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- Bohemond a Marino -
 
Vodan Thorn
Tempi Cupi
Vodan Thorn
Mai fidarsi di un cuoco magro.
creato il: 08/02/2013   messaggi totali: 24   commenti totali: 28
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25 aprile 517
Domenica 7 Giugno 2015

Saoradh



E così alla fine ce l'hai fatta. Hai avuto quello che volevi, lo scontro epico in cui risorgere a nuova vita rinnegando quella non-morte alla quale ti eri improvvidamente condannato.

E dire che ho fatto il possibile per mandartela per storto: sapevo che prima o poi i tuoi fratelli sarebbero venuti a chiedere conto della tua roba. Quel duello a Maben non l'ho certo perso apposta, ma mi ha dato modo di passare per uno scemo qualsiasi che si era imbattuto per caso in qualcosa di molto più grande di lui: magari, chi può dirlo, ha contribuito a velocizzare l'inevitabile. Del resto, a ben vedere, non è una storia troppo diversa dalla realtà.

Ero certo che il pezzo che avevo preparato per il loro arrivo ti avrebbe sorpreso, proprio come quando ti piombai addosso dall'alto in quella lunga notte di Ostara. "Avete ragione, non ho alcun diritto di portare questa roba: riprendetevela pure e tanti saluti". Niente più scontri all'ultimo sangue, duelli o prove di valore: le armi del Kraighar sarebbero tornate a Uthun, in attesa di essere impugnate da un altro formidabile guerriero. Ciascuno per la sua strada, senza rancore. Il sergente Rock avrebbe capito, così come i miei compagni: stiamo combattendo una guerra contro morti risvegliati, non abbiamo tempo per coltivare il nostro e l'altrui ego né per aprire il fianco a nuovi nemici.

Scommetto che non lo avresti visto arrivare, contrariamente a quel singolo pugno che cercai invano di darti quando avevi ancora l'occhio buono.

Invece sei stato tu a sorprendermi: tutto potevo immaginare tranne che fossi riuscito a farti detestare persino dai tuoi compagni, gli stessi che pochi giorni prima avevano unito le loro armi alle tue.

"Vile nella morte come nella vita".

Tale, dunque, è il ricordo che hai lasciato presso i tuoi alleati. Quella frase mi ha spiazzato, lo ammetto. No, di più: ha spazzato via in un lampo tutto quello che avevo pensato di dire e di fare. In quale casino ti eri ficcato, Tharkun? Cacciato e disprezzato persino dal tuo branco. Roba da non credere. E tutto per quella donna, magari. Per cosa ti sei fottuto l'anima, esattamente? Per una stronza con una maschera ancora più ridicola di quelle che indossate a Uthun? Per un vaso da notte con una bambina dentro? Spiegamelo, una di queste notti, perché non riesco a capirlo.

Eppure è proprio quella frase che devi ringraziare più di ogni altra cosa. Un conto è pretendere le armi di un guerriero, ben altro è mancare di rispetto alla sua memoria e, di conseguenza, a chi lo ha combattuto. Ero pronto a cederla, quella catena, non certo a farmela strappare di dosso neanche fosse la sottana di una serva. Fanculo ai buoni propositi, di punto in bianco non desideravo altro che spaccare a Corna di Bisonte quell'elmo ridicolo, a costo di morire nel tentativo. Le parole hanno cominciato a uscire da sole, fermandosi soltanto dopo aver fissato l'appuntamento con la morte che tanto agognavi.

