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« Sei un allievo testardo, ma io sono un maestro paziente. »
- Kraighar Tarkhun a Vodan -
 
Vodan Thorn
Tempi Cupi
Vodan Thorn
Mai fidarsi di un cuoco magro.
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21 marzo 518
Sabato 1 Novembre 2025

Una cosa divertente che non farò mai più (parte 2)



21 marzo 518

Nei pochi giorni successivi alla chiacchierata con Bondred la mia sorte è stata decisa senza che potessi oppormi in alcun modo. Stavolta, vista l'evidente complicità del Burgravio, non è stato neanche necessario fingere un processo, inventare accuse o costringermi a firmare una confessione: mi hanno direttamente caricato su uno di quei carretti per prigionieri che usano da queste parti e poi scaricato in una fattoria diroccata adibita a prigione a un tiro di balestra dalla Torre Dodici. Una zona di Uryen dove non eravamo mai stati e che, come avrei avuto modo di scoprire di lì a poco, era stata affidata a Bondred per i suoi affari privati.

E' qui che, sotto lo sguardo ben poco vigile di due cani da cortile con l’elmo, ho passato le ultime tre settimane: un susseguirsi di giorni scanditi da sonni agitati, veglie interminabili, pasti raffermi e un paio di stronzate che ho fatto nel patetico tentativo di migliorare la mia condizione, prevedibilmente vanificate da quel bastardo del mio carceriere.

Il problema è che cominciano a mancarmi le forze: le ferite non accennano a rimarginarsi, la fame morde ogni giorno di più, i ricordi cominciano a farsi confusi e il tempo ha smesso di darmi gran parte dei suoi riferimenti. Ma non è la prima volta che mi ritrovo dietro le sbarre, e se c'è una cosa che ho imparato a fare in questi antri di pietra e silenzio è tenere conto dei giorni che passano. Per questo so che oggi è una ricorrenza speciale. È il momento dell'anno in cui si accendono i ceri e si osservano svanire insieme alla ragazza con cui speri di andare a letto; in cui il mondo muta forma, tingendosi dei vividi colori che preludono alla primavera...

... Ed è anche il giorno in cui avevo promesso a Saga e a Freya che sarei tornato a trovarle... Mi sa che non ce la farò, è sopraggiunto un impegno a forma di gabbia che mi tiene bloccato qui. L'unica consolazione è che non dovrò fornire spiegazioni per questa benda sull'occhio.

Ma andiamo con ordine.

Grangia di Veldren - Immagine 1

Tre settimane prima

Il carretto mi scarica a terra senza troppi complimenti. Finire con la faccia nel fango è particolarmente fastidioso, specie quando piove e hai i polsi legati dietro la schiena.

«In piedi!», mi intima uno dei due bovari delle Lande destinati a diventare i miei carcerieri.

Mi alzo a fatica, ancora indolenzito per le sberle ricevute al momento di salire sul carro, e mi faccio spintonare verso il portone di ingresso della torre.

La sala è illuminata da un caminetto che scoppietta allegro: al centro c'è un robusto tavolo di legno, dietro il quale mi attende Bondred con la sua consueta maschera di ferro.

«Ben arrivato!», esclama divertito: «fatto buon viaggio?»

Sospiro. «Vedo che muori dalla voglia di prendermi per il culo, ma avrei un'urgenza», rispondo poi, in totale sincerità.

«Immagino tu voglia capire perché ti abbiamo portato qui...»

Scuoto la testa. «Non me ne frega niente: è che devo cacare.»

«Ah!»

«Eh.»

«Ci vorrà solo un minuto: puoi resistere, o Barun vi ha addestrato a farla come i cavalli?»

Alzo le spalle. «Farò del mio meglio, ma non ti prometto niente.»

E' davvero un peccato che abbia il volto coperto da quell'elmo: mi perdo tutte le sue reazioni. Che gusto c'è a far incazzare i propri superiori - o carcerieri, che poi in fondo è la stessa cosa - se non si può godere del loro fastidio?

«Sei una persona divertente, Vodan. E' anche per questo che ho deciso di scegliere te. E poi la tua storia mi ha ricordato quello che ho vissuto io: un susseguirsi di accuse, condanne e cazzate...»

E niente, muore proprio dalla voglia che io gli chieda perché mi ha portato qui, per cosa mi ha scelto, etc: si capisce tantissimo. Fossi matto se glielo chiedo, piuttosto mi faccio cavare i denti uno a uno.

«Lusingato: ora posso andare al cesso?»

Bondred fa un cenno ai bovari, che in men che non si dica mi scortano sul retro della torre. La latrina è relativamente pulita: o sta piovendo da giorni, o in questa torre ci abitano davvero in pochi. Beh, buono a sapersi.

Mentre mi slegano i polsi valuto la possibilità di fare una stronzata in più di quanto ho dichiarato: probabilmente non è una buona idea, anche se riuscissi ad avere la meglio su questi due coglioni dovrei vedermela con Bondred... Tuttavia, qualcosa mi dice che se non ci provo adesso non scapperò mai più. E poi, vista la situazione, cosa ho da perdere?

«Stai attento, idiota: mi hai quasi preso lo stiv...»

Il calcio tra le gambe lo coglie di sorpresa: bovaro #1 si accascia a terra dolorante, mentre bovaro #2 sguaina la spada e si prepara a dare l'allarme. Prima che lo faccia riesco ad assestargli due pugni: il primo prende l'elmo e mi fa un male cane, il secondo lo prende in mezzo al collo, strozzandogli l'urlo in gola e facendolo cadere in avanti, dritto sulla merda mia e di chi sa chi altro. Bene così. Mi chino a raccogliere l'arma e quando mi rialzo, tra la pioggia, scorgo distintamente il gioviale mascherone del padrone di casa.

Ci siamo. Adesso vedi non rovinare tutto: hai sicuramente affrontato di pegg.... Non faccio neanche in tempo a finire il pensiero. Bondred mi colpisce alla testa, al volto, al braccio dell'arma, alla bocca dello stomaco. Ogni colpo è come una valanga, ma il problema vero è la velocità: non riesco neanche a capire quale arriva prima. La spada del bovaro finisce chissà dove, mentre rotolo a terra nel fango concimato che circonda la latrina. Come fa ad essere così veloce? Come?

«Fatta tutta?» Mi osserva dall'alto, il volto incastonato in quell'insopportabile scolapasta, con le gocce di pioggia che gli cadono intorno.

«Vaffanculo», sbuffo mentre mi rialzo. I suoi pugni sono più pesanti di quelli di Garruk e Greg messi insieme. «Innalzati del cazzo: scherzi della natura, questo siete».

Bondred annuisce, tendendo la mano all'incapace che ero riuscito a disarmare e restituendogli l'arma: «per essere una maledizione ha i suoi lati positivi: torniamo dentro?»

Lo seguo senza possibilità di scelta, lasciando alla pioggia sferzante il compito di ripulirmi. I due mastini bastonati si accodano dietro di noi, guardandomi in cagnesco e meditando vendetta.

