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10 aprile 518
Giovedì 2 Marzo 2023

Giustizia

E così alla fine l'ho fatto.

A me è toccato il compito di dare fiato al tuo progetto, ai tuoi obiettivi, a tutto ciò per cui ti sei spesa in questi lunghi ed estenuanti mesi. Sono riuscita a non vanificare i tuoi sforzi? Vorrei esserne certa. Ma so che era questo che ti aspettavi da me, dal giorno in cui mi hai chiesto di tornare a indossare l'abbraccio dell'angelo. "Mi serve il tuo aiuto". E poi mi hai raccontato il tuo sogno: una prospettiva visionaria che in quel momento, con le truppe di Ghaan intente ad assediarci scagliandoci addosso orde di risvegliati, non aveva alcun senso. In tutta Angvard non c'era anima viva che potesse comprendere quel disegno, neppure tuo fratello... Nessuno che non fosse in grado di scorgere nei tuoi occhi, di avvertire nelle tue parole la fulgida luce di Dytros. Il giorno dopo ero nuovamente al tuo fianco, pronta a seguirti come facevo da bambina: con lo stesso spirito di quando, tenendoci per mano, ci avventuravamo alla ricerca dei misteri sepolti nei meandri sotterranei della Sacra.



Ricordo tutti gli incontri, i consigli di guerra, le discussioni estenuanti avute con i nostri ufficiali, consiglieri e alleati: Alman, Zaaver, Vonner, Acab. Ricordo la tua passione e le loro espressioni scettiche: ai loro occhi sembravi una sprovveduta, un'ingenua, una pazza. Più volte sei stata sul punto di essere esautorata. Eppure non ti sei mai arresa. Hai sempre puntato sugli altri, sulla loro capacità di ascoltare, comprendere e perdonare: amici o nemici che fossero.

Come quel giorno in cui Ymir Braccia d'Orso ti precipitò giù dal burrone: in quell'occasione arrivasti a mettere in gioco la tua stessa vita pur di raggiungerlo, parlare la sua lingua, scuotere i suoi valori. E i tanti che all'epoca si affrettarono a raccontare la tua disfatta vengono oggi smentiti dalla presenza di un suo ambasciatore che attende il tuo risveglio per offrirti un'alleanza.

O come quando, sola in tutta Angvard, prendesti la decisione di rilasciare Mandy Sphere, autrice di un sanguinoso attacco condotto all'interno delle nostre case con l'obiettivo di attentare alla tua stessa vita, in cambio dell'unica persona che poteva indicarci l'accesso alla Sacra. Gran parte degli scettici che all'epoca si scagliarono contro una scelta apparentemente così scriteriata si trovano oggi oltre quella fortezza, all'interno di una città entro le cui mura nessuno era mai riuscito a entrare.

Questa è la giustizia che hai portato tra gli uomini in guerra, accecati da un conflitto che ha separato comunità, parentele, affetti, credenze, amori... e che, in questo giorno sacro, ho provato a raccontare in tua vece. Ma non sono in grado di andare oltre questa rappresentazione: nessuno lo è. Per questo ti chiedo, ti imploro di tornare. E se offrire la mia vita può servire a qualcosa, chiedo solennemente a Dytros, nel giorno a lui consacrato, di prender...

Vesa il Bandito - Immagine

«Chi sei? Come hai fatto a entrare?»

«Non gridare, non chiamare aiuto: se lo fai, qualcuno morirà».

Così dicendo, la figura incappucciata entra nella stanza. Un passo dopo l'altro, lentamente, lasciando dietro di sé una scia di sangue che osservo con orrore. Dev'essere uno degli Innalzati superstiti di Ghaan. Eppure qualcosa nelle sue movenze, nei suoi abiti, riporta alla mia mente il ricordo di un'altra persona. L'Uomo senza Volto, la belva assetata di sangue che spense gli occhi innocenti di Kyr in quell'infausto giorno alla Rocca di Horen: Joad Kempf.

«Chi hai ucciso, assassino?» Esclamo. Penso a Peter, ad Hans e agli altri soldati di guardia a quest'ora: mi si stringe il cuore al pensiero che siano morti. Sento il desiderio di vendetta che mi pervade, mentre cerco con lo sguardo il mio braccio di legno. E lo vedo lì, sulla sedia dove l'ho lasciato pochi istanti fa in preda al dolore, grosso modo equidistante tra me e lui.

«Te l'ho già detto: non sono qui per uccidere nessuno. Anzi, intendo complimentarmi per il discorso che hai fatto».

«Risparmiami il tuo sarcasmo e dimmi cosa vuoi». Mi alzo, ma mi rendo conto che ogni tentativo di raggiungere la protesi prima di lui sarebbe vano: e anche se ci riuscissi, indossarla richiederebbe del tempo. La mano che mi resta raggiunge l'elsa della spada: sia come sia, venderò cara la pelle.

«Ho bisogno che tu ti finga morta per un pò». Si avvicina al mio braccio, lo osserva, lo prende: la vista della sua mano che lo stringe, dei suoi occhi che contemplano la mia incompletezza, è un oltraggio che mi ferisce intimamente. Sguaino la spada.

