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16 novembre 516
Lunedì 24 Marzo 2014
I paurosi muoiono mille volte
Mi suonano ancora nelle orecchie le parole di Stefen: "denunciatemi pure, tanto non abbiamo speranza".
Ci conosciamo appena, eppure ha trovato il coraggio di fare affermazioni così gravi, esponendosi al rischio molto concreto che qualcuno di noi lo denunci al Tenente Werber.
Ha proposto di uccidere il Tenente, di attaccare l'isolotto del Sibilo senza di lui e di riferire, una volta tornati a Uryen, che Kain Werber sarebbe morto per mano nordra. E' la cosa più assurda che io abbia sentito da mesi a questa parte, da quando sono entrata nell'Esercito.
E' vero che ci aspetta una missione rischiosa, "spericolata" a dir poco, ed è vero pure che io stessa ho percepito nel Tenente un atteggiamento un po' semplicistico, come se volesse minimizzare i rischi e spingerci a spada tratta contro il nemico, senza definire un piano d'uscita sufficientemente solido.
Ma è vero pure che il Tenente sarà lì a rischiare la vita insieme a noi.
Se il Capitano Barun ci ha assegnati al suo comando, vuol dire che il Tenente Werber gode della sua stima e Barun ritiene che sia in grado di gestire questa missione e di tornare vittorioso.
I Nordri che andiamo a affrontare sono i responsabili della caduta della Torre Due, assassini crudeli e predoni insaziabili. Finchè non riusciremo a ricacciare in mare gli invasori, per queste terre non ci sarà pace. Dobbiamo correre qualche rischio? Lo correremo: siamo soldati, siamo qui per questo.
Io sono convinta che quando il Tenente ci conoscerà abbastanza e inizierà a fidarsi di noi, sarà anche più aperto ad accettare le nostre proposte per rendere meno rischioso il piano... ammesso che lui stesso non abbia già pensato a qualcosa che non ci ha ancora detto. In fondo ha insistito più volte a dirci di non preoccuparci, di stare tranquilli, che ci pensa lui.
Forse, se minimizza così i rischi e glissa sulle modalità di fuga, è perchè tra noi tutti l'unico che conosce un po' meglio è proprio Stefen, che già prima di partire era animato dal pessimismo, partendo prevenuto sugli esiti della missione. Probabilmente ci considera quindi tutti dei vigliacchi: sta a noi convincerlo del contrario.
Da ragazzina, mi colpì molto uno spettacolo che mio zio Karol ci portò a vedere ad Ammerung: la tragica storia del Granduca Goran Zeumann e del tradimento di suo fratello, l'infido Silen. Era l'epoca del Conte Elfo e quell'opera teatrale, che parlava tra le altre cose della nascita dei Protettorati elfici, era rappresentata spesso e con successo, soprattutto nel Corno del Tramonto. Ricordo che era una compagnia di Lagos a metterla in scena, si chiamavano "gli Angeli del Tuono", ed erano molto bravi.
La storia era divisa in due parti.
All'inizio si raccontavano le gesta politiche e militari del Granduca Goran, uomo saldo e coraggioso, che grazie alle sue doti era riuscito a conquistare la fiducia degli Elfi di Lankbow e ottenere il loro aiuto nella lotta contro i Nordri e i Nomadi, popoli delle steppe. Già come sottotraccia si intuiva che la sua consorte, dama di incredibile bellezza (e nell'opera teatrale interpretata da un'attrice incantevole), era al contrario una persona doppia e infida, e che tramava in segreto assieme al giovane amante, il fratello del Granduca, Silen Zeumann.
E' una storia accaduta realmente, anche se penso in parte romanzata. Nella seconda parte della storia il Granduca muore, assassinato forse durante un viaggio, e Silen, con la complicità della meravigliosa vedova, fa uccidere l'unico figlio del Granduca, per prendere il potere.
I due, sul finale, vengono smascherati e condannati a morte, e la dinastia degli Zeumann si estingue con loro.
Era uno spettacolo emozionante e gli attori erano talmente bravi che, persino quando a morire furono finalmente i due malvagi traditori, a molti scappò una lacrima. A me piacque soprattutto il personaggio del Granduca Goran, un uomo orgoglioso e intelligente, di profonda saggezza e grande coraggio.
