(antico detto popolare elfico)
Uno dei vantaggi di avere un occhio solo è che quando sbatti le palpebre fai metà della fatica.
Non è molto, ma quando la tua esistenza è scandita da giorni in cui non puoi fare altro che aspettare il momento in cui ti porteranno del cibo immangiabile, e da notti passate ad asciugarti le purulente secrezioni di un'orbita vuota invece di dormire, impari ad apprezzare i piccoli traguardi.
Da fuori, tutto sommato, sembro ancora un bel ragazzo. La benda mi dona, conferisce quell’aria misteriosa che fa impazzire le ragazze e mette a disagio i preti. Se non fosse per il pallore, per le occhiaie e per il fatto che ormai peso come un corvo bagnato, potrei quasi spacciarmi per un veterano malinconico, uno di quelli che raccontano storie di guerra mezze inventate per farsi offrire da bere. Come quel tipo lì di Ghaan con il nome stupido... com'è che si chiamava? Aspetta... sì, Dan Bucky.
Il problema sono le forze che mi stanno abbandonando. La febbre e la nausea mi devastano dal giorno in cui mi hanno riportato in questa lurida cella, e i lacci che mi hanno messo ai piedi e ai polsi per impedirmi di fare altre stronzate non sono di grande aiuto. Non si sono neanche presi la briga di curarmi.
«Se non ce la fa a riprendersi da solo, non mi serve: non so che farmene di un corpo debole».
Questa frase, pronunciata da Bondred al momento di affidarmi ai due nuovi cani da guardia che mi hanno trascinato in questa cella al termine del nostro scontro, continua a ronzarmi nel cranio come una mosca in una bottiglia.
Non so che farmene di un corpo debole. Magari è proprio questo, l'esperimento di cui parlava: vedere quanto a lungo un uomo riesce a sopravvivere legato, senza un occhio e costretto a mangiare la sbobba improponibile che mi danno.
Negli ultimi giorni ho pensato incessantemente a ogni possibile modo per uscire da qui: spezzare i lacci, aggredire le guardie, provocare un incendio, fingermi morto... Ma anche nell'improbabile ipotesi in cui riuscissi a liberarmi, cosa potrei fare dopo? Come posso sconfiggere un Innalzato in queste condizioni? Temo che in questo momento la strategia più saggia sia quella di starmene fermo, zitto e buono, nella speranza che il destino sia così cortese da farmi pescare, se non una mano, almeno una carta decente.
Neanche a farlo apposta, avverto un cigolio e un rumore di stivali. Che sia già ora del rancio? No, a giudicare dall'arnese che hanno portato - una lunga asta di metallo con un semicerchio dentato in cima - immagino sia arrivato il momento di un'altra udienza nella sala del grande stronzo.
«Solleva il mento», mi dice uno dei due. Faccio come dice, lasciando che le estremità biforcute dello strumento di cattura mi scivolino sotto la gola, stringendomi il collo in una morsa fredda e pesante. Solo allora l'altro comincia a slegarmi. Non hanno voglia di correre rischi: non posso certo biasimarli, visto quello che è toccato in sorte ai loro predecessori.
La strada verso la torre non è lunga, ma il fango riesce comunque a farmi rimpiangere ogni passo, risvegliando crampi che non ricordavo dai tempi dell'ultima sgambata. I due mi scortano come se stessero portando un orso in gabbia: uno di fianco, con la mano sulla spada, l'altro che mi spinge da dietro con l'arnese ben stretto tra le mani, pronto a costringermi a terra se solo dovessi starnutire. Ce la metto tutta per non inciampare, ma la benda al posto dell'occhio non aiuta a mantenere l'equilibrio.
Appena varco la soglia, il calore confortevole del fuoco mi avvolge come l'abbraccio di una... sirena. Non so perché, ma mi viene in mente Kalyah Niadh, o Kalina la Divina, come la chiamano adesso. Non la vedo da quel giorno in cui mi recai alle Case della Gioia con Groombor, la riconobbi e provai vergogna al punto che mi passò la voglia. Chissà che fine ha fatto.
«Ti sei ripreso?» La voce sprezzante di Bondred mi riporta nella torre. «Come va l'occhio?»
«Ogni tanto mi manca».
Scoppia a ridere, subito imitato dai due coglioni che mi circondano. «Sono contento di vedere che ti senti meglio, anche se non hai una bella cera: ti vedo deperito...».
«Dicono che succeda spesso, quando non ti danno da mangiare».
«Hai ragione. Ho preferito tenerti leggero, per evitare che... insomma, che ne combinassi un'altra delle tue. Ma ho buone notizie: da oggi cambierà tutto».
Oh merda, ci risiamo. Attendo in silenzio ciò che ha da dirmi, deciso a non dargli la soddisfazione di credere che m'importi davvero.
Non posso immaginare che, di lì a poco, accadrà qualcosa destinato a mettere in discussione tutto ciò che credo di sapere: su Bondred, sul destino che mi attende, e persino su ciò che resta della mia famiglia.
(messaggio inciso su una cassa di aiuti provenienti da Lankbow recuperata al porto di Uryen)
«La prima cosa che devi sapere è che da oggi tornerai a mangiare come si deve. Consideralo un premio per quello che hai passato nelle ultime settimane. Il tuo corpo ha resistito a settimane di fame, febbre, mutilazioni. Avresti anche potuto tirare le cuoia, eppure... eccoti qui».
«Eccomi qui».
Bondred fa un cenno a uno dei due scagnozzi, che si avvia verso una delle porte della sala. Quando la apre, un inconfondibile odore di stinco arrosto si diffonde nell'aria, provocandomi una fitta allo stomaco a dir poco lancinante. Con mia grande gioia, poco dopo un sacco contenente quella pietanza prelibata viene gettato ai miei piedi. Lo sgherro deposita un secondo sacco al centro della sala, quindi riprende il suo posto.
«Serviti pure», mi esorta Bondred. «Non fare complimenti. Ma lascia un po' di spazio per la torta: qualche giorno fa era il tuo compleanno, o sbaglio?».