Tornati dentro la torre, Bondred riprende la parola.

«Allora Vodan, le cose stanno così: nelle prossime settimane prenderai parte a un esperimento che, diciamo così, ti cambierà la vita».

Lo sapevo: vogliono rendermi innalzato, o iniettarmi qualche diavoleria analoga. Scuoto la testa: «Spiacente, non sono interessato: senza offesa, ma preferisco crepare che diventare un mostro come te».

«Oh, credimi... è proprio così che andrà».

«Cosa? Crepare, o diventare un innalzato?»

Bondred scuote la testa. «Non diventerai mai un innalzato: sei troppo vecchio... senza offesa».

«Quindi hai intenzione di farmi fuori: beh, magari scoprirai che ho la pelle più dura di quanto pensi».

Bondred annuisce. «Meglio così. Penso che per oggi abbiamo finito», conclude poi, rivolgendosi ai due idioti: «portatelo nella sua camera». La coppia di animali mitologici col cervello di cane e la testa di cazzo mi si affianca, spintonandomi verso il portone d'ingresso della torre. Quello che avevo colpito tra le gambe mi sussurra qualcosa sul fatto che di lì a poco ci divertiremo un sacco.

«Vedo che avete fatto amicizia», commenta Bondred guardandoci uscire. Non mi resta che prepararmi a quello che sta per succedere: speriamo solo che si stanchino in fretta.

Torre Dodici - Immagine



Due settimane prima

I due bovari con l'armatura mi hanno preso a calci per un paio di giorni, poi abbiamo fatto pace. Ho lividi ovunque e un paio di costole rotte, ma sopravviverò. Bondred è venuto a trovarmi soltanto oggi, a giudicare dai movimenti che ho sentito nelle stanze limitrofe presumo sia stato impegnato a ricevere altre cavie.

«Come va?» mi chiede dalle profondità gutturali del suo imperturbabile mascherone.

Alzo le spalle. «Se i soggetti dei vostri esperimenti li trattate così, sfido che falliscono...»

Bondred scuote la testa. «Nel tuo caso è diverso: è sufficiente che resti vivo. Qualsiasi ferita che subirai nel frattempo è... trascurabile».

Nel frattempo di cosa, esattamente? Inutile chiederglielo: è evidente che non ha intenzione di dirmelo.

«Capito» mi limito a rispondere.

«Il problema è che sei talmente testardo che potrebbe venirti voglia di tentare la fuga... o magari persino di farti fuori, pur di infastidirmi. Non è forse così?»

Puoi scommetterci, penso con un sogghigno. Persino darmi la morte a furia di sferrare testate contro il muro sarebbe un prezzo lieve da pagare, pur di scorgere un briciolo di delusione dietro quella maschera del cazzo.

«...Ed è per questo che ho pensato di darti un piccolo incentivo a restare calmo: fate entrare la ragazza».

La porta si apre alle mie spalle. Sento i grugniti dei due cani da riporto mentre trascinano dentro qualcuno... una donna, a giudicare dal timbro dei singhiozzi. Prima di girarmi rivolgo una preghiera silenziosa agli Dei, augurandomi che non siano Saga e Freya, che non le abbiano scoperte. Come potrebbero aver fatto? Ci sono pochissime persone che sanno chi sono e dove si trovano: Kailah, Kelly Babel, John Stryker. i miei compagni, la famiglia Trent...

...D'accordo, forse non sono poi così poche. Ma quelle due poverette hanno già passato le pene dell'inferno: esisterà uno straccio di divinità che abbia pietà di loro? Inspiro profondamente, con la morte nel cuore, quindi mi giro verso la porta... e mi vergogno di me stesso per il fortissimo senso di sollievo che mi pervade quando i miei occhi mettono a fuoco il volto disperato di Vian Yor.

«Finalmente insieme!» commenta Bondred sogghignando. «Anche se non mi risulta che l'esercito di Uryen consenta questo tipo di relazioni tra commilitoni... se ci fosse ancora Barun al comando sareste stati degradati, o peggio».

Non posso crederci: questo idiota crede che la poveretta sia davvero la mia ragazza. Deve essere stato quell’altro imbecille di Tom Weiss a metterglielo in testa. Mannaggia alla mia boccaccia…

Nei successivi minuti, prevedibilmente, ci spiega che se accetterò di starmene buono non le accadrà nulla, altrimenti... Ah, che vigliacco figlio di puttana. E meno male che lo chiamano Innalzato: ho visto vermi ben più alti sguazzare nei rivoli di sterco delle segrete di Lagos.

«Mi dispiace» singhiozza Vian: è evidente che i due bastardi non ci sono andati leggeri neanche con lei.

No, cazzo, è a me che dispiace: se ti trovi in questa situazione è soltanto colpa mia.



Una settimana prima

Ci hanno rinchiusi nella stessa cella. Non so se per una sottile forma di scherno, o per una di quelle crudeli curiosità di cui Bondred sembra ghiotto: mi ricorda quel piccolo stronzetto di Nuova Lagos che era solito rinchiudere i topi in un barattolo per vederli prima scopare, e poi azzannarsi quando la fame prendeva il sopravvento. Quel piccolo stronzetto ero io. Solo che all'epoca avevo 10 anni, mentre ho idea che questo bastardo sia vissuto fin troppo a lungo.

Vian è accasciata sul pagliericcio, il volto rigato di lividi e una benda strappata, ricavata da un pezzo della mia camicia, che le fascia il braccio. Da quando l'hanno portata qui non ci siamo detti quasi nulla, anche perché i mastini di Bondred ascoltano ogni nostro respiro. In compenso, piano piano stiamo imparando a comunicare a gesti, leggendo le parole sulle labbra l'uno dell'altra.

Cosa vogliono da te? Mi chiede a un certo punto.

Non ne ho idea, rispondo scuotendo la testa. Ma qualsiasi cosa sia, non penso che ti lasceranno andare.

Annuisce, sconsolata. Come facciamo ad andarcene? aggiunge dopo un pò, guardandomi con aria speranzosa.

Vorrei proprio saperlo. Vorrei avere un'idea, uno straccio di piano di fuga che possa consentire, se non a me, almeno a lei di uscire da questa cella con le sue gambe, e non, come è probabile, in una cassa da morto come quella in cui finirò io. Ma quello stronzo è troppo forte, troppo veloce... Come se non bastasse, a forza di farci mangiare poco e male stiamo cominciando a indebolirci: tra pochi giorni non avremo più le forze neanche per opporci alle attenzioni quotidiane dei nostri carcerieri... come era prevedibile, la presenza di Vian ha trasformato quei due cani in una coppia di maiali.

Non preoccuparti, le rispondo: ho un piano. Ma è una menzogna bella e buona, una cazzata per farla stare meglio. Riesco a strapparle un mezzo sorriso, quindi ne è valsa la pena. E' carina quando sorride. Non è bella come Ardee e non ha il corpo di Dina, ma in altre circostanze, forse... D'accordo, Vodan: adesso fatti venire in mente un modo per metterla in salvo.

