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14 luglio 517
Mercoledì 27 Aprile 2016

La Tomba della Regina

1. Disobbedienza



Gli artigli della creatura aggrappata al mio scudo stritolano il legno, il suo alito di morte è sempre più vicino. Spinge... Dei, come spinge forte. Reggo l'impatto, ma i miei stivali scivolano all'indietro, sul muschio. Non sono abbastanza pesante per respingerlo, non per molto.
"Tieni duro!" è Callum, sta arrivando. Stringo i denti, mentre il suono del mio scudo che si spacca riempie la galleria. O forse sono io che sto gridando?
Callum mi spinge di lato, frapponendo il suo scudo tra me e la creatura. Non abbastanza in fretta. Sento un artiglio sulla pelle, l'armatura che si sfilaccia, il dolore.
La paura.
Callum sostiene la botta, libera un varco sul fianco. Non pensare, Ardee: colpisci.
Miro alla testa, è un attimo. Il cranio del Risvegliato si spacca come un melone marcio, inondandoci della sua merda. Chiudo occhi e bocca, sputo a terra, Callum riprende fiato.
"Questa è stata brutta..." commenta, poi si gira, vede il sangue sul mio braccio. "Ti ha colpita?"
"E' solo un graffio", rispondo quasi in automatico.
Lui mi guarda, i suoi occhi severi si posano nei miei per un attimo, poi annuisce.
"Tutto questo si poteva evitare", ecco cosa sta dicendo il suo sguardo. "Tutto questo si poteva evitare, se soltanto tu avessi deciso di rispettare gli ordini".
Ma ho fatto una promessa.

"Non puoi portartela dietro"
Guardo il bambino, esito. "Non puoi trascinarla davanti ai suoi genitori ridotti... a mostri".
Helga siede a testa bassa vicino alla finestra, un raggio di sole illumina la sua pelle magra, i capelli intrecciati, le mani raccolte in grembo.
Ash mi incalza.
"Sai benissimo anche tu che ne morirebbe. E se anche miracolosamente tu riuscissi a trascinarla fuori dalla tomba ancora viva... resterebbe morta dentro. Per sempre". Incontro i suoi occhi lucidi, serissimi. "Diventerebbe... come me".
Silenzio. Ash non accetta una risposta vaga, pretende che gli dia la mia parola.
Ho ricevuto degli ordini precisi al riguardo. Dobbiamo portare la ragazza nel sotterraneo, sfruttare la sua conoscenza del posto per orientarci ed evitare le trappole, i corridoi senza uscita, per trovare la strada verso la stanza del tesoro. Helga deve venire con noi.
"Promettimelo, Ardee".


"Muoviamoci!"
Lex punta la sua luce in avanti, non c'è un momento da perdere. Per adesso il corridoio è sgombro, l'ultimo Risvegliato giace ai nostri piedi in una pozzanghera scivolosa di sangue nero.
Questi Risvegliati sono diversi dagli altri che abbiamo eliminato fuori. Sono rapidi, astuti. Sembra che seguano una loro strategia, sfruttano gli anfratti e i nascondigli di questo Cairn come avessero una mente unica a guidarli. Per non parlare degli artigli, simili a lame, che spuntano da quelle che un tempo dovevano essere mani umane.
Slaccio i brandelli dello scudo, li faccio cadere a terra.
"Lascia andare avanti me", dice Callum. Non è una domanda: annuisco e lo lascio passare.
Il braccio ferito pulsa debolmente, preferisco non pensarci.

La Tomba della Regina è diversa da come me l'aspettassi. Immaginavo una serie di gallerie scavate in una collina: ma questo Cairn è un edificio interamente costruito dall'uomo, arroccato sul fianco della montagna come un tumore. La terra e le pietre che lo ricoprono sono state aggiunte in seguito, per tentare di nasconderlo allo sguardo.
Abbiamo tutti memorizzato i disegni di Helga, ma descrivono di un mondo che non esiste più. Scale, passaggi, corridoi... è tutto cambiato. La roccia stessa, i corridoi si sono trasformati in budelli disordinati e traditori, un labirinto di gallerie.
Helga veniva ogni anno qui sotto a pregare sulle tombe degli antenati, in una tradizionale processione guidata dal sacerdote della Signoria, Padre Octave: l'abbiamo incontrato alcune rampe di scale più in alto, ancora riconoscibile coi paramenti sacri ridotti a brandelli, lo sguardo spento e parte della mandibola spezzata. Gli abbiamo dato la pace che meritava.

"Non puoi trascinarla davanti ai suoi genitori ridotti... a mostri"
Mi consola pensare che neanche Helga si sarebbe saputa orientare, qui sotto. Ed è anche difficie dire chi fossero, in vita, gli altri numerosi Risvegliati che abbiamo abbattuto fin ora. Bastano pochi mesi passati a brancolare nel fango e tra i rovi per nascondere la differenza tra le vesti di un nobile e gli stracci di un contadino. Non parliamo della buona educazione, poi. Volatilizzata.

Soltanto l'oro è rimasto intatto. L'oro e le gemme.
"Accidenti..." mormora Lex, mentre il chiarore sprigionato dalla sua mano fa brillare uno smisurato tesoro.
"Ci siamo", aggiunge Alfred. "Ce l'abbiamo fatta!"
Avanziamo di qualche passo con cautela, guardandoci intorno: silenzio, nessuna traccia di altri mostri. Eppure, in tutte le favole che si rispettino, appollaiato sul tesoro dovrebbe starci il Wyrm.
La stanza è piccola e apparentemente senza nascondigli. Lo scrigno è spalancato, invitante. Non riesco ad immaginare una sola ragione per cui lasciare aperto uno scrigno pieno d'oro e di brillanti, se non per farlo risplendere alla luce magica di Lex. Oppure è una trappola.
Beh, lo scopriremo tra poco...

... perchè adesso devo disobbedire ancora.

2. Ricchezza

Wyrm - immagine

"Siamo in cinque", sorride Pete, "non sai mamma come cucina bene".
"Ma le sorelle? Sono ancora nubili?" chiede Alfred col boccale di birra in mano.
"Morella, la minore, sì. Marie si è sposata l'anno scorso. Tra pochi mesi diventeremo zii", aggiunge Jansen.
"E poi c'è Arthur, l'uomo di casa" dice Pete. "Ha dodici anni... e non vede l'ora di partire soldato anche lui".
"E' carina questa Morella?" insiste Alfred.
"Non pensarci nemmeno" ride Pete, "è una ragazza seria!"
"Anche io sono un ragazzo serio!"


Guardo Alfred. Chissà se sta pensando anche lui a quel dialogo. Soltanto un mese fa, al Barile di Amontyl, a Ghaan. Pete e Jensen al nostro tavolo, gli zaini già pronti per partire.
Avrei voluto farlo in segreto, non rendere complici i miei compagni, ma la ferita che ho ricevuto mi obbliga a pensare all'eventualità di non sopravvivere alla notte.

Affondo la mano nello scrigno, raccolgo una manciata indistinta di monete e gioielli e la infilo nel sacchetto di stoffa che ho portato per questo scopo. I miei compagni mi guardano perplessi mentre lo ficco nello zaino.
"Questi li portiamo alla famiglia di Jensen e Pete".
"Ma quando arriveremo a Ghaan saremo perquisiti..." azzarda Alfred.
"Non ci faremo beccare, Alfred. Lo farò io. Ma se le cose dovessero mettersi male... conto su di voi".
Si passano un'occhiata veloce, Callum è il primo ad annuire. "Tranquilla Ardee, glie li porterai tu stessa."
"Sono più tranquilla se mi assicuri che in ogni caso avranno quel che gli spetta."
"D'accordo, sarà fatto."

Molto bene, questione risolta. Pensiamo ai diamanti.
"Lex, sai riconoscere le pietre che ti servono?"
Il Mago annuisce ed inizia a frugare nel baule. "Callum, Alfred, mettetevi di vedetta. Io cerco gli incartamenti"
Accanto al baule del tesoro ci sono un paio di piccoli volumi dalla copertina elaborata, li scorro rapidamente: non mi intendo di araldica ma a occhio dovrebbero essere quel che serve. Li infilo nello zaino. Accanto si trova una scatoletta di legno intarsiato che contiene sigilli, stemmi, roba così.

Sta andando troppo liscia. "Tutto bene lì fuori?" domando.
"Tutto tranq..."

Lo sapevo.
L'impatto del Risvegliato sullo scudo di Callum è talmente violento da farlo arretrare fino all'imboccatura della stanza. Dietro se ne scorgono almeno altri due.

"Molla quei brillanti, Lex, vieni ad aiutarci!" grida Alfred, mentre schiva per un soffio l'artigliata della creatura. E' di quelli cattivi, come l'altro di poco fa.
Non c'è spazio per me all'imboccatura della stanza, la soglia è troppo stretta. Lascio cadere lo zaino e afferro l'arco.

"Ecco la cazzata, Ardee". La voce del Sergente Headstrong mi torna in mente con precisione millimetrica. "Mai, e dico MAI tirare con l'arco quando hai un compagno che ti copre la traiettoria."
Certo, come no.
Tendo la corda, mentre Callum è costretto a chiudersi in difesa e a reggere lo scudo con tutte le forze per non farselo strappare di mano, chiudo l'occhio sinistro e miro.
"Tieni aperti entrambi gli occhi mentre miri, Ardee."
Certo Sergente, come no.
Tendo, scocco. Trattengo il fiato.
L'ho beccato, il bastardo. Uno di meno.
Ma non basta, ce n'è già un altro al suo posto.
"Lex!" grido. Lui fa una cosa che non gli avevo mai visto fare: corre avanti, alle spalle di Callum, stringendo in pugno qualcosa.
"Presto..." ansima Callum, mentre il suo scudo si finisce di spaccare e l'artiglio del Risvegliato gli lambisce la faccia.
Alfred scivola a terra, di lato, con un'altra creatura che gli afferra la gamba. Grida.
Lex allunga la mano sulla spalla di Callum, qualcosa gli scintilla tra le dita.