«Se vuoi vedermi morta, dovrai...»

Non mi lascia neppure terminare la frase. I suoi colpi sono rapidi, precisi, spietati. Eppure, non posso perdere questo scontro: devo fermarlo, o almeno dare l'allarme. La scrivania mi aiuta a tenerlo a bada: sembra sorpreso, forse non si aspettava tanta resistenza da parte di una come me. Aspetto il momento buono, poi rompo la mischia e apro la bocca per urlare...

... Ma il maledetto non aspettava altro. Con una rapidità inumana chiude la distanza che avevo faticosamente costruito tra noi e mi colpisce al ventre con l'elsa della lama, togliendomi il fiato: poi, non contento, afferra la coda dei miei capelli e la strattona verso il basso, spalancandomi la bocca in un disperato bisogno di aria.

E infine soffia, sputandomi in faccia qualcosa che aveva tenuto in bocca fino a quel momento. L'aria intorno a me si riempie di un odore di aceto, agrumi e fiori appassiti.

«Perdona i miei modi, Paladina di Dytros, ma abbiamo poco tempo: è giunto il momento che tu chiuda gli occhi».

Mi sento afferrare dietro la schiena, poi sollevare da terra. Vorrei impedirlo, ma il mio corpo è diventato improvvisamente molto più pesante. Osservo impotente la sostanza vischiosa colarmi sul viso, sulle labbra. Credo che si tratti dello stesso preparato anestetico che abbiamo trovato in uno dei laboratori sotterranei di questo edificio. L'odore è lo stesso, ma non dovrebbe essere così potente. Provo a divincolarmi, ma le mie membra rispondono in ritardo. Dirotto le energie residue in un ultimo, disperato tentativo di gridare, ma il mio aggressore è lesto a tapparmi la bocca con un panno umido imbevuto della stessa sostanza di prima.

«Credimi, così è meglio per tutti: e comunque dicevo davvero, prima: il discorso mi è piaciuto... e non è morto nessuno. Non ancora, almeno». Così dicendo mi toglie la spada e mi lega alla sedia. Poi esce così come era entrato, lasciandomi lì, con la testa china sulla scrivania: cosciente, ma impossibilitata ad aprire gli occhi o a gridare.

Perché lo ha fatto? Che senso ha correre un rischio simile in una città invasa da truppe nemiche se lo scopo è quello di lasciarmi in vita? Pensa, Crystal: rifletti, adesso che è l'unica cosa che puoi fare. Ragiona con la testa di Yara, in questo giorno sacro e cruciale per il futuro del tuo tempio, dei tuoi fratelli e di queste lande martoriate dalla guerra.

Crystal Kanban
scritto da Crystal Kanban , 04:06 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
10 Aprile 518
Domenica 5 Febbraio 2023

Neter



Adesso

La paladina ha finito il suo discorso e si accinge a percorrere la strada che la separa dal Sanatorio. Bohemond la segue come un'ombra e in generale i soldati di Angvard mi sembrano tutti sul chi vive: evidentemente Kailah ha passato le informazioni che le ho fornito a chi di dovere. Bene così. Francamente dubito che qualcuno di loro potrebbe fare granché nel malaugurato caso in cui lei decidesse di entrare in azione, ma se non altro avranno il tempo di suonare il corno, o quantomeno di urlar...

AAAaaagh-

Eccolo: il rantolo di un povero disgraziato colpito a morte in qualche vicolo intorno alla Fortezza. Praticamente impercettibile in questo casino, ma non per me.

Chi hai fatto fuori, stavolta? Mi bastano pochi passi per scoprirlo: una guardia di Angvard. Il suo compagno è ancora vivo. Lo hai lasciato così apposta per farlo urlare, in modo che possa attirare l'attenzione. La porta a cui le tue vittime facevano la guardia conduce alla caserma: non esiste posto più stupido per tentare una sortita. Non è qui che vuoi colpire.

Mi avvicino al soldato superstite, che sta cercando di portarsi alla bocca il corno. Quando mi vede ha un sussulto, come se per un attimo mi avesse scambiata per il suo aggressore. Lo prendo come un complimento.

Mi guardo intorno: nessuna traccia di lei.

«Aiutaci... ti prego...»

Alzo le spalle. «Non sono un medico, ma non hai niente di troppo grave: la buona notizia è che te la caverai». La cattiva è che il suo compagno invece è già stecchito, ma non è il caso che lo sappia adesso. Poi gli sfilo delicatamente il corno dalle mani, scuotendo la testa. «Atteniamoci al programma: la musica parte alle nove e trenta, dopo la cena sociale».

«Ferma... che fai...»

«Ti salvo la vita, genio: ma con discrezione, senza trascinare in questo evidente diversivo decine di soldati che devono invece restare al loro posto.»