Nelle ventiquattro ore successive mettiamo a punto un piano di fuga che fa acqua da tutte le parti, ma che se non altro ha il pregio di tenerci occupati e accendere un barlume di speranza nel cuore di entrambi. Ne discutiamo sottovoce, con la testa vicina, approfittando del rumore della pioggia che batte contro le pareti dell'edificio adibito a prigione e che, se tutto andrà bene, potrebbe aiutarci - o meglio, aiutarla - a scappare.

La pioggia cresce mentre parliamo, facendosi sempre più densa e rabbiosa. Le gocce si trasformano in raffiche, un martellare incessante che fa vibrare le pietre che ci circondano e riempie i lugubri silenzi di questa fattoria diroccata. Ben presto le nostre parole scompaiono, divorate dal rombo dell'acqua e dei tuoni. Lentamente, inesorabilmente, cominciamo ad alzare la voce: i sussurri diventano mormorii, poi esclamazioni, e infine vere e proprie grida che sfidano la furia del temporale. E a poco a poco, quasi senza accorgercene, smettiamo di discutere del piano e iniziamo a metterlo in pratica.

«E' colpa tua!» urla Vian, sovrastando il rombo dei tuoni. «E' per colpa della tua idiozia che mi trovo qui dentro! E' colpa tua se moriremo entrambi!»

«Mia?» sbraito, sforzandomi di sembrare credibile. «Ma che cazzo dici? Ti sei messa in mezzo da sola, hai...»

Lei mi urla in faccia, impedendomi di continuare. «Oh no, non osare! Non dirlo nemmeno! Se non fossi stato così orgoglioso, così testardo, non saremmo qui! Ti sei fidato di chi non dovevi, ti sei messo insieme a quel manipolo di traditori per combattere una guerra che non ti riguardava... Che non MI riguardava!»

«Non sai di cosa stai parlando...»

«...E lo sai perché, Vodan? Perché sei un incapace! Un inetto! E lo sei sempre stato, questa è la verità!»

Continuiamo così per qualche istante. Lei è molto più brava di me, io riesco a malapena a interpretare il ruolo del maschio impacciato che balbetta parole a caso sapendo di avere torto. Siamo entrambi talmente presi che quasi non ci accorgiamo quando i cani da guardia decidono di abboccare alla nostra esca venendo a godersi lo spettacolo più da vicino.

«Che succede qui? Già finita la luna di miele?»

Vian mi annuisce in modo impercettibile: è il momento di passare alla seconda fase di questa ridicola sceneggiata: che gli dèi ci aiutino...

«Vaffanculo!» le urlo a pieni polmoni, quindi mi avvento su di lei, spintonandola con forza contro il muro alle sue spalle. Lo abbiamo provato più volte, ma mai a questa velocità: il tonfo che ne esce suona fin troppo vero. Lei tossisce e barcolla, cercando di riprendere fiato. Mi sa che le ho fatto male...

«Vaffanculo!» ribadisco, sferrandole un cazzotto in pancia. La osservo mentre cade a terra, quindi le assesto un paio di calci al basso ventre, enfatizzando il movimento il più possibile.

«Troia che non sei altro» concludo, sputandole addosso. «Hai paura di morire, eh? Beh, adesso ti risolvo il problema!» Mi chino su di lei, serrandole le mani al collo. Poco dopo lei comincia ad annaspare, gemendo e cercando di prendere aria. La pressione che applico è minima, ma non dovrebbe essere facile capirlo per i due stronzi che ci stanno guardando... o almeno spero.

«Basta così» esclama uno di loro, colpendo le sbarre con una specie di randello. «Allontanati da lei».

Lo ignoro, continuando a fingere di strangolare la mia "fidanzata".

«Va a finire che l'ammazza...» dice l'altro.

«E 'sti cazzi!» gli risponde il compare, scrollando le spalle. «Facesse pure... Tanto sono fottuti comunque».

Come temevo: questi pendagli da forca hanno un sacco di concime al posto del cuore, figurati se abbiamo speranza di impietosirli al punto da convincerli ad aprire la porta. Però sembrano aver abbassato la guardia... Devo provarci comunque: ora o mai più.

Mi alzo in piedi, continuando a stringere il collo di Vian: il cane da guardia continua a picchiare sulle sbarre con il manganello, quasi a volermi incitare a compiere l'estremo gesto. Mi concentro su quel battito, cercando di cogliere il momento perfetto per agire: bam, bam, bam... Adesso.

Balzo verso di lui, scagliandomi addosso alle sbarre: il mio braccio sinistro afferra il suo prima che riesca a ritrarsi, il destro gli strappa il manganello dalle mani. Vian riesce a ghermire il compare, impedendogli di prendere le distanze e tenendo anche lui a portata della mia nuova arma per una manciata di istanti preziosi.

Comincio a sferrare mazzate come un forsennato, consapevole che la nostra vita è appesa all'esito di ogni singolo colpo. Schizzi di sangue colpiscono le sbarre, le pareti e i nostri volti, seguiti di lì a poco da denti, cartilagini rotte, schegge di cranio e Reyks solo sa cos'altro. Continuo a colpire finché Vian non mi posa la mano sulla spalla. Molliamo la presa all'unisono, osservando con soddisfazione i due corpi martoriati che si accasciano al suolo: è finita. Abbiamo vinto.

Recuperiamo le chiavi dalla cintura del più grosso, le dita tremanti per la fatica e l’adrenalina: in pochi istanti la serratura cede, consentendoci di uscire dalla cella e raggiungere la porta esterna. Quando finalmente spingiamo l’anta che dà sul cortile, la pioggia ci travolge come un fiume in piena, lavandoci via il sangue e le frattaglie dei nostri carcerieri. Siamo fuori.

«Ce l'abbiamo fatta!» esclama lei, raggiante. «Grazie», aggiunge poi, voltandosi verso di me. «Grazie per avermi salvata». Salvata? C'è mancato poco che la condannassi a morte...

«Adesso vai», le rispondo: «corri fino alla torre quattro, senza fermarti. Io vedrò di tenere occupato Bondred... se la sorte ci assiste, questo temporale non gli consentirà di seguirti neanche con le sue dannate capacità da Innalzato».

«Sei sicuro?» mi chiede lei, afferrandomi il polso. «Possiamo provare ad affrontarlo insieme: siamo una bella squadra, dopo tutto...» E' davvero carina quando sorride.

Scuoto la testa. «E' compito mio: tu devi raccontare questa storia, ricordi?»

Annuisce. Mi stringe il polso un’ultima volta, poi si stacca, si volta e corre via. La seguo con lo sguardo finché la sua figura non viene inghiottita dal muro d’acqua che ci circonda.