"Fer-Syr-Cryo!"

Un bagliore bluastro si sprigiona dal suo pugno, una ventata gelida. Callum grida, Alfred grida, anche io sto gridando, con il mio inutile arco stretto ancora in mano.
Il chiarore si dissolve in un attimo, anche la luce magica di Lex è svanita, l'oscurità adesso è totale.
"Credo... che sia morto" sussurra Alfred, con il pianto nella voce.
"Credo... di sì" respira Callum.
Nel silenzio che segue sento Lex che mormora debolmente una runa che ho imparato a conoscere, "Ak", e di nuovo si scorge un po' di chiarore.

Lex ha un diamante tra le dita: trema, sembra sotto shock. La pelle della mano ha un colore innaturalmente livido.
"Ce l'ho fatta...". La sua voce è inespressiva.
Qualunque cosa abbia fatto, dobbiamo approfittarne per filarcela in fretta, prima che arrivino altri di quei mostri.
"Alfred, Callum, siete stati feriti?" chiedo.
"L'armatura ha retto" dice Alfred. "Tutto a posto", gli fa eco Callum.
Grazie, Dei. Non voglio dover portare altre brutte notizie.
"Forza, allora: fuori".
"Aspetta, finiamo di prendere quel che c'è..."

Scale, infinite scale costellate di corridoi bui e angoli ciechi. Le percorriamo di buon passo risalendo il bubbone sulla collina.
Quando arriviamo in cima neanche ce ne accorgiamo, perchè intanto il cielo è diventato scuro. E' uno dei cani di Wolfie che mi viene incontro a farmi capire che siamo fuori.
Possiamo rivedere le stelle.
"Tutto bene lì sotto? Avete trovato quel che cercavate?" domanda Kara.
Annuisco.
"Siete stati feriti?" interviene Wolfie.
Annuisco ancora. Lo vedo che si rabbuia.
"Soltanto un graffio, un'artigliata. Forse la passiamo liscia".
"Allontaniamoci da qui intanto, risaliamo al campo".
I Resistenti ci hanno accompagnato fin qui, coperto le spalle e ripulito l'esterno del Cairn, ed hanno anche preparato un comodo accampamento in collina, in una zona riparata. Che cosa si può chiedere di più.

3. Attesa



Sangue, sangue e ancora sangue. Quanto sangue contiene un corpo umano? Quanto sangue può perdere, prima di morire?
Ricordo il Porto di Feith sotto attacco, il fumo e le fiamme degli incendi, le sagome in controluce dei Nordri e delle loro armi smisurate.
Si arriva ad un punto il cui il dolore è talmente forte che oltrepassa la soglia della sensibilità, trascinandoci dall'altra parte, al di là della sofferenza e della paura.
Ricordo il sangue che usciva a fiotti dal mio ventre lacerato, il calore che mi abbandonava, la vita che scivolava via. Non solo la mia.

Poi ci sono tagli minuscoli, sottili e già rimarginati. Non fanno male, solo un lieve pizzicore, e non lasceranno cicatrici sulla pelle. Come questo graffio che ho sul braccio.

"Prova a dormire" mi ha suggerito Callum, "se ci sono problemi ti chiamiamo noi".
Ed eccomi stesa nel sacco a pelo a contemplare le stelle. La luna è piena stanotte, il cielo limpido.
Lontano da qui, al Ponte, si sta celebrando la Fiera di Mezzanotte. C'è musica, gente, carovane dei mercanti. Schiavisti, adoratori di locuste, prigionieri incatenati. Tutta gente che, per quanto ci abbiamo provato, non siamo riusciti a fermare.
A Madreselva, al sicuro, Helga riposa, o forse anche lei non riesce a dormire e pensa alla nostra spedizione tra le rovine della sua famiglia. Pensa ai genitori dagli occhi spenti, al vecchio prete dalla mandibola distrutta, alla puzza di cadavere che aleggia nei luoghi della sua infanzia felice.
Più a Nord, oltre le colline, il piccolo Ash e i suoi amici stanno risalendo le strade dell'Altopiano. In questo momento saranno accampati vicino al fuoco, impegnati nei consueti turni di guardia.
Un bel gruppo affiatato, senza capi e senza subalterni. Senza ordini. Gente libera di combattere per i propri ideali, di girare il mondo e di ragionare con la propria testa. Persone molto diverse tra loro, eppure legate da qualcosa di indefinito, profondo: uomini di chiesa, studiosi e soldati, uniti in una battaglia comune. Sin dall'inizio ho sentito che c'era qualcosa che avvicinava il mio gruppo al loro, una qualche somiglianza di intenti, la stessa attitudine verso questa valle e i suoi abitanti.
Mi sarebbe piaciuto continuare insieme a loro, e non soltanto per le ragioni più scontate. Ma purtroppo, come sempre accade, è arrivato il momento di dirsi addio. Il dovere ci ha spinti su questa collina, alla ricerca del tesoro di Helga Roche... e anche per loro erano finite le buone scuse per restare.
Addio, quindi. E che la strada sia loro benevola.
Addio anche ad un fuoco che sono appena riuscita ad intravedere, ma che per pochi giorni mi ha infiammata con un inaspettato calore. Addio e grazie, tutto sommato. Addio e...

"C'erano già i Risvegliati. Forse erano naufraghi, forse fuggiaschi... l'ho visti coi miei occhi, su quell'isola maledetta".
La cosa più importante, l'ultima che mi ha voluto dire: i Risvegliati su quell'isola remota, il ricordo del suo naufragio. Mi domando perchè.

E' impossibile sconfiggere il senso di incompiutezza, lo so bene. Non sarebbe bastata una notte intera, in fondo è stato meglio così. Ma la sua urgenza di parlarmi di quei mostri barcollanti sull'isola dimenticata continua a ronzarmi nella testa. Perchè, perchè è così importante?
Cosa cambia se li hanno presi da quell'isola o da qualche altra fogna infernale, se poi comunque ce li hanno tirati addosso oltre le mura di Feith? Cosa cambia? Eppure sento che qualcosa cambia, qualcosa che ancora mi sfugge.

Buio e luce, cicatrici, tempo di andare. Questo siamo noi, questa è la nostra storia. Fili che si intrecciano per poco tempo. Siamo noi stessi i nostri giudici, i più inflessibili, i più spietati.
Se l'infezione dovesse portarmi via stanotte, almeno mi sarà risparmiato il peso di dire alla madre di Pete e Jensen che a causa delle mie decisioni sono morti i suoi due figli. Ma la febbre non sale, mi sento bene e la ferita non mostra alcunchè di preoccupante.

Restano le cicatrici interiori, più difficili da curare. Non sono sicura di essere adatta al comando, ma questo è il mio dovere: c'è una guerra, sono un soldato. Ciò che so fare è' esattamente ciò che devo fare.
Il futuro è l'ultima delle mie preoccupazioni, per adesso. Questa è una notte di passaggio, di incertezza e di ricordi. Le ore scorrono lente, le stelle ruotano piano sulla mia testa, le stesse stelle e lo stesso cielo. Ma a ciascuno dicono qualcosa di diverso. Per me stanotte hanno un significato particolare, perchè quando a Est vedrò nascere il chiarore, quando l'aurora dalle dita di rosa traccerà il suo segno nell'oscurità, saprò di essere sopravvissuta ad un'altra prova, e che forse è il momento di smettere di fuggire.
Cosa questo significhi ancora non lo so, come non conosco il senso di quei Risvegliati su un'isola lontana. Forse è soltanto un rovesciamento di prospettiva, forse ha a che fare con il mio rapporto con le autorità e con la voce della mia coscienza.
Ma è ancora notte fonda, Ardee. Tante cose possono ancora succedere.

scritto da Caporale Scelto Ardee Drachen , 00:37 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
7 luglio 517
Venerdì 25 Marzo 2016

Questa valle ha bisogno di eroi

Guardo Messer Colin sorridere, attraversato da un'improvvisa speranza. Si volta verso di me, "aspettami qui", dice, e poi corre fuori dalla stanza, giù per le scale.
Resto al capezzale di mia moglie, le accarezzo la mano inerme, con gli occhi incapaci di abbandonare la sua pupilla spaccata, quasi che da questo pur minimo contatto visivo dipenda la sua salvezza. Ma non passano che pochi minuti, ed ecco che Messer Colin è di nuovo nella stanza, insieme a due bizzarri figuri.

William & Hamlet - Immagine

Non si può dire che siano dei ragazzi: ciuffi di capelli grigi spuntano dai copricapi variopinti, tra strane piume e coccarde. Hanno con loro degli strumenti musicali, mi rivolgono un cenno di cortese saluto e aspettano che Messer Colin dica loro cosa fare.
Lui mi si rivolge: "Stephan, sapresti dirci qualche canzone che conosce tua moglie?"
"Eh?"
"Sì, una canzone che cantavate a casa, qualche... motivetto che le è familiare..."
"Non saprei, qualche... filastrocca, qualche stornello semplice..." esito, "io non me ne intendo di queste cose..."
I due stravaganti musici si guardano, tra loro corre un cenno d'intesa, ed ecco che iniziano a suonare.
......
... ed avviene un miracolo.



