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« Sono attirati dalla carne viva. Ci fosse un cadavere, un braccio, non so, la gamba di Rock... »
- Colin Tarr -
 
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Lucius Mahen
 
creato il: 03/08/2007   messaggi totali: 81   commenti totali: 80
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7 luglio 517
Venerdì 25 Marzo 2016

Questa valle ha bisogno di eroi

Guardo Messer Colin sorridere, attraversato da un'improvvisa speranza. Si volta verso di me, "aspettami qui", dice, e poi corre fuori dalla stanza, giù per le scale.
Resto al capezzale di mia moglie, le accarezzo la mano inerme, con gli occhi incapaci di abbandonare la sua pupilla spaccata, quasi che da questo pur minimo contatto visivo dipenda la sua salvezza. Ma non passano che pochi minuti, ed ecco che Messer Colin è di nuovo nella stanza, insieme a due bizzarri figuri.

William & Hamlet - Immagine

Non si può dire che siano dei ragazzi: ciuffi di capelli grigi spuntano dai copricapi variopinti, tra strane piume e coccarde. Hanno con loro degli strumenti musicali, mi rivolgono un cenno di cortese saluto e aspettano che Messer Colin dica loro cosa fare.
Lui mi si rivolge: "Stephan, sapresti dirci qualche canzone che conosce tua moglie?"
"Eh?"
"Sì, una canzone che cantavate a casa, qualche... motivetto che le è familiare..."
"Non saprei, qualche... filastrocca, qualche stornello semplice..." esito, "io non me ne intendo di queste cose..."
I due stravaganti musici si guardano, tra loro corre un cenno d'intesa, ed ecco che iniziano a suonare.
......
... ed avviene un miracolo.



Il ritmo della canzone si insinua sotto la pelle della mia sfortunata sposa, che inizia a muoversi impercettibilmente, poi via via con più convinzione.
E poi, improvvisamente, Klara inizia a cantare.

La voce di Klara, vivace e allegra, emerge dal petto smagrito, prima debolmente, poi sempre più spavalda. Ricorda ogni parola, ogni sfumatura, ogni nota della canzone, segue il tempo alla perfezione, con un sorriso rinnovato negli occhi.
I due musici sembrano sorpresi, Messer Colin fa loro cenno di continuare.
La musica sfugge dalla finestra aperta, riempie il cortile di Madreselva. Mi affaccio, guardo in basso, e scorgo tanti occhi sorpresi, rivolti verso di noi. Alcuni battono le mani, le vedette sulle mura annuiscono col capo, tutto il Castello si risveglia ad una lontana allegria.
La musica raggiunge le stalle dove Wolfie sta accudendo i cavalli, accarezza le spalle indaffarate di Fra' Padnor nella cappella diroccata, i soldati e i civili l'assecondano, i bambini nel cortile ridono e si rincorrono.

Cosa accadrà domani? Klara tornerà mai sè stessa, oppure questa è l'ultima volta che riascolto la sua voce?
Sembra così normale adesso, così allegra e sfacciata, con tutta la sua beffarda ironia ancora intatta. Sembra aver dimenticato le violenze subite, la schiavitù, il dolore. Sembra tornata la ragazzetta scanzonata di cui mi sono così perdutamente innamorato, io goffo figlio di nessuno, che non sarò mai degno di lei.

Messer Colin incrocia il mio sguardo, mi incoraggia. E' contento che questo suo strano esperimento abbia funzionato, come pure funzionò quando per risvegliare la mia Klara dalla catalessi chiese ad un mago di sottoporla ad un incantesimo di rianimazione.
Che uomo eccezionale, ce la sta davvero mettendo tutta per salvarla.

Questa Valle ha forse finalmente trovato i suoi eroi.
Messer Colin, medico instancabile, insieme a Messer Engelhaft, che con le sue preghiere ci ha assistito nella lunga agonia silenziosa.
E Messer Bohemond, che ha speso il suo denaro per acquistarci, con l'unico obiettivo di restituirci gratuitamente la libertà....
La Resistenza tutta, Jorg Winter e gli altri che hanno rischiato la vita per tirarci fuori da Aràk, che combattono gli schiavisti e gli approfittatori del Torto con ogni mezzo.