Quando stava per mettersi in viaggio, il viaggio in cui poi incontrerà la morte, un suo consigliere gli suggerì di aspettare, perchè i pericoli lungo il cammino sarebbero stati molti e sarebbe stato opportuno attendere una scorta più nutrita. Ma il Granduca aveva fretta, sapeva di non poter lasciare per troppo tempo la Capitale incustodita, e decise di partire.
"I paurosi muoiono mille volte prima della loro morte, ma l'uomo di coraggio non assapora la morte che una volta", così rispose il Granduca Goran al consigliere, "la morte è conclusione necessaria: verrà quando vorrà."
Tra la rappresentazione scenica e la vita reale ci sono molte differenze, quel che suona perfetto in un'opera di finzione non è necessariamente giusto nella realtà. Ma io credo che ci sia un'autentica saggezza in questa affermazione. Mi basta guardare gli occhi stralunati di Stefen per capire che la paura, la mancanza di fiducia nei comandanti, il disfattismo... sono minacce più serie persino rispetto alle armi dei nemici.
Nessuno di noi vuole morire, nessuno di noi vuole sottovalutare i pericoli che ci aspettano. Ma Stefen, col suo atteggiamento cospiratorio e maldicente, mina dall'interno la nostra forza, ci indebolisce. Non è questo ciò di cui c'è bisogno in un esercito.
Stefen è partito perdente già dalla Rocca di Tramontana, suggestionato dalle leggende e dai pettegolezzi sul conto del Tenente Werber. Già prima di allontanarci di un metro da Uryen aveva "deciso" che sarebbe finita male. E questo suo convincimento è la cosa peggiore che ci potesse capitare: perchè adesso abbiamo due cose di cui preoccuparci: i Nordri... e lui.
Come reagirà, quando le cose diventeranno pericolose sul serio? Quanto ci possiamo fidare di lui?
Ci conosciamo appena, eppure ha trovato il coraggio di fare affermazioni così gravi, esponendosi al rischio molto concreto che qualcuno di noi lo denunci al Tenente Werber.
Ha proposto di uccidere il Tenente, di attaccare l'isolotto del Sibilo senza di lui e di riferire, una volta tornati a Uryen, che Kain Werber sarebbe morto per mano nordra. E' la cosa più assurda che io abbia sentito da mesi a questa parte, da quando sono entrata nell'Esercito.
E' vero che ci aspetta una missione rischiosa, "spericolata" a dir poco, ed è vero pure che io stessa ho percepito nel Tenente un atteggiamento un po' semplicistico, come se volesse minimizzare i rischi e spingerci a spada tratta contro il nemico, senza definire un piano d'uscita sufficientemente solido.
Ma è vero pure che il Tenente sarà lì a rischiare la vita insieme a noi.
Se il Capitano Barun ci ha assegnati al suo comando, vuol dire che il Tenente Werber gode della sua stima e Barun ritiene che sia in grado di gestire questa missione e di tornare vittorioso.
I Nordri che andiamo a affrontare sono i responsabili della caduta della Torre Due, assassini crudeli e predoni insaziabili. Finchè non riusciremo a ricacciare in mare gli invasori, per queste terre non ci sarà pace. Dobbiamo correre qualche rischio? Lo correremo: siamo soldati, siamo qui per questo.
Io sono convinta che quando il Tenente ci conoscerà abbastanza e inizierà a fidarsi di noi, sarà anche più aperto ad accettare le nostre proposte per rendere meno rischioso il piano... ammesso che lui stesso non abbia già pensato a qualcosa che non ci ha ancora detto. In fondo ha insistito più volte a dirci di non preoccuparci, di stare tranquilli, che ci pensa lui.
Forse, se minimizza così i rischi e glissa sulle modalità di fuga, è perchè tra noi tutti l'unico che conosce un po' meglio è proprio Stefen, che già prima di partire era animato dal pessimismo, partendo prevenuto sugli esiti della missione. Probabilmente ci considera quindi tutti dei vigliacchi: sta a noi convincerlo del contrario.
Da ragazzina, mi colpì molto uno spettacolo che mio zio Karol ci portò a vedere ad Ammerung: la tragica storia del Granduca Goran Zeumann e del tradimento di suo fratello, l'infido Silen. Era l'epoca del Conte Elfo e quell'opera teatrale, che parlava tra le altre cose della nascita dei Protettorati elfici, era rappresentata spesso e con successo, soprattutto nel Corno del Tramonto. Ricordo che era una compagnia di Lagos a metterla in scena, si chiamavano "gli Angeli del Tuono", ed erano molto bravi.