Per una volta, ubbidisco con piacere: mentre addento quel cosciotto, speziato e saporito proprio come piace a me, penso che potrei cogliere l’occasione per strozzarmi con un ossicino e lasciare Bondred con un palmo di naso. Non faccio nemmeno in tempo a finire il pensiero, che il soldato alle mie spalle strattona la tenaglia che mi ghermisce il collo. «Non troppo in fretta: potresti sentirti male.»
Bondred attende pazientemente che termini il pasto, poi prende di nuovo la parola.
«Ora che ti sei rifocillato, possiamo passare alla seconda cosa che devi sapere: il motivo per cui ti trovi qui».
«Era ora», rispondo. «Sono tutto orecchi. Prima che tu me lo dica, però, vorrei farti una domanda: cosa ti fa pensare che, qualsiasi cosa tu voglia farmi, smetterai di starmi sul cazzo e diventeremo amici?»
Scuote la testa. «Credimi, non ho bisogno della tua fedeltà. Continui a non capire perché sei convinto che io voglia renderti un Innalzato o qualcosa di simile, mentre invece la verità è molto più semplice...»
«E cosa diventerò, allora? Un coglione come le guardie incapaci di cui ti sei circondato?»
«Penso che farò prima a mostrartelo: l'occhio che ti è rimasto dovrebbe bastare per farti un'idea». Così dicendo, Bondred tira fuori una piccola chiave di metallo, con la quale comincia ad aprirsi l'elmo di ferro.
Quando la maschera si spalanca, stento a credere ai miei occhi nel riconoscere il volto tumefatto di Robert Proutz, un vecchio soldato di Uryen con cui abbiamo avuto a che fare non molto tempo fa. Barun lo aveva sbattuto in cella a seguito di una missione durante la quale aveva perso la brocca, ma poi era stato liberato... O almeno, così ci avevano detto. Chi poteva immaginare che Bondred fosse proprio lui? Ci ha fregati a tutt...
...Aspetta un momento: questa storia non ha alcun senso. Il vecchiaccio decrepito che si staglia innanzi a me non può essere Proutzo, e se mai lo è stato una volta, di certo oggi ne conserva solo i tratti. Non è passato neanche un anno dall'ultima volta che lo abbiamo visto, e all'epoca avrà avuto una cinquantina d'anni... ma il volto consunto e scavato che mi osserva con occhi divertiti non può averne meno di settanta, forse anche di più.
«Che storia è questa?» Domando, visibilmente infastidito. Proutzo non sarà un'aquila, ma non merita di essere confuso con questa carogna.
Il losco figuro che si spaccia per Robert Proutz mi risponde con un sorriso beffardo. «A giudicare dalla tua reazione, mi sembra di capire che questa faccia non ti è nuova. E non è l'unico soldato di Uryen che devo ringraziare per il regalo che mi ha fatto: magari conoscevi anche il tipo che lo ha preceduto?»
Così dicendo afferra il secondo sacco e ne rovescia il contenuto, che colpisce con un tonfo sordo il pavimento della sala per poi rotolare lentamente verso di me. Quando capisco di cosa si tratta, la fame mi passa del tutto.
«Non sembra affatto una torta», rilevo con una smorfia di disgusto.
«Spiacente», ridacchia Bondred: «la torta era una cazzata».
Osservo la testa umana che giace davanti a me. A un primo sguardo, sembra essere stata recisa di recente: labbra ancora tese, pelle intatta. La cosa più inquietante sono gli occhi, vividi e lucenti come sfere di vetro. Dubito si sia trattato di uno scontro epico, il poveraccio avrà avuto almeno ottant'anni... Poi noto una serie di tratti del volto che la memoria comincia a riconoscere. Quando i ricordi riemergono del tutto, il sangue mi si gela nelle vene.
«Stefen Mahl», mormoro lentamente. Una recluta di Uryen con cui abbiamo avuto a che fare in quell'assurda missione sotto il comando di Kain Werber. Ricordo bene quando ci chiese di seguirlo nel suo folle progetto di ammutinamento, e quanto si incazzò quando feci fuori la principessa Nordra di cui si era innamorato. Quanto tempo sarà passato? Due anni? Come ha fatto a ridursi così?
«A quanto pare hai conosciuto pure lui», commenta Bondred. «Un altro che è durato ben poco: ma la sua testa l'ho impagliata comunque, per ricordo... Lo faccio sempre, dopo».
Le sue parole mi guidano lentamente nella comprensione della verità. Dunque è così: questo stronzone si impadronisce del corpo degli altri. E' un cazzo di parassita, non troppo diverso dalle larve che divorano il cervello dei Risvegliati o dai sieri demoniaci che hanno corrotto le spoglie di Cynthia Haller, Mirai Raaken, William Deed e chissà quanti altri. A giudicare dall'aspetto moribondo il suo ospite attuale è alla fine del ciclo e ha bisogno di un nuovo poveraccio da infettare... Porco cazzo.
«Bene! Adesso che hai compreso ciò che ti aspetta, possiamo parlare di affari».
Valuto la possibilità di dirgli che se lo può scordare, che non esiste al mondo la possibilità che io sia interessato a sentire cosa ha da dire o da propormi: oppure, visto che le possibilità di fuga da questo posto mi sembrano scarse, di fare buon viso a cattivo gioco e provare a togliermi di mezzo con discrezione, prima che lo stronzone possa...
«Stai già pensando a come tirartene fuori, eh? Vedi, è questo che mi piace di te: l'innata capacità di sopravvivere che ti ritrovi. Un dono del tutto sconosciuto agli insulsi cagasotto che mi è toccato abitare negli ultimi tempi... ed è anche il motivo per cui sono durati così poco».
Abitare. Abitare. Persino le parole scelte da questo essere spregevole fanno venire la nausea. Vuole entrare dentro di me, prendersi il mio corpo.
«Considerati fortunato» aggiunge con un sussurro, quasi paterno. «Non sono in molti quelli a cui concedo l'onore di sapere cosa li attende prima che accada. Di solito mi portano dei rottami di carne: gente moribonda o mezza scema che non ho alcun interesse a conoscere. Con te, invece, è stato molto divertente: un po' mi dispiace che non ci resta molto tempo... Ma ci tenevo a metterti a parte».
Resto immobile, muto. Se apro bocca finirò per vomitare lo stinco e no, se voglio provare a combinare qualcosa devo prima di tutto recuperare energia.