Per alcuni istanti penso davvero di avercela fatta, di essere riuscito a salvarle la pelle. Mi illudo che la pioggia sia abbastanza fitta da nasconderla ai sensi di Bondred... che la sorte, per una volta, abbia deciso di voltarsi dalla parte giusta.

Poi, oltre il muro d’acqua, intravedo una sagoma in movimento. Una figura alta, scura, che avanza con passo tranquillo, come se la tempesta gli obbedisse. Nella sua mano destra brilla un riflesso metallico; sulla spalla sinistra... No, non ho bisogno di vederlo meglio per capire cos'è.

Bondred - Immagine 2

«Bel tentativo», esclama Bondred continuando a camminare verso di me, «ma vi è andata male. Non mi aspettavo che fossi così stupido da condannarla a morte...»

Resto impietrito mentre si avvicina, costringendomi a guardare in faccia le conseguenze del mio ennesimo errore. Un rivolo scuro le cola dalla bocca... deve averla colpita alla schiena. Il suo viso ha lo stesso colore di un attimo fa, ma quel sorriso è scomparso per sempre: nessuno potrà più vederlo, per colpa di questo miserabile assassino.

«Hai colpito alle spalle una ragazza disarmata» mormoro digrignando i denti: «persino le larve mi fanno meno schifo di te». Non ho più alcuna voglia di scherzare con questa creatura abominevole: mi sento pervaso dalla voglia di ucciderlo, di spaccargli la testa come ho fatto con i suoi scagnozzi. Voglio sentire in bocca il sapore del suo cervello.

Bondred mi guarda con soddisfazione. «Finalmente, Vodan: finalmente sento l'odore della tua rabbia... finalmente mi mostri il lupo cannibale che alberga dentro di te».

Ho già sentito queste stronzate una volta, esattamente un anno fa: le stesse parole, lo stesso tono di chi crede di conoscermi, di sapere chi sono, di stabilire cosa posso o devo diventare. Allora, come oggi, pioveva a dirotto. Allora, come oggi, lo stronzo che ambiva a insegnarmi la vita nascondeva il proprio volto dietro una maschera di onnipotenza per giustificare le proprie abiette e ripugnanti azioni. Ricordo il clangore dell’acciaio, il sapore del sangue e la speranza che, per una volta, la giustizia divina si schierasse dalla mia parte. Forse è proprio il dio della giustizia di Bohemond a riportarmi sempre qui, a inchiodarmi sullo stesso cardine di questa maledetta ruota del tempo per vedere se, ciclo dopo ciclo, ho imparato qualcosa.

E la risposta, anche stavolta, è no.



Sollevo lentamente la spada che mi sono premurato di recuperare dal corpo esanime del secondo scagnozzo. Di fronte a me non c'è solo Bondred, ci sono anche Kraighar Tarkhun, Cathàl e tutte le altre prove che il destino mi ha messo di fronte. Ognuno di loro pretendeva qualcosa da me, e fino ad oggi sono sempre riuscito a deluderli tutti. Non permetterò a un Innalzato senza un briciolo di onore di mandare in vacca questa tradizione.

Bondred mi osserva divertito, impervio alla mia furia. «Se è un'altra lezione che vuoi, sarò lieto di impartirtela».

Avanzo. Il fango schiocca sotto gli stivali, la pioggia cade a secchiate e l'acciaio vibra nell'aria come un animale affamato. Le nostre lame si incrociano dove un tempo sorgeva il cortile di questa fattoria. Il primo colpo spetta a me: un fendente rabbioso, basso, mirato al ventre. Parato con una grazia disumana. Il contrattacco mi sfiora la gola, portando con sé un sibilo di vento e la certezza che, se avesse voluto, ora sarei morto.

Ne seguono altri: fendenti, stoccate, affondi disperati. Ogni volta che credo di aver trovato un varco, la sua spada è lì ad aspettarmi. Mi costringe indietro, passo dopo passo, senza fretta. Ogni suo movimento trasuda scherno nei miei confronti, ogni parata è solo un modo più elegante per ricordarmi quanto valgo poco.

Le sue lame mi investono come grandine: fendono la pioggia, spaccano l’aria. Mi colpisce al fianco, alla spalla, alla mano. Sento la presa allentarsi, ma non mollo: la rabbia per il destino a cui ho condannato Vian mi costringe a restare in piedi, sostenendo un ritmo che solo chi ha tradito la propria natura umana può mantenere. Ben presto la disperazione diventa la mia unica arma.

Quando finalmente riesco a ferirlo - un graffio, niente più - lui guarda il sangue sul palmo e sorride. «Finalmente un segno di vita!»

Poi contrattacca, polverizzando in un istante quel briciolo di vantaggio che mi ero illuso di aver guadagnato. La sua lama si abbatte in diagonale: sento l'acciaio sfiorarmi la guancia, poi colpirmi in pieno volto con la stessa rapidità di un serpente. Avverto una vampata di calore, seguita da un dolore acuto e violentissimo. Le ultime immagini che mi passano davanti sono il bagliore di un fulmine riflesso sulla lama e il corpo esanime di Vian riverso nel fango... poi tutto si annebbia.

Non ci vedo più.

Cado in ginocchio, mentre il mondo che mi circonda perde la sua simmetria. Sento Bondred gravare su di me, la sua ombra che soffoca ogni altro suono.

«Hai perso qualcosa?» chiede con un sogghigno. «A parte questo scontro, intendo».

Mi rialzo come posso, la parte destra del volto che brucia come se fosse a contatto con un tizzone ardente. Poi un ultimo colpo mi raggiunge alla testa, facendomi perdere i sensi.

«Non preoccuparti, è solo un'occhio: a tempo debito ricrescerà».

scritto da Vodan Thorn , 03:38 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
28 Febbraio 518
Sabato 20 Settembre 2025

Una cosa divertente che non farò mai più



«E così tu saresti Vodan.»

«Si, signore.»

«Non credo che abbiamo mai avuto occasione di parlare, prima d'ora...»

«No, signore.»

«Eppure sei qui già da due anni... Come ti trovi alla Rocca di Tramontana?»

Gadman Scherer mi riempie di domande stupide. Chi sono, da dove vengo, dove ho fatto la muffa in galera, come sono stato liberato... Tutte cose che sono sicuramente scritte nel foglio che tiene di fronte a sé. Appunti di Barun? Non credo: il vecchio detestava scrivere, figuriamoci se avrebbe perso tempo a prendere nota delle mie disgrazie. Dev'essere roba che gli ha passato qualcuno.

«Qui c'è scritto che hai fatto alcune dichiarazioni piuttosto forti, quando ti hanno interrogato a Lagos... E le accuse che ti ha mosso questa donna... Lady Grimhild Roch... sono ancora più forti.»

«Non sono sicuro di ricordare, signore...»

