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Solice Kenson
Cronache della Campagna di Caen
Solice Kenson
"Voi avete coraggio e siete molto convincente: ma non appena sarete chiamata a combattere, al primo combattimento che possa realmente definirsi tale, voi morirete. E non parlo di scontri confusi o ingarbugliati, dove nessuno capisce fino in fondo quello che sta facendo o magari ha meno voglia di uccidervi che di portare la pelle a casa. Parlo di uno scontro vero, in cui affronterete una persona con le vostre sole forze. Beh, è giunto il momento che qualcuno che vi vuole bene vi dica che queste forze non basteranno proprio contro nessuno".
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13 maggio 517
Domenica 15 Aprile 2007

Il matrimonio di Ryan (prima parte)

Arrivammo nello spiazzo dedicato alla giostra quando mancavano soltanto pochi minuti all'inizio dei giochi. In verità, per tutta la mattina i cavalieri di Beid avevano rotto lance insieme a tutti gli altri partecipanti provenienti degli altri Feudi: tanto Malaki quanto Jen erano arrivati in ritardo e con ben altri pensieri, ma questo non aveva impedito loro di indossare l'armatura e fare quello che mio padre, mio fratello e il popolo di Beid si aspettava da loro. Erano li', splendenti nelle loro armature, in attesa dell'inizio della tenzone ufficiale.

Il palco dove avremmo dovuto dirigerci sembrava irraggiungibile. "Siamo un pò in ritardo", commentò Yurae osservando la grande quantità di gente che si trovava tra noi e loro. "Restate vicine a noi e non ci saranno problemi". Così dicendo, montò sulla sua alabarda lo stendardo di Beid. Nel giro di qualche minuto ci facemmo largo tra la folla festosa, ardente dalla voglia di inneggiare a qualcosa al punto da accoglierci come se fossimo noi stessi dei giostranti.

Immersa in quel clima di festa quasi irreale, non potevo fare a meno di guardarmi intorno, osservando le innumerevoli facce che spuntavano da ogni parte, incrociando sguardi, osservando: temevo di scorgere il volto di Kira, o quale che fosse il nome di quell'empio emissario degli dei oscuri che si trovava all'interno della marca, libero di muoversi, di osservare. Quale sarebbe stata la sua prossima mossa? Avrebbe tentato di far del male a Ryan o a qualcun altro, o forse a me? Qualcosa mi diceva che lo avrei scoperto fin troppo presto.

La vista di mio padre fu sufficiente a distogliermi dalle mie preoccupazioni. Dovevo stare molto attenta a metterlo a parte delle informazioni in mio possesso, senza che questo potesse in alcun modo pregiudicare gli eventi di questi due giorni. Non si trattava di una semplice festa nuziale, in gioco c'erano interessi e accordi che avrebbero potuto avere impatti significativi e a lungo termine sul destino di molte persone: per non rovinare tutto avrei dovuto agire nel modo giusto.

Karl era seduto di fianco a mio padre, insieme alla futura sposa e a quella che doveva essere la sua famiglia: alcuni di loro li avevo già conosciuti: erano arrivati molti giorni prima, insieme alla sposa. Avvicinandomi educatamente, salutai con un profondo inchino. Mio padre mi chiamò vicino a lui, presentandomi ai genitori della sposa: sua signoria Lord Alexander Ripley il Conte di Verriere e la sua consorte, giunti a Beid soltanto due giorni prima. Yera, dietro di me, si inchinò fin quasi a toccare terra con la fronte. "Vi rendete conto? Sua signoria il conte di Verriere!" si affrettò a dirmi poi in un orecchio, euforica.

"Solice!" mi disse Karl sorridendo quando mi vide. "Che bella che sei con quel vestito! Quando tornano i cavalieri?" Sembrava davvero felice. "Come mai Rosalie non è venuta?" chiese poi, guardandosi intorno con aria interrogativa. La domanda, formulata da quegli occhi innocenti e inconsapevoli, mi colpì come una fitta al petto. "Non è qui", gli dissi, chinandomi di fronte a lui e prendendogli una mano. "Ma presto faremo in modo che torni a casa. D'accordo?"

"Va bene!" mi disse, annuendo. "Peccato pero'! Se non fa in fretta si perderà il torneo!"