La storia era divisa in due parti.
All'inizio si raccontavano le gesta politiche e militari del Granduca Goran, uomo saldo e coraggioso, che grazie alle sue doti era riuscito a conquistare la fiducia degli Elfi di Lankbow e ottenere il loro aiuto nella lotta contro i Nordri e i Nomadi, popoli delle steppe. Già come sottotraccia si intuiva che la sua consorte, dama di incredibile bellezza (e nell'opera teatrale interpretata da un'attrice incantevole), era al contrario una persona doppia e infida, e che tramava in segreto assieme al giovane amante, il fratello del Granduca, Silen Zeumann.
E' una storia accaduta realmente, anche se penso in parte romanzata. Nella seconda parte della storia il Granduca muore, assassinato forse durante un viaggio, e Silen, con la complicità della meravigliosa vedova, fa uccidere l'unico figlio del Granduca, per prendere il potere.
I due, sul finale, vengono smascherati e condannati a morte, e la dinastia degli Zeumann si estingue con loro.
Era uno spettacolo emozionante e gli attori erano talmente bravi che, persino quando a morire furono finalmente i due malvagi traditori, a molti scappò una lacrima. A me piacque soprattutto il personaggio del Granduca Goran, un uomo orgoglioso e intelligente, di profonda saggezza e grande coraggio.
Quando stava per mettersi in viaggio, il viaggio in cui poi incontrerà la morte, un suo consigliere gli suggerì di aspettare, perchè i pericoli lungo il cammino sarebbero stati molti e sarebbe stato opportuno attendere una scorta più nutrita. Ma il Granduca aveva fretta, sapeva di non poter lasciare per troppo tempo la Capitale incustodita, e decise di partire.
"I paurosi muoiono mille volte prima della loro morte, ma l'uomo di coraggio non assapora la morte che una volta", così rispose il Granduca Goran al consigliere, "la morte è conclusione necessaria: verrà quando vorrà."
Tra la rappresentazione scenica e la vita reale ci sono molte differenze, quel che suona perfetto in un'opera di finzione non è necessariamente giusto nella realtà. Ma io credo che ci sia un'autentica saggezza in questa affermazione. Mi basta guardare gli occhi stralunati di Stefen per capire che la paura, la mancanza di fiducia nei comandanti, il disfattismo... sono minacce più serie persino rispetto alle armi dei nemici.
Nessuno di noi vuole morire, nessuno di noi vuole sottovalutare i pericoli che ci aspettano. Ma Stefen, col suo atteggiamento cospiratorio e maldicente, mina dall'interno la nostra forza, ci indebolisce. Non è questo ciò di cui c'è bisogno in un esercito.
Stefen è partito perdente già dalla Rocca di Tramontana, suggestionato dalle leggende e dai pettegolezzi sul conto del Tenente Werber. Già prima di allontanarci di un metro da Uryen aveva "deciso" che sarebbe finita male. E questo suo convincimento è la cosa peggiore che ci potesse capitare: perchè adesso abbiamo due cose di cui preoccuparci: i Nordri... e lui.
Come reagirà, quando le cose diventeranno pericolose sul serio? Quanto ci possiamo fidare di lui?
7 ottobre 516
Lunedì 3 Febbraio 2014
Futuro corrotto e prigioniero
Mi chiedo quante volte Mirai abbia provato ad uccidere il demone immortale che la perseguitava, prima di arrendersi a lui. L'ha presa per sfinimento? Ha fatto leva sul suo dolore, sulla solitudine che si è abbattuta su di lei dopo la morte del marito?
Oppure forse Mirai era già pronta, forse non aspettava semplicemente altro.
Questo è un po' il mio dubbio, ed è un dubbio morale, più che pratico. Nella pratica invece cambia poco: l'esperienza di Cynthia ci insegna che non esiste speranza, non esiste futuro per Mirai.
E' Mirai a non esistere più, in un certo senso. La ragazza antipatica e viziata, permalosa e imprevedibile non esiste più. Al suo posto c'è qualcosa di ulteriore e non più troppo umano.
Dust ha cambiato voce, quando l'ha percepita. Non l'avevo mai sentito così allarmato, "forse è meglio se torniamo indietro". Come in una galleria piena di ragni, come su un torrente tra i sassi insidiosi. Dietrofront, niente panico. Passo svelto e testa bassa.