Mi avvicino alla porta e suono il batacchio con tutta la forza che ho: poi, per sicurezza, sferro anche due pugni e un calcio. Dovrebbe essere sufficiente. «Ascoltami bene: quando verranno a soccorrerti, dì loro di non suonare il corn...» Troppo tardi: ha già perso i sensi. E pensare che c'è chi si stupisce che quell'inetto di Athos Alman voglia far fare tutto a noi Innalzati.

Torniamo a noi. Dove sei andata? Nel vicolo non ci sono impronte né tracce recenti. Alzo lo sguardo. I palazzi della Contrada della Scure hanno tetti sufficientemente robusti per saltarci sopra, evitando le strade affollate e illuminate a festa. Del resto, siamo state addestrate anche per questo... una vita fa.



Una vita fa

«Coraggio, ragazze: è molto più facile di quello che sembra». La voce di Kzar è tranquilla, rassicurante. Mentre parla tende persino la mano, come a voler comunicare che, nel malaugurato caso in cui le esaminande dovessero cadere, penserà lui ad afferrarle. Manuel e Sir Wilson osservano la scena dal basso, senza dire una parola.

«A sentire te sembra tutto facile», gli dico a bassa voce. Ci troviamo sul tetto del secondo edificio più alto della città: cadere da questa altezza forse non equivale a morte certa per un Innalzato, ma quasi.

«Beh, noi ce l'abbiamo fatta senza problemi: ce la faranno anche loro».

«Chi lo sa». E' in questi momenti che comprendo quanto Kzar sia migliore di me... Non soltanto come Innalzato, ma anche dal punto di vista umano. Per lui quelle due sono potenziali compagne, per me sono più che altro delle possibili rivali. Lui fa il tifo per loro, io no... o comunque, non me ne frega niente. Del resto, l'esame di oggi è anche una sfida tra il gruppo di Manuel e le nuove leve di Sir Wilson. Noi siamo i bambini prodigio, quelli che riescono a spostarsi di tetto in tetto in armatura senza problemi: loro... Beh, tra poco vedremo.

La prima a saltare è Felda. La meno dotata, almeno secondo me, ma anche la più disciplinata. In prove come questa la virtù più importante non è la forza del sangue o dei muscoli, ma la consapevolezza dei propri limiti. Anche perché, come dice Manuel, la prima crescerà, col tempo e l'esercizio: la seconda, no.

Lo slancio di Felda è buono, ma la distanza percorsa in aria è a malapena sufficiente per raggiungere il tetto dove ci troviamo. I piedi atterrano pericolosamente vicini al cornicione, a pochi centimetri dal vuoto: se al posto nostro ci fossero dei nemici, basterebbe un calcio sferrato al momento giusto per vanificare il tentativo e precipitarla giù. Noi abbiamo saltato molto meglio di così. Ma Kzar alza il pugno in segno di esultanza; sir Wilson annuisce, visibilmente soddisfatto; Manuel applaude, addirittura. L'elogio della sufficienza. Rabbrividisco al pensiero del giorno in cui Felda dovrà coprirmi le spalle in battaglia, ma in fondo ha ragione Kzar: devo imparare ad essere più fiduciosa, per cominciare va bene anche così.

E' il momento di Cyanide... O Nox, come preferisce farsi chiamare. Effettivamente con un nome così orrendo mi sarei trovata un'alternativa anch'io. Manuel ci ha raccontato che sua madre è stata stuprata da un pirata di Norsyd durante un saccheggio e che poi è morta subito dopo averla messa al mondo: quello scherzo di nome le è stato dato dagli zii, gli stessi che poi l'hanno venduta a Sir Wilson per quattro spicci. Dicono che il suo sangue sia migliore di quello di Felda, ma che la capacità di controllo lasci ancora un pò a desiderare.



Nox si getta in avanti con uno scatto rapidissimo, disegnando un arco molto più stretto di quello di Felda... troppo stretto. Il piede colpisce a grande velocità il delicato innesto che divide il cornicione e la gronda, frantumando entrambi. Le sue ginocchia ruotano verso il basso, colpendo violentemente la prima fila di tegole poste alla base del tetto. L'impatto restituisce tutta la spinta del salto all'indietro, scaraventando la poveretta verso il basso. Esame fallito, direi così ad occhio.

Istintivamente, non capisco neppure io perché, mi getto verso di lei: non riesco ad afferrarla per un soffio. Quindi, spinta più dall'istinto che dalla ragione, decido di seguirla, precipitandomi nel vuoto. Non so cosa mi prende: che il buon cuore di Kzar mi abbia contagiata a tal punto? Forse la storia della sua infanzia mi ha fatto più pena di quello che pensavo: o magari, più semplicemente, mi va di fare bella figura con Manuel e Sir Wilson, agguantandola con un gesto atletico prima che la sua testa si sfracelli sul selciato a pochi passi da loro.

Il problema è che si tratta di un tentativo stupido, non appena mi trovo in aria capisco che non ce la farò mai. Riesco a raggiungerla, la mia mano la sfiora, ma non ho modo di agguantarla né di arrestare la nostra caduta. A saltare me la cavo bene, ma per compiere questo salvataggio serviva avere un paio di ali. Non posso fare altro che osservare Nox precipitare insieme a me, con l'amara consapevolezza che a breve toccheremo terra entrambe: lei di testa, io di schiena. Lei morirà sul colpo, io potrei cavarmela con qualche osso rotto... Forse.

