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Vodan Thorn
Tempi Cupi
Vodan Thorn
Mai fidarsi di un cuoco magro.
creato il: 08/02/2013   messaggi totali: 25   commenti totali: 28
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18 marzo 517
Martedì 30 Dicembre 2014

An Saighdear



La prima volta che incontrai Eòran e Cathàl non ero ancora un soldato.

Vagavo come uno stupido per la Dorcha, la selva che circonda una buona metà di Nuova Lagos: un cieco con una fiaccola in mano, disperso tra i meandri di quelle - dicono - quaranta sfumature di verde di alberi e piante che esistono solo lì. Il sole era calato da un pezzo, così come la speranza di ritrovare la strada per la città. Non restava che trovarmi un riparo per la notte, sperando di non stuzzicare l'appetito di qualche bestia. Speranza vana. Ricordo ancora bene quel ringhio, il mio sguardo che saltava da un cespuglio all'altro fino a trovarlo, intento a fissare la sua cena. Il manto grigio e nero come le ombre della notte, gli occhi bianchi del riflesso della luna: An Faol.

Lupo Nero - Immagine

Ricordo la sensazione che provai osservandolo uscire dalla boscaglia e avanzare verso di me: i denti aguzzi, l'attesa del dolore che avrei provato di lì a poco quando si sarebbero conficcati dentro le mie carni. Fu quella sensazione che mi spinse ad agire. Le gambe in avanti, il braccio levato in aria a brandire la fiaccola, il rumore della fiamma che avvampava e crepitava sul legno. D'un tratto smisi di essere appetibile e, di lì a poco, mi ritrovai nuovamente solo. O almeno, così credevo.

"Giè treun, balach!".

Il tempo di girarmi e li vidi, a pochi metri da una grotta che non avevo minimamente notato. Due giovani elsenoriti, entrambi con un coltello alla cintura e una lancia a dir poco primitiva. In seguito imparai il significato delle parole che mi avevano urlato: "hai fegato, ragazzo!". Quello fu il nostro primo incontro, il giorno in cui mi guadagnai il loro rispetto. Nella grotta conobbi anche Nevin, cugino di Cathàl, e Branna, sorella di Eòran. Quattro giovani guerrieri del Clan del Lago, avanscoperta di un gruppo più ampio attivo presso i confini di Nuova Lagos il cui nome era Dìolain Loch: i Figli del Lago. Quel giorno decisi che sarei diventato un guerriero anch'io.

I Dìolan Loch divennero amici, fratelli di sangue e compagni d'armi. Frequentarli non fu facile, specie dopo il mio ingresso nella guarnigione di Nuova Lagos: il Clan del Lago era nostro alleato ma in pochi si fidavano realmente della lealtà dei suoi guerrieri... A ragione, visto quello che accadde dopo. Io, che li conoscevo meglio, la pensavo diversamente. O magari fu proprio colpa del fatto che li conoscevo troppo. Al tempo stesso non fui mai uno di loro, malgrado la storia malata con Branna e nonostante i disegni comuni impressi per sempre sulle nostre carni.

"Choigear air Choigrich", così mi chiamò Eòran quando gli chiesi perché non avrei potuto prendere parte al Lughnasadh: Straniero tra stranieri. Ero nato sull'isola giusta, ma dalla parte sbagliata del muro.

Quella stessa notte lui e Cathàl partirono verso il loro duello con i figli di Baal: una prova estrema di coraggio che avrebbe garantito loro il Saigh e lo status di guerrieri adulti. Fu l'ultima volta che lo vidi: le lacrime di Branna mi raccontarono la sua fine qualche settimana dopo. Mi disse che Cathàl era sopravvissuto alla prova, ma che non sarei più stato in grado di riconoscerlo: l'esperienza lo aveva cambiato dentro e fuori.

Compresi il reale significato di quelle parole soltanto molto tempo dopo, quando il Saigh di Cathàl mi trapassò la schiena, lasciandomi sul posto a osservare i Clan del Nord che correvano verso Nuova Lagos come un branco di iene affamate.

