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5 giugno 519
Martedì 22 Novembre 2011
tra amiche
"Questo proprio non me l'aspettavo da te". Arden mi guarda offesa. "Ti ho visto che lo baciavi, e poi tutti quei discorsi sul matrimonio... che significano? Veramente hai intenzione di andartene?"
La osservo. La rabbia sembra risvegliare in lei un'energia che generalmente non le appartiene. Piccola Arden.
Gesticola, cammina avanti e indietro per la stanza. Le faccio segno di abbassare il tono della voce.
"E invece parlo forte quanto mi pare!" è la sua prevedibile risposta. "E non mi frega niente se di là c'è la Paladina che riposa, mi hanno stancato! Tutti quanti. La Paladina, i cavalieri musoni, quegli energumeni che ti piacciono tanto..."
Brava Arden, tira fuori la grinta.
Sorrido.
"Ho capito che si metteva male appena ho visto il tipo con gli occhi differenti. Chiudere la locanda per riservarla a quella gente? Siamo mica matti?" Arden continua con la sua inaspettata filippica senza badare a me. "Ma ti pare possibile? E poi... questi altri. Che prima spaccano la porta e poi..." sospira.
"Questi sono i buoni, Arden. Sono quelli che hanno vinto, che hanno..."
"Sono degli assassini anche loro! Veramente vuoi sposarti con un uomo che ha le mani tanto sporche di sangue? Non ci posso credere..."
"Veramente... veramente..." prendo tempo facendole eco. "Questi sono gente speciale, che viaggia, che vive una vita fuori dalla mediocrità. Hanno prospettive, loro. Che senso ha invecchiare qui in locanda? Adesso che sei giovane e carina il massimo della soddisfazione è qualche complimento di un ubriacone. Il massimo della soddisfazione è se ti danno una mancia per un sorriso o per un po' di zucchero in più sul dolce. Ma poi? Siamo qui forse per invecchiare e perdere anche quel poco di potere che abbiamo adesso?"
Arden scuote il capo, mi guarda e sospira. "E mi lasceresti qui da sola, insomma? Ti proteggo io, ci penso io a te... e alla prima buona occasione te ne vai e mi abbandoni?"
"Ma no! No che non ti abbandono! Ma devi farti furba, restare coi piedi per terra. Cosa pensavi, che potesse durare per sempre? Bisogna guardarsi intorno. Devi fare come me, Arden"
"E sposarmi con il primo venuto? Solo perchè è grande, grosso, ricco e...."
"Loic non è il primo venuto. E' un tipo... davvero particolare"
Arden sbuffa. "Non potrei mai farmi sfiorare da uno così".
"E' un uomo. Arden, prima o poi dovrai accettare la realtà, troverai un uomo anche tu e lo sposerai. Avrai dei figli e poi..."
"No!" adesso la mia amica sembra sul punto di piangere. "No, non voglio, non mi voglio sposare con nessuno! Non voglio figli, non voglio.... mi... mi fa schifo!"
Povera Arden, la guardo negli occhi, le prendo la mano. "Calmati, su. Ne abbiamo già... parlato tante volte... quello che ti è successo non ha niente a che vedere.... con...."
"E tu che ne sai! L'hai provato, forse?" Ride istericamente mentre le lacrime le solcano il viso. "Nessun uomo mi toccherà mai più. Te lo garantisco, nè ora nè mai"
Cerco di calmarla. Arden si fa un piantarello sulla mia spalla, aspetto che prenda fiato.
"Ascoltami, Arden... se... se vuoi... c'è un'altra possibilità."
Alza gli occhi a guardarmi, riconosco la sua fiducia incondizionata, l'affetto che mi porta. Sento il peso della responsabilità che ho nei suoi confronti. Non posso lasciarla.
"Cosa... che..."
"Fidati di me. Quando sarò sposata con Loic... ti porterò a casa nostra. Starai con noi, glie lo dirò, non posso lasciarti".
"Non vorrai dirgli..."
"No, che sei matta?" sorrido, anche Arden ride. "No, certo. Ma lo convincerò a farti venire da noi, e staremo sempre insieme. Credimi, è la cosa migliore"
"..."
"..."
"... promesso?"
"Promesso. Tieni duro Arden, aiutami in questa cosa. E poi... manterrò la mia promessa e ti porterò via con me".
"Oh, Mysia! Sei... sei..."
"Schhh... non dire niente adesso".
La osservo. La rabbia sembra risvegliare in lei un'energia che generalmente non le appartiene. Piccola Arden.
Gesticola, cammina avanti e indietro per la stanza. Le faccio segno di abbassare il tono della voce.
"E invece parlo forte quanto mi pare!" è la sua prevedibile risposta. "E non mi frega niente se di là c'è la Paladina che riposa, mi hanno stancato! Tutti quanti. La Paladina, i cavalieri musoni, quegli energumeni che ti piacciono tanto..."
Brava Arden, tira fuori la grinta.
Sorrido.
"Ho capito che si metteva male appena ho visto il tipo con gli occhi differenti. Chiudere la locanda per riservarla a quella gente? Siamo mica matti?" Arden continua con la sua inaspettata filippica senza badare a me. "Ma ti pare possibile? E poi... questi altri. Che prima spaccano la porta e poi..." sospira.
"Questi sono i buoni, Arden. Sono quelli che hanno vinto, che hanno..."
"Sono degli assassini anche loro! Veramente vuoi sposarti con un uomo che ha le mani tanto sporche di sangue? Non ci posso credere..."
"Veramente... veramente..." prendo tempo facendole eco. "Questi sono gente speciale, che viaggia, che vive una vita fuori dalla mediocrità. Hanno prospettive, loro. Che senso ha invecchiare qui in locanda? Adesso che sei giovane e carina il massimo della soddisfazione è qualche complimento di un ubriacone. Il massimo della soddisfazione è se ti danno una mancia per un sorriso o per un po' di zucchero in più sul dolce. Ma poi? Siamo qui forse per invecchiare e perdere anche quel poco di potere che abbiamo adesso?"
Arden scuote il capo, mi guarda e sospira. "E mi lasceresti qui da sola, insomma? Ti proteggo io, ci penso io a te... e alla prima buona occasione te ne vai e mi abbandoni?"
"Ma no! No che non ti abbandono! Ma devi farti furba, restare coi piedi per terra. Cosa pensavi, che potesse durare per sempre? Bisogna guardarsi intorno. Devi fare come me, Arden"
"E sposarmi con il primo venuto? Solo perchè è grande, grosso, ricco e...."
"Loic non è il primo venuto. E' un tipo... davvero particolare"
Arden sbuffa. "Non potrei mai farmi sfiorare da uno così".
"E' un uomo. Arden, prima o poi dovrai accettare la realtà, troverai un uomo anche tu e lo sposerai. Avrai dei figli e poi..."
"No!" adesso la mia amica sembra sul punto di piangere. "No, non voglio, non mi voglio sposare con nessuno! Non voglio figli, non voglio.... mi... mi fa schifo!"
Povera Arden, la guardo negli occhi, le prendo la mano. "Calmati, su. Ne abbiamo già... parlato tante volte... quello che ti è successo non ha niente a che vedere.... con...."
"E tu che ne sai! L'hai provato, forse?" Ride istericamente mentre le lacrime le solcano il viso. "Nessun uomo mi toccherà mai più. Te lo garantisco, nè ora nè mai"
Cerco di calmarla. Arden si fa un piantarello sulla mia spalla, aspetto che prenda fiato.