Io sono solo un veterinario, un debole, non ho nemmeno saputo difendere la mia famiglia. Ma in questi uomini e donne coraggiosi vedo un esempio da emulare, per quanto mi è possibile.
Non sono un eroe e non lo sarò mai, ma se il denaro di Messer Bohemond mi ha restituito la dignità di uomo, sarà mio impegno rendere onore a tanta generosità: la mia vita di persona libera appartiene a questa battaglia, a questo progetto di speranza.

Klara, lo so, se potesse parlare mi darebbe ragione. Riderebbe di me, come ha sempre fatto, mi prenderebbe in giro chiamandomi "fuocherello di candela", ma in cuor suo capirebbe la mia buona volontà e sarebbe pronta ad affiancarmi e a guidarmi col suo piglio spavaldo in questa nuova vita.

Klara, ti prego... svegliati. Questa valle ha bisogno di eroi.

Questa valle... ha bisogno di noi.





scritto da Stephan Jorde , 17:32 | permalink | markup wiki | commenti (1)
 
21 giugno 517
Lunedì 2 Novembre 2015

Impegno e gentilezza



Sapevo che sarebbe accaduto.
Colin è un soldato dell'esercito di Uryen, è stato ad Angvard per un breve incarico e adesso lo hanno assegnato altrove.
Lo sapevo, l'ho sempre saputo. Ma quando ieri è passato a salutarmi ho sentito una stretta allo stomaco.
Indossava la divisa, l'armatura, una strana spada sottile al fianco, aveva i suoi compagni ad aspettarlo fuori. Mi ha salutata in fretta, senza tante cerimonie, con la sua consueta gentilezza un po' timida.

Benchè lo conosca da pochi giorni, mi sono abituata a lui, al suo riserbo, alle sue domande un po' bizzarre. Colin è paziente, metodico, simpaticamente sbadato, è diventato subito parte della mia vita.

Ehi... non dovrei fare questi discorsi, non dovrei sorridere come una sciocca quando penso a lui!

Adesso la casa sembra vuota, il laboratorio che da poco aveva ricominciato a vivere è tornato silenzioso. Spetta a me restituirgli la vita, mettendo in pratica tutto quel che Colin mi ha insegnato.
Mi mancherà, mi mancherà tantissimo. Ma il modo migliore che ho per non disperdere il ricordo dei giorni che abbiamo trascorso insieme è impegnarmi nello studio alchemico. Devo migliorare, imparare. Per lui, per i miei genitori... per me stessa.

Colin ha fatto il nome di Norman il Mago, di Aghvan, ha elencato vari nomi di persone che gli interessavano. E' dovuto partire, ma cercherò di raccogliere le informazioni che cercava così che, se mai un giorno dovesse tornare a trovarmi, saprò cosa dirgli e non farò soltanto la figura dell'imbranata.

Posso farcela.
Mi hanno assegnato una scorta: a turno un soldato si annoia seduto su una sedia nella mia bottega. Faccio del mio meglio per essere gentile, offro tisane e qualche dolcetto, ma ogni volta che scendo in bottega e scorgo una sagoma in penombra ho un sussulto, qualcosa nel mio cuore per un istante mi illude che Colin sia tornato.

Lucy, non essere sciocca... è partito stamattina, chissà quando tornerà, chissà se tornerà ad Angvard. Non pensare a lui, pensa a fare del tuo meglio, impara, studia, metticela tutta!

Ciao, Colin, arrivederci.

Lucy Grass - immagine 2

scritto da Lucy Grass , 17:09 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
11 Aprile 517
Sabato 12 Settembre 2015

Il Picco di Ayles



Eccoci qua, finalmente: tu ed io. Ti ricordi di me? Probabilmente no, sono passati molti, troppi anni. Io sono più vecchio, tu sei rimasto uguale. Io ho cambiato mestiere, compagni e città: tu no. Il tuo compito è sempre lo stesso: sbarrare la strada a chiunque passi per le Montagne della Follia, intrappolando nel labirinto di gole, burroni e mulattiere che ti circonda chiunque cerchi di raggiungere Ghaan.