Il ritmo della canzone si insinua sotto la pelle della mia sfortunata sposa, che inizia a muoversi impercettibilmente, poi via via con più convinzione.
E poi, improvvisamente, Klara inizia a cantare.

La voce di Klara, vivace e allegra, emerge dal petto smagrito, prima debolmente, poi sempre più spavalda. Ricorda ogni parola, ogni sfumatura, ogni nota della canzone, segue il tempo alla perfezione, con un sorriso rinnovato negli occhi.
I due musici sembrano sorpresi, Messer Colin fa loro cenno di continuare.
La musica sfugge dalla finestra aperta, riempie il cortile di Madreselva. Mi affaccio, guardo in basso, e scorgo tanti occhi sorpresi, rivolti verso di noi. Alcuni battono le mani, le vedette sulle mura annuiscono col capo, tutto il Castello si risveglia ad una lontana allegria.
La musica raggiunge le stalle dove Wolfie sta accudendo i cavalli, accarezza le spalle indaffarate di Fra' Padnor nella cappella diroccata, i soldati e i civili l'assecondano, i bambini nel cortile ridono e si rincorrono.

Cosa accadrà domani? Klara tornerà mai sè stessa, oppure questa è l'ultima volta che riascolto la sua voce?
Sembra così normale adesso, così allegra e sfacciata, con tutta la sua beffarda ironia ancora intatta. Sembra aver dimenticato le violenze subite, la schiavitù, il dolore. Sembra tornata la ragazzetta scanzonata di cui mi sono così perdutamente innamorato, io goffo figlio di nessuno, che non sarò mai degno di lei.

Messer Colin incrocia il mio sguardo, mi incoraggia. E' contento che questo suo strano esperimento abbia funzionato, come pure funzionò quando per risvegliare la mia Klara dalla catalessi chiese ad un mago di sottoporla ad un incantesimo di rianimazione.
Che uomo eccezionale, ce la sta davvero mettendo tutta per salvarla.

Questa Valle ha forse finalmente trovato i suoi eroi.
Messer Colin, medico instancabile, insieme a Messer Engelhaft, che con le sue preghiere ci ha assistito nella lunga agonia silenziosa.
E Messer Bohemond, che ha speso il suo denaro per acquistarci, con l'unico obiettivo di restituirci gratuitamente la libertà....
La Resistenza tutta, Jorg Winter e gli altri che hanno rischiato la vita per tirarci fuori da Aràk, che combattono gli schiavisti e gli approfittatori del Torto con ogni mezzo.

Io sono solo un veterinario, un debole, non ho nemmeno saputo difendere la mia famiglia. Ma in questi uomini e donne coraggiosi vedo un esempio da emulare, per quanto mi è possibile.
Non sono un eroe e non lo sarò mai, ma se il denaro di Messer Bohemond mi ha restituito la dignità di uomo, sarà mio impegno rendere onore a tanta generosità: la mia vita di persona libera appartiene a questa battaglia, a questo progetto di speranza.

Klara, lo so, se potesse parlare mi darebbe ragione. Riderebbe di me, come ha sempre fatto, mi prenderebbe in giro chiamandomi "fuocherello di candela", ma in cuor suo capirebbe la mia buona volontà e sarebbe pronta ad affiancarmi e a guidarmi col suo piglio spavaldo in questa nuova vita.

Klara, ti prego... svegliati. Questa valle ha bisogno di eroi.

Questa valle... ha bisogno di noi.





scritto da Stephan Jorde , 17:32 | permalink | markup wiki | commenti (1)
 
21 giugno 517
Lunedì 2 Novembre 2015

Impegno e gentilezza



Sapevo che sarebbe accaduto.
Colin è un soldato dell'esercito di Uryen, è stato ad Angvard per un breve incarico e adesso lo hanno assegnato altrove.
Lo sapevo, l'ho sempre saputo. Ma quando ieri è passato a salutarmi ho sentito una stretta allo stomaco.
Indossava la divisa, l'armatura, una strana spada sottile al fianco, aveva i suoi compagni ad aspettarlo fuori. Mi ha salutata in fretta, senza tante cerimonie, con la sua consueta gentilezza un po' timida.

Benchè lo conosca da pochi giorni, mi sono abituata a lui, al suo riserbo, alle sue domande un po' bizzarre. Colin è paziente, metodico, simpaticamente sbadato, è diventato subito parte della mia vita.

Ehi... non dovrei fare questi discorsi, non dovrei sorridere come una sciocca quando penso a lui!

Adesso la casa sembra vuota, il laboratorio che da poco aveva ricominciato a vivere è tornato silenzioso. Spetta a me restituirgli la vita, mettendo in pratica tutto quel che Colin mi ha insegnato.
Mi mancherà, mi mancherà tantissimo. Ma il modo migliore che ho per non disperdere il ricordo dei giorni che abbiamo trascorso insieme è impegnarmi nello studio alchemico. Devo migliorare, imparare. Per lui, per i miei genitori... per me stessa.

Colin ha fatto il nome di Norman il Mago, di Aghvan, ha elencato vari nomi di persone che gli interessavano. E' dovuto partire, ma cercherò di raccogliere le informazioni che cercava così che, se mai un giorno dovesse tornare a trovarmi, saprò cosa dirgli e non farò soltanto la figura dell'imbranata.

Posso farcela.
Mi hanno assegnato una scorta: a turno un soldato si annoia seduto su una sedia nella mia bottega. Faccio del mio meglio per essere gentile, offro tisane e qualche dolcetto, ma ogni volta che scendo in bottega e scorgo una sagoma in penombra ho un sussulto, qualcosa nel mio cuore per un istante mi illude che Colin sia tornato.

Lucy, non essere sciocca... è partito stamattina, chissà quando tornerà, chissà se tornerà ad Angvard. Non pensare a lui, pensa a fare del tuo meglio, impara, studia, metticela tutta!

Ciao, Colin, arrivederci.

Lucy Grass - immagine 2

scritto da Lucy Grass , 17:09 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
11 Aprile 517
Sabato 12 Settembre 2015

Il Picco di Ayles



Eccoci qua, finalmente: tu ed io. Ti ricordi di me? Probabilmente no, sono passati molti, troppi anni. Io sono più vecchio, tu sei rimasto uguale. Io ho cambiato mestiere, compagni e città: tu no. Il tuo compito è sempre lo stesso: sbarrare la strada a chiunque passi per le Montagne della Follia, intrappolando nel labirinto di gole, burroni e mulattiere che ti circonda chiunque cerchi di raggiungere Ghaan.

Il nome che ti hanno dato è fin troppo altisonante per una montagnetta che non arriva a mille metri. Eppure di morti ne hai fatti tanti: un piede in fallo sui sassi di questa mulattiera è più che sufficiente per andare all'altro mondo.

Le luci mi seguono ancora: bene. Ne conto quattro, segno che a quanto pare ci sono cascati. Procedono lentamente, tenendosi a debita distanza: pensano di seguire un gruppo, al quale non intendono concedere il vantaggio della maggiore altezza. Si avvicineranno tra qualche centinaio di metri, subito dopo il primo e unico bivio che offre questo sentiero. A sinistra, verso le falesie dello Shoggoth, oppure dritto, verso il tortuoso camminamento che conduce alla via per Ghaan.

Le fitte al ventre si fanno sentire a intervalli sempre più stretti: l'ho sforzata troppo questa ferita, a breve mi toccherà pagare il conto. In compenso le gambe funzionano ancora bene: un passo dopo l'altro, un metro alla volta. Se solo quel bivio non fosse così maledettamente lontano.

Il vento soffia più forte, qui in alto: lo sento sul viso, freddo e ostile come queste pareti di roccia. Dovrebbe darmi un gran fastidio anche sotto, con quello squarcio che ho sull'armatura, invece non sento nulla: non è un buon segno ma tutto sommato mi fa comodo, significa che il dolore mi darà qualche minuto di tregua. Tra una sferzata e l'altra mi torna in mente mio padre: se conosco questi luoghi è merito suo. Fu lui a mostrarmi il bivio e a raccontarmi la storia sinistra delle falesie dello Shoggoth, il mostro leggendario che fa a pezzi i viandanti che osano avvicinarsi alla sua tana: una leggenda per tenere lontani i curiosi dai crepacci e dalle grotte in cui i Signori di Ghaan erano soliti gettare o rinchiudere i loro nemici. E' una strada infida e tortuosa, specialmente di notte. Curiosamente, anche l'ultima volta che l'ho percorsa - nonché l'unica - ero inseguito dai soldati. Si vede che è destino: l'altra volta ebbi una gran fortuna, stavolta me ne servirà cento volte tanta.

Finalmente raggiungo il bivio. Me lo lascio alle spalle, inerpicandomi per il sentiero che conduce alle falesie: bastano pochi passi e le tre luci che porto con me scompaiono alla vista dei miei inseguitori, inghiottite dallo stretto passaggio che si apre tra le rocce.