"Ascoltami, Arden... se... se vuoi... c'è un'altra possibilità."
Alza gli occhi a guardarmi, riconosco la sua fiducia incondizionata, l'affetto che mi porta. Sento il peso della responsabilità che ho nei suoi confronti. Non posso lasciarla.
"Cosa... che..."
"Fidati di me. Quando sarò sposata con Loic... ti porterò a casa nostra. Starai con noi, glie lo dirò, non posso lasciarti".
"Non vorrai dirgli..."
"No, che sei matta?" sorrido, anche Arden ride. "No, certo. Ma lo convincerò a farti venire da noi, e staremo sempre insieme. Credimi, è la cosa migliore"
"..."
"..."
"... promesso?"
"Promesso. Tieni duro Arden, aiutami in questa cosa. E poi... manterrò la mia promessa e ti porterò via con me".
"Oh, Mysia! Sei... sei..."
"Schhh... non dire niente adesso".
30 maggio 519
Martedì 8 Novembre 2011
Ali oscure
Le porte di Forrarossa si aprono davanti a noi. Avanziamo nella Corte del castello increduli.
Piume nere ovunque, macchie di sangue sul selciato, pochi servitori dall'aria spaventata che spostano corpi senza vita per farne un unico mucchio e liberare il passaggio.
Quanti saranno i morti? Almeno una trentina. Trenta morti e forse di più.
Le parole del ragazzo che ci ha convocati stamattina erano vaghe, ma gli occhi apparivano eloquenti: il suo terrore era palpabile.
Mi trovavo con Steven a casa di Sir Bastian, per l'abituale turno di guardia che abbiamo stabilito dopo l'ultimo attentato che l'anziano Cavaliere ha subito qualche settimana fa, quando abbiamo sentito bussare alla porta. E' stata Dundee ad aprire, e a far entrare il poveretto, trafelato e bianco come un lenzuolo fresco di bucato.
"Hanno attaccato Forrarossa", ci ha detto dopo aver bevuto un bicchiere d'acqua. "Lady Solice Foucault mi ha inviato da voi a chiedere soccorsi".
... Lady Solice.
Udendo il suo nome ho istintivamente rivolto lo sguardo al volto del mio amico. Steven ha aggrottato la fronte.
"Lei sta bene?" ha chiesto.
Il ragazzo ha annuito. "Credo... credo di sì, la Paladina sta bene... mi ha detto di correre da voi, l'attacco è stato respinto ma il castello adesso è del tutto privo di difese."
Dundee guarda il ragazzo. "Ma il Barone? Come sta, è in salvo?"
"Non posso dirvi altro, vi prego solo di seguirmi appena possibile.... sarà la Paladina a spiegarvi ogni cosa".
Non poteva dare una risposta più eloquente di così.
Steven si è alzato. "Andiamo", ha detto. Subito Dundee è scattata in piedi. "Vado ad avvertire mio padre". "Fa' in fretta".
Mentre aspettavamo che Dundee uscisse dalla stanza di Sir Bastian, Steven ed io abbiamo scambiato qualche parola.
"Cosa ci fa Lady Solice a Forrarossa?" mi sono detto, dubbioso.
"Non lo so". Steven si è irrigidito subito. "Sarà lì con i suoi compagni, avranno avuto notizia dell'attacco imminente e sono corsi a difendere il castello".
"Eppure non capisco..." ho insistito, "se davvero, come ha detto quel ragazzo, l'attacco è stato respinto... perchè quella faccia? E poi perchè non chiamarci subito? Prima dell'attacco, intendo, e non dopo"
Steven ha esitato prima di rispondere, studiandomi cupamente. "Forse non ha fatto in tempo", ha detto poi, "forse non è stato possibile".
Dundee è tornata proprio allora, ha sceso le scale in fretta per raggiungerci nell'atrio.
"Andiamo!" ha detto mentre finiva di agganciarsi il fodero della spada alla cintura.
Che ragazza, Dundee. Povero chi se la sposerà. Ammesso che ci sia qualcuno tanto pazzo da chiedere la sua mano al vecchio Sir Bastian...
Ci siamo messi in marcia, Dundee mi si è affiancata subito.
"Chi è questa gente di cui ha parlato il servitore? La Paladina che ha citato... la conoscete?"
Ho annuito. "Lei e i suoi compagni sono dei nostri, persone fidate. Steven e io già in passato abbiamo svolto degli incarichi con loro, sempre per proteggere Lord Anthony. Ci sono le loro azioni dietro la messa al bando di Lord Albert".
"Che tipi sono?"
"Lei è... una Paladina di Pyros". Scorgo con la coda dell'occhio Steven, accanto a me, che sprona il cavallo e si distanzia di qualche metro, velocizzando il passo. "Poi ci sono due guerrieri formidabili, Eric e Loic, che sono fratelli, e in combattimento valgono per quattro. Insieme a loro siamo riusciti a sconfiggere i Maestri del Vento..."
"Caspita... e sono cavalieri?"
"No, non che io sappia. Ma non è nei titoli che si racchiude la bravura di un soldato. E poi so che ci sono almeno altre due o tre persone, anche se non li ho mai conosciuti..."
Dundee, curiosa, mi ha chiesto di raccontarle dello scontro coi Maestri del Vento, ma sono riuscito a farlo solo frammentariamente. Steven teneva un passo talmente svelto che era difficile stargli dietro, e quasi impossibile parlare, nel frattempo.
Ed eccoci a Forrarossa.
Le porte si aprono davanti a noi.
Ci viene incontro proprio Lady Solice.
La ricordavo a Beid, incantevole con l'abito scarlatto che indossava nell'occasione del matrimonio di suo fratello Lord Ryan. Ma la giovane che avanza stancamente tra le tracce del recente combattimento è irriconoscibile. Pallida, spettinata, con i grandi occhi cerchiati dalla mancanza di riposo. Indossa la fratina di Pyros, sporca, stropicciata, eppure carica di un'autorevolezza toccante.
Accanto a me, Steven è il primo a smontare da cavallo.
Percepisco la sua tensione, la curiosità di Dundee, gli sguardi troppo carichi per poterli sostenere.
"Lady Solice...", dice Steven, e la guarda. Non aggiunge altro, lei sembra trattenere a fatica le lacrime.
La situazione è peggio delle nostre peggiori previsioni. Lord Benedict è morto, Lord Anthony è morto, suo figlio Benedict è morto... la sorella di Kyle è morta, sono morti tutti. Anche Lord Albert è morto, e questa è un po' l'unica buona notizia della giornata.
E adesso?
I compagni di Solice, che poco a poco ci vengono a conoscere e salutare, appaiono anche loro stanchi e amareggiati. Nessuno sa dire cosa ci riservi il futuro.
Padre Maxim Keitel è la vera incognita di questo momento. Rivendicherà i suoi diritti dinastici, rinuncerà ai voti assunti di fronte a Kayah e si farà proclamare Barone di Anthien? Oppure farà un passo indietro, rimettendo nelle mani del Conte la decisione sul futuro di questo sfortunato feudo?
Può Padre Maxim essere complice di questo massacro, o rischia di diventarne soltanto un inconsapevole beneficiario? E magari una marionetta in mani più consapevoli e maligne?
Ho prestato giuramento nelle mani del Barone.
Ma potrei forse essere fedele a chi sospetto possa avere avuto una qualche responsabilità in tanto scempio? Guardo Steven, e leggo nel suo sguardo i miei stessi dilemmi.
