Cerca nel Sito

NomeKeywordsDescrizioneSezioniVoci correlate

Forum di Myst

 
« Abbiate pietà di me, sono stata circuita! »
- Larissa Weiser -
 
Solice Kenson
Cronache della Campagna di Caen
Solice Kenson
"Voi avete coraggio e siete molto convincente: ma non appena sarete chiamata a combattere, al primo combattimento che possa realmente definirsi tale, voi morirete. E non parlo di scontri confusi o ingarbugliati, dove nessuno capisce fino in fondo quello che sta facendo o magari ha meno voglia di uccidervi che di portare la pelle a casa. Parlo di uno scontro vero, in cui affronterete una persona con le vostre sole forze. Beh, è giunto il momento che qualcuno che vi vuole bene vi dica che queste forze non basteranno proprio contro nessuno".
creato il: 20/05/2005   messaggi totali: 91   commenti totali: 32
351814 visite dal 31/07/2007 (ultima visita il 20/04/2024, 08:38)
ultimi 3 articoli (cambia) · Pagina 20 di 31
10 · 11 · 12 · 13 · 14 · 15 · 16 · 17 · 18 · 19 · 20 · 21 · 22 · 23 · 24 · 25 · 26 · 27 · 28 · 29
12 maggio 517
Giovedì 5 Aprile 2007

Il sesto giorno

La conversazione con Jen era piuttosto stimolante e, a differenza dell'ultima volta, ero io quella con più viaggi sulle spalle e un numero maggiore di cose da raccontare. Certo, se al posto mio ci fosse stata Jen con gli amici di Caen, le cose sarebbero andate molto diversamente: il malvagio Hakon, il razziatore che non si fece scrupolo di depredare un santuario di Pyros, avrebbe avuto una spada in più rivolta verso di sè e la sua armata di vigliacchi. E qualcosa sarebbe cambiato anche nelle profondità del Miestwode: forse lei sarebbe stata capace di difendere Abel... Tuttavia, non era andata così: la sorte aveva deciso di mettere me a ricoprire quel ruolo, ed ogni singola volta le mie ginocchia si erano piegate, incapaci di sorreggermi quel tanto che bastava per adempiere ai miei doveri e difenderli con la spada.

Jen ascoltava i miei racconti in silenzio, mentre cavalcava. A differenza di Malaki, il suo atteggiamento nei miei confronti era spigliato e decisamente diretto.

"Devi ringraziare di essere ancora viva: i Nordri sono guerrieri formidabili, non c'è niente di cui vergognarsi a perdere uno scontro con loro. E poi il loro capo è morto, no?"

Era vero. Hakon il malvagio era morto, il suo corpo orribilmente macerato dall'operato di forze arcane provenienti dalla voce e dai gesti dello stregone che nostro malgrado ci aveva seguito. Stando al racconto di Eric egli aveva pronunciato parole arcane, aggravando a dismisura le già compromesse condizioni di salute del barbaro e provocandone la morte in preda a spasmi di dolore.

Lothar: lo stesso individuo che, pochi giorni prima, aveva salvato dalle fiamme gli occupanti di una casa che non ero riuscita a mettere in salvo. Colui che di lì a poco sarebbe diventato il maestro di Guelfo, colpito dall'efficacia del suo tremendo potere in misura di certo maggiore che non dai miei patetici tentativi di difendere quel sacro suolo. Fino a quel momento, malgrado fossi cosciente dei miei limiti con la spada, ero convinta di poter dare se non altro un segnale, un esempio della forza degli ideali professati dalla mia fede: ma era davvero cosi'?

Non raccontai a Jen i dettagli di quello scontro, così come le tenni nascosto il mio giuramento e l'impegno di servire gli obiettivi della Rosa. Ma non riuscii a tenerle nascosti i dubbi che mi attanagliavano da quando Malaki aveva appoggiato la punta della sua spada sul mio cuore, provocando in me una ferita non meno grave di quanto avrebbe prodotto un affondo portato a piena forza.

"Andiamo, cos'è quella faccia? Sei ancora giovane, hai tutta la vita davanti!", si limitò a dirmi inizialmente, mentre addentava una mela durante una delle nostre pause. Ero talmente immersa nei miei pensieri che mi dimenticai di risponderle... grosso errore. Un torsolo di mela mi colpì sul capo, producendo un rumore simile a una bottiglia di vetro sigillata quando la si apre per la prima volta.

STOC!

La guardai perplessa, non sapendo cosa fare. Perche' lo aveva fatto?

"Visto? Suona a vuoto! Quindi è inutile che fai finta di pensare", disse alzandosi e venendo verso di me, "tanto non ci crede nessuno. La verità è soltanto una, e la sai benissimo. Non sei tagliata per questa vita: vivere all'aperto, cibarsi di bacche, cacciare, pescare, arrangiarsi, tirare di spada contro qualcosa di diverso da un manichino o un istruttore che ti faccia vincere apposta... Questa è la verità. Questo è il mio mondo, ma non il tuo: per te il posto è soltanto uno, l'altare, e dovresti ringraziare il cielo di poter scegliere se stare in piedi dietro di esso o davanti e in ginocchio".