Cazzata. Ricordo benissimo cosa ho raccontato, anche perché coincide perfettamente con quello che ho vissuto su quella maledetta isola. Quando la fame ti costringe a mangiare carne umana non te lo scordi... anche se appartiene a uno stronzo. Lady Roch non aveva tutti i torti a volermi vedere marcire dietro le sbarre, anche se suo marito era uno dei peggiori ufficiali di bordo che si fossero mai visti - e a Nuova Lagos ne vedevamo a bizzeffe, di incapaci.

«Sono certo che te lo ricordi, invece... Uomini che divorano altri uomini. Non proprio roba per deboli di stomaco...»

«...Direi di no, signore.»

Parla dei Risvegliati... o di me? Probabilmente entrambi. Ma le domande successive sono tutte su di loro: quanti erano, come erano fatti, se indossavano qualcosa di particolare, se per caso avevo visto da dove venivano... Poi mi chiede dell'isola: dove ci siamo schiantati, di che colore era la spiaggia, se c'erano altri atolli nei pressi, se per caso io o qualche mio defunto compagno di viaggio avevamo visto qualche insediamento abitato...

«Mi rincresce non potervi essere di aiuto, signore.» In realtà non mi dispiacerebbe affatto tenergli nascosto qualcosa: peccato che io non abbia davvero visto una mazza. Ma poi, insediamenti abitati nell'arcipelago di An Reilig? Mi sa che non c'è mai stato.

«Tutt'altro, Vodan... è stata una conversazione preziosa.»

Ah beh, se lo dice lui...

«Ho soltanto un'ultima domanda... a cui ti prego di rispondere con la massima sincerità, come se ne andasse della tua vita.»

«Certamente, signore...»

«Ti hanno morso?»

Lo osservo mentre mi scruta, come se cercasse di carpire chissà quale reazione.

Alzo le spalle. «Negativo, signore... Altrimenti non sarei qui, credo.»

Sorride. «Esistono degli immuni, a quanto pare... Molto rari, ma ci sono. Ne abbiamo avuto conferma.»

Annuisco. «Temo però che non sia il mio caso...»

Sorride ancora. «Se quello che mi hai detto è vero, in fondo non potresti saperlo... Corretto?»

Annuisco ancora: in effetti non fa una piega.

La conversazione sembra averlo soddisfatto. Prima di congedarmi mi chiede di restare alla Rocca: gli faccio presente che il mio plotone è prossimo alla partenza e lui mi risponde che no, è meglio se questo giro lo salto. Chiedo quali siano le mie consegne e mi viene risposto che mi saranno comunicate a breve: fino ad allora sarà sufficiente restare a disposizione.

Tom Weiss mi scorta giù; il divario poderoso fra la sua statura mingherlina e i corridoi monumentali della Rocca mi incurva le labbra in un sorriso. La parte ottimista del mio cervello mi fa presente che poteva andare peggio; quella sveglia non è dello stesso avviso e sente puzza di fregatura imminente.

Sul far della sera il cielo si apre a strappi color rame. Ho modo di scambiare due chiacchiere con i miei compagni e mangiare un boccone, poi la Rocca viene sprangata e ci mandano a dormire. La nostra camerata è semivuota. Bohemond sogna Kalina (beato lui) mentre a me, per colpa delle domande di Gadman Scherer, tocca rivivere ancora una volta gli orrori vissuti sull'isola di Cabal. A ciascuno la sua isola proibita, suppongo.

All'alba mi tengo “a disposizione”. Faccio il giro delle mura, osservando la città che si sveglia e i campi oltre il bastione: chissà se da Trent hanno già cominciato a seminare. Immagino Saga e Freya lungo i solchi tracciati dall’erpice, con il sacco di ceci e avena sulle spalle, seguite da uno sciame di marmocchi nanerottoli intenti a scacciare i corvi con i loro sonagli di latta. Poi arriva Tom Weiss, che di certo non svetterebbe in mezzo a quella marmaglia, a informarmi che sir Gadman Scherer ha ancora bisogno di me.

Un'altra sgambata tra scale e corridoi e rieccomi nella sala del Comandante: stavolta però sir Gadman non è solo, con lui c'è un altro tizio con il volto coperto da un ridicolo mascherone di ferro che non promette niente di buono. Dice di chiamarsi Bondred.

Bondred - Immagine 1

Non ha gradi sull'armatura e non sembra dei nostri: non l'ho mai visto, ma avverto un non so che di familiare. I miei compagni mi hanno parlato di un pendaglio da forca con un nome del genere, un Innalzato fuggito da Dioghail che pare abbia spadroneggiato al porto di Uryen qualche anno fa. In ogni caso questo tizio è una rogna assicurata, si capisce lontano un miglio.

«Molto piacere», mento accennando un saluto.

«Siediti», risponde lui, tagliando corto. Il pentolone arrugginito che gli ricopre il volto mastica le sue parole, restituendo suoni ovattati: speriamo che non convochi mai Jebediah, il poveretto non capirebbe un accidenti.

Nei successivi venti minuti Bondred mi sottopone a un altro interrogatorio, in cui mi chiede nuovamente quello che ho visto sull'isola di Cabal. A differenza di Gadman Scherer, però, che teneva gli occhi fissi sul foglio di appunti di fronte a sé, lui parla all'impronta, scrutandomi dall'interno delle cavità oscure che gli nascondono gli occhi come se potesse leggere dentro di me la veridicità di ciò che affermo.

«E così non hai visto nulla e non ti è successo nulla», conclude, grattandosi il guscio di ferro che gli fodera la testa. «Ti sei limitato a divorare le carcasse dei tuoi compagni come un avvoltoio, senza mai uscire da quella nave, senza mai guardarti intorno... La gente moriva e tu te ne stavi tranquillo, rintanato in cambusa a farti uno spuntino...»

«Non ero io il problema su quell'isola», rispondo con tono pacato. «E se fossi uscito da quel relitto per guardarmi intorno probabilmente a quest'ora starei ancora lì, vagando sulla spiaggia in cerca di cibo».

Bondred annuisce con un sorriso. «Probabile», aggiunge poi. «Senti... me la togli una curiosità?»

«Posso provarci...»

«Ma... Erano cotti, almeno? o te li sei mangiati crudi...»

Alzo le spalle. «Mah... forse un po' troppo al dente.»

Sir Gadman Scherer volta la testa verso il muro, visibilmente infastidito. Bondred scoppia in una risata, poi torna serio. «Vedi, Vodan... le cose si sono fatte un po' complicate, e anche se mi sembri un tipo a posto non possiamo correre rischi. Motivo per cui...», conclude, scambiandosi un'occhiata con il comandante, «...motivo per cui credo che uniremo l'utile al dilettevole».

«In che senso?» Chiedo.

«Nel senso che verrai con me.»

«Partirete stasera», aggiunge Gadman Scherer, tornando a guardarmi. «Tom ti aiuterà a prendere le tue cose. Tom?»