Massacro di Nuova Lagos - Immagine

Oggi ho avuto modo di combattere quel duello che anni fa mi fu precluso, secondo le stesse regole seguite dai miei fratelli di sangue. E' buffo: in fondo non ci ho mai creduto davvero a queste stronzate del sangue e dei legami. Loro mi stavano simpatici e tutto, ma se mi feci quel tatuaggio fu soprattutto per Branna: lei ci teneva, io ci tenevo a farmi lei. La Nagath incappucciata, la Dea della Morte... Roba da matti. Per poco non mi cacciarono dalla Guarnigione, a mia madre a momenti venne un infarto. E invece fu amore a prima vista, una veste d'inchiostro nero che da quel giorno mi protegge più di qualsiasi armatura.


Tatuaggio dei Dìolan Loch - Immagine


Chissà se esiste ancora qualche Dìolan Loch in vita o se ai miei fratelli di sangue tocca contorcersi nella tomba al pensiero che l'ultima Nagath ancora in piedi si trascini sulle spalle di un "Choigear air Choigrich". Datti pace, Eòran. E anche tu, Cathàl, nel caso in cui l'avessi seguito: non mi ritengo certo un Figlio del Lago. Ma un soldato si. Mi sono scagliato a viso aperto contro un avversario invincibile e ho dato il meglio di me, combattendo come se fosse l'ultima volta. Non potevo colpirlo, ma ho letto ogni sua mossa: non potevo vincere, ma ho distrutto ogni sua arma. Non potevo batterlo, ma l'ho costretto a cedere il passo. Non potevo ucciderlo, ma ho colpito a morte la sua sicurezza. Ho tenuto fede a tutte le stronzate che avevo promesso di compiere e che voi mi avete impedito di mantenere.

Oggi, tra i frammenti di quella daga, ho raccolto il mio Saigh.

Levo alla vostra il boccale che ho strappato ai nuovi amici che vi siete scelti: con questa bevuta mi libero di voi e dei vostri fantasmi. Sono un soldato, niente di più e niente di meno, mentre voi non siete altro che un morto e un traditore.

Elsa di Daga - Immagine
scritto da Vodan Thorn , 01:48 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
16 marzo 517
Giovedì 11 Dicembre 2014

L'ultima volta buona



La prima cosa che ho imparato sono state le parolacce. Dun do Bheal, chiudi quella latrina. Díul mó bhad, succhiamelo. Téigh trasna ort féin, vai a farti fottere. Go stróice an diabhal, possano i vermi divorarti i reni. Focáil leat, vaffanculo. E così via, giorno dopo giorno ad ascoltare e ripetere le imprecazioni degli abitanti che popolavano lo sclàbcham, il campo di lavoro di Nuova Lagos dove ci mandavano a controllare che tutto funzionasse a dovere. Il primo Ongelkamp che abbia mai visto, destinato ai prigionieri di guerra e a coloro che si opponevano alla volontà del Reggente. Sclàbhaìocht Suaràch, recitava il cartello posto all'ingresso. "Lavoro per la Pace" secondo i nostri sergenti, "Lavora come Schiavo" per come si ostinavano a leggerlo gli Elsenoriti. In seguito capii che avevano ragione - o torto - entrambi, colpa dei molti significati attribuibili a quella parola, Suaràch: la pace di chi è impotente, miserabile, finito. La quiete a cui è costretto chi non ha più una casa. La pace della morte.

La seconda cosa che ho imparato sono state le invocazioni. Ad Elsenor le Ombre non si pregano, ci sono e basta. Is cuma liom sa diabhal, come recita un vecchio scaith: alle Ombre non frega un cazzo. Non sanno che farsene di sacerdoti che vanno in giro o di fedeli che si radunano in un posto per ringraziare di essere vivi. La religiosità di Ilsanora è semplice, evocativa, immediata: quando devi coltivare la terra invochi l'aiuto di Parthan; se devi combattere invochi la forza di Lùg; se vuoi procreare invochi la benevolenza di Daanan; così fino a quando non arriva il momento di morire, a quel punto non ti resta che levare il boccale e offrire la tua ultima bevuta alla vecchia signora.