Continuai a guardarla, senza dire una parola: le sue parole facevano male.

"Tra l'altro", continuò portandosi un dito alla fronte, "io fossi in te non ci starei troppo a pensare: tuo padre guarda lontano e non si accorge tu hai già scelto qualcuno di molto, molto vicino. Non è forse cosi'?" disse sorridendo.

Scossi la testa, senza ricambiare il sorriso. "No", risposi costernata, "non è così. E mi ferisce davvero che tu possa crederlo. Credevo che mi volessi bene, che potessi comprendere ciò che sto passando e rispettare le scelte che ho fatto". Possibile che parlasse sul serio? D'un tratto non la riconoscevo più. Guardai Malaki, intento a lavare le scodelle su cui avevamo appena pranzato. Anche lui non batteva ciglio, malgrado avesse quasi certamente sentito tutto.

"Non mi sembra che tu faccia nulla per difenderle o sostenerle: nulla di pratico, almeno. La spada si studia, si impugna, si vive. Tu forse la impugni? No, apri la bocca e parli. La sfoderi forse ogni giorno per allenarti? No, apri i libri e leggi. Tu sei fatta per impugnare la penna, non la spada: è così che hai impostato la tua vita, e anche se sei ancora in tempo per cambiare ti consiglio di chiederti se è quello che realmente vuoi". E cosi' dicendo mi tirò un altro torsolo.

STOC!

"Tu potresti allenarmi", le chiesi dopo un attimo di esitazione. "Potresti..."

"O magari", mi interruppe subito, "posso convincerti a indossare la tunica invece dell'armatura. Potresti servire gli dei senza sanguinare, senza provare vergogna per te e per loro ogni volta che rovini a terra".

Scossi la testa, energicamente: era un discorso che mi era stato ripetuto almeno altre due volte, da entrambi i padri a cui gli Dei mi avevano affidato: tanto il mio genitore quanto padre Jacques a Foucault avevano espresso la loro perplessità di fronte alla scelta che intendevo compiere, ed entrambi avevano finito con l'accettare la mia decisione a intraprendere la strada che maggiormente sentivo. E, malgrado la sensazione di impotenza degli ultimi giorni, quella scelta continuava ad ardere al centro del mio cuore, alimentata da una fiamma tanto ardente e vigorosa da non poter essere spenta da nessuna lacrima.

Prima di rispondere, mi alzai in piedi. "Il mio posto è qui, con voi: con l'armatura, con la spada. Posso scegliere di non sfoderare quest'ultima, e di combattere con altri mezzi, ma non possiedo la facoltà di stabilire la direzione che la mia fede deve intraprendere a seconda delle mie emozioni".

Jen mi guardò per alcuni istanti. Poi sorrise, annuendo con il capo. Guardandola, mi resi conto dello sforzo che dovevano esserle costate le precedenti parole: a suo modo aveva cercato di aiutarmi, come Malaki. Erano molto diversi tra loro, ma l'affetto che provavano nei miei confronti era lo stesso. La ringraziai con lo sguardo, in silenzio: "vorrei davvero che fosse così semplice come lo è per te, Jen", pensai mentre la guardavo.

In seguito non parlammo più di questa cosa. Restammo sulle colline Khadan per quasi 2 giorni, senza trovare alcuna traccia di sir Thomas e dei suoi uomini. Le visioni smisero temporaneamente di tormentarmi, senza però che il mio sonno si decidesse a stabilizzarsi: giorno dopo giorno continuavo ad accumulare stanchezza, e sebbene mi sforzassi di tenerlo nascosto ai miei compagni di viaggio mi era diventato pressoché impossibile compiere qualsiasi azione diversa dallo stare a cavallo e dal mangiare. Al termine del secondo giorno, poco prima dell'imbrunire, Jen si fermò ad osservare la corteccia di un albero con fare preoccupato.

"Guarda qui", disse rivolta al fratello, che si affrettò a confermare la sua impressione. Per quello che potevo vedere, la corteccia non aveva che alcune venature, più che normali su un albero di quell'età e di simili dimensioni.

"Cosa succede?" chiesi, vedendoli preoccupati.

"Cugini", rispose Jen. "Il loro linguaggio degli alberiè cambiato e non sono capace di leggerlo, ma di certo sono stati qui da poco: questi segni sono ancora freschi".

Il linguaggio degli alberi: ero al corrente di questa particolarità dei soldati di Keib, addestrati a marcare il territorio ostile con segni in grado di poter essere riconosciuti dai loro compagni d'armi: successivamente alla guerra del 506, l'alto numero di prigionieri catturati sul campo di battaglia aveva dato alla marca di Beid il vantaggio di poter apprendere tale strumento nel corso degli anni, costringendoli a modificarlo progressivamente.