Dundee, indomita come sempre, sembra avere le idee più chiare: mai con Maxim, mai con qualcuno anche soltanto vagamente sfiorato dall'ombra di un sospetto. Lei non ha le nostre stesse responsabilità... ma forse nella sua innocente irruenza si rivela la strada giusta da percorrere.
C'è tanto lavoro da fare, poco tempo per pensare.
Steven già si rimbocca le maniche, manda Dundee a Victoire a prelevare la moglie dell'unico prigioniero in grado di parlare, organizza le povere vedette al castello tra i superstiti e fa un elenco di persone fidate in grado di darci una mano. Dobbiamo darci da fare, e in fretta.
E soprattutto... urge vendetta.
Il prigioniero ci dirà dove andare, con le buone o con le cattive. Dove trovare il responsabile di questo massacro. Questo Daeron Vypern di cui tutti sussurrano il nome con timore e rabbia.
Lo troveremo e glie la faremo pagare per tutto questo sangue versato. Lo faremo per tutte le persone che sono morte questa notte, lo faremo per il nostro amico e compagno Kyle, per Solice e i suoi compagni che tanto hanno lottato e pagato, lo faremo per Anthien.
Gli Dei ci aiuteranno in questa impresa.
Piume nere ovunque, macchie di sangue sul selciato, pochi servitori dall'aria spaventata che spostano corpi senza vita per farne un unico mucchio e liberare il passaggio.
Quanti saranno i morti? Almeno una trentina. Trenta morti e forse di più.
Le parole del ragazzo che ci ha convocati stamattina erano vaghe, ma gli occhi apparivano eloquenti: il suo terrore era palpabile.
Mi trovavo con Steven a casa di Sir Bastian, per l'abituale turno di guardia che abbiamo stabilito dopo l'ultimo attentato che l'anziano Cavaliere ha subito qualche settimana fa, quando abbiamo sentito bussare alla porta. E' stata Dundee ad aprire, e a far entrare il poveretto, trafelato e bianco come un lenzuolo fresco di bucato.
"Hanno attaccato Forrarossa", ci ha detto dopo aver bevuto un bicchiere d'acqua. "Lady Solice Foucault mi ha inviato da voi a chiedere soccorsi".
... Lady Solice.
Udendo il suo nome ho istintivamente rivolto lo sguardo al volto del mio amico. Steven ha aggrottato la fronte.
"Lei sta bene?" ha chiesto.
Il ragazzo ha annuito. "Credo... credo di sì, la Paladina sta bene... mi ha detto di correre da voi, l'attacco è stato respinto ma il castello adesso è del tutto privo di difese."
Dundee guarda il ragazzo. "Ma il Barone? Come sta, è in salvo?"
"Non posso dirvi altro, vi prego solo di seguirmi appena possibile.... sarà la Paladina a spiegarvi ogni cosa".
Non poteva dare una risposta più eloquente di così.
Steven si è alzato. "Andiamo", ha detto. Subito Dundee è scattata in piedi. "Vado ad avvertire mio padre". "Fa' in fretta".
Mentre aspettavamo che Dundee uscisse dalla stanza di Sir Bastian, Steven ed io abbiamo scambiato qualche parola.
"Cosa ci fa Lady Solice a Forrarossa?" mi sono detto, dubbioso.
"Non lo so". Steven si è irrigidito subito. "Sarà lì con i suoi compagni, avranno avuto notizia dell'attacco imminente e sono corsi a difendere il castello".
"Eppure non capisco..." ho insistito, "se davvero, come ha detto quel ragazzo, l'attacco è stato respinto... perchè quella faccia? E poi perchè non chiamarci subito? Prima dell'attacco, intendo, e non dopo"
Steven ha esitato prima di rispondere, studiandomi cupamente. "Forse non ha fatto in tempo", ha detto poi, "forse non è stato possibile".
Dundee è tornata proprio allora, ha sceso le scale in fretta per raggiungerci nell'atrio.
"Andiamo!" ha detto mentre finiva di agganciarsi il fodero della spada alla cintura.
Che ragazza, Dundee. Povero chi se la sposerà. Ammesso che ci sia qualcuno tanto pazzo da chiedere la sua mano al vecchio Sir Bastian...
Ci siamo messi in marcia, Dundee mi si è affiancata subito.
"Chi è questa gente di cui ha parlato il servitore? La Paladina che ha citato... la conoscete?"
Ho annuito. "Lei e i suoi compagni sono dei nostri, persone fidate. Steven e io già in passato abbiamo svolto degli incarichi con loro, sempre per proteggere Lord Anthony. Ci sono le loro azioni dietro la messa al bando di Lord Albert".
"Che tipi sono?"
"Lei è... una Paladina di Pyros". Scorgo con la coda dell'occhio Steven, accanto a me, che sprona il cavallo e si distanzia di qualche metro, velocizzando il passo. "Poi ci sono due guerrieri formidabili, Eric e Loic, che sono fratelli, e in combattimento valgono per quattro. Insieme a loro siamo riusciti a sconfiggere i Maestri del Vento..."
"Caspita... e sono cavalieri?"
"No, non che io sappia. Ma non è nei titoli che si racchiude la bravura di un soldato. E poi so che ci sono almeno altre due o tre persone, anche se non li ho mai conosciuti..."
Dundee, curiosa, mi ha chiesto di raccontarle dello scontro coi Maestri del Vento, ma sono riuscito a farlo solo frammentariamente. Steven teneva un passo talmente svelto che era difficile stargli dietro, e quasi impossibile parlare, nel frattempo.
Ed eccoci a Forrarossa.
Le porte si aprono davanti a noi.
Ci viene incontro proprio Lady Solice.
La ricordavo a Beid, incantevole con l'abito scarlatto che indossava nell'occasione del matrimonio di suo fratello Lord Ryan. Ma la giovane che avanza stancamente tra le tracce del recente combattimento è irriconoscibile. Pallida, spettinata, con i grandi occhi cerchiati dalla mancanza di riposo. Indossa la fratina di Pyros, sporca, stropicciata, eppure carica di un'autorevolezza toccante.
Accanto a me, Steven è il primo a smontare da cavallo.
Percepisco la sua tensione, la curiosità di Dundee, gli sguardi troppo carichi per poterli sostenere.
"Lady Solice...", dice Steven, e la guarda. Non aggiunge altro, lei sembra trattenere a fatica le lacrime.
La situazione è peggio delle nostre peggiori previsioni. Lord Benedict è morto, Lord Anthony è morto, suo figlio Benedict è morto... la sorella di Kyle è morta, sono morti tutti. Anche Lord Albert è morto, e questa è un po' l'unica buona notizia della giornata.
E adesso?
I compagni di Solice, che poco a poco ci vengono a conoscere e salutare, appaiono anche loro stanchi e amareggiati. Nessuno sa dire cosa ci riservi il futuro.
Padre Maxim Keitel è la vera incognita di questo momento. Rivendicherà i suoi diritti dinastici, rinuncerà ai voti assunti di fronte a Kayah e si farà proclamare Barone di Anthien? Oppure farà un passo indietro, rimettendo nelle mani del Conte la decisione sul futuro di questo sfortunato feudo?
Può Padre Maxim essere complice di questo massacro, o rischia di diventarne soltanto un inconsapevole beneficiario? E magari una marionetta in mani più consapevoli e maligne?
Ho prestato giuramento nelle mani del Barone.