Riempio l'unico oggetto che possiedo, strappato alle mani dei Nordri: mi torna in mente quel marinaio che pochi giorni fa, a Feidelm, mi fece capire a gesti che ne aveva uno uguale. La vecchia signora non è nuova a questa mia piccola tradizione: ne abbiamo celebrate tante, di ultime volte, dal giorno in cui la porto sulle spalle. Chissà se questa sarà l'ultima volta buona.

La terza cosa che ho imparato sono state le leggende. "Questo è abbastanza veloce per te?" Le immagini degli spostamenti innaturali del Kraighar scorrono nuovamente davanti ai miei occhi. Ripenso alle storie che circolavano tra l'esercito di Nuova Lagos su alcuni guerrieri di Ilsanora nelle cui vene, secondo i pochi fortunati che sopravvivevano ai loro assalti, scorreva ancora il sangue di Balor. Anche loro difendevano il proprio territorio dalla "stirpe di Greyhaven". Eòran e Cathal del Clan del Lago mi spiegarono che molti di loro facevano parte dei Faolchliàth, il Clan dei Lupi. Mi dissero anche che erano da sempre i loro acerrimi nemici. Fino a quando non si allearono per spazzarci via.

Chissà se muoversi a quel modo lo stanca. Chissà se è l'unica cosa da cui doversi guardare. Chissà se dalle parti di Trent stanno tutti bene. Chissà se Inga è fidanzata.

Troppe domande per un boccale che di risposte non ne ha neppure una.

Alla tua, vecchia signora: is cuma liom sa diabhal!


scritto da Vodan Thorn , 18:03 | permalink | markup wiki | commenti (1)
 
16 marzo 517
Venerdì 21 Novembre 2014

Sette Sette Sette



Chissà se erano già lì ad aspettarci o se arrivarono con la marea, magari fiutando il nostro sangue. Quello che dissero a me e agli altri feriti che erano rimasti sulla barca fu soltanto che non eravamo più soli. Due naufraghi, un uomo e una donna, sulla spiaggia nord dell'isola. Probabilmente isolani di qualche clan del nord, pensarono gli esploratori improvvisati che li avevano individuati, a giudicare dal fatto che non parlavano una parola di Greyhaven: talmente incazzati da mordere e graffiare come fossero bestie chiunque gli capitasse a tiro.

"La donna l'abbiamo stesa con un remo. L'uomo era molto forte, non voleva andare giù: gli abbiamo dovuto fracassare la testa".

Il capitano era morto durante lo schianto, il che faceva di Flint Rogar, sottotenente di vascello, il più alto in grado. Flint commise l'errore di voler andare a interrogare la donna: tornò bestemmiando con un morso sulla caviglia, vantandosi di aver decapitato la puttana. La sua gioia si spense di lì a poco, nel giro di poche ore era moribondo insieme agli esploratori. Li seppellirono sulla spiaggia, a pochi metri dal rottame della nave. Il comando passò a un certo Lester, un vecchio sergente che si muoveva a fatica per via di un piede rotto. Io stesso non potevo muovermi granché per via della ferita alla schiena: ricordo che faceva un freddo pazzesco appena ti allontanavi di un metro da quei falò enormi che Flint aveva ordinato di accendere poco prima di morire e che fecero da cornice a quello strano funerale.

Risvegliato Marinaio - Immagine

Flint era un tipo pragmatico. Si ripresentò quella notte stessa, addentando alla gola il poveraccio che aveva il compito ravvivare i fuochi. Lester e altri quattro presero le poche armi che avevamo e fecero quello che andava fatto. Poi fu la volta degli esploratori, che per fortuna si presentarono quando i fuochi erano ancora accesi e tutti avevano già il ferro sguainato. A quel punto si rese necessario cercare di capire cosa stava succedendo. Un certo Jonah saltò su a dire che eravamo finiti sull'isola perduta della Morrigan, dove secondo la leggenda i morti tornavano in vita.