Mirai. Siamo riusciti ad arrivare fin qui, ce n'è voluta, ma adesso è il momento di andarcene. In fretta, senza correre. Che tanto "se ci vuole pigliare ci piglia".
Rapidi, rapidi...
Alma Mater, aspettaci.
Non riesco a ricordare posto al mondo più accogliente.
Ho anche due tre cose da chiedere ad Annie, ed una da dirle a mia volta che forse la interesserà.

6 ottobre 516
Venerdì 24 Gennaio 2014
L'incomprensibile grevità del prete
Mah. Non è che ci sia molto da dire, salvo manifestare una certa perplessità.
Uno si aspetta da un prete di Kayah un po' di compostezza, di elementare decoro.
Siamo tutti tesi, preoccupati, e la permanenza nelle celle di Skogen senza cibo nè acqua certo non ha giovato al nostro autocontrollo. Sono la prima a capirlo, nessuno di noi è al meglio, questo un po' giustifica certe bizzarrie.
Ma nel momento in cui riusciamo con fatica a trovare un accordo con Zodd, sinceramente non mi spiego che bisogno avesse Padre Engelhaft di mettersi a fare pesanti commenti sui "bastoni" ed esprimere dubbi sulla virilità del nostro interlocutore.
Non è la prima volta che noto una certa malizia nel nostro amico prete, ma mai si era spinto a fare simili discorsi in modo tanto aperto e temerario.
Zodd ha raccolto la provocazione, dichiarando che, senza niente di personale, mi avrebbe dimostrato di essere un uomo ancora nel pieno del vigore, in modo che potessi testimoniarne presso Engelhaft.
Molte grazie, proprio.
Fortunatamente era un bluff, e al dunque non mi ha toccata. Ma di questo devo ringraziare solo il fatto che Zodd è meno ignobile di quanto appaia, certo non il tatto o la lungimiranza del buon Engelhaft.
Quando sono tornata mi aspettavo almeno mille scuse da parte sua, immaginavo che avrebbe chiesto se stavo bene, se Zodd mi avesse torto un capello... niente. Pensavo di doverlo tranquillizzare del fatto che non era accaduto niente di spiacevole, e invece lui non mi ha rivolto neanche la parola, se non per mostrarsi piccato, quasi offeso.
Incomprensibile, davvero.
Non è il caso di portare rancore, visto che alla fine tutto si è risolto senza danno, ma certo un po' la curiosità ti viene di capire cosa passi nella testa di un prete di Kayah quando si mette a fare simili discorsi, quando si ingarella con gente tipo Zodd, quando si lascia andare a battute triviali e offensive.
Normalmente sono abituata a dare per scontato che Padre Engelhaft, in quanto sacerdote dell'Ordine di Kayah, sia al di sopra di certe pulsioni umane. Questo lo renderebbe il compagno di viaggio ideale, distaccato e non invadente.
Evidentemente così non è, e ciò a cui ha rinunciato nella pratica gli popola comunque la mente e la fantasia.
Devo tenerlo presente, quando ci sarà da scegliere turni di guardia, divisioni nelle stanze delle locande e in generale quando bisognerà amministrare la faticosa intimità del viaggio insieme.
Zodd non mi ha toccata, ma questa esperienza nelle prigioni di Skogen, la concreta possibilità di finire nel Castello di Seta o tra le sue spiacevoli braccia, mi ha comunque lasciato un po' di amaro in bocca. Sono rischi di cui sono consapevole, e certamente non è che la vita quieta nel castello di mio padre non ne presentasse di analoghi, ma mi è dispiaciuto il fatto che sia stato proprio uno dei miei compagni, e per futili motivi, a mettermi più a repentaglio.
Vabbè, è andata così. Spero che Engelhaft si sia reso conto di avere sbagliato... anche se non lo ammetterà mai.
Uno si aspetta da un prete di Kayah un po' di compostezza, di elementare decoro.
Siamo tutti tesi, preoccupati, e la permanenza nelle celle di Skogen senza cibo nè acqua certo non ha giovato al nostro autocontrollo. Sono la prima a capirlo, nessuno di noi è al meglio, questo un po' giustifica certe bizzarrie.
Ma nel momento in cui riusciamo con fatica a trovare un accordo con Zodd, sinceramente non mi spiego che bisogno avesse Padre Engelhaft di mettersi a fare pesanti commenti sui "bastoni" ed esprimere dubbi sulla virilità del nostro interlocutore.