Ma potrei forse essere fedele a chi sospetto possa avere avuto una qualche responsabilità in tanto scempio? Guardo Steven, e leggo nel suo sguardo i miei stessi dilemmi.
Dundee, indomita come sempre, sembra avere le idee più chiare: mai con Maxim, mai con qualcuno anche soltanto vagamente sfiorato dall'ombra di un sospetto. Lei non ha le nostre stesse responsabilità... ma forse nella sua innocente irruenza si rivela la strada giusta da percorrere.
C'è tanto lavoro da fare, poco tempo per pensare.
Steven già si rimbocca le maniche, manda Dundee a Victoire a prelevare la moglie dell'unico prigioniero in grado di parlare, organizza le povere vedette al castello tra i superstiti e fa un elenco di persone fidate in grado di darci una mano. Dobbiamo darci da fare, e in fretta.
E soprattutto... urge vendetta.
Il prigioniero ci dirà dove andare, con le buone o con le cattive. Dove trovare il responsabile di questo massacro. Questo Daeron Vypern di cui tutti sussurrano il nome con timore e rabbia.
Lo troveremo e glie la faremo pagare per tutto questo sangue versato. Lo faremo per tutte le persone che sono morte questa notte, lo faremo per il nostro amico e compagno Kyle, per Solice e i suoi compagni che tanto hanno lottato e pagato, lo faremo per Anthien.
Gli Dei ci aiuteranno in questa impresa.
30 maggio 519
Sabato 5 Novembre 2011
tanto dolore per nulla
Che fallimento.
Non sono riuscito ad ammazzarlo e, se non fosse stato per mio "fratello" Guelfo e i suoi amici, ci sarei finito io morto stecchito in pasto ai corvi.
Inutile, non ce l'ho proprio la stoffa dell'eroe, sono buono solo a cacciarmi nei guai... e a coinvolgere poveracci che non c'entrano niente e non hanno neanche un po' della mia fortuna. Il mio gesto impulsivo è costato la vita al cugino di Martine e al mio vecchio amico Trevor, e invece Vypern è riuscito a fuggire, per quanto mal ridotto.
Le cose sono andate così.
Ieri sera, quando siamo stati divisi da Guelfo e gli altri, delle guardie ci hanno accompagnato ad un alloggio molto spartano a ridosso delle mura, al piano inferiore della loro camerata. Benchè formalmente non fossimo agli arresti, l'ambiente in cui ci hanno rinchiusi era piuttosto simile ad una cella, senza finestre e con una porta rinforzata, di metallo. Ci hanno augurato buona notte, non senza un po' di ironia, e non ci è rimasto altro da fare che metterci a riposare.
Non so dire che ora fosse quando Trevor mi ha svegliato. "Sta succedendo qualcosa, Dorian!"
In effetti sopra di noi c'era movimento, agitazione tra le guardie, rumore di gente che si armava in fretta.
"Siamo sotto attacco?"
"Non capisco.... temo ci sia già qualcuno dentro"
Nel frattempo anche Bron si era svegliato. Il cugino di Martine era un animo semplice, ma grande e grosso e coraggioso.
Mentre stiamo ancora decidendo sul dafarsi, ecco che si sente un tonfo, poi un altro, qualche grido. L'aria sembra farsi innaturalmente fredda e anche la luce della nostra torcia si affievolisce senza una ragione apparente.
Trevor e Bron non erano al corrente del mio pur lilmitato talento come mago, e finchè è stato possibile ho cercato di tenerli all'oscuro di questo dettaglio. Ho tuttavia allertato i miei sensi alla ricerca di qualche presenza ostile di natura magica. Ma niente, solo un innaturale silenzio.
"Dobbiamo uscire da qui", ho detto.
Trevor si è persino messo a ridere. "Sopravvaluti le mie capacità, amico... senza gli strumenti giusti una serratura così non posso aprirla nemmeno io"
Ho scosso il capo e mi sono avvicinato a mani nude alla serratura. Ho pronunciato le rune e ho chiuso gli occhi mentre il calore fluiva da me ed arroventava il metallo.
"Ma che diavolo stai..." ha mormorato Bron. Mi sono voltato verso di lui e, quasi scusandomi, gli ho chiesto se poteva dare un calcio alla porta. Incredulo, il brav'uomo ha ubbidito e la porta si è aperta senza difficoltà.
Scale da salire, tanto silenzio. Troppo silenzio, a dirla tutta.
Siamo arrivati al piano del dormitorio delle guardie. Da una finestra spalancata entrava un vento gelido e la nera sagoma di una cornacchia sul davanzale ha iniziato a gracchiare appena ci ha visti. A terra per poco non siamo inciampati nel corpo di due guardie.
"Aspettate qui", ho detto a Trevor e Bron, e mi sono avvicinato alla finestra, che dava sulla corte del Castello.
Il corvo è svolazzato via e seguendolo con lo sguardo ne ho visti molti altri: centinaia, migliaia di corvacci neri che volavano in cerchio su tutta Forrarossa. Pur senza essere mai stato tanto ferrato negli studi teologici, un simile stormo di uccellacci del malaugurio ha fatto suonare tutti i miei campanelli d'allarme, soprattutto sapendo chi, a breve, avrebbe sferrato un attacco al Castello: Daeron Vypern.
Prudenza, Dorian, mi sono detto. Ricordati di chi stiamo parlando, ricorda cosa ha fatto a te, cosa ha fatto a Martine...
In quel momento ho visto un gruppo di armati vestiti di nero che si muoveva attraverso la corte. Hanno affondato la spada in alcuni corpi stesi a terra, forse svenuti. Di certo dopo erano morti.
Poi si sono divisi, alcuni sono andati verso la vecchia Corte, altri verso l'edificio della guardia, proprio dove eravamo noi.
"Prendete delle armi", ho detto ai miei compagni. Ma era buio, un buio eccessivo. A malincuore ho pronunciato alcune rune ed un fascio di luce magica si è sprigionata dalle mie mani. Grazie ad essa abbiamo raccattato qualche arma e ci siamo appostati.
"Li dobbiamo ingaggiare?" ha chiesto Bron.
"Cerchiamo di non farci trovare, ma se dovessero vederci... mettiamocela tutta per farli secchi".
I quattro cavalieri neri non ci hanno trovato, per fortuna. Li abbiamo visti sfilare vicino a noi, ma sono andati oltre.
"Che facciamo adesso?" ha detto Trevor una volta allontanatisi i quattro. "Proviamo a uscire dal Castello?"
"Cerchiamo di capire cosa stanno facendo", ho risposto, io stesso indeciso sul dafarsi. Mi chiedevo dove fossero stati portati Guelfo e gli altri, e cosa stesse combinando Daeron Vypern.
Le risposte ai miei dubbi dovevano arrivare nel giro di pochi istanti.
Ho visto le porte del palazzo del Barone aprirsi, ed uscirne Daeron in persona, affiancato da una donna e un altro paio di uomini in nero.
Un brivido mi ha attravesato la schiena, e il primo istinto è stato quello di ritrarmi. Ma gli occhi imploranti di Martine mi sono balenati davanti, e non ci ho visto più dalla collera. Maledetto Vypern...
Come un segno del destino, proprio allora dalla vecchia corte si è levata una colossale fiammata di natura sovrannaturale, e nel bagliore di quel fuoco ho riconosciuto immediatamente l'opera di mio fratello Guelfo. Mai l'ho sentito tanto vicino a me come in quell'istante. Nostro padre sarebbe stato orgoglioso di noi.