Qualcun altro, tra cui Lester, cercò di fargli notare che saremmo dovuti essere da tutt'altra parte, ma nessuno di noi era un marinaio provetto e dopo i due giorni di tempesta che c'eravamo fatti non era facile tenere il punto. Alla fine passò la storia dell'isola maledetta. Per nostra fortuna Lester ordinò di bruciare i cadaveri prima di dormire: è molto probabile che senza quella mossa saremmo morti tutti quella notte stessa.

Falò di notte - Immagine

La mattina seguente Jonah e altri due mozzi rimasti feriti durante gli scontri non c'erano più. Le loro tracce puntavano verso il centro dell'isola, probabilmente si erano resi conto di essere spacciati e non volevano finire arrosto. Questa inattesa defezione ci lasciò con pochissime persone in grado di muoversi. Di acqua ne avevamo, quella parte di stiva si era miracolosamente salvata: in compenso, tutto il cibo che trasportavamo era stato divorato dai flutti. Eravamo troppi e troppo malmessi per digiunare: di lì a poco avremmo dovuto inventarci qualcosa, nell'attesa che un vascello riuscisse a vedere quei dannati fuochi finché eravamo in grado di tenerli accesi. Passarono tre o quattro giorni in cui restammo lì, svuotando le borracce delle loro ultime gocce e giocando con un mazzo di carte che eravamo riusciti a recuperare nei pressi della nave. Ricordo ancora il piatto che riuscii a fare a Lester con un tris di sette contro i suoi due assi. Con tutte le carte che mancavano quei tre sette erano pressoché imbattibili.

Sette bello

Il ritorno di Jonah e degli altri ci prese di sorpresa. Non potevamo immaginare che avessero più fame di noi. Per farla breve, tolti i morti e i feriti che si ammalarono di lì a poco, restammo in otto: Lester, Tom, Mark, Danny ed io, tutti con qualche acciacco piccolo o grande legato agli scontri a Nuova Lagos o ai postumi del naufragio, più altri tre sopravvissuti in gravi condizioni che probabilmente non ce l'avrebbero mai fatta. E neanche una donna, ovviamente.

A quel punto pensavamo di aver capito come funzionava, grosso modo: la malattia, la testa da rompere, i corpi da bruciare e tutto il resto. Non ci restava altro da fare che prendere qualcosa di commestibile da alcuni alberi da frutto che erano stati avvistati al centro dell'isola e poi barricarci nella parte di stiva della nave che aveva retto all'urto contro gli scogli. Andammo tutti, sospinti dalla sete e da qualche bastone da passeggio rimediato e utilizzato a mò di stampella.

Quello che non sapevamo è che ce n'erano altri: ci colsero di sorpresa, tra gli alberi, mentre stavamo ancora riempiendo le bisacce. Erano lenti e tremendamente goffi: il problema è che noi lo eravamo ancora di più. Ricordo con orrore l'immagine di Lester che fuggiva tra gli alberi, costretto da quel piede rotto a gattonare come un bambino: e ricordo anche le sue urla disperate quando alfine lo raggiunsero e se lo mangiarono vivo a pochi metri da noi.

Risvegliati tra gli alberi

Mark e Tom erano fratelli: soldati come me, avevamo fatto l'addestramento insieme. Il primo aveva un braccio rotto e qualche livido ma le gambe ancora buone: fece del suo meglio per distrarre i due che ci seguivano, ma non riuscì a tornare con noi alla nave. Si risparmiò lo spettacolo atroce che ci attendeva lì: uno di loro, che ci aveva evidentemente preceduto, era intento a pasteggiare con gli intestini di uno dei moribondi mentre gli altri due urlavano terrorizzati a pochi metri dalla scena.