Faccio appena in tempo a girare l'angolo che una fitta lancinante mi assale, trascinandomi a terra. Dannazione, penso mentre rantolo tra la polvere: mi resta poco tempo. Ramsey e gli altri dovrebbero essere a buon punto, non mi resta che rubare un'altra manciata di minuti a questi soldati. Mi trascino fino a una roccia e mi costringo nuovamente in piedi. I rumori si avvicinano, hanno accelerato il passo: tra poco saranno qui. Devo pensare in fretta, sfruttando la poca intimità concessa da questo grappolo di rocce. Raccolgo la corda che lega le tre torce che mi sono portato dietro fino ad ora, la roteo sopra la testa e la lancio verso la tana dello Shoggoth con tutta la forza che mi resta: una si spegne, due restano accese a una quarantina di metri. Fino ad ora ci sono cascati, spero che si bevano anche questo. Mi scelgo un buon nascondiglio tra le rocce, sfoderando la spada e il coltellaccio. Venite a prendermi, bastardi: vediamo se vi aspettate una mossa del genere.

La tensione dell'attesa ha un effetto benefico sul dolore al ventre... o forse è soltanto che quell'enorme grumo nerastro e maleodorante seminascosto dall'armatura non è più in grado di sentire alcunché. Chi se ne frega. Mi sono divertito abbastanza, adesso è giunto il momento di andarsene col botto. E se riuscirò a portarmi dietro un paio di soldati, tanto meglio.

Eccoli che arrivano, in armi e armature. Non vi sarà facile combattere in questi spazi angusti conciati a quel modo. Trattengo il respiro, la mia mancanza di mobilità mi costringe ad aspettare di essere quasi in mezzo a loro. Non ancora. Non ancora...

Adesso.

La punta della spada si fa largo tra le rocce, scavando un solco nella schiena del mio obiettivo. Sorpresa. Non ho né tempo né spazio sufficienti a ritirarla a me quindi la lascio tra le scapole della mia prima vittima, avventandomi col coltellaccio sul compagno più vicino: la punta scivola sull'armatura senza penetrarla. Dannazione. le gambe mi cedono, ma le braccia fanno in tempo ad avvinghiarglisi alla vita: lo spingo a terra a sua volta. Mentre rotoliamo di lato, tra le rocce appuntite, lo colpisco più volte col coltello con la forza della disperazione: quando ci fermiamo mi accorgo di essere pieno del suo sangue appiccicoso, segno che dovrebbe essere morto. Fuori due. Sento il mio corpo rialzarsi di scatto e muoversi da solo, sospinto dall'istinto di combattimento maturato in anni e anni di battaglie come questa. Il dolore è improvvisamente sopportabile, le gambe ci sono ancora: stringo il coltello con entrambe le mani, puntando la lama verso i miei inseguitori: fatevi sotto, penso senza dire una parola, osservandoli mentre mi guardano sbigottiti. Pensavate di essere i cacciatori, invece siete le prede. Quattro contro uno: ho fatto di peggio.

Un momento dopo agisco, sfruttando l'attimo che impiegano a sguainare la spada. Il soldato su cui mi avvento è il chiacchierone della torre, quel Victor che si dava le arie da capo: vediamo quanto vali quando non ci sono quattro piani di distanza tra te e un soldato di Uryen. Inizialmente la fortuna mi arride, il coltellaccio oltrepassa lo scudo e si pianta sulla sua spalla: osservo i tre quarti di luna riflessa sulla lama e penso che Kayah e Dytros sono con me, questa notte, proprio come andava dicendo Bohemond al momento di salutarci giù a valle. Poi il suo scudo mi colpisce con violenza, catapultandomi indietro a pochi passi dal baratro: sento le rocce piantarsi nella schiena, togliendomi il respiro. Ho poche speranze, così ridotto.

"Cercate i suoi amici mentre lo ammazzo: fate attenzione, guardate dietro ogni roccia!". Imbecille che non sei altro, non hai ancora capito che ti abbiamo fregato. Davvero sono arrivato fin qui per morire appeso alla spada di un cretino del genere? Non sia mai detto. Lo osservo con attenzione mentre compie i due passi che lo separano da me, pensando a come fare per allungare ancora un pò il brodo. Avanza con cautela, il maledetto: sa che potrei provare a buttarlo di sotto e non ha alcuna intenzione di rischiare. La mano destra brancola da sola alla ricerca di qualcosa e all'improvviso si chiude su una roccia: un colpo di reni e sono ancora in piedi, il dolore non è che un ricordo. La spada di Victor mi sfiora la spalla mentre la mia roccia gli sbatte violentemente sull'elmo, portandoglielo via. Colpisco ancora, sullo stesso punto ma stavolta senza elmo: poi ancora, ancora e ancora, fino a sentire il crac. Victor si accascia al suolo, morto stecchito.

Ma è l'ultima vita che prenderò: i suoi soldati mi circondano con le armi ormai sguainate, chiudendomi ogni via di fuga e spingendomi inesorabilmente verso il crepaccio. Non ho più armi a disposizione: la pietra non sta meglio della testa di Victor, il coltellaccio chissà dove diavolo è rimbalzato.

Fanculo. Non è ancora finita.



Com'è che dicevamo, neanche un anno fa? Guardia in alto, guarda in alto. Sollevo gli occhi al cielo, rischiarato dalla luce di Kayah e di Pyros, e contemplo l'unica via d'uscita che mi resta. Non c'è un attimo da perdere. Devo agire adesso, prima che mi chiudano l'ultimo metro o che il dolore torni con gli interessi. Accenno un passo verso i soldati, che istintivamente sollevano gli scudi, quindi mi volto verso il crepaccio... e salto.

Saranno due metri, forse tre. Non sarebbe neppure troppo difficile, se non fossi già praticamente morto. Sbatto violentemente sulla parete di roccia, mentre le mani cercano freneticamente la radice e il cespuglio visti pochi istanti prima. Quando li trovo, capisco che gli Dei sono con me. I soldati cominciano ad urlarmi contro, a cercare qualcosa da tirarmi o con cui potermi colpire. Inizio lentamente ad arrampicarmi, tirando con le braccia e aiutandomi col resto per quanto ancora posso: la buona notizia è che il dolore non è che un ricordo lontano, la cattiva è che non sento più le gambe: riesco soltanto ad avvertire che si muovono da sole, memori dei ricordi di una vita trascorsa tra le montagne, quel tanto che basta per agevolarmi la salita.

Continuo a tirarmi su, arrampicandomi lungo la parete del picco di Ayles: verso il cielo, verso la luna. I soldati lanciano rocce, mi urlano contro, recuperano frettolosamente un arco con cui provano a colpirmi dal basso... Niente da fare, è troppo tardi: non mi avrete, né vivo né morto. Tornerete a mani vuote, trasportando il corpo del vostro comandante.

La mia salita prosegue: un appiglio dopo l'altro, un metro alla volta. Il vento si fa più intenso, le voci dei miei inseguitori mi sembrano sempre più lontane, finché a un certo punto non le sento più: intorno a me restano soltanto il cielo, le stelle e il rumore del vento. Il dolore al ventre continua a graziarmi, consentendomi di andare avanti. Perdo anche la cognizione del tempo: la salita mi sembra durare una, forse due ore. A un tratto raggiungo quella che sembra una sella e impiego le ultime forze che mi restano per trascinarmici sopra. Crollo sulla schiena, impossibilitato a muovere un altro muscolo.

Non so se è la cima del picco di Ayles, ma sicuramente sono parecchio in alto. Non ho la forza di godermi il panorama. Peccato, perché dev'essere notevole. Il dolore sta lentamente tornando ma non mi dà fastidio, così come il vento freddo che mi circonda. A dirla tutta mi sento piuttosto bene, specie se penso ai miei compagni, che ormai saranno in salvo insieme allo Scudo, e ai soldati di Ghaan che si accingono a tornare dal loro Signore con un pugno di mosche in mano.

Ce l'abbiamo fatta, cazzo: o almeno lo spero. Poi mi viene in mente che da qui si dovrebbe poter vedere anche l'approdo. Mentre mi sforzo di girarmi mi accorgo che muovere il collo è improvvisamente diventato piuttosto complicato. Ma la fatica è ampiamente ripagata dallo spettacolo che si presenta ai miei occhi: che io sia dannato se quei due puntini gialli che stanno abbandonando la costa non sono le luci dell'albero della Disperata.

Ram, Ali, Roy, Garruk, Vasq, Bohemond e Brian, tornate a Uryen con lo Scudo e fate in modo di vincere questa guerra. Per me è arrivato il momento di prendere una licenza. Ci vediamo dall'altra parte.

Costringo la mano destra a slacciare il corno di Ghaan dalla cintola, quindi lo porto alle labbra: il tempo di raccogliere il fiato necessario e lancio il segnale pattuito. Non è servito quando eravate a terra, valga come saluto ora che siete in mare. Spendo un ultimo istante per contemplare lo spettacolo che mi circonda, mentre il suono del corno echeggia lungo la valle: le onde, le montagne e forse persino i fuochi di qualche avamposto all'orizzonte. Poi lo sguardo va in alto, perdendosi nel cielo terso e pieno di stelle lontane.

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11 Aprile 517
Giovedì 3 Settembre 2015

Stella Polare



La Disperata ondeggia vistosamente, opponendo la prua alle onde e allontanandosi dalla costa frastagliata dell'altopiano. Distinguo appena la sagoma delle Montagne della Follia e so che anche loro ci osservano: posso sentirne la rabbia, lo sguardo vendicativo della bestia ferita che vede le prede sfuggire alle sue grinfie. Ce l'abbiamo fatta, Dunc: abbiamo vinto noi, dimostrando chi siamo e cosa sappiamo fare. Per l'ennesima volta questa terra martoriata ha rivolto al cielo il suo grido di dolore e noi abbiamo risposto con le nostre armi, sudore, sangue. Soldati di Treize, soldati di Uryen, piccole stelle brillanti in un cielo immerso nell'oscurità. Singolarmente contiamo poco, eppure senza di noi nessuno potrebbe vedere nulla. Nessuno è insostituibile, ma la luce che sprigioniamo quando siamo insieme è abbagliante.