«E dai, non fare quella faccia! Sarai ricordato come colui che mi ha donato una nuova vita: non è forse un bel modo di morire?»
Non devo ascoltarlo. Me lo sta dicendo apposta, per spezzarmi ancora di più, per instillarmi la consapevolezza di aver già perso... E la cosa peggiore è che ci sta riuscendo. Per lui non sono un uomo: sono un involucro, un guscio da riempire. C'è solo una cosa che posso sperare di fare in qualche m...
«Ah-ah», esclama scuotendo la testa, come se potesse leggere il flusso dei miei pensieri. «Non pensarci neppure: toglierti la vita non ti è permesso... io non lo permetterò. Al contrario, farò in modo di farti arrivare riposato, ben nutrito e in forze... Proprio come il maiale che ti sei appena mangiato».
«Non contarci troppo», mormoro digrignando i denti.
«Lo so, lo so che sei un osso duro», risponde lui: «è proprio per questo che ho deciso di prendere delle ulteriori precauzioni. Entrate pure!» esclama poi, rivolto verso la porta da cui era uscito lo stinco.
Mi preparo con un sospiro a questa ennesima rivelazione, certo che giunti a questo punto niente possa più sorprendermi.
Grosso errore.
(scritta rinvenuta su diverse frecce elfiche scagliate durante la Campagna del Nord)
Un colpo di battente metallico risuona nella stanza, seguito da passi leggeri che riecheggiano sul pavimento di pietra. Bondred si volta e solleva un braccio, con l'aria di un anfitrione che si accinge a introdurre degli ospiti di riguardo.
«Vodan, ti presento i tuoi nuovi angeli custodi. Con loro a sorvegliarti non dovremo più preoccuparci delle tue stronzate e potremo tutti dormire sonni tranquilli».
Due ombre varcano lentamente la soglia: si muovono fianco a fianco, con la postura rigida di chi sa di essere giudicato e teme di sbagliare qualcosa.
La prima si rivela essere un ragazzino travestito da soldato: tredici anni, se arriva a tanto. Capelli scuri tagliati di netto, occhi svegli, un’espressione fin troppo seria per la sua età. Quello che più mi colpisce è il modo in cui porta l'usbergo di cuoio rinforzato che gli hanno messo addosso: un peso che dovrebbe risultare insopportabile per il suo corpo minuto, ma che stranamente non sembra creargli alcun problema. Quando i suoi occhi incontrano il mio, il loro colore innaturale mi gela il sangue. Ma non è che per caso lo hanno Innalzato? Ma no, non può essere: è appena un bambino. Cosa vado a pensare...
Poi l'occhio che mi resta si posa sulla figura accanto a lui, e improvvisamente il mondo si frantuma in mille pezzi.

Non è possibile. Freya.
Il mio respiro si tramuta in pietra. Resto interdetto, incapace di muovermi o proferire parola. Cosa... come... perché? La mia mente corre veloce, vagliando tutte le possibilità. Le hanno scoperte. L'ha portata qui per costringermi a stare buono, come ha tentato di fare con Vian. Perché farle indossare un'armatura, però? Per prendermi in giro? Non capisco...
Un istante dopo è lei a riconoscermi, e nei suoi occhi percepisco la mia stessa identica sorpresa. Ma subito dopo, insieme allo stupore, scorgo qualcosa di infinitamente peggiore. Il pallore della pelle, le sottili venature scure che le corrono lungo il collo come filamenti di inchiostro... Come il suo compagno. Come Annie. Come Bondred. No. Non può essere. Non lei.
«Cosa c'è, Vodan? Hai perso la lingua?»
Mi costringo a volgere lo sguardo verso Bondred. Vorrei vomitargli addosso ogni insulto possibile, ma la voce non ha modo di uscire. La consapevolezza di ciò che ha fatto a Freya mi paralizza. Non resta più niente da dire, nessuna mossa da tentare. Mia sorella è nelle sue mani. Ha vinto lui.
«Lascia che ti spieghi: questi due baldi giovanotti sono i primi esemplari stabili di soldati Innalzati dell'Esercito di Uryen. Un piccolo miracolo, se pensi a quante tentativi hanno dovuto fare altrove per raggiungere risultati analoghi. Un tasso di successo più unico che raro, per il quale dobbiamo ringraziare...»
Non riesco a capire. Perché non limitarsi a prendere Freya in ostaggio? Perché renderla un demone al pari di William e Annie? Che bisogno c'era? Lo ha fatto solo per ferire me?
Bondred continua a parlare, citando con orgoglio nomi, numeri, dati e altra roba che non comprendo. Perché stai perdendo tempo, lurido verme? Hai già vinto. Facciamola finita, prenditi il mio corpo e sollevami dal supplizio di avere a che fare con te. Spero che almeno Saga ce l'abbia fatta e che non mi tocchi lo strazio di vederla uscire da quella maledetta porta, né oggi, né mai. Una voce nella mia testa mi esorta invano a riflettere meglio sulle parole del mio aguzzino, sugli sguardi brevi ma insistenti che mi sta lanciando Freya. Mi rifiuto di ascoltarla, di ragionare, di capire. Non voglio più saperne di questa storia, di questa torre, di questi esperimenti maledetti.
«...Allora, cosa ne pensi? Ah, e non commettere l'errore di sottovalutarli soltanto perché sembrano dei ragazzini: se proverai a fare qualche stronzata delle tue, ti accorgerai che...»
Freya mi rivolge un ultimo cenno, poi rompe il contatto visivo e torna a guardare fissa davanti a sé. Bondred prosegue nell'estatica descrizione del suo operato, quasi deluso dall'assenza dei miei soliti commenti sarcastici: continua a ciarlare di bambini rastrellati, asili di ricerca, pupilli... fino a quando, improvvisamente, una scintilla di lucidità si accende dentro di me. Uno dopo l'altro, i pezzi si incastrano, e finalmente comprendo il senso recondito delle parole di Bondred - e il messaggio che mia sorella cercava di comunicarmi.
Bondred non lo sa.
Ignora chi sia lei, e anche cosa siamo l'uno per l'altra. Freya non si trova qui per il nostro legame di sangue, ma perché è rimasta coinvolta negli assurdi esperimenti di questo pazzo miserabile. Per un incredibile scherzo del fato, lei e quell’altro ragazzino - di cui ignoro il nome ma che, ora che lo guardo meglio, mi pare di aver già visto da qualche parte - saranno i miei nuovi carcerieri.