Tom, Danny ed io riuscimmo in qualche modo ad averne la meglio, a portar dentro il poco cibo che avevamo recuperato e quindi a barricare la stiva. Restammo lì per giorni: avevamo acqua e coperte a sufficienza, e la stiva era grande al punto da consentirci persino di accendere un piccolo fuoco per scaldarci. Ogni ipotesi di accendere i fuochi esterni era ovviamente tramontata: non ci avrebbe trovato nessuno, restava solo da stabilire se saremmo morti di fame o per placare la fame delle bestie che ci aspettavano appena fuori, grattando senza sosta sul pesante scheletro di legno del vascello distrutto.

Grat. Grat. Grat.

Ricordo il volto devastato di Tom, la consapevolezza di entrambi che uno di loro era Mark. Deboli come eravamo, non potevamo neppure correre il rischio di aprire uno spiraglio e dargli la pace che meritava.

Naufragio

Quando Danny cominciò a sentirsi male ci prese un colpo. Pensammo subito all'acqua, il che avrebbe voluto dire che eravamo tutti fregati. Poi capimmo che i risvegliati non c'entravano, era la gamba che gli era andata in cancrena. Morì nel giro di un paio di giorni, rinunciando stoicamente a lavarsi la ferita.

"Almeno voi ce la farete", disse in preda alla febbre. "Ah, e se per caso la fame diventasse troppa... io non mi offendo".

Io e Tom la prendemmo molto meno a ridere di quanto probabilmente lo stesso Danny aveva previsto. Non fu una cosa facile, né mi aspetto che possa capirla chiunque non venga a trovarsi in una simile situazione. Uno dei due moribondi superstiti si rifiutò categoricamente di prendere parte alla cosa: era un nobiluomo lui, non si sarebbe mai abbassato a tanto: piuttosto la morte. L'altro, un certo Wurst, non se lo fece dire due volte: a vederlo mangiare pareva quasi un risvegliato... o forse stava talmente male che neanche si rendeva conto di quello che passava il convento. La voracità non fu sufficiente a salvarlo. Quando arrivò il momento di cucinare anche lui, anche il nobilotto si arrese all'idea e cominciò a sedersi a tavola.

Passarono altri giorni. Le piogge di dicembre portarono altra acqua ma resero anche molto più difficile accendere il fuoco. li freddo era atroce, specialmente di notte. Forse fu per quello che Tom cominciò lentamente a impazzire. A un certo punto cominciò a manifestare la volontà di uscire, giustificandola in vari modi: voleva vedere Mark, assicurarsi che fosse realmente morto; voleva prendere altro cibo, migliore di quello che avevamo; poi cominciò a dire che l'acqua faceva uno strano odore, e che se avessimo continuato a berla ci saremmo infettati anche noi. Feci del mio meglio per dissuaderlo, ma non ci fu nulla da fare. Lo aiutai a uscire, poi richiusi. Lo circondarono a pochi metri dalla nave: chiese a gran voce di tornare dentro, ma ormai era troppo tardi. Mentre lo sentivo morire, mi toccò pure sorbirmi la predica del nobilotto.

"Ma che fai? Lo lasci morire? Non era tuo amico? Che razza di persona sei?"

Mi è sempre rimasto il dubbio se a dare fiato a quelle parole fosse la sua innata stronzaggine o l'amara consapevolezza che di lì a poco saremmo rimasti soltanto io, lui e la fame.

Passarono molti altri giorni. A un certo punto i rumori sparirono, lasciandomi solo con il freddo, le piogge e la fame. Quando Quorton Kraven trovò il relitto della ''Vittoria'' l'isola era deserta: io ero l'unico superstite, barricato dentro una nave circondata dai resti carbonizzati, spolpati o disossati di quelli che un tempo erano stati miei amici, commilitoni e compagni di viaggio.

"Non devi pensarci, ragazzo", mi disse Quorton mentre i suoi uomini mi trasportavano di peso sulla ''Disperata. "Quel che importa è che sei sopravvissuto. Hai fatto quel che hai fatto e non sta certo a me biasimarti".