Mi costringo a pensarlo. Poi mi guardo intorno e non vedo niente. Sarà il vento sabbioso che mi fa lacrimare gli occhi, o questo mare nero che ci circonderà fino a casa. Com'è che dicevamo, appena un anno fa? Guardia in alto, guarda in alto. Eppure nessuna delle milioni di stelle disperse nel cielo mi sembra lontanamente luminosa come quella che si è spenta stanotte.

Ci mancherai, Dunc. La tua luce, la tua capacità di trovare la strada giusta in ogni situazione. Non esiste angolo in questo feudo che non mi facesse sentire a casa quando eri tu a segnare il cammino. E' grazie a te che ce l'abbiamo fatta, oggi come tante volte in passato.

La nostra Stella Polare.

Vorrei riuscire ad illudermi, a pensare che non posso saperlo con certezza... Ma niente di quello che ho visto nei tuoi occhi al momento di dirci addio può darmi questa speranza: non ti farai mai prendere vivo, ne sono certa. Non tutti i miei compagni di viaggio ti conoscevano, molti di loro non sono in grado di valutare quello che abbiamo perso: io si. Dovrei convincermi che questa vittoria, questo scudo spezzato valgano più di te? Fatica sprecata: non lo penserò mai. Ma la guerra ci ha insegnato che esistono momenti e situazioni in cui l'acqua vale più dell'oro, il ponte più dei soldati che lo attraversano, lo stendardo più del braccio che lo porta. E' così che funziona, giusto o sbagliato che sia: quando non riesci più a fartene una ragione vuol dire che è il momento di riconsegnare le armi. Sfioro con la mano l'elsa di Ametista. Non pensarci neppure. La stringo forte, fino a che non sento il freddo del ferro svanire sotto le mie dita.

Vasq guarda in basso, verso i flutti del mare: nessuno meglio di lui è in grado di comprendere l'entità di ciò che abbiamo perso. Si conoscevano da una vita, prima ancora di entrare nell'esercito. A breve toccherà a lui guidarci per montagne folli e paludi malsane, altopiani piovosi e deserti di neve: posti che nessuno di noi ha mai visto e il cui nome è sufficiente a incutere timore. Avventure formidabili, esperienze terribili e prove dolorose che dovremo imparare ad affrontare senza di te.

Garruk non riesce a staccare gli occhi dallo scudo. "Secondo te luccica?" Mi chiede a un certo punto. No, non luccica affatto: brilla soltanto della luce riflessa di decine, migliaia di stelle. Annuisce, poi si volge verso Brian. "Tutto questo casino per uno specchio", gli borbotta contro: "...ed è pure rotto!" Ascolto le parole del suo interlocutore mentre prova a farlo ragionare, spiegandogli l'importanza di un simile artefatto. Fatica inutile, paladino: lo sa perfettamente. Per questo è così incazzato.

Roy è in piedi, le mani serrate sul parapetto del ponte di prua. E' il terzo comandante che perde in meno di due anni. Ogni tanto guarda nella mia direzione: credo che si sia fatto un'idea di dove io abbia già visto Joad Kempf, colui che a Ghaan chiamavano l'uomo senza volto, e che stia cercando di capire se ho voglia di parlarne. Non molta, in verità: quando saremo ad Angvard sarò costretta a ricordare, adesso ho voglia di pensare a Dunc, ai mesi trascorsi insieme, a quando era ancora con noi.

Brian e Bohemond conversano animatamente, cercando di dare un significato alla lista di nomi che hanno trovato. Sono entrambi pieni di ferite che non avevano prima di scivolare nel vuoto: Joad Kempf li ha quasi fatti a pezzi, ma loro non si sono arresi e alla fine lo hanno sconfitto. Una vittoria che testimonia un coraggio e una determinazione degna dei soldati migliori. E' anche per questo che hai scelto di restare lì, non è vero Dunc? Sapevi che ci avresti lasciato in buona compagnia. Il Terzo, il Ventesimo, il Trentaquattresimo... I numeri per te contavano poco, tu hai sempre guardato i soldati.

La porta della cambusa si apre rumorosamente. Ramsey sale sul ponte con una piccola botte sottobraccio. "Ho scelto la qualità, perlomeno rispetto al poco che offre la stiva di questa nave". Poi fa cenno ai presenti di avvicinarsi, con l'aria di chi butterà di sotto chiunque si rifiuti di bere. Garruk, Roy, Vasq, Brian, Bohemond... dopo pochi istanti arrivano anche Jarod, Quorthon e Astor. Ramsey chiede notizie di Arman, la ragazza risponde mostrando le mani rosse di sangue: "è un bel salto e gli resta poca rincorsa: stanotte vedremo".

Il vino viene versato in un silenzio rotto soltanto dai flutti del mare.

Garruk è il primo a parlare. "Al caporale Marcus Herrberg", esclama levando al cielo il suo boccale: ne beve più di metà, poi getta il resto verso il mare scuro. "Un coglione presuntuoso, fatemelo dire: neanche ha messo piede a terra che ha cominciato a biascicare stronzate sul Terzo per nascondere la cagarella: non siete più quelli di una volta, siete rimasti in pochi... Magari se avesse guardato i nemici anziché i compagni non sarebbe stato sommerso da tutto quel piscio bollente. Ma nonostante fosse un povero bastardo era un nostro compagno e meritava di tornare a casa: cosa che non farà, perché ha dato la vita per noi. Quindi... Grazie, Marcus: alla tua!".

"Grazie Marcus, alla tua": alcuni lo ripetono, altri si limitano a pensarlo. Tutti beviamo. Poi è il turno di Vasq. "Al soldato scelto Simon Eslan. Per averci segnalato l'arrivo dei rinforzi della torre e per aver ferito Joad Kempf. Grazie Simon, alla tua".

Il mare beve ancora, così come noi. Ram riempie i boccali, poi si avvicina al parapetto: lo sguardo di tutti si posa su di lui. "Al Caporal Maggiore Duncan Vindel, che ci ha condotti fino alle porte di Gretel e poi è riuscito nell'impresa di riportarci a casa. Chi lo conosce non ha bisogno di sentire storie, gli altri non le capirebbero. Torna presto Dunc, nel frattempo... alla tua!".

Per un lungo istante gli occhi di tutti seguono il volo del boccale del tenente che, scagliato oltre il ponte con forza ultraterrena, attraversa il cielo lasciando dietro di sé una scia luminosa d'argento, oro e vino.

Finalmente, vedo le stelle.

Ragazza che guarda le stelle - Immagine
scritto da Ali Shark , 03:52 | permalink | markup wiki | commenti (1)
 
20 maggio 517
Sabato 4 Luglio 2015

Gli Angeli di Greyhaven



Ilmatar, Regina dei venti e degli uragani, nata nella tempesta, figlia della Dea. Protettrice dei cacciatori e dei combattenti, guardiana degli umili e dei giusti, madre degli orfani, sorella di chiunque sia rimasto solo. E' a te che stanotte rivolgo le mie preghiere, rompendo un silenzio che dura da mesi. Lo faccio per ringraziarti di non esserti arresa, per aver continuato ad ascoltarmi anche quando la paura e la vergogna mi hanno privata della voce.

Non conosco parole che possano descrivere l'entità della violenza che ho subito. La memoria fatica a tenerne traccia, sospingendo quelle immagini oltre i cancelli del sogno. Il mio corpo ghermito tra gli artigli di quel mostro, i suoi aculei sottilissimi che mi scavano dentro come aghi infuocati, incendiandomi e carbonizzandomi dall'interno; e nello stesso tempo lo sguardo di Mirai, il suo sorriso compiaciuto, la sua voce che mi dice che andrà tutto bene e che presto, molto presto...

Mai.

Resterò chi sono, aggrappata a questa piantina e coltivando la mia forza con lei. Lo farò per ringraziarti dell'aiuto che mi hai inviato, del soccorso che mi stai prestando per mezzo dell'operato di questi due angeli provenienti da una terra lontana: uno per salvarmi, l'altro per vendicarmi.

Colin, il primo che mi hai mandato, ce la sta mettendo davvero tutta. I suoi sforzi di migliorare le mie condizioni arrivano a commuovermi al punto che talvolta, quando lo sconforto si impadronisce di me e mi porta ad aver voglia di mollare, la volontà di non deluderlo e il pensiero di come ci resterebbe male riescono a farmi chiudere gli occhi, rinviando ogni decisione all'indomani. E' capitato tante di quelle volte che ho perso il conto: la mia battaglia si è ridotta a questo, ormai. Una continua lotta contro la tentazione di abbandonarmi a ciò che fino ad oggi mi sembrava inevitabile. So per certo che dentro di me c'è qualcosa che aspetta solo la mia resa, il momento in cui implorerò di morire per accontentarmi all'istante. Quello che succederà poi al mio corpo ha poca importanza, visto che in ogni caso non sarò più io. Luger sembra convinto che non diventerò un insetto come Mirai: quel fuoco bollente, qualsiasi cosa fosse, non ha attecchito. Sarebbe una buona notizia, se non fosse che ha paura che possano succedere altre cose, non dissimili da quanto successe a Cynthia Haller. E' per questo che mi controlla quattro volte al giorno. Negli ultimi giorni ho pensato spesso a quello che potrebbe fare se mi trovasse morta... tagliarmi la testa? Bruciarmi con quella sostanza infiammabile di sua creazione, la stessa che Kailah lanciò contro la Bestia del Ponte? Chissà. L'unica cosa certa è che Luger aspetta che io muoia, mentre Colin sta facendo di tutto per tenermi in vita. Fino a ieri ero certa che, mio malgrado, avrei finito per accontentare Luger. Oggi no: oggi avevo voglia di ascoltare Colin e il suono della sua voce, di tenermi stretta la piantina che mi ha regalato, di abbracciarlo. L'Angelo Bianco, l'Angelo della Vita. Il mio Angelo.