Mi sono frugato nelle tasche, mentre dicevo ai miei compagni di seguirmi, e sono corso verso la porta.
Bes-Ak-Vas! ho gridato appena l'ho sentito a tiro, e tre boomerang di luce si sono scagliati su Vypern, che ha gridato di dolore.
Subito i suoi uomini sono corsi verso di noi, è stato tutto molto concitato. Abbiamo provato ad allontanarci per non restare intrappolati nel Corpo di Guardia, e siamo finiti circondati nella Corte, coi corvi che ci svolazzavano gracchiando sulla testa e decisamente troppi avversari intorno.
Trevor è caduto per primo, anche per Bron non c'è stata speranza. Io non sono uno spadaccino particolarmente capace, tutt'altro, ma evidentemente ho avuto fortuna, e gli anni spesi a far disperare i maestri d'armi e a sentirmi dire che ero negato sono serviti a qualcosa. Mi hanno ferito ripetutamente, ma sono rimasto in piedi, pur vedendomela bruttissima.
Guelfo e i suoi amici sono corsi in mio aiuto, tanto da permettermi un ultimo tentativo disperato di scagliare le mie lame di luce contro Vypern. L'ho preso in pieno, ma non è bastato. Quel maledetto adoratore delle Tenebre se l'è cavata, è riuscito a fuggire. Malridotto, zoppicante, i suoi complici l'hanno aiutato a raggiungere i portoni di Forrarossa. E così Daeron Vypern è svanito nella notte.
Tutto qui, il resto sembra una brutta storia di paura, di quelle che le vecchiette raccontano nelle notti di temporale.
Mentre Guelfo e i suoi amici tentavano di raggiungere i fuggiaschi, Clark, uno dei suoi che non conoscevo mi ha trascinato in un edificio ben chiuso e riparato e si è dato da fare, nonostante avesse un braccio al collo, a rattoppare le mie ferite. Mentre fuori, nel buio, era tutto un fruscio spaventoso di ali di corvi, di sinistri gracidii. Il banchetto di quegli orrendi uccellacci è durato fino all'alba, tra corpi smembrati e moribondi lasciati sul campo in balìa dei loro becchi affilati.
"Fammi portare al riparo i corpi di Bron e Trevor..." ho chiesto a Clark. Lui ha scosso il capo. "Non puoi più far nulla per loro. Se esci da queste mura adesso sei morto".
E così abbiamo aspettato in silenzio i primi raggi del sole e il ritorno di Guelfo e dei suoi.
Non sono riuscito ad ammazzarlo e, se non fosse stato per mio "fratello" Guelfo e i suoi amici, ci sarei finito io morto stecchito in pasto ai corvi.
Inutile, non ce l'ho proprio la stoffa dell'eroe, sono buono solo a cacciarmi nei guai... e a coinvolgere poveracci che non c'entrano niente e non hanno neanche un po' della mia fortuna. Il mio gesto impulsivo è costato la vita al cugino di Martine e al mio vecchio amico Trevor, e invece Vypern è riuscito a fuggire, per quanto mal ridotto.
Le cose sono andate così.
Ieri sera, quando siamo stati divisi da Guelfo e gli altri, delle guardie ci hanno accompagnato ad un alloggio molto spartano a ridosso delle mura, al piano inferiore della loro camerata. Benchè formalmente non fossimo agli arresti, l'ambiente in cui ci hanno rinchiusi era piuttosto simile ad una cella, senza finestre e con una porta rinforzata, di metallo. Ci hanno augurato buona notte, non senza un po' di ironia, e non ci è rimasto altro da fare che metterci a riposare.
Non so dire che ora fosse quando Trevor mi ha svegliato. "Sta succedendo qualcosa, Dorian!"
In effetti sopra di noi c'era movimento, agitazione tra le guardie, rumore di gente che si armava in fretta.
"Siamo sotto attacco?"
"Non capisco.... temo ci sia già qualcuno dentro"
Nel frattempo anche Bron si era svegliato. Il cugino di Martine era un animo semplice, ma grande e grosso e coraggioso.
Mentre stiamo ancora decidendo sul dafarsi, ecco che si sente un tonfo, poi un altro, qualche grido. L'aria sembra farsi innaturalmente fredda e anche la luce della nostra torcia si affievolisce senza una ragione apparente.
Trevor e Bron non erano al corrente del mio pur lilmitato talento come mago, e finchè è stato possibile ho cercato di tenerli all'oscuro di questo dettaglio. Ho tuttavia allertato i miei sensi alla ricerca di qualche presenza ostile di natura magica. Ma niente, solo un innaturale silenzio.
"Dobbiamo uscire da qui", ho detto.
Trevor si è persino messo a ridere. "Sopravvaluti le mie capacità, amico... senza gli strumenti giusti una serratura così non posso aprirla nemmeno io"
Ho scosso il capo e mi sono avvicinato a mani nude alla serratura. Ho pronunciato le rune e ho chiuso gli occhi mentre il calore fluiva da me ed arroventava il metallo.
"Ma che diavolo stai..." ha mormorato Bron. Mi sono voltato verso di lui e, quasi scusandomi, gli ho chiesto se poteva dare un calcio alla porta. Incredulo, il brav'uomo ha ubbidito e la porta si è aperta senza difficoltà.
Scale da salire, tanto silenzio. Troppo silenzio, a dirla tutta.
Siamo arrivati al piano del dormitorio delle guardie. Da una finestra spalancata entrava un vento gelido e la nera sagoma di una cornacchia sul davanzale ha iniziato a gracchiare appena ci ha visti. A terra per poco non siamo inciampati nel corpo di due guardie.
"Aspettate qui", ho detto a Trevor e Bron, e mi sono avvicinato alla finestra, che dava sulla corte del Castello.
Il corvo è svolazzato via e seguendolo con lo sguardo ne ho visti molti altri: centinaia, migliaia di corvacci neri che volavano in cerchio su tutta Forrarossa. Pur senza essere mai stato tanto ferrato negli studi teologici, un simile stormo di uccellacci del malaugurio ha fatto suonare tutti i miei campanelli d'allarme, soprattutto sapendo chi, a breve, avrebbe sferrato un attacco al Castello: Daeron Vypern.
Prudenza, Dorian, mi sono detto. Ricordati di chi stiamo parlando, ricorda cosa ha fatto a te, cosa ha fatto a Martine...
In quel momento ho visto un gruppo di armati vestiti di nero che si muoveva attraverso la corte. Hanno affondato la spada in alcuni corpi stesi a terra, forse svenuti. Di certo dopo erano morti.
Poi si sono divisi, alcuni sono andati verso la vecchia Corte, altri verso l'edificio della guardia, proprio dove eravamo noi.
"Prendete delle armi", ho detto ai miei compagni. Ma era buio, un buio eccessivo. A malincuore ho pronunciato alcune rune ed un fascio di luce magica si è sprigionata dalle mie mani. Grazie ad essa abbiamo raccattato qualche arma e ci siamo appostati.
"Li dobbiamo ingaggiare?" ha chiesto Bron.
"Cerchiamo di non farci trovare, ma se dovessero vederci... mettiamocela tutta per farli secchi".
I quattro cavalieri neri non ci hanno trovato, per fortuna. Li abbiamo visti sfilare vicino a noi, ma sono andati oltre.
"Che facciamo adesso?" ha detto Trevor una volta allontanatisi i quattro. "Proviamo a uscire dal Castello?"