Poi, un attimo prima che le punte dei suoi capelli bianchi tocchino terra, Nox mi mette un piede in pancia, si dà una vigorosa spinta ed effettua una giravolta in aria che le consente di atterrare in piedi: da lì si produce in un'altra capriola, scaricando a terra gran parte della forza d'impatto, per poi rimettersi in piedi con un unico movimento elegante e aggraziato. Una manovra da manuale.

Immediatamente dopo sono io a toccare terra, schiantandomi di schiena su un carretto di paglia a dir poco provvidenziale. Quando si dice la fortuna...

Per qualche istante vedo tutto nero: capisco di essere ancora viva quando sento gli applausi divertiti di Sir Wilson. Apro gli occhi e vedo una mano: l'afferro, pensando che sia quella di Manuel, e mi rialzo a fatica, poi mi accorgo che è quella di Nox.

Nox - Immagine 3

«Sei viva», mormora con voce fredda. Non è una domanda, ma una constatazione. Sembra quasi delusa. La guardo: non sembra molto amichevole, eppure se è riuscita a fare quel numero da circo è anche merito dei miei addominali. La sua mano stringe con forza la mia, come se volesse frantumarla. I suoi occhi biancastri mi scrutano con aria di sfida, come a dirmi "pensavi che sarei stata io a schiantarmi, e invece..."

Alzo le spalle, sottraendo con uno strattone la mia mano alla sua morsa non appena riesco a rimettermi in piedi: nell'istante in cui lo faccio, sento una fitta lancinante trafiggermi il fianco. Le pallide orbite di Nox mi scrutano il ventre con morbosa curiosità. Seguo il suo sguardo e mi accorgo che ho una grossa scheggia di legno che mi spunta dalle viscere.

«Fa male, vero?» Non rispondo. Altroché, se fa male: chissà chi ha messo in giro la leggenda che gli Innalzati non sentono il dolore. Lo sopportiamo ma lo sentiamo, eccome se lo sentiamo. Piuttosto, perché questa scema continua a guardarmi con malcelata delusione per il fatto che ancora respiro? Ha capito che sono saltata giù per aiutarla, o...

La sua mano raggiunge la punta della scheggia. «Puoi gridare, se vuoi...» mi dice, guardandomi negli occhi con aria fredda e inespressiva. Le sue dita si serranno sul legno, imbrattandosi del mio sangue. Poi, lentamente, comincia a spingere. Ma cosa cazz...

Adesso basta. La spingo via con forza, sopportando ben volentieri un'altro spasmo di dolore pur di mettere un pò di distanza tra me e questa stronza sadica. «Ma tutto a posto?» Esclamo, visibilmente infastidita. Lei mi guarda impassibile, senza tradire alcuna emozione. Che razza di...

«Tutto a posto, Ayza?» Manuel e Sir Wilson ci raggiungono, interrompendo la nostra conversazione. «State bene, ragazze?» Fa eco Kzar dal tetto sopra di noi. Lei mi guarda, portandosi un dito alle labbra in segno di silenzio. Riesco a sentire il mio sangue, su quel dito. Avevo ragione: vuole sfidarmi.

Stà tranquilla: non sarà adesso che ti farò fare la figura di merda che meriti. Nel frattempo, impara a saltare.



Adesso

Sono passati diversi minuti dal diversivo e ancora non è successo niente. Qual è il tuo obiettivo, Nox? Madre Magdalene è protetta da un soldato esperto e la sua fede le consente di mascherare il suo odore, quindi non puoi trovarla facilmente. Lady Yara non è verosimile, troppi soldati e porte di ferro tra te e lei. Quanto a Crystal... lei è un bersaglio facile, il Sanatorio a quest'ora è sicuramente a corto di soldati: mi conviene andare lì.

La Strada dei Ponti, che collega la piazza della Fortezza al Sanatorio, è gremita di tavolate e gente che attende di essere servita. I bambini, non paghi delle pignatte che hanno spaccato per tutto il pomeriggio, giocano e corrono da tutte le parti. Con questo casino di suoni e odori capire chi c'è e cosa succede dentro al Sanatorio è impossibile anche per me: non mi resta che dare un'occhiata di persona. Fortunatamente non hanno ancora riparato il rosone. Mentre atterro dentro alla sala di meditazione ripenso a quando Kzar ed io lo abbiamo rotto, meno di due mesi fa, poche ore prima che lui incontrasse il suo destino. Peccato che non ci sia lui al posto mio, ora... Saprebbe cosa fare. Soprattutto, saprebbe come comportarsi con Annie, cosa che io...