Tom Weiss compare sulla soglia, svettando come un filo d'erba tra gli alberi del Miestwode. Gadman Scherer mi congeda, Bondred rivolge la sua attenzione altrove. Qualcosa mi dice che sono in arresto. Chissà perché, chissà che cosa ho fatto. Ma soprattutto chissà chi è questo Bondred e cosa pensa che potrei aver visto. Mi sforzo di riflettere su quanto mi hanno raccontato Sven, Kailah e gli altri: l'unica spiegazione possibile è che questi due imbecilli stiano pensando che la nave su cui mi trovavo abbia naufragato nei pressi di Dioghail. Forse Bondred era lì? Da come parla potrebbe tranquillamente essere originario di Ghaan. Ma anche se fosse? Cosa cambierebbe se lo avessi visto?

Mentre Tom mi conduce fuori dagli ambienti del Comandante mi viene in mente che è un bene che Quorton Kraven abbia disertato e si sia diretto al di là del Traunne: se l'obiettivo è togliere di mezzo chi è stato da quelle parti, avrebbero potuto arrestare anche lui. Sulle scale incontriamo una soldatessa che ho visto parlare con Kailah in un paio di occasioni: potrebbe essere un buon momento per lasciare qualche informazione ai miei compagni. Dico a Tom che è la mia ragazza e che vorrei salutarla come si deve, lui sorprendentemente ci casca e mi consente di scambiarci due parole... mettendosi a origliare, ovviamente. Riesco a farle il nome di Bondred ma per il resto mi trovo costretto a parlare per metafore, spero che lei sia sufficientemente sveglia da ricordare tutto e che i miei compagni riescano a mettere insieme i pochi pezzi che mi sono capitati tra le mani.

In quel momento, quando ancora non sapevo un accidenti e non avevo idea della tempesta di merda che si sarebbe sollevata di lì a poco, parlare con quella ragazza mi era davvero sembrata una buona idea.

Non potevo immaginare che l'avrei condannata a morte.

Vian Yor - Immagine 1



scritto da Vodan Thorn , 00:34 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
23 gennaio 518
Giovedì 22 Ottobre 2020

Sei mejo te



Come va, vecchio mio?

Mi piacerebbe dirti che qui più o meno stiamo tutti bene, come si fa di solito in questi casi, ma a giudicare dalle urla di dolore che ho sentito negli ultimi venti secondi credo che le cose siano appena peggiorate.

Quanto a me, diciamo che me la cavo: continuo ad avere questo rendimento un pò a singhiozzo, alternando grandi colpi e trovate mediocri. Penso che sia anche un pò colpa tua, visto che la tua daga continua a portarmi una sfiga del cazzo... o magari è solo colpa del fatto che non riesco a maneggiarla come si deve. Del resto se l'avessi saputa usare a quest'ora starei maramaldeggiando in giro per la foresta vestito come un idiota a spadroneggiare insieme agli altri Kraighar, non certo a farmi massacrare di botte da uno di loro.

Già, perché questa bestia che mi si para innanzi con il suo occhio marcio e un puzzo di cadavere da fare invidia ai risvegliati sembra proprio essere uno dei tuoi compari. Anche lui orbo, anche lui vestito come un coglione. Anche lui con la sua sporta di trucchetti del cazzo.

La mia lama non è abbastanza lesta per impedire il suo attacco: una vampa di freddo e tenebre attraversa il mio corpo e riporta la mia memoria a quella maledetta notte di Ostàra in cui mi portasti a vedere il mondo come lo vedi tu. Ma la trovata del tuo epigono non sembra essere all'altezza di quell'orrore, limitandosi a fiaccare il mio braccio e rendendo il primo colpo che riesco a sferrare facile preda del suo claidheamh mòr. Poi sento il tonfo di Sven che rotola in terra alle mie spalle e capisco che no, la barzelletta era buona, sono io a non averla capita: sono solo stato fortunato.

O forse per nulla.

In piedi siamo rimasti io, lui, Colin che sta cercando di salvare la vita di Kailah e uno dei loro rintanato nella boscaglia che tra non molto sarà pronto a colpire. In un modo o nell'altro questa faccenda va chiusa nei prossimi dieci secondi. Io non ho l'elmo, lui ha delle strane fiammelle che gli circondano il collo. Riuscirò ad avere la meglio?, penso mentre sferro il mio secondo attacco. Neanche a parlarne, ovviamente: il mio braccio dà il suo peggio e lui non si fa sfuggire l'occasione per colpirmi la gamba, eludendo ogni mia difesa. Vorrei poter incolpare le botte che ho preso, la stanchezza degli scontri già sostenuti o il torrente di tenebra che mi ha rovesciato addosso, ma la realtà è che non ce l'avrei fatta comunque: quello spadone non ammette alcuna scusa. Non posso far altro che negoziare una tregua, mostrando l'arma che un tempo ti appartenne e che bene o male ho il diritto di brandire. Ancora una volta il tuo nome è oggetto di scherno, ancora una volta vieni descritto come un vile reietto che ha fatto la fine che meritava. Certo che hai lasciato davvero un bel ricordo, eh? Stavolta però non c'è bisogno di dire nulla: lo spaccone che deride le tue imprese è vivo soltanto grazie a una freccia che ha colpito alle spalle il prete che gli stava tenendo testa, il suo giudizio vale meno degli occhi che si ritrova.

Faccio un debole tentativo di spiegare perché ci troviamo lì e il motivo che ci spinge a voler proseguire. Fiato sprecato: "in quella torre per voi c'è solo la morte". A quel punto prende la parola Colin, che cerca nuovamente di far valere le nostre ragioni sottolineando l'urgenza di fermare ciò che sta accadendo prima che sia troppo tardi: arriva persino a raccontargli la triste storia di Muireal, la guerriera Elsenorita che venne per suonare e finì suonata. Niente da fare, il nostro ha già pronta un'altra secchiata di merda da gettare anche su di lei: debole, sprovveduta e dunque meritevole di morire. Ma ha anche dei difetti, verrebbe da aggiungere.

E allora sai che ti dico? Amen: sei mejo te. Fanculo al demone, a Elden Page e a questa foresta del cazzo: il nostro tentativo di salvare il mondo finisce qui. Del resto, considerando quanto andate d'accordo e vi stimate l'un l'altro, non mi stupirei affatto se quel diavolo d'un topo riuscisse a farvi ammazzare tutti a vicenda nel giro di un paio di settimane.
scritto da Vodan Thorn , 06:07 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
7 dicembre 517
Sabato 30 Marzo 2019

Vado per uno




"Qual è il tuo nome, soldato?"

"Vodan, signore".

"Bene, Vodan. Parli la loro lingua, vero?"

"Qualcosa".

"E loro non capiscono un cazzo della nostra..."

"Poco e niente".

"Ok, Vodan, ascolta: come puoi vedere, io qui vado per uno... E loro sono due. Ma se farai quello che ti dico, stasera in locanda avremo una storiella di cui vantarci".

"Ricevuto".



