sabato 30 Marzo 2019

Vado per uno




"Qual è il tuo nome, soldato?"

"Vodan, signore".

"Bene, Vodan. Parli la loro lingua, vero?"

"Qualcosa".

"E loro non capiscono un cazzo della nostra..."

"Poco e niente".

"Ok, Vodan, ascolta: come puoi vedere, io qui vado per uno... E loro sono due. Ma se farai quello che ti dico, stasera in locanda avremo una storiella di cui vantarci".

"Ricevuto".



Quanti anni sono passati, esattamente? Sei o sette, credo. Ero una recluta nella guarnigione di Nuova Lagos e avevo una voglia matta di ubriacarmi e spaccare teste Elsenorite: il rifiuto di Eòran e Cathàl di portarmi con loro al Lughnasad mi bruciava ancora. "Choigear air Choigrich", straniero tra stranieri: fanculo a loro e alle loro regolette del cazzo. E il bello è che uno ci è crepato e l'altro è diventato un coglione. Ricordo che passavo le giornate a litigare con Branna e le serate a scolarmi gli avanzi del vino con cui mia madre cucinava: riusciva a mettere il vino dappertutto, quella cazzo di ubriacona: persino dentro le mele. Chissà che fine ha fatto. Prima o poi spero che si ripresenti, così magari le restituisco un pò delle botte che mi ha dato.

Il sergente maggiore Greg è l'unica cosa positiva che ricordo di quel periodaccio: una specie di leggenda vivente, protagonista di innumerevoli scontri tra Rastan e Leduras e poi spedito controvoglia su Ilsanora a reprimere le intemperanze delle popolazioni locali.

Fu lui che mi convinse ad entrare nella guarnigione, il giorno che mi presero con le mani nel sacco e mi portarono al suo cospetto. "Ti dice culo che servono uomini: o ti arruoli o ti sbatto dentro, decidi tu". La classica offerta che non si può rifiutare. Eppure fu la cosa giusta, soprattutto quando Eòran e Cathàl decisero di andarsene da soli affanculo e mi tolsero dall'imbarazzo di avere il piede in due scarpe: al sergente maggiore Greg gli elsenoriti stavano parecchio sui coglioni, se avesse saputo che stavo con i Dìolan Loch mi avrebbe fatto a pezzi. O forse lo aveva sempre saputo e non gliene fregava niente, in fondo gli stava sul cazzo pure la Guarnigione.



"Adesso scegline uno, quello che ti sembra il più coglione, e digli qualcosa... prendilo per il culo".

"..."

"Che c'è, Vodan? Sei sordo?"

"No, signore... è che mi sembrano entrambi coglioni".

"Ah-ah! Non farmi ridere, che muoio dissanguato: tiratene addosso uno e cerca di convincerlo che sei più pericoloso di me, altrimenti siamo morti".


Andare a stanarli a casa loro si rivelò un'idea del cazzo fin dall'inizio. L'informatore ci aveva assicurato che erano in quattro, e invece erano in sette: un pò troppi per un sottufficiale e tre reclute male assortite... Persino se il sottufficiale era una bestia come il sergente maggiore Greg. Ricordo ancora i miracoli che gli vidi fare prima con l'arco e poi con la spada: poi il loro capo, un certo Aomach, riuscì a colpirlo all'addome. Le immagini di quel giorno scorrono nitide davanti ai miei occhi, spinte dalle numerose analogie con quanto sta accadendo adesso.

Già, adesso. Ricapitoliamo: ho sguainato la spada e per poco non l'ho data in testa a Balestrone Uno, che per pararla s'è preso due sberle ed è andato fuori gioco. Dopo un paio di giri a vuoto sono riuscito a piantare la spada in testa al mio avversario e mi sono potuto girare sull'altro, facendomi grossomodo perdonare. Il problema è che questo non è il solito cazzone con l'arma a due mani: ha lo scudo e lo sa pure usare. Cerco di prenderlo un pò per il culo, sperando che Balestrone Uno di sgattaiolare via. La manovra in qualche modo riesce, ma questo mi risponde vomitandomi addosso uno Scaith che non ho mai sentito e piantandomi la spada tra le costole come l'ultimo dei figli di quella zoccola di sua madre.