All'improvviso mi assale un terribile sospetto: Annie, la Pristina della Mantide. E se fosse lei, l'obiettivo di Nox? Annuso l'aria, cercando di concentrarmi, mentre corro verso le scale che portano ai piani inferiori. Sento l'odore di Crystal e quello di Bohemond: stanno parlando. Intorno a loro, nelle altre stanze, avverto la presenza di altre persone, probabilmente malati e soldati. Non sembra esserci alcun problema, almeno per ora, a parte il tanfo pestilenziale della Carminia. Che faccio? Resto qui o faccio un salto a vedere come sta Annie? Lei e Colin sono venuti a sentire l'ultima parte del discorso di Crystal, Nox potrebbe averli visti e seguiti fino alla casa dell'erborista. Con loro ci sono soltanto una vecchia e un soldato anziano, se li attacca non ce la faranno mai.

Risalgo in fretta le scale fino alla sala di Meditazione, quindi mi arrampico sullo scheletro del rosone fino a raggiungere il tetto. La casa dell'erborista è a sud-ovest da qui, ma gli echi delle tavolate mi impediscono di...

... E poi la vedo, in piedi sul tetto della casa a nord del Sanatorio: lo stesso da cui spiccò quel salto, una vita fa.

Non dice una parola, ma non è necessario: mi è sufficiente osservare il bianco dei suoi occhi, freddo e inespressivo, per capire come stanno le cose. Il suo obiettivo non è Madre Magdalene, Lady Yara, Crystal, e neppure Annie. Il suo obiettivo, stanotte, sono io.



Una vita fa

«Siete ancora in tempo per ripensarci».

La voce di Kzar tradisce una certa preoccupazione. Il suo è un tentativo velleitario, ma come sempre ha ragione: se sarò sconfitta, lui perderà una valida compagna d'armi... e forse, perché no, una buona amica; ma anche se vincessi, Manuel non sarà affatto contento... e Sir Wilson andrà su tutte le furie.

Comunque andrà, saremo tutti puniti duramente: una tra me e Nox con la morte, l'altra per aver commesso il fatto, e tutti gli altri per non avercelo impedito. Eppure, non è certo il primo regolamento di conti tra Innalzati a cui assistiamo da quando siamo qui: l'unica differenza è che stavolta il livello è davvero molto simile, quindi il rischio di farsi male, davvero male, è concreto... Specie considerando che lei non vede l'ora di togliermi di mezzo.

Nox - Immagine 2



I nostri compagni si dispongono ai lati dello spiazzo dove ci troviamo, in attesa che lo scontro abbia inizio.

«Sei pronta, Ayza?» mi chiede Vesa: a lui spetterà il compito di interrompere lo scontro se Nox non sarà in grado di dichiararsi sconfitta. Il mio padrino, ovviamente, sarà Kzar.

«Si», esclamo: «sono pronta». Kzar rivolge la stessa domanda a Nox, che si limita ad annuire e a sollevare la sua imponente lama nera verso il cielo.

Un istante dopo mi è addosso. E' drammaticamente più veloce dell'ultima volta che l'ho vista combattere, ma il problema vero è il peso della sua arma rispetto alle mie. I suoi colpi mi schiacciano a terra, togliendomi il tempo di reagire come vorrei.

Il principale punto debole di un'arma a due mani è il cambio di ritmo, in quanto chi la brandisce ha bisogno di mantenere una certa regolarità tra offesa e difesa; ma la tecnica con cui Nox manovra la sua lama si basa su un presupposto diverso, che soltanto un essere con la forza di un Innalzato può mettere in pratica. Le sue mani ruotano in continuazione intorno all'elsa, facendo mulinare la lama come un vortice che non si ferma mai: l'unico modo per colpirla è penetrare all'interno di quel vortice, rischiando di essere fatta a pezzi...

... Oppure colpirla a distanza, che è proprio ciò che intendo fare non appena sarò riuscita a mettere un pò di spanne tra me e lei. Metto dentro una serie di finte quindi salto all'indietro, evitando i suoi affondi e uscendo dalla portata della sua lama. Continuo a saltare una, due, tre volte, quindi mi piego sulle ginocchia e scaglio con forza le mie due spade verso di lei: quella di destra al ventre, quella di sinistra al torace, così da chiuderle ogni velleità di schivata. Se vuole sopravvivere dovrà bloccarle entrambe con un colpo estremamente preciso della sua lama, altrimenti sarà lei ad essere tagliata in due.

Le mie lame impattano all'unisono il vortice nero che la circonda: una delle due le lambisce appena il fianco, l'altra rimbalza a terra a poca distanza da lei, tra le grida entusiastiche degli Innalzati che osservano lo scontro. Non credo ai miei occhi: è riuscita a deviarle entrambe. Come diavolo ha fatto a diventare così forte? Adesso sono io ad essere nei guai.

Mi sento addosso lo sguardo di Kzar. So cosa sta pensando: sono disarmata, arrendermi ora non sarebbe troppo disonorevole. Scuoto la testa. Per lui, forse: per me non è un'opzione.



Adesso

«Vuoi la rivincita, eh? D'accordo: la avrai». E' venuta preparata, come e più dell'altra volta: posso sentire il profumo della Garmonbozia che la pervade dalla testa ai piedi. Si prepara a spiccare il volo per raggiungermi, elegante e bellissima come sempre: lo stesso luogo, lo stesso salto di una vita fa. Va bene, stronza: vediamo se hai imparato a non romperti i piedi sul cornicione.