Quorton Kraven - Immagine

La notizia fece comunque il giro di Lagos. Venne fuori che il nobilotto era un personaggio piuttosto importante. Alla storia dei risvegliati non credette nessuno, anche perché non ne fu trovata traccia: prevalse la spiegazione più ovvia, avvalorata dagli inequivocabili resti che la stessa ''Disperata'' riportò a Lagos. Un rapido processo e poi la prigione.

Con tutto quel tempo a disposizione seguire l'ordine del capitano Kraven fu pressoché impossibile. I ricordi di quell'esperienza mi hanno tenuto compagnia a lungo e ancora oggi mi aiutano a capire a cosa servono l'arco e la spada che impugno.

C'è chi, come Annie Volvert, ce l'ha con i risvegliati perché hanno divorato la sua famiglia; c'è chi, come Padre Engelhaft, li considera delle abiezioni immonde da estirpare; c'è chi, come Kailah e Kelly, si sforza di combatterli per liberare una terra che sente di dover difendere; o chi, come Inga, non nasconde l'intenzione di portare altrove il suo bel culo prima che sia troppo tardi.

Per me è più che altro una questione personale, un favore che devo ad alcuni vecchi amici come il sergente Lester, Tom e Mark... i quali tra l'altro - per quanto ne so - sono ancora in giro. Se così fosse, spero che prima o poi capiti l'occasione di poterli salutare.

scritto da Vodan Thorn , 04:41 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
30 novembre 516
Martedì 13 Maggio 2014

An Roinn Athas



Chi pensa che la galera aumenti la nostalgia di certe cose non è mai stato alle Vecchie Prigioni: quando ti prendono a calci nelle palle per un anno intero ti passano un sacco di fantasie. Groombor mi precede di qualche passo col sorriso di chi non ha di questi problemi. Si è trovato a gioire spesso in queste case, durante la guerra: mi parla di Mira, di Greta, di una certa Luna che è morta di febbre l’inverno passato. E’ una buona forchetta, Groombor, uno che non lesina i complimenti al cuoco. Le parole migliori, neanche a dirlo, le spende all’indirizzo di Kalina. La descrizione, che non risparmia alcun dettaglio, mi fa venire in mente Dina: un’altra panterona della stirpe dei Daanai, di quelle capaci di suscitare una feroce repulsione o fantasie malate. O entrambe.

“Se vuoi lei”, mi dice, “ti dovrai sbilanciare un pò. E’ finito il tempo in cui lo faceva per divertimento, adesso chiede regali o favori costosi”.

Alzo le spalle. “Non dirmi che vuoi proprio lei”. Certo che si. E se mi chiede un regalo costoso la riempio di botte: Dina non l’ho toccata perché aveva già ricevuto la sua dose di legnate, Kalina non sarà altrettanto fortunata.

Il Porto di Uryen ci accoglie nel suo abbraccio di cadaveri impiccati e impalati. Il Tenente Kain ci guida indenni attraverso la feccia locale, poi ci congeda: “le case sono lì... vabbé, lo sapete. Andate pure, a pagare ci penso io”. Groombor non se lo fa dire due volte, precipitando se stesso verso un gruppo di baracche fatiscenti disposte ai lati di una strada buia. Una scritta sul muro attira la mia attenzione. An Roinn Athas: le Case della Gioia. Più in basso ce ne sono altre nella lingua di Greyhaven: Continuano, le anime morte. Sorge rinnovata alba. Mira la lontananza. Altre ancora, non più leggibili, si intravedono appena.

“Benvenuti!” esclama una bionda sporgendosi da un balcone. “Cercate qualcuno?”

Groombor non se lo fa ripetere, nel giro di pochi secondi sparisce seguendo le indicazioni per una certa Mira di Ostfold.

Mira la lontananza.

“E tu? Hai qualche preferenza?” Ce l’ha con me. Non sarebbe neanche male, se non fosse per quella cicatrice.