"Perché utilizzare il linguaggio degli alberi se l'obiettivo è sir Thomas?" chiesi. "Significa forse che sono organizzati in più squadre, come noi?"

"Ne dubito", rispose Malaki. "Una singola pattuglia ha discrete possibilità di eludere le torri di avvistamento, se è poco numerosa e si muove con circospezione: ma molte pattuglie rischiano di commettere molti errori, e uno solo di essi potrebbe mettere a repentaglio la sopravvivenza di tutte".

"E allora, perché..."

"Ci sono varie possibilità", intervenne Jen. "La prima è che abbiano un esploratore davanti a loro, con il compito di segnalare la posizione delle delle nostre vedette al drappello che lo segue a ragionevole distanza".

"E la seconda?" Chiesi: il suo tono di voce era strano, potevo leggere la preoccupazione di entrambi.

Malaki impiegò alcuni minuti per scrutare il terreno che circondava quell'albero: dopo qualche passo si fermò, indicando con la punta dello stivale quella che poteva essere la traccia di un uomo solo.

"La seconda", disse poi, gravemente, "è che non segnalino affatto le sentinelle o le vedette di Beid".

Alzò la testa, incontrando il mio sguardo che lo fissava con aria interrogativa.

"Keib", disse poi, indicando verso est. "Chiunque abbia lasciato quei segni, lo ha fatto per qualcuno diretto in quella direzione".

"Questo potrebbe significare che sir Thomas sta bene!", intervenne Jen, con aria sollevata. "Magari è semplicemente un segnale rivolto ad altre vedette più avanzate".

"O magari", continuò Malaki, "rivolto a qualcuno che abbia motivo di temere le vedette di Keib. Magari su queste colline c'è davvero qualcuno intenzionato a togliere di mezzo sir Thomas", aggiunse poi, tenendo lo sguardo fisso, "ma comincio a pensare che potrebbe avere ben poco a che spartire con i nostri cugini".


scritto da Solice , 03:08 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
11 maggio 517
Martedì 3 Aprile 2007

Il quinto giorno

Il sole era ormai prossimo al tramonto quando Jen decise di fermare il cavallo, indicandoci un avvallamento distante un centinaio di metri dal sentiero che stavamo percorrendo. Non sembrava comodo, ma se non altro avrebbe fornito un riparo abbastanza sicuro.

"C'è anche un torrente da quelle parti" esclamò con un sorriso, notando la mia espressione perplessa. "E' l'ideale, ha tutte le comodità". Così dicendo scese dalla sua cavalcatura con l'intenzione di piantare le tende finché c'era luce. Prima che io e suo fratello potessimo seguirla era già a una ventina di metri.

"Avanti, pelandroni!" disse voltandosi a guardarci.

"Non provocarmi, rospetta" le rispose Malaki, "quando deciderò di muovermi alla svelta non ci capirai niente. E cerca non allontanarti da noi in questo modo, ricorda quello che stiamo facendo".

Jen alzò le spalle, guardandosi intorno: "conosco questo sentiero come le mie tasche: vengo spesso da queste parti quando ho voglia di stare un pò da sola o per allenarmi con la spada o a cavallo, e posso assicurarvi che non ho mai incontrato anima viva".

Probabilmente aveva ragione: la zona ovest delle colline Khadan era saldamente sotto il controllo dei soldati di Beid da diversi anni: inoltre, le torri d'avvistamento costruite dagli uomini di mio padre fornivano una visibilità sufficiente a rendere poco prudente un'avanzata ostile. Eppure, stando a quanto dichiarato dall'uomo-dal-nome-impronunciabile, Rosalie si trovava in un luogo ancora più vicino alla mia città natale: una caverna in cui lui stesso era stato imprigionato, senza peraltro conoscerne l'ubicazione. Lo avevano bendato, cosi' aveva detto.

...

"Come osi pronunciare simili menzogne davanti a un paladino di Pyros? Sir Thomas sarebbe pronto a dare la vita per la sua città e per mio padre!" La voce uscì dalla gola rapida come il vento prima che potessi spogliarla dell'ira che, vincendo per un istante il mio controllo, era riuscita a spillare il suo veleno nelle mie vene.

"A giudicare da questa reazione", commentò l'individuo dietro le sbarre, "qualsiasi monito sarebbe inutile. Non temete milady, non ho intenzione di infrangere un'altra volta il mio giuramento al vostro cospetto: il vostro cavaliere possiede verso la vostra terra una fede forte almeno quanto quella che voi stessa riponete in lui. Ed è proprio per questo, e per le sue abilità di comandante e di uomo d'armi, che hanno deciso di farlo a pezzi. E credetemi se vi dico", aggiunse poi scostandosi i capelli dal collo, "che non è uno scontro che si possa vincere con le armi che quelli come lui e come me siamo soliti impugnare".