Ci lanciamo nel vuoto insieme, librandoci in aria come due predatori notturni. Combattere in aria quando non sai volare è la cosa più difficile da imparare in assoluto: e io e lei, dopo Kzar, eravamo le migliori.



Il mio tetto è più alto, cosa che mi fa pensare di avere un minimo di vantaggio. Grosso errore: la portata della sua lama mi prende in contropiede, costringendomi a difendermi e a perdere stabilità.

E poi arriva il peso, sotto forma di pressione fortissima sulle mie spade. La sua arma mi sale addosso come una ruota, colpendomi una, due, tre volte grazie al vortice scaturito dall'innaturale rotazione impressa dalle sue mani. Quelle dannate braccia le sono ricresciute meglio di prima. Riesco a deflettere il primo colpo, al secondo ci pensa l'armatura, il terzo mi penetra tra il fianco e il dorso. Sento il suono del corpetto che si squarcia come fosse carta, quindi il freddo mortale di quel ferro nero che mi scava dentro la schiena. L'impatto mi scaglia verso il basso, proiettandomi giù, nel vuoto. Rivivo la caduta di una vita fa, ma stavolta Nox non si trova sotto di me in procinto di schiantarsi ma sopra, in alto, con i piedi ben saldi sul tetto del Sanatorio. Questa volta è mio il corpo che precipita verso il selciato, sono io ad aver fallito l'esame.



Una vita fa

Si mette male. Ho recuperato le mie spade, ma per farlo ho dovuto incassare due o tre colpi che non promettono nulla di buono. Non so se oggi questa sadica è in stato di grazia o sono io ad essere particolarmente lenta, ma non riesco a mettere a segno un colpo che sia uno.

Guardo in direzione di Kzar: lo so cosa stai pensando, amico mio. Forse dovrei davvero arrendermi, se non fosse che non ho alcuna intenzione di farlo. Piuttosto la morte, la sofferenza, l'inferno di ghiaccio, le fiamme eterne, le tempeste di acido di Aghvan: ma la resa, mai.

Ayza Reich - Immagine 3

Poi, appena dietro Kzar, i miei occhi mettono a fuoco qualcosa di impossibile. Una cascata di capelli biondi che circondano un viso angelico, due occhi dello stesso colore del cielo che mi guardano carichi di affetto, comprensione e speranza: una bambina... no, è una ragazza ormai. Ireena? Riesco a scorgerla solo per un attimo, poi la visione viene interrotta dalla sagoma di Nox che si staglia di fronte a me, elegante e spaventosa, in procinto di darmi il colpo di grazia.

«Fa male, vero?»

Ancora quella domanda: quanti mesi sono passati da quel giorno? Abbastanza per trasformare una ragazzina sadica in una guerriera spietata... ma non per renderla più forte di me. Non ancora. All'epoca non le risposi, adesso ho tutta l'intenzione di farlo.

«Altroché, se fa male. Ma stavolta non ci sono Manuel e Sir Wilson a cui rendere conto: siamo solo tu, io e i nostri compagni, di fronte ai quali stai per fare la figura che meriti.»

Chiudo gli occhi, concentrandomi sull'immagine di Ireena. Il sangue degli Antecessori ribolle dentro le mie vene: tutte le energie che mi restano si concentrano nei muscoli delle gambe, mentre mi preparo a sferrare un ultimo, micidiale colpo.



Adesso

Ironia della sorte, anche questa volta lo schianto della mia caduta viene attutito da un carretto di paglia a dir poco provvidenziale. Chissà se il proprietario è lo stesso: dovrei riempirlo di soldi, è la seconda volta che mi salva la vita.

L'impatto è comunque devastante. Sento schegge da tutte le parti, proprio come quel giorno di una vita fa. Stavolta però Nox non mi porgerà una mano per farmi rialzare, ma la maledetta lama nera con cui intende farmi fuori. Chissà se mi toccherà sentire ancora quell'odiosa domanda: sarebbe la terza volta. Certo, la risposta che le diedi l'ultima volta dovrebbe esserle rimasta particolarmente impressa: pensava di avermi in pugno, e invece rimase senza fiato... e senza braccia.

Io stessa non riuscii a capire cosa mi successe, come fui in grado di compiere quello scatto fulmineo che la lasciò immobile sul posto, sconfitta e mutilata. In seguito Manuel mi avrebbe spiegato che alcuni Innalzati, quando vengono messi di fronte a situazioni di vita o di morte, possono sviluppare una facoltà innata. Quel giorno, in quel preciso istante, io sviluppai la mia. Quando Manuel comprese la sua versatilità decise di chiamarla neter, dal nome di una sostanza alchemica che si trova nei sotterranei dell'Avamposto e in diverse altre zone di Ghaan. Una polvere biancastra che può essere utilizzata in vari modi: come detergente, come fertilizzante... o come esplosivo.

«Cosa è stato?»

«Sembrava uno schianto!»

«Siamo sotto attacco? Chiamate qualcuno, presto!»