Quello che è successo dopo lo sai. Lui che proclama le sue condizioni: l'impegno, in caso di sconfitta, a far mia l'arma che tu impugnasti fino a diventarne degno. La mia voglia di farlo incazzare, così forte da spingermi a usarla subito al fine di mostrargli quanto grande fosse il suo errore. Il rosso della lama della sua lancia, così simile a quella che quasi mi tolse la vita sull'Isola, ansiosa di tagliarci in due. Ti sento felice. In fondo lo sono anch'io: vendiamo care queste armi, facciamoci fare a pezzi come si deve. Se non altro, mi viene da pensare, neanch'io mi risveglierò. Ci viene chiesto cosa vogliamo in cambio. Come se facesse differenza. Come se io volessi tutto questo, come se tu potessi aspirare a qualcosa di diverso. Mi hai fregato, diavolo di un orbo: le spire della tua catena mi inchiodano a questo ultimo scontro, la morte che ghermisce le mie spalle è pronta ad abbracciare entrambi. I compagni capiranno, le mie sorelle se ne faranno una ragione, Dineartach tirerà una manciata di semi sopra una merda di capra e dirà qualcosa come: "tutto vive, niente perduto". Maledetta. Mi stupisco di ricordare ancora il suo nome completo, dopo mesi e mesi che la chiamo Dina.

E poi lo scontro. Il tuo maglio affamato che morde ad ogni colpo, spinto dalla mia mano; la mia voce che accompagna gli insperati successi, dal suono così simile alla tua; la lancia che dovrebbe tagliarmi il braccio e che invece fende l'aria, per colpa o merito di una tua decisione. Per un istante vedo il mondo come lo vedi tu: il mio avversario ne scorge il riflesso dentro ai miei occhi e decide di cedere il passo. "Questo scontro è tuo". Terzo duello in un mese. A Krandamer morirebbero d'invidia.

"Porta quelle armi con fierezza, poiché ti appartengono". E io che avevo in mente di lasciarle in questa palude.

A Elsenor si dice che non puoi sconfiggere un demone senza conoscere il suo nome. Chiedo a Corna di Bisonte di dirmi il vostro: Taerbeck e Tarkhun. Finalmente.

Mi hai fregato, Tarkhun. Avevi deciso da tempo di andartene da Uthun ed io esaudirò questo tuo desiderio, ora che mi sono assicurato che nessuno possa mai ricordarti come un vile. Ma è l'ultima volta. Questa vittoria mi dà il diritto di lasciare voi Kraighar sul posto, di non essere risucchiato ulteriormente dalla vostra visione del mondo. E' questa la ricompensa che chiedo, penso di essermela guadagnata. Ho vinto, ho avuto fortuna: ma ho dato anche a ciascuno di voi la possibilità di recuperare i vostri soldi. Adesso è arrivato il momento di alzarsi dal tavolo: ho voglia di tornare a Uryen, riempire il mio boccale di birra decente, rivedere le mie sorelle, prendere a testate Dina. Maestro di me stesso, nel bene e nel male. Voi non seguitemi, io non tornerò.

Ah, ancora una cosa...

Kraighar (immagine)

Ma vostra madre lo sa che vi vestite così?
scritto da Vodan Thorn , 00:39 | permalink | markup wiki | commenti (7)
 
17 aprile 517
Domenica 3 Maggio 2015

An deuchainn



A volte non puoi vincere, eppure alla fine vinci: altre volte sei certo di non poter perdere, eppure finisce che perdi. Il sogno parlava chiaro: vedevo, sentivo e ruggivo come un lupo, travalicando i limiti di ciò che può vedere e sentire qualsiasi essere umano. E' evidente che se avessi combattuto a quel modo sarebbe finita in modo diverso: i miei artigli avrebbero lacerato le carni nude del mio avversario, non certo l'armatura che ho avuto cura di rimediargli. Due colpi a segno, uno per mano: la spada e la daga. Sangue, vittoria, morte.

Non è quello che ho sempre voluto?

Il punto è che non ero io, quello: eri tu. Continui a parlarmi anche da morto, nonostante i nostri sforzi per non farti risvegliare. Fatica inutile, direbbero ad Elsenor: Armhann neartail maireannach. I grandi guerrieri sono immortali. Quando la corda che li tiene attaccati alla vita viene recisa, per loro si aprono i cancelli del regno delle Ombre.