Poi ho spento la candela, restando seduta a osservare la mia ombra svanire poco a poco. La Rocca di Tramontana guarda verso Nord, come se chi l'ha costruita sapesse già quello che sarebbe accaduto prima o poi. La finestra della cella, invece, è rivolta verso est: ecco perché la luce va via così presto. Quando l'Angelo Nero ha aperto la porta ed è entrato, sembrava notte. Il mio cuore si è fermato. Quando mi ha chiesto di seguirlo fuori ho guardato la piantina con occhi sbarrati, pensando che dopo tutto non le sarei sopravvissuta.

"Puoi prenderla, se vuoi".

Il tono della sua voce non sembrava minaccioso. In qualche modo sono riuscita a trovare la presenza di spirito necessaria ad alzarmi e seguirlo fuori dalla cella, lungo le scale delle segrete, attraverso i soldati di Greyhaven e i compagni del mio plotone con la piantina di Colin stretta tra le mani. Per l'ennesima volta ho avuto paura di morire. Al porto di Uryen, magari, appesa a un ramo a pochi passi da Hador Varchmann. La presa in giro definitiva, proprio nel giorno in cui avevo deciso di voler provare a vivere a tutti i costi.

Invece l'Angelo Nero ha cominciato a parlare. E la sua voce grave è risuonata nell'aria della sera come una musica, una melodia che non avevo mai udito ma che le mie orecchie avevano un gran bisogno di sentire.

"Anche a me è successo".

"Dimmi cosa ti ha fatto".

"Ci penserò io".

Poche parole, semplici. Ha voluto vedermi gli occhi. Mi ha detto che farà male, molto male.

"Talmente male che rimpiangerai di non essere morta".

"Ma se sopravviverai, prima o poi ci farai l'abitudine. E da quel giorno migliorerà".

L'Angelo Nero. L'Angelo della Morte. Il tuo Angelo.

Farò del mio meglio, Dea dei fulmini e delle tempeste. Ascolterò la voce dei tuoi Angeli, farò del mio meglio per meritarmi il loro aiuto. So che sarà difficile e so che farà male... al punto di desiderare di essere morta, forse.

Ma non oggi.

Oggi voglio soltanto restare viva e sentire ancora i tuoi Angeli cantare.

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scritto da Annie Volvert , 02:10 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
21 marzo 517
Lunedì 26 Gennaio 2015

La recluta



"... e se dovesse arrivare qualche risvegliato, sapete già quello che dovrete fare".

Il sergente aspetta di vederci annuire, poi si volta e sale a cavallo. La sua è una decisione che non mi aspettavo. E dire che il tenente era stato chiaro: gli uomini migliori del plotone al Cairn, i più inesperti a proteggere Muddan insieme a Rock. Il soldato di Feidelm - Kurt Baekar, credo che si chiami - lo affianca: a quanto pare sarà lui ad accompagnarlo al casolare. A noi spetta il compito di restare a Muddan, aspettando il loro ritorno.

"Sai che oggi è il suo compleanno? Di Rock, intendo."

Scuoto la testa. Gannor mi dice che l'ha saputo da un caporale di Uryen poco prima di partire: un chiacchierone, ci tiene a specificare. "Non è il solo", rispondo. Ride di gusto, mentre i due cavalli escono da Muddan per poi sparire dietro il versante della collina.

"Hai sentito quello che ha detto prima, no?", esclama poi. "Ora sei tu la più alta in grado".

"Tante grazie, siamo rimasti in due..."

Scuote la testa. "Mica vero... guarda lì". Il mio sguardo segue la direzione del suo dito fino a imbattersi in un insolito plotone di fanti di paglia, diligentemente disposti lungo la palizzata in attesa di essere bruciati. Abbozzo un sorriso, poi scuoto la testa: "Quelli sono soldati di Muddan: se non ti chiami Mardin non ti rispondono neppure".

"... o Brudde".

"... o Pock".

Gannor scoppia a ridere: riesce a contagiarmi, anche se non quanto vorrebbe. E' una persona leale, diventerà certamente un buon soldato: è stato lui a recuperarmi quando la Bestia del Ponte mi ha scagliata tra gli alberi e da quel giorno fa del suo meglio per starmi vicino, cercando di farmi ridere e assicurandosi che io veda anche il lato positivo delle cose. Tra tutti gli effettivi del mio plotone lui e Kailah sono quelli con cui ho legato maggiormente: gli altri mi vedono più o meno allo stesso modo dei Risvegliati... In tutti i sensi.

"Annie... Rock sa quello che fa. Se ha deciso così, significa che è la decisione giusta. Per tutti noi".

Annuisco. A dire il vero lo so fin troppo bene: il sergente non può portarmi da nessuna parte, non finché verso in queste condizioni. Non finché continuo a sanguinare così. Sono certo che si sia già pentito di avermi portata in missione: l'ho letto nei suoi occhi quando sono andata a dirgli cosa mi stava succedendo. E' comprensibile: ha paura che possa succedermi qualcosa... o peggio, che io possa rivelarmi un pericolo per la squadra. Volente o nolente. Pochi giorni fa, poco prima di venire qui a Muddan, gli ho chiesto se si fidava ancora di me. Io mi fido, mi ha risposto. Mi interessa sapere se ti fidi tu.

No, signore: la verità è che non mi fido affatto. Come potrei? Non conosco la causa di queste strane emorragie che mi assalgono, ma mentirei se dicessi di non nutrire un atroce sospetto. A volte, tra i frammenti di memoria che ancora mi restano di quei giorni passati a Holov, mi sembra di scorgere immagini terribili: il peso di qualcosa che si chinava sopra di me, come se si accingesse a divorarmi. Il corpo immobile, sordo a ogni impulso o possibile reazione. La mente vuota, incapace di dare un senso a immagini che per quanto io possa sforzarmi non riesco in alcun modo a ricordare. Ma ricordo - e non c'è parte di me che non si ribelli e inorridisca al solo pensiero - quella innaturale sensazione di tepore, pace, serenità... gioia?

E' assurdo. Più cerco di ricordare, più il sangue risale le mie vene ed esige il suo tributo. Alzo una mano verso Gannor, come per scusarmi, mentre con l'altra mi copro il viso. Lui capisce al volo: lo ha già visto altre volte. Non so cosa pensa che io abbia, ma finora è stato discreto al punto di non farmi domande. Non è un chiacchierone, non per le cose importanti. Si affretta a porgermi uno straccetto: chissà dove li prende, penso mentre lo avvicino al volto, tamponando dove serve. Chissà se li ha preparati, se li tiene pronti apposta per queste occasioni.

"Scusami", gli dico con una voce nasale che non sembra neanche la mia. "Devo andare in tenda".

"Ti accompagno", mi dice. Annuisco: potrei andarci da sola, ma con lui che mi copre ho meno possibilità di attirare l'attenzione di qualche soldato curioso. Questa gente non aveva mai visto la Morte che Cammina fino a pochi giorni fa, non voglio provocar loro altre inutili paure. Inutili? E' quello che spero. Mi torna in mente Colin e la "visita" che mi ha fatto, rispettosamente vestita da un abito di domande. Ha visto i miei occhi, una manciata di ore dopo il sangue. Ha annusato la mia pelle, cercando lo stesso odore dei Risvegliati. Posso davvero garantire di non esserlo? Mastro Luger, al termine di molti giorni in cui mi ha visitata senza alcun risparmio, mi ha detto che sono viva. "Sorprendentemente", ha aggiunto. Come se si aspettasse tutt'altra cosa. Ma Mastro Luger non sa nulla di quello che mi sta succedendo da quando siamo arrivati qui: non ha alcuna notizia del sangue. Ho il terrore di quanto potrebbe dirmi quando, tornati ad Uryen, il sergente sarà costretto a rivelargli tutto. Ho paura di essere sottoposta ad altre visite e del loro possibile verdetto.

Tu sei la risorsa più importante che abbiamo. Vorrei che fosse vero. Spero tanto che sia vero.

Raggiungiamo velocemente gli alloggiamenti a noi destinati, evitando gli sguardi degli uomini di Muddan. Gannor fa per salutarmi, è sufficientemente sveglio per capire che ho bisogno di stare da sola. Mi chiede se ho bisogno di qualcosa. "Una bacinella d'acqua... più grande che puoi". "Te ne porto due, allora". Lo ringrazio, poi sparisco dentro la tenda. Kailah, Inga e Mary non ci sono. Tutto intorno a me è vuoto e silenzioso.