La nostra conversazione fu bruscamente interrotta dagli squilli di trombe che annunciavano l'inizio dei giochi. Mio padre si alzò: non avrebbe parlato se non l'indomani, ma era previsto che inaugurasse l'inizio delle gare. I cavalieri spronarono i loro cavalli nella nostra direzione, rivolgendo un saluto militare nella sua direzione e preparandosi a compiere il giro del campo: il marchese rispose al saluto, dichiarando di fatto aperta la tenzone tra applausi e grida.

Trovarsi in mezzo a quell'evento era... emozionante. Non pensavo potesse farmi questo effetto, ma mi trovai letteralmente sommersa da una sensazione elettrizzante quanto strana: gioia, euforia, stupore. Senza neanche rendermene conto mi trovai a sorridere e a battere le mani, applaudendo a mio fratello e ai cavalieri che ci avevano onorato della loro presenza e ai loro destrieri.

Yera aveva seguito le vicende legate al torneo molto più attentamente di me, e fu lei a indicarmi la maggior parte dei partecipanti. Ovviamente non fu necessario il suo aiuto per riconoscere il primo della fila: mio fratello Ryan, splendente nella sua armatura rossa come il mio vestito e saldamente in sella al suo nuovo cavallo, al quale aveva dato il nome di Farnas. Questi era il più bello di una magnifica coppia di stalloni arrivati a Beid pochi giorni prima insieme a una delegazione di cavalieri provenienti da Amer, come dono da parte del Duca: Ryan si era allenato per diverse ore ogni giorno nel tentativo di riuscire a cavalcare Farnas in tempo per l'inizio del torneo. Lady Amy era stata omaggiata di un rotolo di seta pregiata e molto preziosa. Mio fratello sfilava a testa alta, non coperta dall'elmo: una volta giunto sotto il nostro palco si sporse dal cavallo, inchinandosi di fronte a mio padre e alla famiglia della sposa. Terminato l'inchino mi lanciò uno sguardo, sorridendomi. Sollevai entrambe le braccia per salutarlo, ricambiando il sorriso: non credo di averlo mai visto cosi' felice.

La mia ancella mi indicò il fratello maggiore di Amy, Baldur, che in quel momento stava porgendo i saluti a mio padre: insieme a lui vi era sir Albert Von Trier, colonnello dell'esercito di Verriere.

A poca distanza da loro si trovavano quattro cavalieri che portavano sul loro scudo il simbolo di Amer. Yera mi rivelò i loro nomi: Sir Al Fennec, che nelle competizioni mattutine aveva spezzato in assoluto il maggior numero di lance; di fianco a lui vi era sir Georg Poe, completamente chiuso nella sua armatura argentea: Yera mi disse che non si toglieva mai il cimiero per nascondere la brutta ferita che gli deturpava il volto. Non sapeva i dettagli ma sospettava avesse qualcosa a che fare con i Nani, considerando l'ostilità con cui il cavaliere aveva accolto l'arrivo della delegazione nanica che era giunta da Nair-Al-Zaurak qualche giorno prima. Dietro sir Georg, un terzo cavaliere era intento a cambiare la bardatura al suo cavallo: quando si tolse l'elmo, rimasi colpita dai suoi lineamenti delicati e dall'eleganza del portamento: incuriosita, chiesi a Yera chi fosse quel ragazzo. Lei scoppiò a ridere, affrettandosi a correggere il mio errore: con mia grande sorpresa mi disse che il nome di quel cavaliere altri non era che Lady Joanne Chirac, e che a dispetto delle apparenze godeva fama di essere una delle migliori spade della città Ducale, oltre ad essere particolarmente attraente. "Hai ragione", dissi guardandola meglio: "devo essere ancora molto stanca". Ridemmo entrambe. A chiudere la fila dei cavalieri di Amer giungeva quello che Yera mi rivelò essere l'invitato più importante di tutto il torneo: Sir Konon Desyenne, cugino del Duca di Amer, circondato dai suoi scudieri. Osservai divertita il suo modo di fare: spesso sollevava il braccio in direzione della folla, urlando e incitandola a sua volta: a dispetto della non più giovanissima età, sembrava decisamente intenzionato a divertirsi.