Sorpreso? Immagino di no, visto che sei stato tu stesso a mettermi in guardia. Ricordo bene le parole che pronunciasti nel Varco: ora vedi il mondo come lo vedo io. Non ti riferivi certo alle pile di teschi o al cielo solcato da ali spettrali: era di me che parlavi, dei miei occhi, della ferocia istintiva entro cui mi avevi costretto per sopravvivere. L'allievo testardo e il maestro paziente. Sei stato di parola, nell'unico idioma con cui alle ombre è concesso rivolgersi ai vivi. I tuoi occhi, il tuo istinto, il tuo ruggito: questo è ciò che mi hai mostrato. Quel modo di vedere, di sentire il mondo, è alla mia portata: basta allungare la mano. La scelta è soltanto mia.

Non è quello che ho sempre voluto?

Sei in grado di ascoltare i miei pensieri. Sapevi ciò che sarebbe accaduto a Maben, quello che sarei andato a fare: Il duello che avevo lasciato indietro e che aspettava entrambi. Avresti voluto vedere l'istinto e la sete di sangue del Faul-Warg dipinto sullo scudo che un tempo ti apparteneva e che io ho raccolto quando eri già morto. E' in quel momento che hai pensato di avere una possibilità? Spingermi di sotto. Vedere con i miei occhi. Combattere ancora. Vivere di nuovo.


Lupo che ulula alla luna (Immagine)

Mi stai ascoltando anche ora? Come io ascolto te? Spero di si, perché in caso contrario mi priveresti del gusto di dirti che avevi ragione. Sono così testardo da non avere alcuna intenzione di diventare un lupo per compiacere te o chiunque altro. Neppure se è quello che ho sempre desiderato.

E dire che la mia intenzione iniziale era quella di ucciderlo, quel povero bastardo, attribuendogli le colpe di quanto compiuto dai suoi e tuoi compagni d'arme contro le donne e i bambini dell'abitato di Dieck. In parte perché sarebbe stato giusto, in parte perché dopo tutti quei Risvegliati sento il bisogno di dare una morte che togliesse anche una vita. La verità è che mi prudono le mani e la colpa è anche tua, perché pur di sottrarti alla mia spada hai preferito ficcarti nell'occhio il primo coltello che ti è capitato a tiro. O pensi davvero di avermi dato a bere la storia che ti ha ammazzato Tico Pock?

Focáil leat.

Mi stai ascoltando, adesso? Spero di si. Come io ascolto te, del resto. Ho sentito ciò che cercavi in quel duello. Sapevi che quel disgraziato voleva diventare un Lupo e che gli avrei offerto l'occasione giusta: pregustavi uno scontro epico e sanguinoso, una prova di forza da cui sarebbe uscito il guerriero in cui poterti reincarnare. Non solo: volevi anche viverla in prima persona attraverso i miei occhi, magari perché pensavi che avrei vinto io.

Mi stai ascoltando ancora? Credo di si, come io ho ascoltato te. Ho avvertito la tua frustrazione quando ho trasformato lo scontro tra lupi all'ultimo sangue che tanto agognavi in un confronto controllato tra poveri diavoli che mangiano e bevono insieme: in un gioco, come avresti odiato definirlo tu. Il mio scopo non era toglierti un erede, ma sottrartene due. Lo hai sentito, vero? Io l'ho sentito. Ho visto la tua insofferenza incarnarsi nell'arma che un tempo fu tua, bloccare il colpo che mi avrebbe concesso la vittoria e quindi rifiutarsi di deflettere la risposta. Eri certo che la prospettiva di una sconfitta davanti ai miei compagni mi avrebbe fatto cambiare idea, che il lupo che è in me mi avrebbe spinto a continuare fino all'ultimo, spingendo la morte che ghermisce le mie spalle ad esigere per l'ennesima volta il suo tributo.

Niente da fare. Se è questo che vuoi, dovrai impegnarti di più.

O forse hai semplicemente voluto farmi vedere chi comanda: nel qual caso penso che non mancheranno altre occasioni, visto che non ho alcuna intenzione di rinunciare a quell'arma. A te la scelta se uccidermi nell'inutile tentativo di impormi le tue regole o goderti lo spettacolo accettando le mie.