Non è la prima volta che noto una certa malizia nel nostro amico prete, ma mai si era spinto a fare simili discorsi in modo tanto aperto e temerario.
Zodd ha raccolto la provocazione, dichiarando che, senza niente di personale, mi avrebbe dimostrato di essere un uomo ancora nel pieno del vigore, in modo che potessi testimoniarne presso Engelhaft.
Molte grazie, proprio.
Fortunatamente era un bluff, e al dunque non mi ha toccata. Ma di questo devo ringraziare solo il fatto che Zodd è meno ignobile di quanto appaia, certo non il tatto o la lungimiranza del buon Engelhaft.
Quando sono tornata mi aspettavo almeno mille scuse da parte sua, immaginavo che avrebbe chiesto se stavo bene, se Zodd mi avesse torto un capello... niente. Pensavo di doverlo tranquillizzare del fatto che non era accaduto niente di spiacevole, e invece lui non mi ha rivolto neanche la parola, se non per mostrarsi piccato, quasi offeso.
Incomprensibile, davvero.
Non è il caso di portare rancore, visto che alla fine tutto si è risolto senza danno, ma certo un po' la curiosità ti viene di capire cosa passi nella testa di un prete di Kayah quando si mette a fare simili discorsi, quando si ingarella con gente tipo Zodd, quando si lascia andare a battute triviali e offensive.
Normalmente sono abituata a dare per scontato che Padre Engelhaft, in quanto sacerdote dell'Ordine di Kayah, sia al di sopra di certe pulsioni umane. Questo lo renderebbe il compagno di viaggio ideale, distaccato e non invadente.
Evidentemente così non è, e ciò a cui ha rinunciato nella pratica gli popola comunque la mente e la fantasia.
Devo tenerlo presente, quando ci sarà da scegliere turni di guardia, divisioni nelle stanze delle locande e in generale quando bisognerà amministrare la faticosa intimità del viaggio insieme.
Zodd non mi ha toccata, ma questa esperienza nelle prigioni di Skogen, la concreta possibilità di finire nel Castello di Seta o tra le sue spiacevoli braccia, mi ha comunque lasciato un po' di amaro in bocca. Sono rischi di cui sono consapevole, e certamente non è che la vita quieta nel castello di mio padre non ne presentasse di analoghi, ma mi è dispiaciuto il fatto che sia stato proprio uno dei miei compagni, e per futili motivi, a mettermi più a repentaglio.
Vabbè, è andata così. Spero che Engelhaft si sia reso conto di avere sbagliato... anche se non lo ammetterà mai.
2 ottobre 516
Venerdì 3 Gennaio 2014
Lavorare sulla paura
Dobbiamo lavorare sulla paura.
Dove è iniziata, dove si nasconde. Da quale buco oscuro dell'anima sortisce ad artigliarci la mente, impedendoci di ragionare con chiarezza.
In tutte le fiabe c'è una matrigna cattiva. Sorrisi negati, piccole ingiustizie e cattiverie. Ci sono torti che non possono essere riparati, ferite impercettibili che tornano a riaprirsi saltuariamente.
Ma la paura è precedente. Nasce prima di ogni dolore, è qualcosa di simile ad un presentimento. La paura è una porta socchiusa da cui spira un vento freddo, colpi di tosse, l'odore della malattia.
Avevo sei anni quando è morta mia madre.
Se voglio lavorare sulla paura, se voglio capire la paura e imparare a gestirla, è da lì che devo partire.
Nessuno spiega le cose ad una bambina di sei anni, deve capirle da sola. I silenzi nella casa, le espressioni corrucciate, l'atmosfera sospesa: è tutto misterioso e ha bisogno di interpretazione.
Fu Okton a sbattermi la verità in faccia. "La mamma sta morendo, non capisci?" mi gridò in piedi vicino al caminetto acceso. Ricordo i suoi pugni stretti, la voce che si incrina, il silenzio subito dopo. Ricordo il crepitare delle fiamme, il loro sinistro divampare.
Fa più paura ciò che si conosce oppure l'ignoto?
Non lo so. So solo che dopo le parole di mio fratello scappai via, mi intrufolai nella stanza vietata, accanto al letto di morte di mia madre e la costrinsi a svegliarsi.
La "costrinsi", davvero.