No... non è un semplice scherzo: è la carta che stavo aspettando. Una sola, e difficilissima da giocare, ma incredibilmente buona. La cosa più difficile è scacciare la disperazione che mi pervade al pensiero che anche lei è stata trascinata in questo inferno, vittima innocente di questo maniaco sanguinario e del suo lurido branco di predatori. Ma devo farlo, ad ogni costo. Se voglio provare a giocarmi quest'ultima mano devo seppellire quel dolore nelle profondità del mio animo e tenerlo lì fino a quando non sarà finita, sgombrando i pensieri per un'ultima mossa disperata che comincia lentamente a prendere forma.
Siamo di nuovo in gioco, figlio di puttana: forse non ho modo di vincere questa partita, ma posso ancora fare in modo di trascinarti nella merda con me.
(dal libretto de "Il Cavaliere Oscuro", tragedia in tre atti originaria della Marca di Rastan)
L'unico momento della giornata in cui riesco a parlare con Freya è quando Kevan va a fare rapporto a Bondred. Le prime volte ho provato a farlo anche quando si allontanava, prima che mia sorella mi spiegasse che non era una buona idea: quel ficcanaso ha orecchie persino migliori di quelle del loro capo.
Nei due giorni che sono trascorsi dal nostro incontro mi ha raccontato una serie di cose: tutte terribili, nessuna esclusa. L'attacco agli abitati di Trent e Esmor, il rapimento suo e degli altri ragazzi, i crudeli esperimenti a cui è stata sottoposta nell'Asilo di Ricerca sul Morbo dei Risvegliati, il ricatto di Saga tenuta prigioniera chissà dove che l'ha costretta ad assecondare i suoi aguzzini. Ogni parola che pronunciava era come una pietra: ho immaginato la sua voce tremante, la paura, le notti in cui la costringevano a subire cose che, soltanto poche settimane fa, avrei avuto difficoltà persino a nominare di fronte a lei. Più volte, nell'ascoltare i resoconti di quelle ordalìe, mi sono dovuto mordere la lingua per non urlare e attirare l'attenzione di Kevan.
Ma la cosa peggiore di tutte, per quanto mi dia fastidio ammetterlo, è l'amara constatazione di quanto sia cambiata. La ragazzina ribelle che parlava al vento, che sognava di addomesticare i falchi e che restava incantata davanti alle lucciole quasi fossero stelle cadute dal cielo, è svanita per sempre. Al suo posto c’è una creatura silenziosa e disciplinata che cammina come un soldato, non abbassa mai lo sguardo e appare svuotata di ogni emozione. È come se l'avessero svuotata del suo calore e poi riempita di ghiaccio. Persino la sua pelle ha perso colore, assumendo quella stessa tonalità grigia con venature violacee che tante volte ho visto sul corpo di Annie Volvert. E mi vergogno di me stesso ripensando alle volte in cui ho guardato la mia compagna d'armi pensando con sollievo che, fortunatamente, quella sinistra maledizione aveva colpito lei e non le mie sorelle.
Anche oggi, al nostro terzo incontro, vengo invaso da questi pensieri. Cerco di scacciarli passandole una mano sul dorso come facevo una vita fa: la sua pelle è fredda come il marmo. Mi sorride, ma è evidente che questo contatto conforta più me che lei.
«Sono sempre io, Vodan», mi sussurra non appena ha la certezza di essere fuori dalla portata di Kevan. «So che mi vedi diversa, ma è così».
Devo abituarmi a questo fatto che mi legge dentro. Ieri mi ha spiegato che dipende dalla capacità di ascoltare il respiro e il battito del mio cuore, e che con gli altri Innalzati non funziona perché loro possono controllare entrambe le cose. «A suo modo è una cosa bella», mi ha detto: «non sento più le mie emozioni, ma posso sentire le tue».
«Hai proprio ragione», le dico: «sei sempre tu».
Oggi trovo finalmente il coraggio di dirglielo. Nei due giorni passati ho esitato, raccontandomi la scusa che non fosse pronta per sopportare il peso di ciò che voglio chiederle di fare. Una menzogna comoda: in realtà ero io a non essere pronto. Lei ascolta il mio piano senza fare una piega, neanche quando le confermo che, se deciderà di assecondarmi e mettersi contro Bondred, le conseguenze non potranno che essere quelle che entrambi immaginiamo.
«Quindi oltre a te perderò anche Saga», mi dice, senza tradire alcuna emozione. «Resterò da sola... di nuovo».
Annuisco. Sola, braccata e in pericolo mortale, visto che di certo lo stronzone farà tutto quanto in suo potere per uccidere anche lei. L'unica speranza che avrà sarà raggiungere i Disertori della Rinascita, sperando che siano ancora vivi... Loro, insieme ai miei compagni, potrebbero essere in grado di proteggerla. Le parlo anche di Colin, del lavoro che sta facendo con Annie e dei risultati ottenuti nel contenimento della sua condizione. Con un po' di fortuna, quella potrebbe diventare la sua nuova famiglia. E' davvero poco, me ne rendo conto, ma che alternativa abbiamo? Consentire a quel mostro sanguinario di rinascere per l'ennesima volta?
«Potrebbe non essere sufficiente a fermarlo», mi dice. «Nulla gli vieta di prendere qualcun altro: in fondo per lui un corpo vale l'altro...»
Sentendola parlare capisco che i suoi dubbi non sono dovuti in alcun modo alla paura o al pensiero di perdere Saga, ma a una lucida valutazione delle nostre effettive possibilità, al rapporto pragmatico tra costi e benefici. Decido di sfruttare questa sua attitudine: le spiego che non siamo soli a combattere questa guerra e che dobbiamo sperare che il nostro operato, la nostra piccola rivoluzione, venga sostenuta e rafforzata dalle azioni degli altri soldati impegnati al fronte. Le ricordo che Bondred ci ha messo quasi due mesi a prepararmi per quello che si accinge a fare e che, nella peggiore delle ipotesi, anche soltanto ritardare la sua rinascita di qualche settimana potrebbe avere un peso determinante per stabilire chi avrà la meglio. Le faccio il discorso delle dita e del pugno, dell'esercito che colpisce all'unisono grazie ai movimenti indipendenti dei suoi effettivi.