Il duello l'ho perso, magari però ho passato la prova.
scritto da Vodan Thorn , 04:14 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
1 Aprile 517
Venerdì 10 Aprile 2015

Ride bene chi ride ultimo



Fatti coraggio, Ian.

Ascolta le parole del prete e vai incontro al tuo destino.

Fatti anche furbo, perdi i sensi prima che il dolore diventi insopportabile e lascia che qualche lama misericordiosa recida la corda che ti lega a questa vita.

In fondo anche per te c'è un bicchiere mezzo pieno: sarai sepolto come un eroe anche se, diciamocelo pure, eri una mezza sega.

Immagino che, potendo scegliere, avresti preferito l'altra metà.

Ma a quanto pare gli Dei ti hanno sorriso, come sta dicendo Engelhaft... se davvero è così che funziona spero che non decidano di sorridere anche a me: ho intenzione di sopravviverti quanto basta, anche solo per non dare soddisfazione a questo buco maleodorante che ci sta facendo sputare sangue da giorni.

Fai buon viaggio, Ian: ci pensiamo noi ad andare avanti.

Porteremo a termine questo sporco lavoro, costi quel che costi.

Giusto il tempo di rimetterci in piedi.

E di carbonizzare quella stanza e quell'orcio di letame.

Sperando che agli Dei non venga voglia di farsi un'altra risata.

La Resistance - Immagine
scritto da Vodan Thorn , 02:50 | permalink | markup wiki | commenti (1)
 
21 marzo 517
Giovedì 22 Gennaio 2015

Nel Varco



"Ora vedi il mondo come lo vedo io".

Lo scenario che si para di fronte ai miei occhi non ha nulla del mondo che conosco. Non il cielo, privo di sole e stelle. Non la terra, arida di vita e svuotata di ogni calore. Rocce appuntite delimitano l'angusta prigione che ci rinchiude, stagliandosi contro una volta cinerea frantumata in miriadi di schegge violacee. Tra l'una e l'altra, come sinistri spettatori celati dai pilastri di un tempio, giacciono i resti e le orbite vuote di guerrieri senza nome né età. Questo posto fa rimpiangere persino l'isola di Cabal.

"E' qui che voglio darti la prova che sei venuto a cercare".

La sicurezza con cui parla tradisce un barlume di emozione. Vuole uccidermi o mettermi alla prova? Entrambe le cose. Mi chiedo se abbia ghermito Inga con l'intento di incitare la mia furia. Incomodo inutile, eroe: avrai la battaglia che brami.

Di nuovo provo a batterlo sul campo che meno si aspetta, quello della velocità: per un istante interminabile la mia lama danza con la sua catena tornata a nuova vita, poi riesce ad averne la meglio. Sorte assai migliore incontra il suo scudo, privando il mio assalto di ogni velleità.

Ho tempo per un secondo colpo: di nuovo la muraglia mi sovrasta, stavolta l'impatto è fragoroso. Sento il mio corpo lento, debole, lontano: una imbarcazione in balia di una tempesta. L'ondata poderosa del suo scudo mi travolge scagliandomi all'indietro, verso i teschi di tanti avversari migliori di me. Non posso colpirlo. Non se questo è il meglio che so fare. L'assalto che segue non mi lascia il tempo di pensare, né lo scudo ha modo di coprire la gamba esposta. Il ferro vermiglio del maglio batte con violenza la mia armatura. Non sento dolore, né provo alcuna paura. Non posso colpirlo. Il primo sangue è suo.

Lo scudo deflette un altro colpo. Non è ancora finita. Non sono stato masticato e sputato da un'isola piena di Risvegliati per venire a gonfiare questi mucchi di ossa. Cerco di guadagnare il terreno che mi serve per sferrare un nuovo assalto in velocità. Impossibile, almeno per ora. Non posso colpirlo. Non importa. C'è ancora tempo.