Feci per parlare, ma la bocca rifiutò di muoversi, restando semiaperta di fronte alla ferita che l'individuo di fronte a me aveva deciso di mostrarmi attraverso le sbarre. Arretrai, terrorizzata: sebbene non l'avessi mai vista prima, ricordavo fin troppo bene le parole di chi aveva provato a descrivermela; artigli profondi come quelli impressi in quella ferita avevano già incominciato a scavare nel mio passato.

L'uomo di Focault. Il misterioso individuo che tutti avevano sentito e che nessuno aveva visto, che secondo il racconto di Valerie ci aveva protette da un grande pericolo per poi svanire nell'oscurità della notte dopo aver riportato una gravissima ferita al collo. "Pesanti artigliate, come quelle di un enorme lupo: il marchio del Caos Primitivo": queste erano state alcune delle parole della mia amica. La mia mente sapeva che poteva trattarsi di una coincidenza, ma lo sguardo con cui l'individuo dietro le sbarre osservava il mio sgomento sembrava asserire il contrario in modo altrettanto deciso.

"Cosa... cosa significa?" mi limitai a balbettare, confusa e spaventata.

"Che Sir Thomas è il primo della lista", rispose. "Lo toglieranno di mezzo prima del matrimonio, nei giorni in cui Beid sarà troppo occupata a guardare altrove per dar peso alla sua scomparsa... Passeranno alcuni giorni, troppi: poi alla festa seguirà il dolore, ma a quel punto sarà troppo tardi".

Come lava che sgorga fuori dalla bocca di un vulcano quel fiume di parole ardeva senza produrre fuoco, incenerendo l'aria intorno a me senza lasciar intravedere alcuna traccia della luce di Pyros, impedendomi di respirare. Sir Thomas era il primo della lista: chi sarebbe venuto dopo? Mio padre? Mio fratello?

Accortosi delle mie difficoltà ad accettare tale rivelazione, Malaki si affrettò a intervenire. "E sentiamo, genio della lampada", esclamò, "quale plotone di soldati di Keib ha deciso di andare incontro a morte certa volgendo le armi contro sir Thomas e i suoi uomini?"

E fu a quel punto che l'uomo fece per la prima volta quel nome: il Caos Primitivo. Ci parlò di uno strumento di morte, le cui corde erano manovrate dall'immonda divinità il cui nome atroce non è degno di essere pronunciato. Uno strumento giovane e potente, la cui anima corrotta è stata ricompensata con doni tali da renderlo pressoché invincibile. "Nell'istante stesso in cui l'ho affrontata", aggiunse, "ho capito che non possedevo la fede sufficiente per averne ragione. Le omissioni simili a menzogne che ero stato costretto a adoperare per arrivare a lei giustificavano forse il mio fine, ma avevano finito col togliermi l'unica cosa che avrebbe potuto garantirmi la vittoria".

"Questo non mi stupisce affatto", aggiunse Malaki, "considerando il casino che sei riuscito a fare qui da noi".

Dopo quella rivelazione, l'interrogatorio si avviò rapidamente alla sua conclusione: avevo bisogno di molte altre risposte, ma le dichiarazioni sul pericolo corso da sir Thomas e da Beid richiedevano un'immediata conferma o smentita: non c'era tempo da perdere.

Fu con il cuore gonfio di quelle parole gravi che io e Malaki spendemmo le successive due ore scendendo per il ripido sentiero che da Valamer ci avrebbe riportati a Beid: la storia di June e Joan era servita per allontanare temporanemente quella tensione, ma Malaki sapeva che non era certo un rimedio momentaneo quello che avevo intenzione di ottenere quando gli chiesi di aiutarmi a compiere ciò che sentivo di dover fare.

"Fatemi indovinare. Noi due da soli sulle colline Kadhan all'inseguimento di Sir Thomas, per avvertirlo del pericolo imminente e riportarlo a palazzo sano e salvo. Sapete, c'è una cosa che devo proprio insegnarvi sulle favole: hanno il brutto vizio di funzionare molto meglio quando è il cavaliere a salvare la principessa, e non il contrario...".

"Non si tratta di salvarlo, ma di andare in suo aiuto. Non da soli, certo: se facciamo in fretta possiamo organizzare due o tre gruppi e partire domattina all'alba. In ogni caso, io farò parte di uno di loro; che tu lo voglia o no io non sono una principessa, ma una semplice Paladina con il dovere di farlo".

"Con tutto il rispetto", mi rispose scuotendo la testa, "Voi avete soltanto il dovere di avvisare vostro padre: non siete un soldato. Avete molte qualità e coraggio da vendere, ma vi ho osservato quanto basta per sapere che c'è una cosa che non sapete fare".