Il nome che ti hanno dato è fin troppo altisonante per una montagnetta che non arriva a mille metri. Eppure di morti ne hai fatti tanti: un piede in fallo sui sassi di questa mulattiera è più che sufficiente per andare all'altro mondo.

Le luci mi seguono ancora: bene. Ne conto quattro, segno che a quanto pare ci sono cascati. Procedono lentamente, tenendosi a debita distanza: pensano di seguire un gruppo, al quale non intendono concedere il vantaggio della maggiore altezza. Si avvicineranno tra qualche centinaio di metri, subito dopo il primo e unico bivio che offre questo sentiero. A sinistra, verso le falesie dello Shoggoth, oppure dritto, verso il tortuoso camminamento che conduce alla via per Ghaan.

Le fitte al ventre si fanno sentire a intervalli sempre più stretti: l'ho sforzata troppo questa ferita, a breve mi toccherà pagare il conto. In compenso le gambe funzionano ancora bene: un passo dopo l'altro, un metro alla volta. Se solo quel bivio non fosse così maledettamente lontano.

Il vento soffia più forte, qui in alto: lo sento sul viso, freddo e ostile come queste pareti di roccia. Dovrebbe darmi un gran fastidio anche sotto, con quello squarcio che ho sull'armatura, invece non sento nulla: non è un buon segno ma tutto sommato mi fa comodo, significa che il dolore mi darà qualche minuto di tregua. Tra una sferzata e l'altra mi torna in mente mio padre: se conosco questi luoghi è merito suo. Fu lui a mostrarmi il bivio e a raccontarmi la storia sinistra delle falesie dello Shoggoth, il mostro leggendario che fa a pezzi i viandanti che osano avvicinarsi alla sua tana: una leggenda per tenere lontani i curiosi dai crepacci e dalle grotte in cui i Signori di Ghaan erano soliti gettare o rinchiudere i loro nemici. E' una strada infida e tortuosa, specialmente di notte. Curiosamente, anche l'ultima volta che l'ho percorsa - nonché l'unica - ero inseguito dai soldati. Si vede che è destino: l'altra volta ebbi una gran fortuna, stavolta me ne servirà cento volte tanta.

Finalmente raggiungo il bivio. Me lo lascio alle spalle, inerpicandomi per il sentiero che conduce alle falesie: bastano pochi passi e le tre luci che porto con me scompaiono alla vista dei miei inseguitori, inghiottite dallo stretto passaggio che si apre tra le rocce.

Faccio appena in tempo a girare l'angolo che una fitta lancinante mi assale, trascinandomi a terra. Dannazione, penso mentre rantolo tra la polvere: mi resta poco tempo. Ramsey e gli altri dovrebbero essere a buon punto, non mi resta che rubare un'altra manciata di minuti a questi soldati. Mi trascino fino a una roccia e mi costringo nuovamente in piedi. I rumori si avvicinano, hanno accelerato il passo: tra poco saranno qui. Devo pensare in fretta, sfruttando la poca intimità concessa da questo grappolo di rocce. Raccolgo la corda che lega le tre torce che mi sono portato dietro fino ad ora, la roteo sopra la testa e la lancio verso la tana dello Shoggoth con tutta la forza che mi resta: una si spegne, due restano accese a una quarantina di metri. Fino ad ora ci sono cascati, spero che si bevano anche questo. Mi scelgo un buon nascondiglio tra le rocce, sfoderando la spada e il coltellaccio. Venite a prendermi, bastardi: vediamo se vi aspettate una mossa del genere.

La tensione dell'attesa ha un effetto benefico sul dolore al ventre... o forse è soltanto che quell'enorme grumo nerastro e maleodorante seminascosto dall'armatura non è più in grado di sentire alcunché. Chi se ne frega. Mi sono divertito abbastanza, adesso è giunto il momento di andarsene col botto. E se riuscirò a portarmi dietro un paio di soldati, tanto meglio.