E infine ribadisco ciò che, amaramente, sappiamo entrambi: che Saga è spacciata in ogni caso, perché quello stronzone opportunista di Bondred non la lascerà mai andare.
«E se invece, più semplicemente, ti portassi via con me?» Mi chiede a un certo punto. «Saga morirebbe comunque, ma almeno tu saresti vivo... e potremmo vendicarci di lui, insieme».
La tranquillità con cui fa questi discorsi è impressionante, non potrò mai abituarmi. La sua proposta avrebbe senso, se soltanto non avessi visto Bondred all'opera in quella maledetta notte di pioggia: non c'è modo di scappare da quel mostro, otterremmo soltanto un breve interludio prima della sua inevitabile resurrezione: nella peggiore delle ipotesi dentro al mio corpo, nella migliore in quello di chissà quale altro disgraziato. Mi faccio forza e le spiego che no, l'occasione migliore per vendicarci il destino ce l'ha data qui e ora, e c'è solo un modo per sfruttarla al meglio.
«Ti ricordi quella storia che ci raccontava sempre mamma quando eravamo piccoli?»
«Il Cavaliere Oscuro? Sì, me la ricordo».
«Ti ricordi cosa diceva? O muori da eroe...»
«... o vivi abbastanza a lungo da diventare il cattivo».
«Già», annuisco. «Proprio così. Assurdo come a volte le storie...».
«Hai ragione», mi dice alla fine: «lo farò».
(antico proverbio Greyhavenese)
Mettere in atto il piano sotto lo sguardo vigile di quel mastino di Kevan - o "Fante", come si compiace di farsi chiamare - sarà davvero difficile. Quello stronzetto non dorme, non mangia, a momenti non sbatte neanche le palpebre: un gufo impagliato che osserva ogni mia mossa e non mi lascia tregua neppure quando devo pisciare.
Come se non bastasse, temo che sospetti qualcosa. Non so come abbia fatto a capirlo, probabilmente dai battiti del mio cuore quando il mio sguardo si posa su Freya. Con un po’ di fortuna potrebbe essersi convinto che sono attratto da lei. Ho persino pensato di buttare lì qualche battutaccia quando lei va a fare rapporto da Bondred e restiamo soli, ma dubito che potrei ingannarlo: l’istinto di queste creature è troppo acuto, rischierei soltanto di mandare tutto in malora. Tanto vale restarmene in silenzio e aspettare che mia sorella porti avanti il nostro folle piano senza farsi beccare.
Le informazioni di cui ho bisogno arrivano quando resto nuovamente solo con lei.
Notizia numero uno: il "trasferimento", così come la chiama Bondred, avverrà al sorgere del terzo sole a partire da oggi. E ti pareva che lo stronzone non andava a pescare nel mazzo proprio quella data? Queste ricorrenze stanno diventando insopportabili. Tralasciando questo dettaglio fastidioso, significa che ci resta davvero poco tempo.
Notizia numero due: l'intera faccenda avrà luogo al terzo piano della Torre, una sorta di laboratorio degli orrori che il nostro sta finendo di allestire. La stanza non è chiusa a chiave, tant'è che Freya è riuscita persino a entrarci, ma c'è un armadio di ferro chiuso da una serratura protetta da un ingegnoso sistema di leve meccaniche che scattano solo se disposte nell'ordine corretto. Inutile dire che il codice lo conosce solo Bondred, così come l'ubicazione della chiave. Scommetto che è proprio lì dentro che lo stronzone conserva i sieri e tutte le altre diavolerie necessarie per il rituale.
Notizia numero tre: Bondred ha spiegato a Freya e Kevan che il "trasferimento" dovrebbe concludersi nel giro di qualche ora: una volta terminato, il loro compito sarà quello di sigillare la torre con lui dentro e restare a guardia per due settimane, assicurandosi che nessuno entri. Un discreto letargo, tutto considerato. Prendo un frammento di pietra da un angolo della cella e lo uso per rappresentare questa informazione sul muro.

Due giorni di tempo per prepararci. Un giorno per morire. E poi, nella malaugurata ipotesi in cui dovesse andare tutto in vacca, tredici giorni in cui Freya potrà sperare di mettersi in salvo. Oppure...
Sospiro profondamente mentre scruto quella lunga serie di segni. Funzionerà?. Ci vorrebbe Colin: lui sì che saprebbe districarsi in questo marasma di porcherie. Io posso soltanto improvvisare e sperare che tutto riesca ad incastrarsi per il meglio.
«Funzionerà?» mi fa eco Freya, osservando la mia opera d'arte.
«Lo spero». E' veramente un piano di merda, non c'è che dire.
«Quindi abbiamo tempo fino a dopodomani. Poi...» non finisce la frase, puntando un dito in direzione del teschio che ho tracciato.
«Esatto». Quello sarà l'ultimo giorno in cui vedrò il volto di mia sorella... Ma è un prezzo che pagherò volentieri, se servirà a impedire allo stronzone di indossare il mio.
Trascorriamo i minuti successivi a mettere a punto gli ultimi dettagli, quindi decido di cambiare discorso. Non voglio che il ricordo delle nostre ultime conversazioni resti intriso soltanto di morte.
«Perché Kevan si fa chiamare Fante?» le chiedo a un certo punto.
«E' un nome che gli ha dato la persona che ci ha ridotti così», mi spiega lei. «A quanto ho capito, deriva da un gioco che fanno a Greyhaven. Ne ha dato uno a tutti, ciascuno diverso dall'altro: Alfiere, Fante, Cavaliere, Regina...».
«A te quale ha dato?»
«Torre».
«In che senso "Torre"? Perché non Regina?»
«Credo che dipenda da come ha attecchito la sostanza che ci hanno iniettati... e dal ruolo che ricopriremo quando saremo schierati in battaglia. Il Fante e il Cavaliere aprono il cammino, poi si sviluppano l'Alfiere e la Regina...».
«E la Torre?»
«La Torre si attiva per ultima, dopo l'arrocco».