"Se vi riferite al combattere", lo interruppi, "vi state sbagliando: ho imparato a utilizzare la spada tanto in caserma quanto in seguito, sul camp..."

Ero talmente concentrata a difendere le mie ragioni che non lo sentii neppure arrivare: il fendente sfiorò il mio volto cona rapidità impressionante, quasi invisibile.

"Ed era nel fodero", disse Malaki, con un'espressione grave. Con un rapido movimento del polso cambiò leggermente l'impugnatura della spada, poi si proiettò addosso a me con tutto il suo peso: questa volta riuscii a schivarlo, ma non ad allontanarmi quanto bastava per sottrarmi alla sua presa. La sua mano guantata mi strinse il collo, spingendomi per un paio di metri fino a piantarmi con le spalle contro un albero. Non potevo vederla, ma sentivo la punta della sua spada sfiorarmi appena il petto, all'altezza del cuore.

"Voi avete coraggio e siete molto convincente", disse poi, guardandomi negli occhi: "ma non appena sarete chiamata a combattere, al primo combattimento che possa realmente definirsi tale, voi morirete. E non parlo di scontri confusi o ingarbugliati, dove nessuno capisce fino in fondo quello che sta facendo o magari ha meno voglia di uccidervi che di portare la pelle a casa. Parlo di uno scontro vero, in cui affronterete una persona con le vostre sole forze. Beh, è giunto il momento che qualcuno che vi vuole bene vi dica che queste forze non basteranno proprio contro nessuno".

Restò per alcuni secondi a guardarmi: poi mi lasciò, volgendomi le spalle. Non gli piaceva vedermi piangere. Ma questa volta le lacrime restarono prigioniere dei miei occhi. Erano tante, troppe per farle uscire ora: le avrei liberate soltanto dopo, da sola.

"Non mi importa", dissi.

"Beh, a me si: non intendo portarvi al macello per sostenere la vostra ostinazione a portare alla cinta uno strumento di morte che riuscite a malapena a sguainare. Organizzeremo quei gruppi, ma voi non verrete con noi: qualcuno deve portare la notizia a vostro padre nel caso in cui non dovessi torn... ehm, trovare Sir Thomas".

"Non mi importa di essere inutile", esclamai con maggior forza. "Mi limiterò a difendermi, evitando i colpi dei miei nemici senza aprire la mia guardia, aspettando il vostro aiuto. E se non vorrete che impugni questa spada, ebbene non la impugnerò, ma in ogni caso mi recherò su quelle colline: il sacerdote con cui ho parlato mi considerava un soldato degli Dei, e ho intenzione di adempiere al mio incarico. Inoltre non ci recheremo lassù per combattere, ma solo per avvisare Sir Thomas e i suoi uomini della minaccia imminente. Quanto alla notizia a mio padre sarò io stessa a dargliela, ma non sarete nè tu nè lui a impedirmi di partecipare".

La giornata proseguì senza sosta: Malaki parlò con alcuni soldati di sua conoscenza mentre io mi recai alla chiesa di Pyros, rivelando le informazioni apprese sulla possibile presenza del Caos Primitivo all'interno delle colline Khadan: come risultato dei miei sforzi, due paladini chiesero e ottennero l'onore di accompagnare i gruppi che Malaki stava organizzando. Il sole era già calato quando ci radunammo per contarci: dodici uomini. Il piano di Malaki prevedeva di battere la zona collinare più vicina a Beid in quattro gruppi da tre alla ricerca di tracce, per poi unirsi in due gruppi da sei prima di addentrarsi nella zona più confinante con Keib: i miei due compagni sarebbero stati Malaki e sua sorella Jen, buona combattente e ottima esploratrice.

La cosa più difficile quel giorno fu convincere mio padre: il nostro colloquio durò diverso tempo, nel corso del quale gli spiegai quanto la mia presenza fosse necessaria. Ad essere minacciate erano le nostre terre, e nè lui nè Ryan avevano modo di allontanarsi in quei giorni tanto importanti quanto delicati. Questo faceva di me l'unica rappresentante della famiglia in grado di prendere parte attiva all'impresa; lo pregai di mantenere l'impegno preso il giorno precedente nel consentirmi di esercitare il mio compito di Paladina. E alla fine, malgrado le forti resistenze, riuscii ad ottenere il suo permesso.

Una volta nelle mie stanze, decisi di liberare la mente e allontanare ogni pensiero che potesse portarmi sogni o visioni: avevo bisogno di recuperare le forze, e per far questo era necessario riempire la mente di volti amici e ricordi felici. Con questo spirito decisi di scrivere una lettera alla mia amica Julie, indirizzandola al luogo dove l'avevo lasciata l'ultima volta. Il pensiero rivolto agli amici di Caen riuscì effettivamente a liberare la mia mente, che quella notte non fu oggetto di sogni o visioni. Ma quella vittoria fu l'ultima che ottenni: il sonno decise ancora una volta di ignorare le mie preghiere, limitandosi a cullarmi per due o tre ore lontane tra loro.