Le strade sono affollate e illuminate: la gente passeggia e mangia per strada, in attesa che inizi la musica e si aprano le danze. E' piuttosto normale che ci abbiano notate: il punto è capire se è un bene o un male.

Due bambini mi si avvicinano, osservandomi alla luce della torcia che arde a poca distanza da noi. Male, direi: molto male.

«Sei ferita, signora? Guarda, Ron... è ferita!» Seguo i suoi occhi e mi accorgo della grossa scheggia di legno che mi spunta dalle viscere, proprio come una vita fa. Mi viene da ridere: ci mancava anche questa. Ti prego, bambina, non chiedermi se fa male.

«Ma cosa dici, Yanna! non è sangue vero, quello... E poi, non vedi che sta sorridendo? E' una recita... stanno recitando!».

Yanna guarda Ron con espressione interrogativa, quindi sposta nuovamente lo sguardo su di me: «Davvero state recitando?» Poi entrambi sollevano gli occhi sopra di noi, fino a raggiungere la sagoma nera di Nox che si staglia sul tetto del Sanatorio contro il cielo stellato, in attesa che quella conversazione finisca per scendere a darmi il colpo di grazia... Sempre che gliene freghi qualcosa di risparmiare questi due marmocchi. Nel dubbio, meglio non rischiare.

Annuisco a Yanna. «Si, certo», le dico dandomi una pacca sulla ferita. «E' tutto finto, non vedi? Io e la mia amica lassù stiamo preparando un numero... Se andate verso il palco, tra poco lo vedrete. Avanti... andate, adesso!».

Yanna tira un sospiro, visibilmente sollevata. «Possiamo vedervi mentre vi allenate?» chiede Ron.

Scuoto la testa. «Assolutamente no! Vi rovinereste lo spettacolo...» E, cosa ancor più grave, rischiereste di crepare. «Forza, correte al palco: ci vediamo lì!». Caro Dytros, se non vuoi che la tua prima festa qui a Ghaan resti impressa nelle lapidi di questi due mocciosi, aiutami a farli smammare.

I ragazzini cominciano a correre. Poi a un tratto Yanna si ferma e si volta verso di me, proprio sotto alla torcia che illumina l'angolo della strada. la sua chioma di capelli biondi si apre a incorniciarle il viso, mentre mi guarda con due occhi dello stesso colore del cielo.

«Chi è più forte, signora? Tu, o la tipa sul tetto?»

Incomincio lentamente ad alzarmi, sfilandomi di dosso le schegge più fastidiose: venti metri sopra la mia testa Cyanide Noctis solleva la sua lama verso il cielo stellato, preparandosi a saltare giù per finire il lavoro. Pare proprio che questa festa non sarà così pallosa, dopo tutto.

«Io, Yanna: sono più forte io.»

Ayza Reich - Immagine
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9 Aprile 518
Venerdì 6 Gennaio 2023

E' stato bello finché è durato



Dodicimilaquattrocentoquindici, dodicimilaquattrocentosedici, dodicimilaquattrocentodiciassette...

E così alla fine è successo. Era inevitabile? Si. Però non mi sarebbe spiaciuto se fosse durata un pò di più. Magari fino alla festa che stanno organizzando i suoi compagni, che sono certa sarà molto pallosa.

Ho sempre avuto un rapporto strano con le feste. Quando ero piccola non mi facevano scendere in strada per paura che mi prendessi chissà che malattia, la quale mi avrebbe di certo uccisa visto come erano messi i miei polmoni. A volte partecipavo dalla finestra, con il migliore vestito che avevo, scrutando quel mondo festoso e distante dai vetri della mia camera; altre volte mi disinteressavo e andavo a dormire presto, fingendo di preferire la solitudine e il silenzio a quegli eventi mondani e rumorosi; e poi c'erano i giorni in cui stavo semplicemente troppo male per alzarmi, e allora mi veniva da odiare ferocemente tutti quei ruffiani e quelle cortigiane imbellettate che ballavano e si divertivano mentre io a stento riuscivo a respirare.

La mia famiglia non era povera, ma le cure al Nosocomio costavano troppo. Se sono viva è solo grazie a zia Masha e ai medicamenti che vendeva sotto costo a mio padre, togliendo il pane di bocca alle sue figlie e sfidando le ire dell'arcigno marito. Fino a quando la malattia arrivò a un punto tale che neanche i decotti di zia Masha riuscivano più a liberarmi i polmoni... e allora non restò che accettare l'offerta che il Camerlengo faceva a tutti i malati più o meno terminali: offrirsi volontari per un farmaco segreto che alcuni ricercatori stavano sperimentando altrove. Il prezzo da pagare era soltanto uno: rinunciare al proprio nome e alla propria famiglia, per sempre.