Mi soffio il naso, poi mi massaggio gli occhi. Non sono in grado di capire se sia più o meno del solito: mi sembra sempre uguale. Mentre aspetto le bacinelle penso a quand'è che la mia vita ha cominciato ad andare in malora. L'ingresso nell'esercito. L'alterco con il Sergente Maggiore Varchmann, cui seguì la mia "punizione". Il confinamento alle Falesie. Il giorno in cui scoprii di essere rimasta sola. La mia prima spedizione oltre il Traunne. Holov. Mirai. La prigionia a Ghaan. La Bestia del Ponte. Di nuovo Mirai. Così tante cose, in poco più di un anno.

La voce di Gannor mi risveglia dai miei pensieri. "Annie... ne ho portate tre: te le lascio qui fuori". Lo ringrazio. Mi dice di fare con calma e poi, quando avrò finito, di raggiungerlo dalle parti del fienile. "Ho deciso che ne faremo uno anche noi!"

"Di cosa?" Chiedo, anche se credo di aver capito.

"Un fante di paglia. Hai ragione, in due siamo troppo pochi... e poi ci meritiamo anche noi una recluta da vessare, no?"

E a quel punto, finalmente, rido.

scritto da Annie Volvert , 23:14 | permalink | markup wiki | commenti (4)
 
21 marzo 517
Mercoledì 21 Gennaio 2015

Meanwhile, in space over Sarakon....



I Soldati del XXIII Plotone di Uryen si trovano nel cuore del Cariceto di Amedran, ignari dei funesti propositi del Kraighar nei loro confronti. Seguono il Tenente Kain Werber verso la giusta battaglia, spacciano Risvegliati e tentano di arginare il diffondersi del contagio della Morte che Cammina.

Nel frattempo...

Pontostasis - Immagine
... a Pontostasis viene consacrato il Monastero di Maers Hyperboreoktònos in una cerimonia officiata da Padre Markos, fratello dell'avventuriero Anacarsi, per celebrare le rappresaglie deliote contro le scorribande dei pirati Nordri...

Meistwode - ai tempi del Crollo di Nur-Had-Dun
... i ragazzi di Caen, Eric, Loic, Desiree, Solice e Julie, dopo aver pianto la recente scomparsa del loro amico Abel, abbandonano la foresta del Meistwode e ciò che resta di Nur-Had-Dun, per tornare verso terre più civilizzate...

Rosalie Lambert - Immagine precedente al rapimento
... ad Amer, Rosalie Lambert ha davanti ancora pochi giorni tranquilli, prima di venire rapita nei pressi del Monastero di Valan...

Monastero dei Martiri del Sacro Braciere sotto attacco
... a Krandamer inizia l'assedio del Monastero dei Martiri del Sacro Braciere, consacrato a Pyros, che cadrà dopo due giorni: l'abate viene arso vivo insieme alla struttura, i monaci e i loro assistenti vengono uccisi...

Bosco incantato - Immagine
... c'è chi festeggia Eostar tra i boschi, chi tra le pareti domestiche, chi in lontane radure misteriose... chi fa bruciare ceri fino all'alba e chi incendia fantocci che sanciscono la fine del dominio del Re dell'Inverno...

...ma di ciò nulla immaginano i Soldati di Uryen, che corrono ignari verso il proprio destino, piccole tessere in un grande affresco dalla portata per loro incomprensibile.

La preparazione del Kraighar
...Gli uomini di Feidelm non arriveranno a vedere il compiersi di Eostar: si ingannano se pensano che la sete di sangue del Re dell'Inverno si sia già placata. Non sopravviverò ad un ulteriore fallimento, e questa consapevolezza mi restituisce fino all'ultima stilla di forza che il Servo degli Dei prima e il Campione della Morte poi erano riusciti a portarmi via.
E' tempo che mostri loro il vero volto di questa guerra.
scritto da Annika , 14:19 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
9 Marzo 517
Venerdì 3 Ottobre 2014

Notte di veglia

"Ablatus aut oblatus". Quando giunsi al Romitorio di San Franzisk dei Colli Azzurri il motto turniano sintetizzava perfettamente la condizione mia e di quelli come me, posti di fronte alla scelta tra subire un'atroce menomazione ed essere scacciati dal Collegio o affidarsi anima e corpo proprio a quella Chiesa che ci aveva condannati per divenirne i servitori devoti, gli implacabili segugi. Temevo di trovare la stessa diffidenza e lo stesso scherno che avevo lasciato dietro di me. Sorrido al pensiero di quanto mi sbagliassi, non potevo immaginare l'immensa libertà che col tempo sarebbe stata concessa.

La giovane Maga che accompagna Padre Engelhaft mi riporta indietro negli anni, a quando io stesso mi accostavo allo Studium Arcani con l'entusiamo e l'inesperienza del neofita. In lei ho ritrovato l'identico desiderio di mettere a frutto il Dono di Kayah per accendere una scintilla di ordine in un mondo sprofondato nel caos, per fare la mia parte nella giusta battaglia. Ambizione ed impazienza condussero molti, e me tra costoro, sull'orlo del baratro. Troppe volte ho dovuto presiedere alla censura di Maghi animati dalle intenzioni più nobili, sorpresi a vagare lungo sentieri proibiti. Troppe volte ho visto lo Studium divenire non già mezzo, ma fine ultimo, delle azioni di un adepto dell'Arcano, troppe volte ho visto la vanità accecare il cuore e la mente di uomini probi, fino a mutarli in creature della Tenebra.

Nel febbraio dell'Anno degli Dei 516 ho ricevuto mandato di erigere un muro, qui a Feidelm, le cui fondamenta fossero sufficientemente robuste da resistere alla nera marea di nequizia che ha travolto la terra di Feith. Ciò che Padre Enghelaft mi ha raccontato della Morte che Cammina non è che la conferma delle voci sinistre che giungono da settentrione; l'orrido bagaglio che custodisco ("con i complimenti di Emmerick Dorn") nelle sale che il Margravio mi ha concesso per la raccolta delle evidenze mi rammenta di quanto sia semplice per i nemici della Chiesa far sì che il contagio si diffonda nel resto del Ducato. Ho trascorso molte ore ad osservare l'abominio, a constatarne la resistenza, a sperare dentro di me che con il trascorrere dei mesi cominciasse ad avvizzire, che infine si arrendesse alle leggi di natura e semplicemente cessasse di esistere. "Ad vitam aeternam morior" riporta il Formicarius a proposito del credo degli adepti del Signore della Morte, e per quel che mi è dato capire, l'oscura forza che anima questo mostro non accenna ad estinguersi da sola.

Sulle prime pensai al male che ahimè abbiamo imparato a conoscere fin troppo bene, al lascito oscuro dell'immonda Lagash. Malgrado le similutidini, non è Pah-zah-zhul ad animare il Risvegliato, troppo diverse la modalità di contagio e la progressione dell'infezione (e di nuovo le notizie di Padre Enghelaft confermano quel poco di affidabile che ho avuto modo di apprendere in questi mesi), e certo troppo diverse le qualità del suo stadio ultimo: se là è la degenerazione stessa a consumare le carni della vittima, qui essa le rafforza al punto che neppure la morte sembra vincerle. Se mi fosse consentito comparare due piaghe esiziali e diaboliche, questa a parer mio dovrebbe ritenersi la più pericolosa.

A questo punto sono certo che dietro al tentativo di far varcare l'Halsbandseel alla creatura c'è la mano di Vandervoort e dei suoi confratelli. L'Eletta Dimora...che sia davvero un'allusione alle Grandi Paludi in cui il mito fondativo del culto del Signore dei Veleni vorrebbe che Morgul si fosse ritirato, ormai padrone dell'oscura scienza di R'khai l'Antico?

Raccolgo nuovamente i pochi fatti noti sul conto di Osten Vandervoort, sperando di trovarvi degli indizi sull'identità di chi sta proseguendo la sua opera.

Osten Vandervort, attivo nel Ducato di Surok a partire dalla prima metà degli anni '80 del secolo scorso. Speziale rinomato, ha collaborato con il Collegio dell'Arcana Sapienza fino al 490. Sparì in concomitanza con il brutale assassinio di un magister della Scuola, Messer Mandor Sebeck, ritrovato orrendamente mutilato (asportazione della lingua e delle mani, praticate con precisione e strumenti degni di un esperto cerusico) e con lui la studiosa d'arte alchemica Aneka Morden, di cui Osten era divenuto collaboratore. Se ne risente parlare con il volgere del nuovo secolo, quando con lo pseudonimo di Doktor Janus Phlegm acquistò una certa celebrità negli ambienti nobiliari di Surok, in particolare grazie al medicamento leggendario, l'Alkahest, di cui si proclamava il primo vero artefice.

Se da una parte il preparato di Janus Phlegm sembrava davvero avere prodigiose qualità curative, si riscontrarono presto casi di follia e demenza tra coloro che l'avevano assunto, talora culminati in azioni brutali ed efferate (quattro omicidi, numerose aggressioni, due suicidi).

Con la morte del Gran Siniscalco Galeault Augsburg Von Hersfeld e la feroce epurazione dei suoi sodali indetta dal Duca, Vandevoort venne riconosciuto e smascherato. Riuscì nuovamente a dileguarsi in circostanze rocambolesche (pareva avesse simulato la propia morte con un potente veleno, salvo poi riaversi e fuggire con la complicità di un ufficiale della Guardia Ducale da lui circuito). Fu spiccata una cospicua taglia sulla sua testa e per oltre un decennio tanto le autorità civili e religiose quanto avventurieri prezzolati si sono messi sulle sue tracce, senza alcun esito. Hermann Frazer, un ex-Sergente della Guardia Civica di Surok ora in forza all'Esercito di Feidelm, ne ha infine riconsciuto l'operato quando, all'indomani della conclusione della Guerra delle Lande, riuscì a sequestrare del materiale alchemico sospetto (anche in questo caso temo "con i complimenti di Emmerick Dorn", quell'impudente non immagina neppure cosa ho in serbo per lui)in uno dei tanti nascondigli di refurtiva ospitati dal tentacolare Sobborgo di Levante, rinvenendo in particolare un flacone etichettato come "Alkahest".