Presi una sua mano e ingenuamente provai a scaldarla con la mia energia interiore. L'illusione straziante di vedere i suoi occhi che si aprivano, l'illusione che il mio ineffabile potere la potesse guarire, ancora mi soffoca il cuore.
Per un momento io ci ho creduto. Forse... forse la magia, quell'assurda presenza dentro di me, avrebbe potuto restituirle la vita.
Ma fu solo un barlume, un istante. Lei faticosamente mise a fuoco lo sguardo su di me, mi rivolse un sorriso straziante e sussurrò parole che non ho il coraggio di riscrivere.
Ricordo mio padre che entra nella stanza, mi sorprende al capezzale della malata e mi trascina via brutalmente. Ricordo le mie grida, la mano pallida di mia madre che sfugge dalla mia e ricade sul letto.
Ricordo di essermi dimenata, di avere lottato, ricordo lo stanzino buio in cui fui rinchiusa. I pugni contro la porta, il pianto e una solitudine tutta nuova.
Era per proteggermi dal pericolo di contagio? Non glie l'ho mai più chiesto, non ne ho avuto il coraggio. Non so neanche quale fosse la sua malattia, che cosa sia stato a portarsela via.
La paura lascia tracce indelebili, ed insegna a difendersi dal dolore diventando più freddi.
Lavorare sulla paura non significa diventarne immuni.
Per quanto la paura possa a volte rappresentare un pericolo essa stessa, è comunque un bene che esista, che rimanga, che ci mantenga umani.
Le persone senza paura sono prigioniere di un eterno presente, gaudente e disperato.
Qui ad Angvaard sono tanti che vivono come se avessero già oltrepassato il confine tra la vita e la morte, e fossero in uno spazio senza tempo, ormai successivo alla vita come la conoscevano. Non gli importa più nulla, se non di cogliere qualche fugace momento di sollievo dal continuo dolore.
Non hanno più nulla da perdere, nessuno da perdere. Famiglia, affetti, una casa, delle prospettive per il futuro. Tutto gli è stato strappato, restano solo una manciata di attimi.
Chi invece ha ancora qualcosa, o qualcuno, ci si aggrappa con disperazione. Ed ha paura, tantissima paura, che tutto finisca presto, che tutto finisca male.
Io mi difendo dalla paura cercando di limitare i miei orizzonti a "domani", "dopodomani". A vivere senza futuro, senza passato.
Provo a immaginarmi come una semplice pedina di un meccanismo più grande. Sacrificabile, ma che può essere utile. Uno dei tanti bastoncini di legno che pianti nel terreno soffice della sponda del fiume per giocare ad incanalarne la corrente. E che presto o tardi la corrente porterà via.
L'aridità non mi è estranea. Io sono arida, lo sono sempre stata.
Difficilmente voglio bene a qualcuno, difficilmente mi affeziono davvero.
Qui il mio difetto è un piccolo dono, una piccola difesa dal dolore di veder morire tutti, uno dopo l'altro, in attesa del mio turno.
La morte di Boar mi ha fatto male, e anche quando ho visto Bohemond spegnersi ho faticato a ricacciare indietro le lacrime. Ma sono eccezioni. Convivo con la morte, parlo continuamente con persone che il giorno seguente potrebbero morire, siedo a tavola con loro, ci chiacchiero e ci scherzo. Ma sto bene attenta a non affezionarmi troppo.
L'abitudine alla paura ci può rendere aridi o gaudenti, euforici o esageratamente distaccati.
Chissà, forse Annie è così di poche parole per questo, perchè ha già perduto troppe persone care, perchè ha esaurito tutte le lacrime e non vuole versarne altre, mai più.
Dust ha un incantesimo che "lavora sulle paure".
Ho paure semplici, immediate. La puzza di cadavere, i gemiti dei Risvegliati, i loro fluidi velenosi e contaminanti. Ho paura del buio, del dolore. Della morte.
Ringrazio gli Dei di non avere nessuno da proteggere.
Non qui, non ora.
Mai, forse. Mai.
18 settembre 516
Martedì 19 Novembre 2013
Il Circo delle Galassie dell'anno 484
Quando il Circo delle Galassie si fermò ad Ammerung molti bambini scomparvero nel nulla, risucchiati dalla Magia del suo tendone blu notte.
Era il 484, io non ero ancora nata, ma la leggenda del Circo incantato mi ha sempre tenuta con il fiato sospeso.