Eccoli che arrivano, in armi e armature. Non vi sarà facile combattere in questi spazi angusti conciati a quel modo. Trattengo il respiro, la mia mancanza di mobilità mi costringe ad aspettare di essere quasi in mezzo a loro. Non ancora. Non ancora...

Adesso.

La punta della spada si fa largo tra le rocce, scavando un solco nella schiena del mio obiettivo. Sorpresa. Non ho né tempo né spazio sufficienti a ritirarla a me quindi la lascio tra le scapole della mia prima vittima, avventandomi col coltellaccio sul compagno più vicino: la punta scivola sull'armatura senza penetrarla. Dannazione. le gambe mi cedono, ma le braccia fanno in tempo ad avvinghiarglisi alla vita: lo spingo a terra a sua volta. Mentre rotoliamo di lato, tra le rocce appuntite, lo colpisco più volte col coltello con la forza della disperazione: quando ci fermiamo mi accorgo di essere pieno del suo sangue appiccicoso, segno che dovrebbe essere morto. Fuori due. Sento il mio corpo rialzarsi di scatto e muoversi da solo, sospinto dall'istinto di combattimento maturato in anni e anni di battaglie come questa. Il dolore è improvvisamente sopportabile, le gambe ci sono ancora: stringo il coltello con entrambe le mani, puntando la lama verso i miei inseguitori: fatevi sotto, penso senza dire una parola, osservandoli mentre mi guardano sbigottiti. Pensavate di essere i cacciatori, invece siete le prede. Quattro contro uno: ho fatto di peggio.

Un momento dopo agisco, sfruttando l'attimo che impiegano a sguainare la spada. Il soldato su cui mi avvento è il chiacchierone della torre, quel Victor che si dava le arie da capo: vediamo quanto vali quando non ci sono quattro piani di distanza tra te e un soldato di Uryen. Inizialmente la fortuna mi arride, il coltellaccio oltrepassa lo scudo e si pianta sulla sua spalla: osservo i tre quarti di luna riflessa sulla lama e penso che Kayah e Dytros sono con me, questa notte, proprio come andava dicendo Bohemond al momento di salutarci giù a valle. Poi il suo scudo mi colpisce con violenza, catapultandomi indietro a pochi passi dal baratro: sento le rocce piantarsi nella schiena, togliendomi il respiro. Ho poche speranze, così ridotto.

"Cercate i suoi amici mentre lo ammazzo: fate attenzione, guardate dietro ogni roccia!". Imbecille che non sei altro, non hai ancora capito che ti abbiamo fregato. Davvero sono arrivato fin qui per morire appeso alla spada di un cretino del genere? Non sia mai detto. Lo osservo con attenzione mentre compie i due passi che lo separano da me, pensando a come fare per allungare ancora un pò il brodo. Avanza con cautela, il maledetto: sa che potrei provare a buttarlo di sotto e non ha alcuna intenzione di rischiare. La mano destra brancola da sola alla ricerca di qualcosa e all'improvviso si chiude su una roccia: un colpo di reni e sono ancora in piedi, il dolore non è che un ricordo. La spada di Victor mi sfiora la spalla mentre la mia roccia gli sbatte violentemente sull'elmo, portandoglielo via. Colpisco ancora, sullo stesso punto ma stavolta senza elmo: poi ancora, ancora e ancora, fino a sentire il crac. Victor si accascia al suolo, morto stecchito.

Ma è l'ultima vita che prenderò: i suoi soldati mi circondano con le armi ormai sguainate, chiudendomi ogni via di fuga e spingendomi inesorabilmente verso il crepaccio. Non ho più armi a disposizione: la pietra non sta meglio della testa di Victor, il coltellaccio chissà dove diavolo è rimbalzato.

Fanculo. Non è ancora finita.