«...E allora cosa diavolo ci fai qui? Avrebbero dovuto mandare il Cavaliere!»
«Non ne ho idea», risponde accennando un sorriso. «Ma ti è andata bene, non credo che saresti riuscito a convincere Cavaliere a disertare e a farti fuori!».
Ridiamo insieme, per la prima volta da quando ci troviamo qui. Accadrà soltanto un'altra volta, anche se ancora non possiamo saperlo.
D'un tratto la sua espressione torna seria: Kevan deve essere sulla via del ritorno. La osservo mentre esce dalla cella con grazia e furtività innaturali, richiudendo il chiavistello dietro di sé. Come Annie... Come Bondred.
«Che è successo?» esclama Kevan pochi secondi dopo, indicandomi con un cenno del capo. «Ha creato problemi?»
Lo stronzetto deve aver sentito il rumore della serratura.
Freya scuote la testa. «Ha preso un sassolino... ho preferito controllare che non facesse stupidaggini».
Kevan mi osserva divertito. «Se ha intenzione di crepare ingoiando serci, può risparmiarsi la fatica: al massimo cagherà un po' di sangue». Mi accorgo che mi guarda in modo strano, come se cercasse di leggermi dentro. Faccio del mio meglio per evitare che il battito del mio cuore mi tradisca. Ci manca solo che un pedone del cazzo cambi le sorti della partita.
(epitaffio inciso su una tomba anonima nel cimitero di Camlan)
Gli ultimi tre giorni della mia vita passano in modo sorprendentemente veloce.
Kevan e Freya continuano a rimpinzarmi di cibo, osservandomi con attenzione mentre mangio per evitare che possa strozzarmi: è evidente che Bondred mi vuole in forma per il "trasferimento".
Non appena restiamo soli, le chiedo con impazienza come va con l'armadio.
«Non ci crederai mai... Sono riuscita ad aprirlo!», mi risponde con un lampo di orgoglio negli occhi.
Ha ragione: stento a credere alle mie orecchie. Possibile che la buona sorte, per una volta, si sia ricordata di noi?
Le chiedo come abbia fatto, e lei non si fa certo pregare. Bondred non ha mai inserito la combinazione in presenza sua o di Kevan, ma è riuscita a "sentirla" da lontano contando il numero degli scatti di ciascuno dei quattro ingranaggi. Fortunatamente neanche lui ha idea di quanto il suo udito sia sviluppato. Quanto alla chiave, è riuscita a prenderla in una delle rare occasioni in cui Bondred ha avuto la buona creanza di lavarsi. Pochi istanti per agire, ma sufficienti a neutralizzare tutte le fialette di siero presenti nell'armadio. Con un po' di fortuna, lo stronzone non se ne accorgerà fino a quando non sarà troppo tardi.
«Sei sicura che non ti abbiano vista?»
Mi risponde di sì: né Kevan né Bondred hanno mostrato segni di sospetto nei suoi confronti. Cazzo, è forte la mia sorellina! Del resto è la Torre, mica un pedone del cazzo.
Entusiasta per questo successo insperato, decido di prendere nota delle posizioni corrette delle leve del marchingegno, trascrivendo le lettere corrispondenti su un'altra pagina del mio diario segreto.

Nei giorni successivi, però, accade qualcosa di strano.
Kevan smette di recarsi alla Torre. È soltanto Freya a essere convocata, mentre lui rimane piantato qui, a pochi passi da me, senza mai perdermi di vista neppure per un istante. Mi chiedo se questo cambiamento repentino sia dovuto al fatto che i due non hanno più nulla da dirsi, oppure se abbiano mangiato la foglia. Del resto, anche se fosse, non potrei farci proprio niente.
E così, tra una mangiata e l'altra, arriviamo a ridosso di quella fatidica alba.
«Il tuo maestro non ti dice più cosa fare?» Finisco per chiedergli a un certo punto, quando manca una manciata di ore al sorgere del mio ultimo sole. In quel momento siamo da soli: mia sorella è con Bondred, presumibilmente per organizzare la mia ultima visita alla Torre.
«Ti piacerebbe che me ne andassi, eh?» risponde con un ghigno sinistro.
C'è qualcosa, nel tono delle sue parole, che mi provoca un brivido di disagio. Proprio in quel momento, Freya apre la porta esterna.
La guardo, facendo del mio meglio per comunicarle i miei pensieri. Lo sanno.
Lei mi annuisce con aria sconsolata. Un attimo dopo, Bondred fa il suo ingresso dietro di lei.
«E bravi», esclama lo stronzone, sferrandole una robusta pacca sulla spalla. «Stavolta me l'avevate quasi fatta».
Lo stronzetto si alza, sguainando la sua spada. In quel momento mi accorgo che Freya è disarmata.
«Mi tocca ringraziare Kevan», continua lo stronzone. «E' stato lui ad accorgersi che c'era qualcosa di strano tra voi due. Come se vi conosceste già...»
Freya fa per scattare in avanti, ma lui è più rapido: la afferra e, lentamente ma inesorabilmente, la costringe in ginocchio.
«...E così ho pensato di chiedere a qualcuno che poteva togliermi questa curiosità. E chi meglio di sua sorella maggiore? Avresti dovuto sentire come urlava: ne deve aver viste parecchie, considerando la sua resistenza! Ma con me, alla fine, parlano sempre».
Freya cerca di liberarsi, ma ogni suo movimento è inutile: Bondred le blocca entrambe le mani, quindi la schiaccia a terra con un piede.
«Vedi di calmarti, bestiolina: come ti ho già detto, Saga è ancora viva... Ma se mi crei altri problemi, ti garantisco che le spaccherò la testa oggi stesso».
«Sono stato io a chiederglielo!» esclamo. «Lei non ci avrebbe mai pensato. Non sono neanche certo che ci sarebbe riuscita...».
«Fai silenzio!» mi zittisce Bondred. «Lo so fin troppo bene che sei stato tu: è nella tua natura. Saresti disposto a fare qualsiasi cosa pur di assaporare un ultimo brandello di vendetta... persino sacrificare quel che resta della tua famiglia. Sapevi perfettamente che, se ti fossi ucciso o fatto uccidere, le avrei ammazzate entrambe: eppure non hai esitato, neanche per un istante. Ma te l'ho detto, è proprio questa tua fame insaziabile a piacermi. Quello che ti manca è la virtù dell'esecuzione, la capacità di portare a compimento ciò che ti proponi di fare: non difetti di attitudine o intenzione, ma di talento. Ma non preoccuparti, penserò io a colmare questa tua lacuna... una volta che abiterò dentro di te!»