Fu così che me ne andai... letteralmente. Venni dichiarata morta a 17 anni, con tanto di esequie. Al cimitero di Trost c'è persino una piccola lapide a mio nome. Nei mesi successivi conobbi Messer Kurr, che a sua volta mi introdusse a Sir Wilson: fu proprio lui a dirmi che avrei dovuto affrontare un lungo viaggio, il più lungo della mia vita... ma che ne sarebbe valsa la pena. Aveva ragione? Non lo so. Mi verrebbe da dire di si, visto che poi alla fine non sono più morta. Poi però, quando mi trovo al cospetto di quelli che sono vivi davvero, mi chiedo se posso ancora definirmi tale.

Non è da me deprimermi in questo modo. La verità è che mi manca Ireena, in questo momento avrei davvero bisogno di lei. Ma dopo quello che ho fatto non posso più rischiare di metterla in pericolo.. e così non mi resti che tu, putrida marmellata di carne morta arancione dal nome impronunciabile. Io e te, ancora una volta avvinte in una spirale di agonia ed estasi, finché morte (quella vera) non ci separi. Ti vedo, mentre mi osservi dall'angolo buio in cui ti ho nascosta, ansiosa di entrarmi dentro e soddisfare la bestia che vive dentro di me. Ma so anche quanto puoi essere pericolosa per chi non ti conosce e non riesce ad assumerti a piccole dosi.

Chissà cosa sarebbe successo se quell'indiota di un soldato Greyhavenese ti avesse scagliata addosso a me: magari saresti riuscita a fottermi di brutto di nuovo, o magari no. Chi se ne frega, mi viene da dire, visto che ormai non penso di averne ancora per molto. E invece sei finita in faccia ad Annie, la quale invece qualche compagno e aspettativa di vita ce l'ha ancora. E quindi no, vederla leccare le fughe del pavimento di quella recondita stanzetta nei sotterranei del Sanatorio nella speranza di raccogliere qualche scolatura di te non mi sta bene. Perché Annie è sotto la mia protezione. Ho fatto una promessa e intendo mantenerla, quindi toglitela proprio dalla testa.

Purtroppo però io non sono Ireena, Manuel, Dharkan, o chiunque altro possa fornirle un valido supporto. Mi ha tollerata solo per una manciata di giorni, fin quando ho continuato a centellinarti per ridurre il trauma del distacco. E durante quel periodo è stata eccezionale, accontentandosi di quel poco che le davo senza mai fare storie. Io al posto suo probabilmente l'avrei ammazzata, come ho cercato di fare con Manuel: lo amavo, eppure sono stata più volte sul punto di frantumagli la testa a cazzotti pur di avere un pò più di te. Alla fine ha dovuto rinchiudermi per giorni... per il mio bene, certo, ma anche per il suo.

Annie è diversa: è ''speciale''. Sia Manuel che Kzar me lo dissero più volte, ma io mi rifiutavo di dar loro retta. Forse ero gelosa, magari volevo essere io quella ''speciale''. E invece avevano ragione loro. Lei è una ''pristina'', non è nata da una fiala inoculata da uno scienziato pazzo ma dall'unione fisica tra una donna e un demone. La differenza tra lei e me è la stessa che intercorre tra lo sperma e il piscio. Cosa pensavo di fare? Diventare amiche? Prendere il posto della sua adorata Ali? Ovvio che no. Un serbatoio di droga, questo sono stata, uno spirito neanche troppo affine con cui confrontarsi e scontrarsi fino all'arrivo dei suoi veri compagni. Saranno loro a fornirle il supporto che io non posso darle.

In ogni caso, il fantasma di Ali non ha nulla da temere: non ho intenzione di venir meno alla parola data. Farò in modo di tenere Annie in vita, anche se non passeremo più le notti insieme a parlare finché non ci viene sonno (ovvero mai) o a scrutare l'orizzonte in cerca di meraviglie che possiamo vedere soltanto noi. Il problema è che per farlo mi servi tu, dannata merda arancione, perché le bestie con cui presto o tardi ci dovremo misurare non hanno mai smesso di prenderti e io senza il tuo aiuto non li reggerò mai.

Laèl, il Re Muto; Temu, il Mordighiaccio; Vesa, il Bandito; Jarva, il Nordro; Sami, l'Orbo; Nox, la Dama Bianca. Ognuno di noi aveva un soprannome assegnatogli personalmente da Sir Wilson. Io, modestamente, sono (anzi, ero) la Dama Sterminatrice. Persino Annie ne ha uno: la Pristina della Mantide. A sentirlo incute un gran timore, peccato che non sia ancora in grado di onorarlo sul campo. E dire che stavamo facendo grandi progressi: poi sei arrivata tu e hai dovuto rovinare tutto... come al solito.

"Ayza, ma tu invece la prendi la Garmonbozia?" Ma vaffanculo, stupido maschio giudicante: cosa diavolo ne vuoi sapere tu, pensa a scolarti il tuo liquorino afrodisiaco e non rompere i coglioni.

Va beh, inutile rimuginarci: tanto vale tornare a contare le pecore. Dov'è che ero rimasta?

Dodicimilaquattrocentodiciotto, dodicimilaquattrocentodiciannove, dodicimilaquattrocentoventi...

Ayza Reich - Immagine


scritto da Ayza Reich , 02:43 | permalink | markup wiki | commenti (0)
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