Com'è che dicevamo, neanche un anno fa? Guardia in alto, guarda in alto. Sollevo gli occhi al cielo, rischiarato dalla luce di Kayah e di Pyros, e contemplo l'unica via d'uscita che mi resta. Non c'è un attimo da perdere. Devo agire adesso, prima che mi chiudano l'ultimo metro o che il dolore torni con gli interessi. Accenno un passo verso i soldati, che istintivamente sollevano gli scudi, quindi mi volto verso il crepaccio... e salto.

Saranno due metri, forse tre. Non sarebbe neppure troppo difficile, se non fossi già praticamente morto. Sbatto violentemente sulla parete di roccia, mentre le mani cercano freneticamente la radice e il cespuglio visti pochi istanti prima. Quando li trovo, capisco che gli Dei sono con me. I soldati cominciano ad urlarmi contro, a cercare qualcosa da tirarmi o con cui potermi colpire. Inizio lentamente ad arrampicarmi, tirando con le braccia e aiutandomi col resto per quanto ancora posso: la buona notizia è che il dolore non è che un ricordo lontano, la cattiva è che non sento più le gambe: riesco soltanto ad avvertire che si muovono da sole, memori dei ricordi di una vita trascorsa tra le montagne, quel tanto che basta per agevolarmi la salita.

Continuo a tirarmi su, arrampicandomi lungo la parete del picco di Ayles: verso il cielo, verso la luna. I soldati lanciano rocce, mi urlano contro, recuperano frettolosamente un arco con cui provano a colpirmi dal basso... Niente da fare, è troppo tardi: non mi avrete, né vivo né morto. Tornerete a mani vuote, trasportando il corpo del vostro comandante.

La mia salita prosegue: un appiglio dopo l'altro, un metro alla volta. Il vento si fa più intenso, le voci dei miei inseguitori mi sembrano sempre più lontane, finché a un certo punto non le sento più: intorno a me restano soltanto il cielo, le stelle e il rumore del vento. Il dolore al ventre continua a graziarmi, consentendomi di andare avanti. Perdo anche la cognizione del tempo: la salita mi sembra durare una, forse due ore. A un tratto raggiungo quella che sembra una sella e impiego le ultime forze che mi restano per trascinarmici sopra. Crollo sulla schiena, impossibilitato a muovere un altro muscolo.

Non so se è la cima del picco di Ayles, ma sicuramente sono parecchio in alto. Non ho la forza di godermi il panorama. Peccato, perché dev'essere notevole. Il dolore sta lentamente tornando ma non mi dà fastidio, così come il vento freddo che mi circonda. A dirla tutta mi sento piuttosto bene, specie se penso ai miei compagni, che ormai saranno in salvo insieme allo Scudo, e ai soldati di Ghaan che si accingono a tornare dal loro Signore con un pugno di mosche in mano.

Ce l'abbiamo fatta, cazzo: o almeno lo spero. Poi mi viene in mente che da qui si dovrebbe poter vedere anche l'approdo. Mentre mi sforzo di girarmi mi accorgo che muovere il collo è improvvisamente diventato piuttosto complicato. Ma la fatica è ampiamente ripagata dallo spettacolo che si presenta ai miei occhi: che io sia dannato se quei due puntini gialli che stanno abbandonando la costa non sono le luci dell'albero della Disperata.

Ram, Ali, Roy, Garruk, Vasq, Bohemond e Brian, tornate a Uryen con lo Scudo e fate in modo di vincere questa guerra. Per me è arrivato il momento di prendere una licenza. Ci vediamo dall'altra parte.

Costringo la mano destra a slacciare il corno di Ghaan dalla cintola, quindi lo porto alle labbra: il tempo di raccogliere il fiato necessario e lancio il segnale pattuito. Non è servito quando eravate a terra, valga come saluto ora che siete in mare. Spendo un ultimo istante per contemplare lo spettacolo che mi circonda, mentre il suono del corno echeggia lungo la valle: le onde, le montagne e forse persino i fuochi di qualche avamposto all'orizzonte. Poi lo sguardo va in alto, perdendosi nel cielo terso e pieno di stelle lontane.

Duncan Vindel - Immagine
scritto da Duncan Vindel , 05:29 | permalink | markup wiki | commenti (1)
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