"Cerchiamo di capire cosa stanno facendo", ho risposto, io stesso indeciso sul dafarsi. Mi chiedevo dove fossero stati portati Guelfo e gli altri, e cosa stesse combinando Daeron Vypern.
Le risposte ai miei dubbi dovevano arrivare nel giro di pochi istanti.
Ho visto le porte del palazzo del Barone aprirsi, ed uscirne Daeron in persona, affiancato da una donna e un altro paio di uomini in nero.
Un brivido mi ha attravesato la schiena, e il primo istinto è stato quello di ritrarmi. Ma gli occhi imploranti di Martine mi sono balenati davanti, e non ci ho visto più dalla collera. Maledetto Vypern...
Come un segno del destino, proprio allora dalla vecchia corte si è levata una colossale fiammata di natura sovrannaturale, e nel bagliore di quel fuoco ho riconosciuto immediatamente l'opera di mio fratello Guelfo. Mai l'ho sentito tanto vicino a me come in quell'istante. Nostro padre sarebbe stato orgoglioso di noi.
Mi sono frugato nelle tasche, mentre dicevo ai miei compagni di seguirmi, e sono corso verso la porta.
Bes-Ak-Vas! ho gridato appena l'ho sentito a tiro, e tre boomerang di luce si sono scagliati su Vypern, che ha gridato di dolore.
Subito i suoi uomini sono corsi verso di noi, è stato tutto molto concitato. Abbiamo provato ad allontanarci per non restare intrappolati nel Corpo di Guardia, e siamo finiti circondati nella Corte, coi corvi che ci svolazzavano gracchiando sulla testa e decisamente troppi avversari intorno.
Trevor è caduto per primo, anche per Bron non c'è stata speranza. Io non sono uno spadaccino particolarmente capace, tutt'altro, ma evidentemente ho avuto fortuna, e gli anni spesi a far disperare i maestri d'armi e a sentirmi dire che ero negato sono serviti a qualcosa. Mi hanno ferito ripetutamente, ma sono rimasto in piedi, pur vedendomela bruttissima.
Guelfo e i suoi amici sono corsi in mio aiuto, tanto da permettermi un ultimo tentativo disperato di scagliare le mie lame di luce contro Vypern. L'ho preso in pieno, ma non è bastato. Quel maledetto adoratore delle Tenebre se l'è cavata, è riuscito a fuggire. Malridotto, zoppicante, i suoi complici l'hanno aiutato a raggiungere i portoni di Forrarossa. E così Daeron Vypern è svanito nella notte.
Tutto qui, il resto sembra una brutta storia di paura, di quelle che le vecchiette raccontano nelle notti di temporale.
Mentre Guelfo e i suoi amici tentavano di raggiungere i fuggiaschi, Clark, uno dei suoi che non conoscevo mi ha trascinato in un edificio ben chiuso e riparato e si è dato da fare, nonostante avesse un braccio al collo, a rattoppare le mie ferite. Mentre fuori, nel buio, era tutto un fruscio spaventoso di ali di corvi, di sinistri gracidii. Il banchetto di quegli orrendi uccellacci è durato fino all'alba, tra corpi smembrati e moribondi lasciati sul campo in balìa dei loro becchi affilati.
"Fammi portare al riparo i corpi di Bron e Trevor..." ho chiesto a Clark. Lui ha scosso il capo. "Non puoi più far nulla per loro. Se esci da queste mura adesso sei morto".
E così abbiamo aspettato in silenzio i primi raggi del sole e il ritorno di Guelfo e dei suoi.

30 gennaio 519
Venerdì 1 Luglio 2011
Notte senza luna
Stasera la locanda è davvero piena. Il vento freddo che spazzola le strade di Chalard ha spinto tutti dentro, viandanti e cittadini. I primi a entrare, più fortunati, hanno trovato posto vicino al caminetto: il resto spinge contro il bancone, battendo con impazienza il suo boccale vuoto in attesa che qualche anima pia si decida a riempirlo di sidro caldo.
"Versa, versa!" Il coro di avventori infreddoliti inneggia alla botte che si erge a fatica oltre la soglia del bancone, sorretta dalle mie braccia e da quelle di Flan. "Sei pronta?" Mi chiede lui, preparandosi a correre: il frastuono è tale che lo sento a malapena. "Sempre!", gli urlo di rimando: al suo segnale iniziamo a correre, inseguiti dal copioso tracimare del sidro bollente e da una fila indistinta di boccali assetati.
Un lavoro come un altro. A dirla tutta, forse preferivo la pasticceria: ma è stato un autunno impegnativo, e Mastro Peron doveva fare qualcosa. "O te o Greta", mi ha detto. "Io penso che tu sia più brava, ma..."
"Tenete Greta, per carità. Sarà mamma prima dell'estate..."
"E la retta di Jacob?"
"Non preoccupatevi per me, davvero: so già dove andare".
E' quasi un mese che lavoro qui. Jules è stato gentile a convincere zia Brigida. "Guarda che non è una passeggiata lavorare qui, per una secca secca come te!" Aveva ragione da vendere: ci sono volute settimane per abituarmi al mal di schiena. Ne è valsa la pena, però: Jacob si è ambientato, a Noyes, e ha una nuova amica. Sta crescendo in fretta! Tra poco vorrà essere lui a badare a me. Quanto a Guelfo... chissà se sta bene. Speravo che tornasse per la Rinascita, mi sarebbe piaciuto poterla festeggiare insieme a lui. Non per altro, ma...
...
"Al diavolo! Chi vuoi prendere in giro, Nailah? La verità è che ti piace, ti piace un sacco. Vedi di dirglielo, una buona volta! Che può succedere di brutto? Almeno, se va male, ti metti il cuore in pace".
Ah, Greta, come le fai facili tu queste faccende. Vorrei che mi prestassi la tua faccia tosta, il giorno che tornerà...
"Ancora, ancora!" urlano gli avventori nell'istante in cui la botte spilla l'ultima sua goccia. "Ce la fai da sola?", mi chiede zia Brigida mentre spingo il fusto vuoto in direzione del retrobottega. Le annuisco con un sorriso: "il trucco è farla rotolare!".
La maniglia della porta è fredda come il ghiaccio: mi aspetta un bell'abbraccio di aria gelata. Un bel respiro, poi apro la porta. Niente luna oggi, neppure una minuscola falce. La botte vuota rotola oltre l'uscio, andando a far compagnia alle altre. Faccio per rientrare, quando l'occhio mi cade su uno strano sacco. No, non è un sacco: sembra più un mantello. Qualcuno deve averlo smarrito...
A un tratto qualcosa di vetro, o forse di coccio, si frantuma sulla mia testa. La prima cosa a cui penso è il vaso di petunie di Brigida, impunemente ostentato sul balcone a dispetto della loro morte avvenuta mesi addietro. Che sfortuna, penso toccandomi la testa. Sento caldo sotto alle dita, tra i capelli.
"I soldi".
La paura per quella voce improvvisa mi fa trasalire."C.. cosa?" La voce mi esce da sola, senza alcun controllo. Il cuore batte forte.
"I soldi. Dammi i soldi".
"N... non ho niente, lo giuro".
"Voltati".
Mi volto: il bandito si trova di fronte a me, ha in mano qualcosa che sembra un coltello... no, non è un coltello. Sembra piuttosto qualcosa di simile a un grosso spillone, sottilissimo e acuminato. Oh Dei...
"Guardami".