Il Kraighar parla di nuovo. Mi chiede se rimpiango di non aver approfittato delle occasioni che ho avuto. La soddisfazione che cerca non uscirà dalla mia bocca, non insieme al sangue che mi sta facendo sputare. "Mai", rispondo. Mormora qualcosa su un allievo testardo e un maestro paziente: la mia mente registra le sue parole ma si rifiuta di dar loro ascolto, intenta com'è a leggere la traiettoria del maglio che torna a sollevarsi. Non posso colpirlo. Non posso prendere anche questo colpo. Non....

Di nuovo la catena irride il mio scudo, avvolgendosi ad esso come un serpente. Il maglio mi raggiunge alla bocca dello stomaco, spingendomi indietro. Non respiro. L'armatura mi risparmia conseguenze ulteriori. gli occhi si inchiodano a quella spira di anelli, la mente torna al ricordo di quando era in pezzi. A quanto sarebbe stato semplice colpirlo in quel singolo istante. Mai, ripeto a me stesso. Neanche per un momento. I deliri onirici di Colin acquistano improvvisamente un senso, sovrapponendosi ai miei pensieri: "non mi piacciono le scorciatoie: le cose me le voglio guadagnare". Ecco cosa stava farfugliando: altro che dimensioni del seno.

Il maglio torna a mulinare, ma stavolta è diverso: non sono io il prigioniero, sei tu ad essere rinchiuso con me in questo Sabbath. Brandisci quanto vuoi quella palla di ferro, non avrai il privilegio di colpirmi un'altra volta. Mi assicurerò che tu muoia con l'arma in pugno e nel pieno delle forze, dopo aver fatto sfoggio di tutto il tuo potere. Questa notte arderai come il Re dell'Inverno, svanirai come i ceri delle veglie di Ostara.

Rift (Varco) - Immagine
scritto da Vodan Thorn , 14:23 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
18 marzo 517
Martedì 30 Dicembre 2014

An Saighdear



La prima volta che incontrai Eòran e Cathàl non ero ancora un soldato.

Vagavo come uno stupido per la Dorcha, la selva che circonda una buona metà di Nuova Lagos: un cieco con una fiaccola in mano, disperso tra i meandri di quelle - dicono - quaranta sfumature di verde di alberi e piante che esistono solo lì. Il sole era calato da un pezzo, così come la speranza di ritrovare la strada per la città. Non restava che trovarmi un riparo per la notte, sperando di non stuzzicare l'appetito di qualche bestia. Speranza vana. Ricordo ancora bene quel ringhio, il mio sguardo che saltava da un cespuglio all'altro fino a trovarlo, intento a fissare la sua cena. Il manto grigio e nero come le ombre della notte, gli occhi bianchi del riflesso della luna: An Faol.

Lupo Nero - Immagine

Ricordo la sensazione che provai osservandolo uscire dalla boscaglia e avanzare verso di me: i denti aguzzi, l'attesa del dolore che avrei provato di lì a poco quando si sarebbero conficcati dentro le mie carni. Fu quella sensazione che mi spinse ad agire. Le gambe in avanti, il braccio levato in aria a brandire la fiaccola, il rumore della fiamma che avvampava e crepitava sul legno. D'un tratto smisi di essere appetibile e, di lì a poco, mi ritrovai nuovamente solo. O almeno, così credevo.

"Giè treun, balach!".

Il tempo di girarmi e li vidi, a pochi metri da una grotta che non avevo minimamente notato. Due giovani elsenoriti, entrambi con un coltello alla cintura e una lancia a dir poco primitiva. In seguito imparai il significato delle parole che mi avevano urlato: "hai fegato, ragazzo!". Quello fu il nostro primo incontro, il giorno in cui mi guadagnai il loro rispetto. Nella grotta conobbi anche Nevin, cugino di Cathàl, e Branna, sorella di Eòran. Quattro giovani guerrieri del Clan del Lago, avanscoperta di un gruppo più ampio attivo presso i confini di Nuova Lagos il cui nome era Dìolain Loch: i Figli del Lago. Quel giorno decisi che sarei diventato un guerriero anch'io.