Quanti anni sono passati, esattamente? Sei o sette, credo. Ero una recluta nella guarnigione di Nuova Lagos e avevo una voglia matta di ubriacarmi e spaccare teste Elsenorite: il rifiuto di Eòran e Cathàl di portarmi con loro al Lughnasad mi bruciava ancora. "Choigear air Choigrich", straniero tra stranieri: fanculo a loro e alle loro regolette del cazzo. E il bello è che uno ci è crepato e l'altro è diventato un coglione. Ricordo che passavo le giornate a litigare con Branna e le serate a scolarmi gli avanzi del vino con cui mia madre cucinava: riusciva a mettere il vino dappertutto, quella cazzo di ubriacona: persino dentro le mele. Chissà che fine ha fatto. Prima o poi spero che si ripresenti, così magari le restituisco un pò delle botte che mi ha dato.

Il sergente maggiore Greg è l'unica cosa positiva che ricordo di quel periodaccio: una specie di leggenda vivente, protagonista di innumerevoli scontri tra Rastan e Leduras e poi spedito controvoglia su Ilsanora a reprimere le intemperanze delle popolazioni locali.

Fu lui che mi convinse ad entrare nella guarnigione, il giorno che mi presero con le mani nel sacco e mi portarono al suo cospetto. "Ti dice culo che servono uomini: o ti arruoli o ti sbatto dentro, decidi tu". La classica offerta che non si può rifiutare. Eppure fu la cosa giusta, soprattutto quando Eòran e Cathàl decisero di andarsene da soli affanculo e mi tolsero dall'imbarazzo di avere il piede in due scarpe: al sergente maggiore Greg gli elsenoriti stavano parecchio sui coglioni, se avesse saputo che stavo con i Dìolan Loch mi avrebbe fatto a pezzi. O forse lo aveva sempre saputo e non gliene fregava niente, in fondo gli stava sul cazzo pure la Guarnigione.



"Adesso scegline uno, quello che ti sembra il più coglione, e digli qualcosa... prendilo per il culo".

"..."

"Che c'è, Vodan? Sei sordo?"

"No, signore... è che mi sembrano entrambi coglioni".

"Ah-ah! Non farmi ridere, che muoio dissanguato: tiratene addosso uno e cerca di convincerlo che sei più pericoloso di me, altrimenti siamo morti".


Andare a stanarli a casa loro si rivelò un'idea del cazzo fin dall'inizio. L'informatore ci aveva assicurato che erano in quattro, e invece erano in sette: un pò troppi per un sottufficiale e tre reclute male assortite... Persino se il sottufficiale era una bestia come il sergente maggiore Greg. Ricordo ancora i miracoli che gli vidi fare prima con l'arco e poi con la spada: poi il loro capo, un certo Aomach, riuscì a colpirlo all'addome. Le immagini di quel giorno scorrono nitide davanti ai miei occhi, spinte dalle numerose analogie con quanto sta accadendo adesso.

Già, adesso. Ricapitoliamo: ho sguainato la spada e per poco non l'ho data in testa a Balestrone Uno, che per pararla s'è preso due sberle ed è andato fuori gioco. Dopo un paio di giri a vuoto sono riuscito a piantare la spada in testa al mio avversario e mi sono potuto girare sull'altro, facendomi grossomodo perdonare. Il problema è che questo non è il solito cazzone con l'arma a due mani: ha lo scudo e lo sa pure usare. Cerco di prenderlo un pò per il culo, sperando che Balestrone Uno di sgattaiolare via. La manovra in qualche modo riesce, ma questo mi risponde vomitandomi addosso uno Scaith che non ho mai sentito e piantandomi la spada tra le costole come l'ultimo dei figli di quella zoccola di sua madre.



"Ehi, ha funzionato! Cosa gli hai detto?"

"Che suo padre lo ha partorito dal culo..."

"Ci sei andato leggero!"

"... dopo che glielo abbiamo sfondato".

"... Ah."

"Eh".

"Ciòè, proprio che glielo abbiamo... in due. Io e te".

"Si, signore".

"Capisco. Beh, a lui dovrai sfondarglielo da solo, mentre io mi libero di quest'altro idiota. Pensi di farcela?".

"Ci provo".

"Fare o non fare, Vodan: provare è morto inculato".

"... Come il padre di questo qui?".

"Esatto: così impara a fare i figli stronzi".

"Ce la farò".

"Bravo".



Anche allora, proprio come oggi, ero un cazzone che parlava tanto e combinava poco: per poco quello non fu il mio ultimo combattimento. Venti secondi che mi sembrarono ore, fino a quando il sergente maggiore non riuscì ad avere la meglio sul suo e venne ad affiancarmi, reggendosi la pancia con il braccio dello scudo. Sulla carta eravamo due contro uno, ma quello sano non aveva alcuna possibilità di farcela e a quello ferito restavano uno, due colpi al massimo; mentre il nostro avversario stava bene e brandiva uno scudo. Lui aveva tutto il tempo del mondo, noi no.

Il ricordo vivido di ciò che accadde dopo mi è sufficiente per capire cosa devo fare. Osservo Colin che si avvicina, la punta del suo stocco che mi si affianca: il nostro avversario sa come sto messo e ha tutto il tempo del mondo, proprio come quella volta... Solo che stavolta quello forte e che va per uno sono io. Continuo a insultarlo: è importante che colpisca me, o meglio che NON colpisca me, lasciando Colin libero di attaccare. Il primo colpo non riesco a evitarlo, ma l'armatura decide di graziarmi. Colin ricambia il favore: ancora nulla di fatto, ma riesce a togliergli il tempo e a sferrare un secondo fendente. Ci siamo: Colin ha fatto il suo, adesso devo pensarci io. Questo scontro finirà nei prossimi cinque secondi, in un modo o nell'altro: ci serve una specie di miracolo, proprio come andò in quel giorno di settembre quando il sergente maggiore Greg sferrò l'ultimo colpo di spada che gli restava in corpo e...


"Sei stato bravo, Vodan: adesso abbiamo la nostra storiella da raccontare".

"Grazie, signore".

"La finisci di chiamarmi signore? Mica sono tuo nonno: chiamami Greg".

"Va bene, Greg".

"Adesso me lo dici cosa gli hai detto davvero, a quell'elsenorita?"

"Che suo padre..."

"Non prendermi per il culo: gli avrai detto tre parole in tutto...".

"E' una lingua sintetica: poche parole, tanti concetti...".

"Ah-ah! Sei proprio un cazzaro. Adesso tagliamo la corda, prima che ne arrivino altri".

"Ma la ferita? Non mi sembra uno scherzo...".

"Nah, è solo un graffio. E poi lo sai come funziona su Ilsanora, no? Se non torni con una ferita ti prendono per il culo, sembra che non hai combattuto e che hai mandato avanti gli altri: con un taglio del genere, nessuno si permetterà di farlo".

"Una vera fortuna, allora".

"Tu piuttosto, non hai paura di essere preso per il culo? Siamo ancora in tempo per rimediare..."

"Sto bene così, grazie".