...

Il campo era solido e ben riparato, proprio come aveva detto Jen. La nostra cena fu un pasto frugale a base di pane, frutta e noci: il giorno seguente, tempo permettendo, sarebbe stata la volta della carne. Prima di coricarci per la notte tirammo a sorte per stabilire i turni di guardia. A me toccò il primo. Lo passai in silenzio, osservando a tratti i due fratelli addormentati: sarei riuscita a fare la mia parte per proteggerli, o ero davvero destinatata ad essere un peso? Ripensai alla conversazione avuta con Malaki, alla sua spada puntata sul mio cuore. No, non sarei riuscita a fare la mia parte: non sarei mai riuscita a proteggerli, nè loro nè tantomeno Julie e gli altri amici di Caen; non con la spada che portavo al fianco.

La luna mi guardava, dall'alto: ripensai ad Abel, al modo in cui sapeva infondere sicurezza e fiducia nei momenti in cui tutto sembrava perduto; al ruolo insostituibile che aveva, al vuoto che aveva lasciato e che mai nessun altro sarebbe riuscito a colmare. Mai come in questo momento mi mancavano la sua forza e il suo coraggio. "Perchè, Abel?", mormorai. "Perchè te ne sei andato?"

Questa volta le lacrime non vollero sentire ragioni; misi una mano davanti agli occhi e le lasciai cadere, abbandonandomi lentamente ad esse.


scritto da Solice , 03:40 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
10 maggio 517
Lunedì 2 Aprile 2007

Il quarto giorno (terza parte)

June e Joan erano le due figlie di un ricco mercante che viveva in una piccola città tra i monti Allston. Nonostante fossero molto simili nell'aspetto avevano un carattere molto diverso: June amava la vita mondana, i viaggi e il divertimento, mentre Joan preferiva restare a casa, dedicandosi allo studio e allo svolgimento delle faccende domestiche. Nel corso di uno dei suoi viaggi June conosce un individuo tanto affascinante quanto malvagio che la convince a venire via con lui: riuscito nell'intento, costui tenta di far confessare alla ragazza il luogo dove il padre custodisce i proventi dei suoi commerci, ma la ragazza, accortasi della troppa insistenza, si rifiuta di rivelarlo. Quel rifiuto accende l'ira dell'uomo, che la rinchiude nella sua dimora e le strappa il ciondolo che porta al collo.

Quello stesso giorno, l'individuo si reca alla residenza del padre con l'intento di chiedere un riscatto in oro per la vita dell'ancora ignara ragazza, ma una volta giunto a destinazione si imbatte in Joan: attratto dalla possibilità di rapire anche lei si presenta come un mercante amico del padre, ma la ragazza non gli concede altro che una breve conversazione, declinando cortesemente l'invito di recarsi a passeggio con lui e rendendo di fatto impossibile il rapimento. Furioso per l'ennesimo rifiuto, l'uomo le rivela di aver rapito la sorella mostrandole il ciondolo strappato, dichiarando di volere come riscatto non già l'oro, ma lei stessa.

Dopo qualche attimo di riflessione Joan prende la decisione di accettare, ma soltanto a patto che la sorella venga rilasciata il giorno stesso, e che non sia informata di tale accordo: dà la propria parola che, una volta che questo sarà avvenuto, non avrebbe mancato di mantenere il suo impegno. L'uomo, soddisfatto per aver ottenuto tale impegno, acconsente alla richiesta e libera June, che una volta a casa corre ad abbracciare la sorella convinta che la triste avventura sia finita. Joan ascolta il racconto di June e le dice che non dovrà più preoccuparsi, per poi uscire per sempre dalla porta del suo palazzo per non tornare mai più.

"E poi?" Chiese Malaki, visibilmente insoddisfatto della conclusione.

Lo guardai perplessa: "e poi... non c'è un poi. Finisce cosi', con Joan che si allontana all'orizzonte..."

"Non ci credo", esclamò scuotendo la testa. "Non è certo così che finisce una favola."

"Non è una favola, infatti", risposi sorridendo. "è una leggenda che ha ispirato una serie di canzoni e di ballate, molte delle quali possono essere ascoltate in molte delle locande di Beid e della zona sud di Amer".

"Dopo quello che ho sentito in quelle segrete, non ho intenzione di intristirmi ulteriormente", sentenziò Malaki. "Non esistono leggende che non abbiano almeno un lieto fine, e non riesco a immaginare nessuno migliore di voi a trovarne uno nel caso in cui questa facesse eccezione: quindi, principessa", continuò lanciandomi uno sguardo di divertita severità, "il vostro umile servitore vi chiede di impegnarvi a farlo".