Alzo gli occhi, ma il buio e la paura non mi fanno vedere nulla. Sforzati, Nailah... Potresti doverlo riconoscere.
"Guardami, ho detto!"
Inutile. Non riesco a metterlo a fuoco. E' buio, la testa mi fa male, ho troppa paura. Sento le lacrime agli occhi, ci vedo doppio, la testa mi fa male. "Per favore... ti prego..."
Scuote la testa. "Non voglio farti del male: voglio solo i soldi. Dammi i soldi.".
Annuisco. Mi viene da piangere. Forse sono ferita, forse sono già grave. Mi tremano le gambe.
"I soldi, maledizione!" Osservo mentre mi punta lo spillone addosso, sul ventre.
"Ti prego... N... non ho soldi, con me... D.. dentro... dentro ci sono dei soldi... ti prego..."
"Dimmi il tuo nome".
"C... cos...."
"Il tuo nome, cazzo!"
"Ti prego, per favore..." le parole mi escono da sole: lo supplico, in lacrime, in preda al terrore.
"Avanti... Dimmi come ti chiami senza pisciarti addosso e prometto che ti lascio andare".
Per un istante la luce proveniente dalla locanda illumina il suo sguardo. Maledetto bugiardo, il mio nome lo sai già. Voltarmi di scatto, correre all'interno, aprire la bocca per gridare aiuto. Questo è ciò che devo fare, ciò che provo a fare. Ma il mio piano si arena dopo la prima mossa: il dolore alla testa mi blocca sull'uscio prima ancora delle sue mani. Una sulla bocca, l'altra sulla spalla. Qualcosa mi punge sotto la scapola: un dolore acuto e intenso, come il pungiglione di un insetto. E' così, dunque: sta accadendo davvero. Mi tocca morire qui, in questo cortile interno, a un metro e mezzo da una folla infinita di persone. Non è giusto. Non...
"Prima tu... poi Jacob".
No. Questo no. Per favore, per l'amore degli Dei, no. Ti prego, no. Provo a dirlo, provo a urlarlo... Ma non ci riesco. Mi manca il fiato. Non riesco a respirare, non riesco a prendere aria. Respiro, ma non succede niente. Respiro ancora, sento dell'acqua dentro al naso, dentro alla gola. Acqua calda. Dolore inaudito. Jacob, Guelfo, Greta... Marin, Vaenar, Mara... Madama Rossane... Jules.... Flan... Brigida... Mastro... Peron...
"Versa, versa!" Il coro di avventori infreddoliti inneggia alla botte che si erge a fatica oltre la soglia del bancone, sorretta dalle mie braccia e da quelle di Flan. "Sei pronta?" Mi chiede lui, preparandosi a correre: il frastuono è tale che lo sento a malapena. "Sempre!", gli urlo di rimando: al suo segnale iniziamo a correre, inseguiti dal copioso tracimare del sidro bollente e da una fila indistinta di boccali assetati.
Un lavoro come un altro. A dirla tutta, forse preferivo la pasticceria: ma è stato un autunno impegnativo, e Mastro Peron doveva fare qualcosa. "O te o Greta", mi ha detto. "Io penso che tu sia più brava, ma..."
"Tenete Greta, per carità. Sarà mamma prima dell'estate..."
"E la retta di Jacob?"
"Non preoccupatevi per me, davvero: so già dove andare".
E' quasi un mese che lavoro qui. Jules è stato gentile a convincere zia Brigida. "Guarda che non è una passeggiata lavorare qui, per una secca secca come te!" Aveva ragione da vendere: ci sono volute settimane per abituarmi al mal di schiena. Ne è valsa la pena, però: Jacob si è ambientato, a Noyes, e ha una nuova amica. Sta crescendo in fretta! Tra poco vorrà essere lui a badare a me. Quanto a Guelfo... chissà se sta bene. Speravo che tornasse per la Rinascita, mi sarebbe piaciuto poterla festeggiare insieme a lui. Non per altro, ma...
...
"Al diavolo! Chi vuoi prendere in giro, Nailah? La verità è che ti piace, ti piace un sacco. Vedi di dirglielo, una buona volta! Che può succedere di brutto? Almeno, se va male, ti metti il cuore in pace".
Ah, Greta, come le fai facili tu queste faccende. Vorrei che mi prestassi la tua faccia tosta, il giorno che tornerà...
"Ancora, ancora!" urlano gli avventori nell'istante in cui la botte spilla l'ultima sua goccia. "Ce la fai da sola?", mi chiede zia Brigida mentre spingo il fusto vuoto in direzione del retrobottega. Le annuisco con un sorriso: "il trucco è farla rotolare!".
La maniglia della porta è fredda come il ghiaccio: mi aspetta un bell'abbraccio di aria gelata. Un bel respiro, poi apro la porta. Niente luna oggi, neppure una minuscola falce. La botte vuota rotola oltre l'uscio, andando a far compagnia alle altre. Faccio per rientrare, quando l'occhio mi cade su uno strano sacco. No, non è un sacco: sembra più un mantello. Qualcuno deve averlo smarrito...
A un tratto qualcosa di vetro, o forse di coccio, si frantuma sulla mia testa. La prima cosa a cui penso è il vaso di petunie di Brigida, impunemente ostentato sul balcone a dispetto della loro morte avvenuta mesi addietro. Che sfortuna, penso toccandomi la testa. Sento caldo sotto alle dita, tra i capelli.
"I soldi".
La paura per quella voce improvvisa mi fa trasalire."C.. cosa?" La voce mi esce da sola, senza alcun controllo. Il cuore batte forte.
"I soldi. Dammi i soldi".
"N... non ho niente, lo giuro".
"Voltati".
Mi volto: il bandito si trova di fronte a me, ha in mano qualcosa che sembra un coltello... no, non è un coltello. Sembra piuttosto qualcosa di simile a un grosso spillone, sottilissimo e acuminato. Oh Dei...
"Guardami".
Alzo gli occhi, ma il buio e la paura non mi fanno vedere nulla. Sforzati, Nailah... Potresti doverlo riconoscere.
"Guardami, ho detto!"
Inutile. Non riesco a metterlo a fuoco. E' buio, la testa mi fa male, ho troppa paura. Sento le lacrime agli occhi, ci vedo doppio, la testa mi fa male. "Per favore... ti prego..."
Scuote la testa. "Non voglio farti del male: voglio solo i soldi. Dammi i soldi.".
Annuisco. Mi viene da piangere. Forse sono ferita, forse sono già grave. Mi tremano le gambe.
"I soldi, maledizione!" Osservo mentre mi punta lo spillone addosso, sul ventre.
"Ti prego... N... non ho soldi, con me... D.. dentro... dentro ci sono dei soldi... ti prego..."
"Dimmi il tuo nome".
"C... cos...."
"Il tuo nome, cazzo!"
"Ti prego, per favore..." le parole mi escono da sole: lo supplico, in lacrime, in preda al terrore.
"Avanti... Dimmi come ti chiami senza pisciarti addosso e prometto che ti lascio andare".
Per un istante la luce proveniente dalla locanda illumina il suo sguardo. Maledetto bugiardo, il mio nome lo sai già. Voltarmi di scatto, correre all'interno, aprire la bocca per gridare aiuto. Questo è ciò che devo fare, ciò che provo a fare. Ma il mio piano si arena dopo la prima mossa: il dolore alla testa mi blocca sull'uscio prima ancora delle sue mani. Una sulla bocca, l'altra sulla spalla. Qualcosa mi punge sotto la scapola: un dolore acuto e intenso, come il pungiglione di un insetto. E' così, dunque: sta accadendo davvero. Mi tocca morire qui, in questo cortile interno, a un metro e mezzo da una folla infinita di persone. Non è giusto. Non...