Solo una, esclamo. Kalina. Scuote la testa. “Kalina non fa per te. Se non hai un’altro nome, posso consigliarti qualcosa io”.

Non voglio consigli, voglio Kalina. La bionda scoppia a ridere: “Chi troppo vuole...”, poi sparisce.

La strada sprofonda nel silenzio. Raggiungo la prima porta, la apro: una rampa di scale, un corridoio, altre porte. Aria di mare, conchiglie alle pareti. Salgo ancora: la bionda parlava da qui. Scorgo i suoi capelli mentre mi passa davanti, scomparendo dietro a una tenda. Dall’altro lato giungono voci, respiri, qualche risata. Provo a seguirla, ma non sono altrettanto delicato: la tenda si scioglie cadendomi addosso. Avverto odori esotici, olii profumati, incenso: questa tenda ne ha viste di cose. Me la scrollo di dosso mentre la bionda ride di gusto e quando finisco scopro che non è da sola: la panterona mi osserva con aria divertita. Ha un viso familiare.

“Sembri impaziente”, mi dice. “Vieni da molto lontano?”

Non più di te. D’un tratto la riconosco. La figlia di Sophie Lanzegh, la donna ripudiata dal marito e maledetta da Ilmatar. Nostra madre ci mandava a portar loro da mangiare dopo il tramonto, di nascosto. La ricordo triste, spaventata e denutrita. Non potrebbe essere più diversa da allora. Dopo la morte della madre si trasferì da un parente per qualche tempo, fino alla notte in cui scappò. Balder si era affezionato a lei: una volta disse che prima o poi l'avrebbe sposata. Ora lui è morto e lei è una puttana. Quanti anni sono passati? Sette, forse otto. Sembra una vita fa.

Sorge rinnovata alba.

“Non devi rispondere per forza”, aggiunge.

Non penso mi abbia riconosciuto. Meglio così. Guardarla mi mette a disagio. Fa un passo avanti. Dire che mi è passata la voglia non renderebbe l’idea. Abbandono il drappo su una sedia, mi giro ed esco. La bionda mi segue, fa per trattenermi ma manca la presa. “Te l’avevo detto”, esclama mentre mi allontano: “non fa per te”.

Torno fuori, sulla strada. Di Groombor nessuna traccia. A ovest il sole comincia a tramontare, mentre un alito di vento scuote i corpi appesi alla quercia degli impiccati.

Continuano, le anime morte.

Che giornata di merda.

Kalya Niadh - Immagine 3
scritto da Vodan Thorn , 03:35 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
18 novembre 516
Sabato 29 Marzo 2014

Insopportabili somiglianze

Al vecchio non possiamo davvero rimproverare nulla. Il piano era semplice e si è svolto alla perfezione, praticamente da solo. I Nordri non ci hanno neppure visto arrivare, li abbiamo trovati vestiti di stracci e con in pugno la metà delle armi che avrebbero potuto avere.

Quella di Stefen è stata sfortuna: nel buio della sera un colpo di spada capita di non vederlo arrivare, e poco importa se chi lo sferra è un cadavere ambulante che colpisce a occhi chiusi. Certo, non si può dire che non se la sia tirata: “non abbiamo speranze, sono più di quelli che pensa il Tenente...” Per fortuna non siamo stati così idioti da dare ascolto al suo folle piano, altrimenti adesso dovremmo farcela a nuoto.

Questi i pensieri che mi accompagnano mentre supero l’ultimo albero che mi separa dalla figura che corre a perdifiato a pochi metri da me. Va verso il mare, la scema: come se glielo lasciassi fare. Una freccia scagliata da Kailah mi supera e la raggiunge mentre si tuffa. Coscia o polpaccio, direi: non servirà neppure bagnarsi troppo. Raggiungo la riva e l’estremità della barca: lei fa il giro dall’altra parte, ansimando. Mi muovo nella direzione opposta fino a raggiungere il punto dove si è rannicchiata. Fine della corsa.