Da ciò che ho appreso una volta insediatomi a Feidelm, nella seconda decade del secolo si era diffusa la voce che le Contee settentrionali del Ducato di Feith venissero spesso visitate da un misterioso guaritore, tale Giftmorder, che come il Doktor Phlegm/Vandervoort si vantava di poter vincere qualsiasi male mediante l'Alkahest, e che sul finire della Guerra delle Lande di analoga fama avesse preso a godere un certo Doktor Viala.
E' interessante notare come non vi sia alcuna notizia di collaboratori o apprendisti di Giftmorder, e che solo in seguito alla sua definitiva sconfitta siano invece emersi elementi inequivocabili della sua appartenenza all'oscuro culto di Morgoblath...mi domando se egli abbia aderito ad una congrega già presente nel Ducato di Feith o se piuttosto abbia contribuito a fondarne una insieme ad altri eretici fuggiaschi di Surok. Ripenso ad Aneka Morden, e come costei a differenza di Vandervoort non abbia mai più lasciato traccia del suo passaggio. Stando al Formicarius i devoti di Morgoblath sono creature astute e pazienti, avverse al rischio e all'ostentazione, maestri dell'intrigo e della dissimulazione. Sovente spacciatisi per medici e alchimisti di grande sapere, essi in realtà dedicano la massima parte dei loro sforzi al coronamento dell'Opus, la ricerca ossessiva ed incessante dell'indicibile segreto tramite il quale sarebbe possibile trascendere l'Umano così come fece Morgul nella tomba di R'khai. Maestri insuperati nella manipolazione della materia e della carne, essi finiscono per vedere persino i loro adepti come semplici strumenti, pedine da muovere e sacrificare in nome del loro personale obiettivo. Se penso ad Osten Vandervoort, alla smisurata vanità che in ultimo è stata la cagione della sua rovina, egli corrisponde solo in parte alla figura delineata dall'antico testo...maestro, ma soprattutto servitore più o meno consapevole di una mente ancora più malvagia che per tutto questo tempo pare rimasta nell'ombra, il viso ben celato dietro alla Maschera.

Nemrod (anagramma di Morden, non mancherebbe certo di suggerire Kailah). Questo nome mi accende un ricordo. Consultando l'Historia Barbarorum trovo tracce di un antico condottiero Veshkvershanti, Nem-rud l'Invitto, ricordato come "gran cacciatore di uomini e di bestie, sangue del sangue di Ben-Arah". Di lui lo storico riporta che "se con le carcasse dei suoi nemici sconfitti fosse stata eretta una torre, questa sarebbe giunta a toccare il cielo". Al di là della ferocia di questo antico guerriero, ciò che mi interessa è il riferimento alla sua genia. Sangue del sangue di Ben-Arah, mitica capostipite delle feroci tribù orientali che, come annotato nel Directorium, dilagarono nelle Pianure di Benson nell'ultimo atto della leggenda di Morgul. Quale nome migliore potrebbe darsi un Araldo della Tenebra?

Prego che, se davvero è nel Cariceto di Amedran che costui (o costei, dai carteggi di Vandervoort questo non appare chiaro) ha posto la sua Eletta Dimora, Kayah preservi gli uomini che ho mandato dalle mortali insidie che certo vi troveranno.
scritto da Magnus Bergmaar , 01:43 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
1 marzo 516
Domenica 7 Settembre 2014

La Clessidra Danzante



Non sono mai stata nelle pianure dei grandi laghi. Ricordo che mia madre mi raccontava spesso le eroiche imprese dei due principi di Alfgath, Elamroth e Isnamroth, mandati dal padre alla conquista di quel territorio vasto e selvaggio oggi noto come Gulas. La cosa che più l'aveva colpita era il fatto che Elamroth, dopo aver sconfitto mostri e giganti di ogni tipo, avesse trovato la morte per mano del fratello per colpa di una banale incomprensione. Era una donna semplice: faticava a comprendere la crudeltà degli uomini, figuriamoci quella della sorte.

Qualche anno dopo ebbi modo di scoprire che i principi di Alfgath popolavano anche le leggende di Ilsanora, sia pure in modo molto diverso: iracondi, viziosi e provocatori, così venivano descritti.

"E così tu saresti la famosa Kalina".

Se prendiamo per buona la versione di Ilsanora, questo soldato è il degno discendente di quel sangue reale. Il suo alito puzza di vino, se così può definirsi quel liquame annacquato che sgorga dagli otri della Capasanta. Lo stesso contenuto nella bottiglia che tiene in mano.

Annuisco, guardandolo negli occhi. Reggo il suo sguardo per un istante, poi lo abbasso, accarezzando il suo ego.

"So che non lo fai con tutti, e che quando lo fai chiedi tanto. Ma so anche che ne vale la pena".

Sorrido al pensiero che se gli rivelassi la misura di quel tanto scapperebbe via a gambe levate. Lui lo prende come un gesto di modestia, al quale risponde gettando un sacchetto tintinnante ai miei piedi.

"Contale. Poi spogliati".

Le conto. Mesi e mesi di paga scorrono tra le mie mani in un ruscello argentato. Il risultato è come l'oro, ma non è oro. "Non è quello che ho chiesto", dico a bassa voce.

"Lo so. Ma vale altrettanto. Per questa volta temo che ti dovrai accontentare".

Scuoto la testa. "Non mi conosci".

"Non ancora, ma manca poco. Spogliati".

Il suo tono non ammette repliche. Fa un passo in avanti con l'aria di chi non ha tempo da perdere. Iracondo, vizioso e provocatore, proprio come i suoi antenati. Le sue mani raggiungono le mie spalle.

"Se vuoi un aiuto non hai che da chiedere...".

"No", rispondo ."Faccio da sola".

Non mi stacca gli occhi di dosso. "Dicevano la verità", esclama alla fine. "Ne vale la pena".

Nell'ora che segue mi adopero per confermare ulteriormente le sue impressioni. Mi riempie di parole prive di senso, in gran parte dettate dall'alcol che ha in corpo. Poi si adagia di fianco a me, con gli occhi chiusi e il respiro che si fa via via meno affannoso. Resiste per una manciata di secondi, poi scivola nell'oblio.

Donna nell'oscurità - Immagine

Mi alzo in silenzio, raggiungendo il piccolo armadio di castagno che mi attende sul lato opposto della stanza. Ironia della sorte, l'ultima volta che l'ho aperto è stato per preparare il Latte della Strega per Mira. Chissà se ci hai riflettuto, Mira, sulle conseguenze di quello che hai chiesto. Probabilmente no. Tieni ancora fede al nome che ti diedi quando arrivasti qui qualche anno fa: Mira l'Impulsiva.

Chissà se ne varrà la pena, penso mentre mescolo e distendo l'impiastro più volte. Il segreto di questo preparato è nella preparazione a mani nude, se lo pesti o lo agiti troppo rischi che la temperatura lo faccia impazzire e a quel punto non lo sciogli più. Il veleno raggrumato è imprevedibile, mentre a noi serve l'esatto contrario: una clessidra danzante al ritmo del cuore e del sangue.

A Varchmann questa cosa non piacerà di certo. Non è uno stupido e ha gli occhi allenati, non ci metterà molto a capire che c'è qualcosa che non va. Nel pensare che io possa gestire una cosa del genere, Mira sopravvaluta la presa che ho su di lui. Perché l'aiuto, dunque? Per mettermi alla prova, forse. Certe arti vanno nutrite affinché non appassiscano, proprio come la bellezza e la passione. Prima di prendere la decisione ho messo alla prova i due sfidanti: il primo ha scelto Mira su tutte le altre, il secondo si è divertito a darmi dell'argento quando gli ho chiesto dell'oro. Uno è stato rispettoso, l'altro no. Domani all'alba impareranno entrambi che certi duelli si vincono o si perdono ancor prima di estrarre la spada.

Sento l'uomo di Gulas agitarsi nel letto, mentre il risultato dei miei sforzi cola lentamente dalla mia mano nel suo boccale. Lo osservo in silenzio: non posso fermarmi, a meno di non compromettere tutto il lavoro. Ricordo quando l'Oracolo provò a spiegarmi il significato del mio dono, raccontandomi di come certi sventurati nascano con il dono di percepire il pericolo un istante prima che prenda forma: magari è una cosa che ci accomuna. Se così fosse, gli sarà sufficiente aprire gli occhi per capire cosa sto facendo.

Lo guardo mentre bofonchia qualcosa, per poi girarsi a pancia in giù. Un sonoro peto sancisce che io e questo barbaro dell'est non abbiamo niente in comune: c'è del sangue che scorre nelle nostre vene, qui finiscono le nostre analogie. E forse tra poche ore neanche più questo. La clessidra danzante è di rado mortale, ma i duelli talvolta lo sono. Sarà la Morrigan a decidere se è giunto il momento di reclamare la sua vita oppure no.

Del resto i figli di Alfgath ci sono abituati.
scritto da Kalya Niadh , 00:32 | permalink | markup wiki | commenti (0)
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