Erano passate quasi due ore da quando avevamo lasciato Valamer. La mia espressione, a seguito della conversazione avuta con l'individuo che fino a poco prima chiamavo Jack e il cui nome richiedeva ora uno sforzo mnemonico non indifferente, non doveva essere delle migliori. Malaki aveva rispettato i miei pensieri per molteplici minuti, per poi rompere il silenzio con l'unica domanda che poteva riuscire nell'intento di distogliermi per qualche tempo dal loro peso.

"Perchè ti chiamava Joan?", aveva detto. E quasi senza accorgermene, nel giro di qualche minuto mi ero già addentrata nella narrazione degli eventi di una delle letture più affascinanti in cui avevo avuto modo di imbattermi nel periodo che precedeva la mia esperienza a Focault.

"Mi avete ingannata", dissi scuotendo la testa e ricambiando lo sguardo arcigno e divertito: "conoscevate già la storia di June e Joan, compreso il suo finale alternativo".

"Ah, no di certo", si affrettò a rispondere il cavaliere. "A dire il vero qualcosa avevo sentito qui e là, ma non avevo mai avuto modo di ammirare il quadro completo. Quanto al finale alternativo", aggiunse, "confesso di preferirlo. Joan muore come un'eroina, ed è di certo un destino migliore che non abbandonarsi alle grinfie di quel bastardo".

In effetti, la leggenda di June e Joan possedeva più di un finale, frutto di una serie più o meno vasta di aggiunte e tradizioni differenti. La maggior parte dei cantastorie di Beid era solita aggiungere alcune strofe al finale originario: Joan avrebbe assunto del veleno subito prima di prestare fede al suo accordo; l'uomo malvagio lo avrebbe scoperto al momento di condurla all'interno della sua abitazione, vedendo la ragazza sbiancare e cadere in terra priva di vita. Respinto per la terza volta, il rapitore avrebbe quindi commesso il suo ultimo errore recandosi nuovamente al palazzo delle due sorelle, deciso ad ucciderle entrambe e finendo così preda delle guardie cittadine avvisate da June: e sono proprio le sue parole rotte dal pianto, mentre stringe tra le braccia il corpo senza vita della sorella, a costituire l'epilogo di questa versione dei fatti.

"Ecco, cosi' va molto meglio", esclamò raggiante Malaki non appena sentì il secondo finale. "Mantiene la sua tragicità e mi fa dormire sonni tranquilli: non voglio immaginare una ragazza come Joan viva e nelle mani di quell'individuo spregevole! Non la pensate così anche voi, principessa?"

"No", risposi con decisione. Malaki mi guardò, aspettandosi una motivazione.

Feci del mio meglio per non deluderlo. "La Joan della seconda versione prende la decisione di suicidarsi: un gesto che può essere visto da noi come coraggioso e in alcune circostanze persino nobile, ma che non è di certo tale agli occhi degli Dei. Coloro che ci hanno donato la vita sono gli unici ad avere il potere di togliercela, ed è alla loro benevolenza che dobbiamo trovare la forza di affidarci persino quando tutto sembra perduto: il suicidio indica il rifiuto di volerlo fare, chiudendosi ad ogni speranza, ad ogni fiducia che possano liberarci dalla nostra disperazione. No, la Joan di quel finale non mi fa certo dormire sonni tranquilli... E lo stesso dovrebbe valere anche per voi."

Malaki non disse nulla, limitandosi a riflettere su quanto avevo detto. "Non ci avevo pensato", disse dopo alcuni minuti. "Tuttavia, questo non depone certo a vostro favore: vi ho chiesto un finale migliore, e me ne avete fornito uno che ora so essere persino peggiore del primo".

"E' vero", dissi sorridendo. "Mi dispiace. Come posso rimediare?"

"Ne voglio uno che faccia dormire sonni tranquilli, tanto a me quanto a voi. Accettate la sfida?"

"Quanto tempo ho?" chiesi, divertita da quell'insolita richiesta.

"Il tempo di tornare a palazzo".

"Se riesco nell'intento, promettete di aiutarmi a compiere quello che devo?"

Malaki a quel punto si fermò, guardandomi con aria improvvisamente seria. Era una richiesta difficile, un impegno che non valeva certo quanto il finale di una leggenda.