Kevan ascolta il suo maestro con un'ammirazione quasi estatica: Freya mi ha detto che, a differenza della maggior parte dei Pupilli, lui non ha più nessuno da perdere: Bondred e i suoi compari non hanno avuto bisogno di minacciarlo, si è praticamente offerto volontario. Lo stronzetto raggiunge lo stronzone, riceve in custodia mia sorella e la trascina fuori dalla fattoria.
Resto solo con Bondred. Lui sorride, io per niente: non nego di aver sperato in un finale diverso.
(formula pronunciata dai marinai di Nuova Lagos al momento di mollare gli ormeggi)
«Non preoccuparti,» mi dice Bondred indicando la porta con un cenno: «Freya starà bene. Lei ci tiene ai suoi parenti, a differenza tua: l'amore che prova per la sorella le impedirà di assecondarti ulteriormente o di fare altre stronzate».
Annuisco.
«E tu, invece? Ti è rimasto qualche asso nella manica?»
Alzo le spalle. «Cos'altro potrei fare?» rispondo, mentendo spudoratamente. «Sappiamo entrambi che al termine di questa conversazione mi condurrai alla torre, dove mi addormenterò per sempre...»
«Esatto. E poi, un attimo prima di cominciare il trasferimento, aprirò l'armadio...»
Cazzo.
«...E in quel momento mi accorgerò, con grande sorpresa, di essere a corto del Sangue degli Antecessori! O sbaglio? Non è forse così?»
Sollevo gli occhi al cielo: mi sembrava troppo bello per essere vero...
«Per fortuna», continua portandosi due dita al petto, «porto sempre con me una piccola scorta per le occasioni speciali.» Da sotto la veste fa tintinnare una sottile catenina d'argento, alla cui estremità pende una fiala di vetro scuro, grande quanto un pollice. «Non è molto, ma è più che sufficiente per mandare all'aria i vostri propositi».
«D'accordo», mormoro con un filo di voce: «è finita. Hai vinto tu».
Ma lui non si accontenta della mia resa: vuole schiacciarmi, vedermi distrutto, privarmi di ogni speranza. Del resto, se ho capito bene ciò che mi spiegava Freya, portare le vittime alla disperazione assoluta aumenta le possibilità di successo di questo tipo di rituali. Le sue mani raggiungono le fibbie dell'elmo che gli copre la faccia, slacciandole febbrilmente. Quando l'ultimo legaccio cede, mi accorgo che il volto che ha rubato a Robert Proutz è invecchiato di altri dieci anni. Eppure sono passati soltanto una manciata di giorni... E' evidente che anche questo involucro è sul punto di crollare. Spero che sia anche merito mio, che il nostro scontro abbia contribuito ad accelerare la rovina che lo divora.
«Questa è la faccia che ha visto Saga quando sono andato da lei», mi dice con soddisfazione. «Non penso che il nostro incontro le sia piaciuto molto: dovevi sentire come implorava di fermarmi! Mi ha persino supplicato di ucciderla... Ma io non l'ho fatto. E sai perché?»
Sospiro. «Perché ti serve viva per ricattare Freya...»
«Ti sbagli. L'ho risparmiata perché ho intenzione di tornare da lei con la tua faccia... così da darle modo di rivolgere le grida e gli insulti alla persona direttamente responsabile del suo strazio. Questo è il futuro che hai ottenuto con i tuoi patetici tentativi di fottermi. Quanto a Freya, in fondo non ha colpe, se non quella di essersi lasciata trascinare dalle brame di gratificazione di suo fratello. Non ho intenzione di punirla... non troppo, almeno: resterà in vita, servendo nei ranghi dei Pupilli sotto il mio comando. La prima cosa che le ordinerò di fare sarà procurarmi un altro po' di questo sangue: è piuttosto impegnativo, sai... Potrebbe persino rimetterci la pelle. Se sarà fortunata, sopravviverà. E magari, col tempo e con il mio aiuto, imparerà a odiare quel coglione egoista che non si è fatto scrupoli di sacrificare quel che resta della sua famiglia pur di strappare alla sorte un briciolo di soddisfazione prima di crepare. Questo, ovviamente, fino a quando riuscirà a conservare lucidità... Sai cosa succede agli Innalzati nel giro di pochi anni, Vodan? Guardami, guardami bene!»
Stavolta le sue parole colpiscono in pieno, proprio dove fa più male. Crollo a terra come un ramo spezzato, mentre l'unico occhio che mi resta si riempe di lacrime di rabbia e frustrazione. Bondred fa una pausa, compiacendosi per qualche istante del suo trionfo. Vorrei potergli negare questa ennesima soddisfazione, ma non ne ho la possibilità. Ho spinto le mie sorelle oltre l'orlo dell'abisso, e il dolore atroce che provo nel rendermi conto delle conseguenze è il prezzo che mi tocca pagare. Lo avevo messo in conto, certo che la posta in gioco valesse il sacrificio, ma non avevo idea di quanto sarebbe stato devastante.
Resto in ginocchio, la testa bassa, in attesa che lo stronzone si decida ad aprire il catenaccio della cella.
«In piedi, campione: andiamo a celebrare degnamente questa Walpurgisnacht!»
Ci siamo. Inspiro per l'ultima volta l'aria fetida e stantia di questa cella, in attesa che le sue braccia mi raggiungano; poi mi lascio sollevare, accompagnando il movimento con le gambe. Nel rialzarmi, spingo con forza il piede destro contro le pietre del pavimento, fino a sentire il tacco dello stivale premere sul tallone. Con un ultimo, deciso gesto, concentro tutto il mio peso in quel minuscolo punto nascosto. Spero che Bondred non colga il fremito che mi attraversa nel silenzioso, repentino istante in cui la suola cede, lasciando affiorare la sottile scheggia di vetro celata nello strato sottostante. Un senso di pace mi avvolge mentre la sento affondare nella carne, annunciandomi che quello che potevo fare, l'ho fatto. Il mio ruolo in questa storia è terminato.