“Te la ricordi Delia?” le dico. Mi torna alla mente il volto pestato a sangue di quella ragazza. “Lasciate stare le prostitute, piuttosto concupite le soldatesse”. Non penso proprio. E’ proprio a questa puttana che voglio rivolgere un pò di sana violenza. Per i soldati sbudellati, per Astea Trent e perché no, anche per me stesso. Insegnerò a questa gente di merda a restarsene a casa propria.

Non risponde, i suoi occhi celesti tradiscono la sua paura. Poi si soffermano sulla collana, sembrano riconoscerla. Brava, guardala bene: apparteneva a un tuo amico che ho fatto a pezzi con le mie mani, proprio come mi accingo a fare con te. Le indico la barca: “Entra o ti ci carico a forza”. Sollevo la mano per assestarle il primo di innumerevoli colpi. Il Caporale Klaus sarebbe fiero di me. Mi guarda, poi sposta gli occhi sulla collana, quindi mi guarda di nuovo. Le parole del vecchio Gaben mi risuonano in testa: “somigli molto a uno dei figli del Re Nordro: potresti essere suo fratello”. Se n’è accorta anche lei? Mi guarda con gli occhi sbarrati dal terrore. Inizia a mormorare qualcosa, ma si rende subito conto che ormai è troppo tardi. Il suo corpo, le cui linee risaltano di una innaturale aura luminosa, si prepara a ricevere l’impatto della mia mano. Sollevo il braccio sopra la testa, pronto a colpire.

Cos’è questa sensazione? Perché sono fermo?

Non ci metto molto a capire, mi è sufficiente guardarla un’altra volta. A quanto pare non sono il solo a somigliare a una persona cara, né lei è l'unica a vedere fratelli dove non dovrebbe. Non è di Sigrid il volto che aspetta l'arrivo del mio pugno, ma di mia sorella Saga: stessa paura, stesso terrore, stessa rassegnazione di fronte alla violenza imposta e subita. Ripenso al racconto della sua prigionia. Che ti devo dire, Vodan. Niente, mi devi dire.

D’un tratto mi accordo che ha preso in mano un coltello. Fanculo, questa zoccola non c’entra nulla con Saga. La mia mano sibila veloce verso il basso. Quasi mi auguro che il coltello arrivi prima, così da avere lo stimolo a colpire ancora più forte. Speranza vana. Il mio gesto la coglie di sorpresa, la sua testa scarta di lato per sottrarsi al colpo e colpisce con violenza il legno della barca. Mentre chiude gli occhi, abbandonandosi ai flutti del mare, sembra quasi sorridere: rivedo ancora una volta Saga. Questa cosa comincia a farmi incazzare sul serio.

La prendo di peso e la rovescio sulla barca. A quanto pare i miei compagni sono quasi pronti a levare l’ancora. Groombor ed Engelhaft trascinano Stefen, mentre Kain sta recuperando i remi. Kailah mi guarda con aria interrogativa: non riesco a capire se ha paura che la uccida oppure che non abbia intenzione di ucciderla. O magari sta ancora pensando alle cose che le ha detto Padre Engelhaft sui compagni bramosi di prostitute e sulla necessità di non cedere alle lusinghe di Kalina la Divina. Certi discorsi ti fanno venire la curiosità, poco ma sicuro.

Spendo un paio di minuti a legare le mani di Sigrid. “Imbavagliala”, mi dice Kailah. Scuoto la testa: a breve dovrò ucciderla in ogni caso, e a un morto non si negano le ultime parole. Morirà in mare, proprio come piace ai Nordri. Lo farò con il suo coltello, non prima di averle mostrato ancora una volta la collana della sua stirpe. E se proverà a pronunciare un incantesimo sarà l’occasione buona per romperle qualche dente.

Al diavolo le sensazioni, al diavolo la sfortuna: il caporale Klaus sarebbe fiero di me.

Sigrid & Saga - Immagine
scritto da Vodan , 05:29 | permalink | markup wiki | commenti (0)
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