"Prima tu... poi Jacob".
No. Questo no. Per favore, per l'amore degli Dei, no. Ti prego, no. Provo a dirlo, provo a urlarlo... Ma non ci riesco. Mi manca il fiato. Non riesco a respirare, non riesco a prendere aria. Respiro, ma non succede niente. Respiro ancora, sento dell'acqua dentro al naso, dentro alla gola. Acqua calda. Dolore inaudito. Jacob, Guelfo, Greta... Marin, Vaenar, Mara... Madama Rossane... Jules.... Flan... Brigida... Mastro... Peron...

13 febbraio 519
Lunedì 20 Giugno 2011
Il giorno in cui avrei potuto salvarti
toc... toc... toc...
"Un altro chiodo... grazie"
"Non avresti potuto fare niente". Le parole consolatorie di Frate Erwin continuano a risuonarmi nella mente, scandite dal battere del martello. "Non avresti potuto fare niente"
toc... toc... toc...
In verità non è così.
C'è stato un giorno in cui avrei potuto salvarti.
Il giorno in cui ho fatto la mia scelta... ed ho preferito Luceen.
Adesso, col ricordo fresco di Carmen con le mani bloccate negli anelli di una catena e tradotta via dall'Inquisizione, ripenso a quel giorno, a quel momento. E mi chiedo fino a che punto è colpa mia.
Era il mio dovere fermarla, era in mio potere farlo.
"Non sposarti con Rostand, non commettere una simile follia, non comprometterti con il Barone e con la sua famiglia"
"E tu abbandona Luceen al suo destino, Andrè, lavati le mani di quei pezzenti".
Carmen... sorella mia, cosa hai fatto?
Inchiodo le assi di legno del pavimento della locanda, in ginocchio a terra accanto ai "pezzenti" di cui parlavi, ed ogni chiodo che fisso mi interrogo sul valore delle cose, su quanto le nostre scelte possano essere fatali. Alternative del diavolo, in cui è impossibile scegliere per il bene, senza conseguenze nefaste per molti innocenti.
Se avessi immaginato gli esiti di quella scelta, se avessi immaginato di Ludmilla, di Carmen, del sangue che sarebbe stato versato per questa follia... avrei abbandonato Luceen? Avrei scelto di tenere Carmen stretta a me nella torre, sotto controllo, al sicuro, e lasciare questa gente al proprio destino?
Guardo gli occhi riconoscenti di queste persone, il loro sguardo fiducioso, e mi viene di dire no. Ma poi penso alla Cattedrale distrutta e a tutta la rovina che ha colpito questa Baronia e mi viene la pelle d'oca.
Avrei potuto impedire tutto quanto, se soltanto fossi stato capace di tenere a bada mia sorella.
toc... toc... toc...
Sogno di una casa che non può esistere, di una pace che non ci sarà mai. Sono soltanto un uomo, eppure ho compiuto le mie scelte, e con le mie scelte ho influenzato la storia.
Carmen è perduta. Ludmilla amaramente vendicata. Mio nipote in Monastero, soltanto un bambino e già "un problema".
Cosa mi resta?
Mi restano "questi pezzenti". Mi resta il sogno di un villaggio che cresce e diventa un "Campo di Luce". E' questo che Luceen significa: "Campo di Luce". Ed è così la voglio immaginare, così che voglio che sia. Sogno che esista davvero una via d'uscita da tutta questa oscurità, e che oltre il buio e la notte si spalanchi un prato immenso baciato dal sole.
Carmen, mia sorella amata, potrai un giorno perdonarmi? Ti ho abbandonata nella ragnatela oscura delle ambizioni, ho lasciato che tu scivolassi nella rovina e nel peccato. Non ho saputo fermarti, troppo spaventato dal tuo sguardo e dai tuoi desideri.
Ti ho sempre amata, ma non ti ho mai capita. E ormai è troppo tardi.
toc... toc... toc...
Diamoci da fare. Mi resta soltanto un sogno... e voglio che diventi realtà.
"Un altro chiodo... grazie"
"Non avresti potuto fare niente". Le parole consolatorie di Frate Erwin continuano a risuonarmi nella mente, scandite dal battere del martello. "Non avresti potuto fare niente"
toc... toc... toc...
In verità non è così.
C'è stato un giorno in cui avrei potuto salvarti.
Il giorno in cui ho fatto la mia scelta... ed ho preferito Luceen.
Adesso, col ricordo fresco di Carmen con le mani bloccate negli anelli di una catena e tradotta via dall'Inquisizione, ripenso a quel giorno, a quel momento. E mi chiedo fino a che punto è colpa mia.
Era il mio dovere fermarla, era in mio potere farlo.
"Non sposarti con Rostand, non commettere una simile follia, non comprometterti con il Barone e con la sua famiglia"
"E tu abbandona Luceen al suo destino, Andrè, lavati le mani di quei pezzenti".
Carmen... sorella mia, cosa hai fatto?
Inchiodo le assi di legno del pavimento della locanda, in ginocchio a terra accanto ai "pezzenti" di cui parlavi, ed ogni chiodo che fisso mi interrogo sul valore delle cose, su quanto le nostre scelte possano essere fatali. Alternative del diavolo, in cui è impossibile scegliere per il bene, senza conseguenze nefaste per molti innocenti.
Se avessi immaginato gli esiti di quella scelta, se avessi immaginato di Ludmilla, di Carmen, del sangue che sarebbe stato versato per questa follia... avrei abbandonato Luceen? Avrei scelto di tenere Carmen stretta a me nella torre, sotto controllo, al sicuro, e lasciare questa gente al proprio destino?
Guardo gli occhi riconoscenti di queste persone, il loro sguardo fiducioso, e mi viene di dire no. Ma poi penso alla Cattedrale distrutta e a tutta la rovina che ha colpito questa Baronia e mi viene la pelle d'oca.
Avrei potuto impedire tutto quanto, se soltanto fossi stato capace di tenere a bada mia sorella.
toc... toc... toc...
Sogno di una casa che non può esistere, di una pace che non ci sarà mai. Sono soltanto un uomo, eppure ho compiuto le mie scelte, e con le mie scelte ho influenzato la storia.
Carmen è perduta. Ludmilla amaramente vendicata. Mio nipote in Monastero, soltanto un bambino e già "un problema".
Cosa mi resta?
Mi restano "questi pezzenti". Mi resta il sogno di un villaggio che cresce e diventa un "Campo di Luce". E' questo che Luceen significa: "Campo di Luce". Ed è così la voglio immaginare, così che voglio che sia. Sogno che esista davvero una via d'uscita da tutta questa oscurità, e che oltre il buio e la notte si spalanchi un prato immenso baciato dal sole.
Carmen, mia sorella amata, potrai un giorno perdonarmi? Ti ho abbandonata nella ragnatela oscura delle ambizioni, ho lasciato che tu scivolassi nella rovina e nel peccato. Non ho saputo fermarti, troppo spaventato dal tuo sguardo e dai tuoi desideri.
Ti ho sempre amata, ma non ti ho mai capita. E ormai è troppo tardi.
toc... toc... toc...
Diamoci da fare. Mi resta soltanto un sogno... e voglio che diventi realtà.

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