I Dìolan Loch divennero amici, fratelli di sangue e compagni d'armi. Frequentarli non fu facile, specie dopo il mio ingresso nella guarnigione di Nuova Lagos: il Clan del Lago era nostro alleato ma in pochi si fidavano realmente della lealtà dei suoi guerrieri... A ragione, visto quello che accadde dopo. Io, che li conoscevo meglio, la pensavo diversamente. O magari fu proprio colpa del fatto che li conoscevo troppo. Al tempo stesso non fui mai uno di loro, malgrado la storia malata con Branna e nonostante i disegni comuni impressi per sempre sulle nostre carni.

"Choigear air Choigrich", così mi chiamò Eòran quando gli chiesi perché non avrei potuto prendere parte al Lughnasadh: Straniero tra stranieri. Ero nato sull'isola giusta, ma dalla parte sbagliata del muro.

Quella stessa notte lui e Cathàl partirono verso il loro duello con i figli di Baal: una prova estrema di coraggio che avrebbe garantito loro il Saigh e lo status di guerrieri adulti. Fu l'ultima volta che lo vidi: le lacrime di Branna mi raccontarono la sua fine qualche settimana dopo. Mi disse che Cathàl era sopravvissuto alla prova, ma che non sarei più stato in grado di riconoscerlo: l'esperienza lo aveva cambiato dentro e fuori.

Compresi il reale significato di quelle parole soltanto molto tempo dopo, quando il Saigh di Cathàl mi trapassò la schiena, lasciandomi sul posto a osservare i Clan del Nord che correvano verso Nuova Lagos come un branco di iene affamate.

Massacro di Nuova Lagos - Immagine

Oggi ho avuto modo di combattere quel duello che anni fa mi fu precluso, secondo le stesse regole seguite dai miei fratelli di sangue. E' buffo: in fondo non ci ho mai creduto davvero a queste stronzate del sangue e dei legami. Loro mi stavano simpatici e tutto, ma se mi feci quel tatuaggio fu soprattutto per Branna: lei ci teneva, io ci tenevo a farmi lei. La Nagath incappucciata, la Dea della Morte... Roba da matti. Per poco non mi cacciarono dalla Guarnigione, a mia madre a momenti venne un infarto. E invece fu amore a prima vista, una veste d'inchiostro nero che da quel giorno mi protegge più di qualsiasi armatura.


Tatuaggio dei Dìolan Loch - Immagine


Chissà se esiste ancora qualche Dìolan Loch in vita o se ai miei fratelli di sangue tocca contorcersi nella tomba al pensiero che l'ultima Nagath ancora in piedi si trascini sulle spalle di un "Choigear air Choigrich". Datti pace, Eòran. E anche tu, Cathàl, nel caso in cui l'avessi seguito: non mi ritengo certo un Figlio del Lago. Ma un soldato si. Mi sono scagliato a viso aperto contro un avversario invincibile e ho dato il meglio di me, combattendo come se fosse l'ultima volta. Non potevo colpirlo, ma ho letto ogni sua mossa: non potevo vincere, ma ho distrutto ogni sua arma. Non potevo batterlo, ma l'ho costretto a cedere il passo. Non potevo ucciderlo, ma ho colpito a morte la sua sicurezza. Ho tenuto fede a tutte le stronzate che avevo promesso di compiere e che voi mi avete impedito di mantenere.

Oggi, tra i frammenti di quella daga, ho raccolto il mio Saigh.

Levo alla vostra il boccale che ho strappato ai nuovi amici che vi siete scelti: con questa bevuta mi libero di voi e dei vostri fantasmi. Sono un soldato, niente di più e niente di meno, mentre voi non siete altro che un morto e un traditore.

Elsa di Daga - Immagine
scritto da Vodan Thorn , 01:48 | permalink | markup wiki | commenti (0)
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