"Sicuro? Neanche una freccia nella spalla, magari di striscio?"

"Magari un'altra volta".

"D'accordo. Vorrà dire che farai una figura di merda in locanda, stasera..."

"Sopravviverò".


Anche questa è andata. Mi metto a sedere lungo il corridoio, cercando di non pensare al dolore, mentre Colin si accinge a prestarmi le prime cure. Spada-e-Scudo si dibatte come un pesce sulla riva a meno di un metro, cercando invano di tamponare il fiotto rosso che gli zampilla dal collo. Speriamo che non facciano pulire a noi.

Chissà che fine ha fatto, il sergente maggiore Greg: prima o poi spero che si ripresenti, così magari gli restituisco un pò delle botte che mi ha dato.

Vodan Thorn - Immagine 3
scritto da Vodan , 13:31 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
9 luglio 517
Lunedì 25 Aprile 2016

Riportando tutto a casa



Le macabre guglie della Stretta Osservanza scompaiono dietro le nostre spalle mentre ci allontaniamo. Nessuno ha voglia di parlare molto. Persino i cavalli tengono la bocca chiusa, intenti come e più di noi a scrutare la nebbia che ci circonda: una coltre bassa e pesante di fumo bianco che sembra essere appena uscita dal terreno. Ogni tanto il vuoto del paesaggio si interrompe, lasciando intravedere qualcosa: alberi scheletrici, sagome indistinte che vagano in cerca di cibo, qualche rovina bruciata o distrutta, probabilmente infestata.

Difficile credere che qualcuno abbia mai vissuto da queste parti. Pensare che qualcuno tornerà mai a farlo lo è, se possibile, ancora di più.

D'un tratto avverto un fastidio familiare: schiaffoni di sabbia ci sferzano la faccia, costringendoci ad alzare il bavero dei mantelli. In condizioni normali avrei fatto volentieri a meno di questo bentornato, non dissimile da quello che ricevevo da mia madre le volte che rincasavo a notte fonda: eppure, viste le circostanze, viene voglia di accettarlo quasi di buon grado. Niente paura, vento del cazzo, stiamo tutti bene.

Ma è davvero così? Non saprei dirlo. I volti dei miei compagni scompaiono rapidamente alla mia vista, nascosti dalla stoffa. E' stata una missione come un'altra, in fondo. Gente da ammazzare, informazioni da recuperare, stronzate da evitare: talvolta, perché no, anche qualche poveraccio che è valsa la pena di salvare.

Eppure, al tempo stesso, non lo è stata. I nostri obiettivi sono morti, ma erano pesci piccoli in un mare freddo, agitato e pieno di squali. Abbiamo scelto di farci coinvolgere, cosa che ci ha permesso di vedere bene questi bestioni dallo sguardo cattivo che nuotavano appena sopra le nostre teste. La realtà è che prima o poi ce ne saremmo accorti, anche se ci fossimo fatti i cazzi nostri fin dall'inizio: certe cose non puoi non vederle, anche se ti sforzi al massimo.

Abbiamo provato ad abbatterli, questi squali: i più deboli sono caduti, altri sono riusciti a scappare, continuando a mietere vittime. Il risultato è che la loro fame, così come la nostra, è cresciuta anziché diminuire, provocando un gran numero di morti senza che nessuno sia riuscito realmente a prevalere. Colin la vede come una tragedia inutile, un massacro fine a se stesso che forse, tutto sommato, si poteva evitare: per me, più semplicemente, è una cosa inevitabile, una conseguenza naturale di quello che oggi esiste in questo angolo di mondo. Non so se dipende dal fatto che sono uno squalo anch'io, oppure perché non mi piace sentirli che mi nuotano sopra la testa, o magari tutt'e due le cose. Chi se ne frega del perché, funziona così e basta. Il fatto che questa gente abbia ammazzato un branco di preti, si sia data un pugno di regole e abbia tirato su una palizzata sfruttando l'indolenza della maggior parte dei loro concittadini non li legittima in alcun modo, né mi fa passare la voglia di farli fuori tutti. Anzi.

A questo proposito, una cosa è certa: senza il valore e il coraggio miei compagni, anche quel "poco" che abbiamo ottenuto sarebbe stato impossibile. Non solo hanno avuto il mio stesso impulso, ma si sono battuti come dei leoni in ogni circostanza. Spero che Barun scherzasse quando mi ha detto che questa sarebbe stata la mia ultima missione con loro: rimpiangerò di certo la forza di Sven, la spada di Bohemond, le riflessioni di Colin e, che la Nagath possa cavarmi gli occhi se mento, persino il bastone del prete. Tutto quello che abbiamo fatto insieme ha funzionato alla grande, anche quando non ci avrebbe scommesso nessuno. "Forse non è questo il momento giusto per affrontarlo": quando Bohemond mi ha detto questa frase, entrambi pensavamo che dietro a quella maschera si nascondesse Caister. La mia freccia non era d'accordo e lui si è fidato, un istante dopo era di fianco a me con la spada in pugno insieme a Sven. Non sarà facile mantenere questo livello. Spero che mi manderanno da qualche parte da solo, se non altro non sarò costretto a fare confronti impietosi. Mi auguro che questa non sarà l'ultima volta che oltrepasserò quel ponte: comincio ad avere fin troppi conti in sospeso su questa sponda del fiume.



Poco fa sono andato a salutare Ardee. Spero che quello che le ho detto a proposito dei Risvegliati le faccia venire qualche dubbio. Le auguro di uscire viva dalla Tomba della Regina, magari a mani vuote. Prima o poi ci rivedremo, forse persino a Ghaan, ma temo che non sarà la rimpatriata che immagina lei. Cominciamo ad essere lontani, neanche la torre di Madreselva si vede più. Chissà se quella notte è esistita davvero o se me la sono sognata: è stato quattro giorni, tre scontri e almeno dieci morti fa.

Corte di Madreselva - Immagine

La Pipa Horrenda, la Lanterna di Arrok, la Mosca Zirconata, l'Anello di Melkor, un discreto mucchio di monete d'oro e d'argento: questi i tesori che abbiamo recuperato e che riporteremo a casa. E non vorrei che, nascosta in qualche zaino, vi fosse anche la testa rinsecchita del prete di Aràk: ammetto di averne perso le tracce, spero che qualcuno abbia pensato bene di seppellirla.

Avrei preferito di gran lunga staccare la testa di quella zoccoletta di Carnage: un vero peccato non essere riusciti ad entrare in quella casa. Cosa sarebbe successo, se avessimo tentato? Alcuni di noi sarebbero morti, questo è poco ma sicuro. Caister non se ne sarebbe mai andato da solo, l'ombra di Morte che segue ogni suo passo non lo avrebbe permesso. Meglio non pensarci: ci saranno altre occasioni. O perlomeno altri squali.

Anche questa è fatta. Avanti i prossimi, finché ce n'è.


scritto da Vodan Thorn , 15:36 | permalink | markup wiki | commenti (1)
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