Lo stronzone mi trascina fuori dalla fattoria verso la torre, le dita che mi serrano il braccio come catene forgiate nell'inferno ghiacciato. Di certo può sentire il mio cuore battere all'impazzata, ma questa volta dubito che riuscirà a indovinarne la ragione. Se potesse farlo, scoprirebbe che il motivo è dovuto al fatto che, per la prima volta nella mia vita, sento il bisogno di pregare.
Prego che Freya trovi la forza di fuggire da questo inferno, e che la sorte la guidi verso i miei compagni.
Prego che qualcuno o qualcosa compia l'impossibile e riesca a liberare Saga... fosse anche la morte, se non vi sono alternative.
Ma soprattutto prego che, tronfio nella convinzione della propria vittoria, il miserabile pezzo di merda che sta per prendere possesso del mio corpo non si accorga di quest'ultimo piccolo scherzo che gli ho preparato con tanto zelo.
Una cosa divertente che non farò mai più.
(urlo di guerra tradizionale dei cacciatori di Wyrm del Khanast di Feith)
(tre giorni prima)
«Perché proprio un coccio di bottiglia?»
Freya solleva le spalle. «A parte che è un'ampolla... e comunque, non ho trovato di meglio. Ti ricordo che mi tengono in un laboratorio».
«Non era mica un rimprovero! Ero solo curioso: mi sarei aspettato un ago, uno spillone, una cosa così...» Mi chino a osservare il frammento di forma irregolare che mia sorella è riuscita a introdurre nella mia cella. Ha l’aspetto di una falce di luna, levigata su un lato e scheggiata sull'altro: un'appendice affilata si alza come una zanna rotta, ricoperta da una patina scura e sinistra.
«Fai attenzione», mi avverte: «è molto tagliente».
Annuisco. Le chiedo dove ha raccolto il sangue, se è stato difficile, se ha avuto paura. In realtà sono tutte cose che già so, i mesi passati con Annie mi hanno aiutato a capire come funziona. I Risvegliati non aggrediscono quelli come lei, anche se nessuno ha realmente capito il perché: magari perché non li percepiscono come una minaccia, o forse perché non sono sufficientemente appetitosi. Ma ho davvero voglia di sentire la sua voce.
Mi spiega che il compito principale affidato ai Pupilli come lei è togliere di mezzo i Risvegliati che ancora infestano questo lato del Traunne: la maggior parte è stata già eliminata dai soldati di Uryen negli ultimi mesi, ma restano ancora decine di esemplari intrappolati all'interno di grotte, pozzi, rovine e altre cavità naturali. Alcuni di loro, mi spiega, si trovano addirittura sott'acqua, intrappolati tra i fondali e i detriti del fiume.
Al termine del suo racconto, decido di togliermi un altro dubbio. «Quante possibilità ci sono che quel pezzo di vetro sporco di sangue resti infetto per i prossimi due o tre giorni?»
«Non molte», risponde confermando i miei timori. «Ma nel periodo in cui mi hanno tenuta prigioniera nell'Asilo, ricordo che gli alchimisti usavano degli stracci imbevuti per rallentare il rilascio delle sostanze». Così dicendo, prende un panno e me lo porge. Lo noto a malapena, colpito ancora una volta dalla terrificante noncuranza con cui riesce a evocare i giorni in cui era oggetto dei perversi esperimenti di quegli aguzzini.
«Vodan? Tutto bene?»
«No... cioè sì, certo».
«Altre domande?»
Scuoto la testa. Non resta che stabilire il posto migliore dove occultare questa roba: gli sguardi sospettosi che Kevan continua a lanciarci non promettono niente di buono. Sarà che a forza di essere sbattuti in prigione per false accuse si finisce per diventare paranoici, ma la vita mi ha insegnato che se qualcosa può andare storto, lo farà. Per questo abbiamo deciso di giocarci quest'ultima carta con qualche giorno di anticipo.
Ci mettiamo a riflettere insieme. Ancora non lo sappiamo, ma quella sarà la nostra ultima conversazione: è quasi ironico che sia dedicata a escogitare il modo più efficace di condurmi alla morte.
Alla fine concordiamo che il posto migliore sia lo stivale: arrotoliamo lo straccio all'interno del tacco, con la scheggia sistemata in modo che la parte tagliente venga a trovarsi appena sotto la suola. Poi annaffiamo il tutto a dovere e infine, con la massima cura, rimettiamo a posto il calzare. Le mani mi tremano mentre finisco di assemblare quell'ordigno infernale: mi auguro con tutto il cuore che ne sarà valsa la pena.
«Perfetto», commenta Freya osservando il mio operato.
«Vero? Avrei dovuto fare il ciabattino, invece del cuoco...»
«... Altroché, considerando cosa combinavi in cucina!»
Ridiamo insieme, per l'ultima volta, quasi dimentichi che da un momento all'altro Kevan uscirà dalla Torre.
Mentre mi rimetto lo stivale, facendo attenzione a non spingere troppo, mi torna in mente un'ultima domanda che volevo farle.
«Freya?»
«Sì?»
«Sei assolutamente certa che lo stronzone non sia immune?»
Con mio grande sollievo, la vedo annuire. Mi spiega che è stato lui stesso a lasciarselo sfuggire in un discorso tenuto ai Pupilli durante l'addestramento, che mi ripete parola per parola.
"Il fatto che non vi attaccheranno non vi rende immuni all’infezione: nessuno di noi lo è. Se dovessero mordervi, o se entrerete in contatto con il loro sangue, sarete preda di atroci sofferenze e, alla fine, tirerete le cuoia".
«Ha detto proprio così?», le chiedo, quasi deliziato da quella scelta di parole. «Atroci sofferenze e poi tirare le cuoia?»
Freya annuisce. «E poi ha aggiunto: "se volete sopravvivere, ricordate che sul campo di battaglia esiste una sola regola: se può sanguinare, può anche morire. Ed è una legge che vale per chiunque, anche per quelli come noi"».
«Eccellente,» mormoro, lasciando che un sorriso beffardo mi deformi le labbra. «Mi piacciono le storie con un lieto fine.»