L'individuo in precedenza noto come Jack aveva dichiarato di chiamarsi Netjerikhet Zauemia Ruinethot: tre parole che costituiscono allo stesso tempo, stando a quanto ci ha raccontato, un nome e un titolo nobiliare, secondo le usanze di un'antica civiltà presente in alcune zone di Amer fin dai secoli dimenticati, prima che la luce rischiarasse le tenebre in cui brancolava la popolazione di Greyhaven. Sempre stando alle sue dichiarazioni, tale nome non appartiene originariamente a lui bensì ad un individuo vissuto oltre 200 anni fa: uno stregone che, insieme ad altri come lui, compiva degli studi in contrasto con la tradizione magica esistente. Tali studi non hanno mai raggiunto gli occhi di un sacerdote che potesse giudicarli poiché l'intera scuola è stata spazzata via da una famiglia nobiliare ansiosa di mostrarsi solerte ed efficace di fronte all'inquisizione al punto da imporre il proprio giudizio a quello del suo stesso tribunale.
Questo atto efferato ha di fatto provocato una reazione da parte di quegli uomini, emotiva quanto la persecuzione subita e satura del medesimo rancore. Per mezzo di un potente incantesimo lanciato dal loro maestro, gli spiriti di quegli uomini hanno potuto scegliere di restare sul piano materiale legando la loro essenza a quella di un certo numero di artefatti dall'aspetto di comuni carte da gioco. Da quel momento in poi la loro storia è fonte d'ispirazione e stimolo per la ricerca per un ristretto numero di individui, venuti a contatto con queste carte nel corso dei decenni e decise a continuare tale ricerca: uomini che in origine condividevano il medesimo fine ma che nel corso dei decenni hanno incominciato a dividersi in misura sempre maggiore, in parte inginocchiandosi di fronte alla Luce di Pyros, in parte rifuggendola per timore, rabbia o vigliaccheria.

"Se sei uno stregone, perché sei ancora in gabbia?" gli aveva chiesto a quel punto Malaki.

Ma a quanto pare, Netjerikhet Zauemia Ruinethot non era affatto un praticante di magia. La sua stirpe ha un legame di sangue con uno dei discepoli di tale scuola, e che ha deciso di portare avanti questa battaglia nonostante i suoi membri non possiedano più da decenni alcuna capacità magica: e fu proprio suo padre, stando alle sue parole, ad averlo chiamato con lo stesso nome che fu del suo antenato, per prepararlo a quella che secondo lui sarebbe stata "l'ultima battaglia". L'ultima, perché determinati fatti occorsi durante la guerra tra Beid e Keib intrapresa nel 506 avevano avuto l'effetto di accelerare in un modo o nell'altro l'epilogo della vicenda.

Quelle parole non mi aiutavano affatto: non erano antiche ricerche magiche o dubbie interpretazioni di avvenimenti remoti ad interessarmi in quel momento quanto informazioni su Rosalie: null'altro mi importava, neppure i sogni che mi tormentavano da quando avevo preso in mano quella carta che sembrava così innocua. "E' tutto collegato", fu la risposta alle mie richieste. Stando alle sue parole, tanto io quanto Rosalie possediamo le caratteristiche per prendere parte a questa battaglia. E lo stesso vale per altre persone, molte delle quali lui stesso afferma di non conoscere e che con tutta probabilità io per prima conosco meglio di lui.

"Ma in ogni caso ne conosci alcune", gli dissi a quel punto. "Di chi stai parlando?".

"Se te lo dicessi, Joan" mi rispose, "potresti voler correre da loro. E credimi, sarebbe l'ultima cosa da fare, specialmente con me dietro queste sbarre".

"E cosa dovrei fare, allora?"

"Devi essere prudente: evitare di correre rischi, di recarti in posti aperti o vulnerabili. E avvisare i vostri comandanti di un possibile attacco imminente da parte della baronia di Keib. Se avete degli esploratori, mandateli sulle colline a est: confermeranno quello che vi sto dicendo.".

Quella notizia mi fece gelare il sangue: senza bisogno di esploratori, le informazioni che avevo erano tristemente compatibili con quella rivelazione. Tuttavia, questa coincidenza non provava nulla, non da sola.

"Non ho modo di verificare una sola parola di ciò che hai detto", replicai di rimando. "Speri forse che quanto mi hai rivelato sarà sufficiente per farti uscire?"

"C'e' qualcosa che puoi verificare senza muoverti dal tuo palazzo, Joan: quanto al resto", aggiunse, rivolgendosi questa volta a Malaki: "di quanti uomini si compone la sua scorta?"

"Dipende", intervenne Malaki. "Per il momento uno, a cui si spaccheranno le nocche contro la tua faccia la prossima volta che la chiamerai con un nome diverso dal suo".

"Posso organizzare una spedizione", dissi: "di quanti uomini avrò bisogno?"

"Piu sono meglio è: l'importante è che sir Thomas Keen non sia tra questi".

Quell'affermazione mi sorprese: "Perché non dovrei? E' l'uomo più fidato agli ordini di mio padre, oltre che una delle migliori lame di Beid!"

"Questo", disse l'uomo dietro le sbarre, "è esattamente il motivo per cui non è salutare averlo vicino".

(continua)


scritto da Solice , 03:48 | permalink | markup wiki | commenti (0)
ultimi 3 articoli (cambia) · Pagina 20 di 31
10 · 11 · 12 · 13 · 14 · 15 · 16 · 17 · 18 · 19 · 20 · 21 · 22 · 23 · 24 · 25 · 26 · 27 · 28 · 29