Franziska me ne parlava la sera, vicino alla finestra aperta, nelle limpide notti d'inverno.
"Guarda le stelle, Kailah. Molte di loro sono le anime di bambini come te, portati via dal Circo delle Galassie"
"Piangevano, mentre andavano via?"
"No, erano felici. A piangere erano quelli che restavano indietro, le madri, i fratelli, le persone care. Ma loro volavano via senza rimpianti, senza dolore".
"Anche Adrian brilla lassù tra loro?"
Franziska annuiva e mi prendeva il braccio puntandolo su una stella scintillante. "Eccolo, è quello".
Il bambino scomparso di Franziska, rapito dal Circo delle Galassie del 484, eccolo lì. Mi guardava dalla volta celeste, io lo guardavo e lo salutavo con la mano.

Con gli anni ho scoperto che Franziska parlava di sè, del suo dolore, davanti a quella finestra buia. Guardava le stelle e ricordava la morte del suo ultimo figlio portato via dalla febbre polmonare, la stessa che, in quel lungo inverno, portò via tanti e tanti altri bambini.
Ma il Circo delle Galassie, con il suo tendone blu cosparso di stelle lucenti, era per tutti noi il vero responsabile di quelle scomparse. Tra i carri variopinti, animali esotici e misteriosi maghi e giocolieri, si nascondevano pericoli e tentazioni.
Il profumo delle ciambelle con il miele attirava i bambini come le mosche, la musica dei flauti li incantava.

La poesia e la minaccia, la magia e la morte si nascondono tra i fruscii del tendone.
Una volta mio padre ci portò ad Ammerung ad assistere ad uno spettacolo, i miei fratelli erano felici, elettrizzati, mentre io avevo una paura mortale che qualcuno si accorgesse del mio Potere e mi trattenesse lì per sempre.
"Accorrete a vedere la bambina che accende luci scintillanti con la sola forza del pensiero!"
Ricordo l'odore della segatura, dei carri bagnati dalla pioggia, lo scalpiccio dei cavalli.
Ci sedemmo tra le prime file, non riuscivo a staccare lo sguardo dai grandi fuochi che rischiaravano l'arena ancora deserta.
Ed ecco che lo spettacolo è iniziato.
Il Mangiafuoco, terribile e magnifico, i Pagliacci, le Ballerine Volanti, un infinito carosello di meraviglie e stupore.
I miei fratelli battevano le mani, io mi facevo piccola piccola, tutta occhi, quasi nessun respiro.
Poi, senza farmi vedere, sono scappata fuori.

Ed ecco che il Circo mi è apparso in tutto il suo decadente brulicare di attività nascoste.
Le stoffe che scintillavano nell'arena hanno rivelato le toppe, le macchie, i logorii del tempo. I cavi sottili sorretti da carrucole, invisibili da chi siede nel pubblico, eccoli tesi a cigolare sotto il peso di acrobati senza il dono di saper volare.
La paura della poesia si è trasformata improvvisamente nella paura della finzione. L'inganno elevato a forma artistica.

Anche adesso mi sento come allora.
Dur Dur è un bene o un male per questo villaggio? E quale compromesso bisogna accettare pur di evitare altra rovina? L'inverno sarà lungo e difficile, qui a Mavan.
Il palo scarnificato del grande tendone troneggia sulla Casa del Sergente e sulla locanda del Carro d'Oro.
Non c'è più l'incanto, lo splendore delle luci e dei costumi di scena, resta solo la segatura a terra e l'odore di umido delle vecchie stoffe.
Vecchi rancori, nuovi giochi di potere.
Noi, i giudici, siamo qui per ingannare gli ingannatori, in un gioco delle parti che strappa qualche sorriso e forse un po' di nostalgia. Giudici soldati, armati, pericolosi e pronti a rischiare il tutto per tutto seguendo le indicazioni di un ventriloquo, agli ordini di una voce che esce da un cappotto vuoto, da un mantello posato ad arte su una sedia. L'unica strada da percorrere, l'unica speranza di salvare ciò che rimane: le parole di un ventriloquo ladro e manipolatore.
Il Circo delle Galassie portava via i bambini, nel 484. Qui, nel 516, lo sgangherato circo di Mavan deve proteggere queste quattro case e le poche anime superstiti che le popolano.
Non ci sono più bambini a Mavan, li ha già portati tutti via la guerra.

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