"Ehi, ha funzionato! Cosa gli hai detto?"

"Che suo padre lo ha partorito dal culo..."

"Ci sei andato leggero!"

"... dopo che glielo abbiamo sfondato".

"... Ah."

"Eh".

"Ciòè, proprio che glielo abbiamo... in due. Io e te".

"Si, signore".

"Capisco. Beh, a lui dovrai sfondarglielo da solo, mentre io mi libero di quest'altro idiota. Pensi di farcela?".

"Ci provo".

"Fare o non fare, Vodan: provare è morto inculato".

"... Come il padre di questo qui?".

"Esatto: così impara a fare i figli stronzi".

"Ce la farò".

"Bravo".



Anche allora, proprio come oggi, ero un cazzone che parlava tanto e combinava poco: per poco quello non fu il mio ultimo combattimento. Venti secondi che mi sembrarono ore, fino a quando il sergente maggiore non riuscì ad avere la meglio sul suo e venne ad affiancarmi, reggendosi la pancia con il braccio dello scudo. Sulla carta eravamo due contro uno, ma quello sano non aveva alcuna possibilità di farcela e a quello ferito restavano uno, due colpi al massimo; mentre il nostro avversario stava bene e brandiva uno scudo. Lui aveva tutto il tempo del mondo, noi no.

Il ricordo vivido di ciò che accadde dopo mi è sufficiente per capire cosa devo fare. Osservo Colin che si avvicina, la punta del suo stocco che mi si affianca: il nostro avversario sa come sto messo e ha tutto il tempo del mondo, proprio come quella volta... Solo che stavolta quello forte e che va per uno sono io. Continuo a insultarlo: è importante che colpisca me, o meglio che NON colpisca me, lasciando Colin libero di attaccare. Il primo colpo non riesco a evitarlo, ma l'armatura decide di graziarmi. Colin ricambia il favore: ancora nulla di fatto, ma riesce a togliergli il tempo e a sferrare un secondo fendente. Ci siamo: Colin ha fatto il suo, adesso devo pensarci io. Questo scontro finirà nei prossimi cinque secondi, in un modo o nell'altro: ci serve una specie di miracolo, proprio come andò in quel giorno di settembre quando il sergente maggiore Greg sferrò l'ultimo colpo di spada che gli restava in corpo e...


"Sei stato bravo, Vodan: adesso abbiamo la nostra storiella da raccontare".

"Grazie, signore".

"La finisci di chiamarmi signore? Mica sono tuo nonno: chiamami Greg".

"Va bene, Greg".

"Adesso me lo dici cosa gli hai detto davvero, a quell'elsenorita?"

"Che suo padre..."

"Non prendermi per il culo: gli avrai detto tre parole in tutto...".

"E' una lingua sintetica: poche parole, tanti concetti...".

"Ah-ah! Sei proprio un cazzaro. Adesso tagliamo la corda, prima che ne arrivino altri".

"Ma la ferita? Non mi sembra uno scherzo...".

"Nah, è solo un graffio. E poi lo sai come funziona su Ilsanora, no? Se non torni con una ferita ti prendono per il culo, sembra che non hai combattuto e che hai mandato avanti gli altri: con un taglio del genere, nessuno si permetterà di farlo".

"Una vera fortuna, allora".

"Tu piuttosto, non hai paura di essere preso per il culo? Siamo ancora in tempo per rimediare..."

"Sto bene così, grazie".

"Sicuro? Neanche una freccia nella spalla, magari di striscio?"

"Magari un'altra volta".

"D'accordo. Vorrà dire che farai una figura di merda in locanda, stasera..."

"Sopravviverò".


Anche questa è andata. Mi metto a sedere lungo il corridoio, cercando di non pensare al dolore, mentre Colin si accinge a prestarmi le prime cure. Spada-e-Scudo si dibatte come un pesce sulla riva a meno di un metro, cercando invano di tamponare il fiotto rosso che gli zampilla dal collo. Speriamo che non facciano pulire a noi.

Chissà che fine ha fatto, il sergente maggiore Greg: prima o poi spero che si ripresenti, così magari gli restituisco un pò delle botte che mi ha dato.

Vodan Thorn - Immagine 3
scritto da Vodan , 13:31 | permalink | markup wiki | commenti (0)
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