A qualche metro di distanza, piuttosto in disparte dagli altri, un cavaliere in una meravigliosa armatura striata di azzurro stava dando indicazioni al suo scudiero: Yera mi disse che il suo nome era Peter Gremaud, l'erede al titolo di Signore di Chalard. Quella rivelazione mi sorprese: ero stata presentata a Peter e suo fratello qualche giorno prima, in occasione del loro arrivo, ma il cavaliere che si trovava davanti ai miei occhi sembrava davvero un'altra persona: l'armatura non sembrava recargli alcun impaccio, e il modo che aveva di stare a cavallo era quantomai elegante. Il suo scudiero doveva essere Kasper: Ryan mi aveva raccontato di come, qualche giorno prima, il ragazzo gli avesse chiesto il permesso di poter prendere parte al torneo: un permesso che Ryan, con suo grande disappunto, non aveva certo potuto concedergli. Quando gli fui presentata, la prima cosa che mi chiese fu se avrei partecipato: la mia risposta negativa lo aveva molto risollevato.

Voltai lo sguardo verso gli altri cavalieri, e fu a quel punto che i miei occhi incontrarono il simbolo di Keib. Due dei nostri cugini si trovavano a una certa distanza dal nostro palco, nelle loro armature nere: a differenza degli altri, non sollevavano gli scudi verso la folla. I rancori con la loro baronia che si erano spenti in via ufficiale restavano comunque ben vivi nei cuori del popolo di Beid, che evitava di salutare la loro comparsa e li costringeva a mantenere una certa distanza per evitare di essere colpiti dalla frutta e dalla verdura che occasionalmente veniva lanciata dagli spalti nella loro direzione. I due cavalieri non reagivano, continuando ad avanzare a testa alta.

Poco avanti a loro, al riparo dalle manifestazioni di stizza della folla, altri due cavalieri procedevano diretti verso il nostro palco: sui loro scudi vi era il simbolo della baronia di Anthien. Una volta di fronte a noi si tolsero l'elmo, omaggiando di un saluto mio padre e la sposa. "Guardate quanto sono belli", disse Yera, estasiata. "Magari potremmo conoscerli, durante il banchetto di stasera!"

A chiudere la fila, arrivarono i cavalieri provenienti da Beid: Jen e Malaki erano entrambi bellissimi, nelle loro armature luccicanti: dietro di loro, su un cavallo di enormi dimensioni, si stagliava la sagoma inconfondibile di zio Jerome.

"Wooow! Non sapevo che Lord Jerome avrebbe preso parte al torneo", gridò Yera, emozionatissima. Poi si arrestò improvvisamente, come se si fosse improvvisamente accorta di qualcosa. "Ma... ma dov'è sir Thomas?" mormorò.

Le misi una mano sulla spalla. "Sir Thomas non parteciperà al torneo", le dissi con calma: "è rimasto ferito durante un incarico per conto di mio padre: ma non preoccuparti, Yurae mi ha detto che starà bene: Pyros lo proteggerà".

Yera mi guardò, delusa e costernata: sapevo quanto ci tenesse alla presenza di sir Thomas. "Coraggio", le dissi. "Lui avrebbe fatto del suo meglio per rendere questo torneo un grande spettacolo: dobbiamo divertirci anche in suo onore!". La mia ancella annui', tornando lentamente a sorridere. "Ok", mi disse. "Divertiamoci allora!".

I cavalieri terminarono il loro giro:pochi minuti dopo, l'araldo annunciò quello che sarebbe stato lo scontro inaugurale.

"Lady Joanne Chirac, Cavaliere di Amer, contro Sir Malaki Akhnal, Cavaliere di Beid!"

"Accidenti", disse Yera, "E' uno scontro difficile! AVANTI SIR MALAKI, FATE VEDERE A QUESTA SCIACQUETTA CHI COMANDA!" In un attimo lo sguardo di mio padre la fulminò, terrorizzandola al punto da inchiodarla sul posto. Il Conte di Verriere non trattenne un sorriso, mentre la moglie alzò appena un sopracciglio. "Che significa sciacquetta?", mi chiese Karl, mettendo a durissima prova il mio già arduo tentativo di restare seria e non scoppiare a ridere.

Una cosa era certa: sarebbero stati due giorni indimenticabili.


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13 maggio 517
Domenica 15 Aprile 2007

Il settimo giorno

Ho dei ricordi piuttosto vaghi e confusi della notte tra il 12 e il 13 maggio: il sonno che mi tormentava da quasi una settimana tornò con violenza ad aggredire le mie membra, costringendomi ad ammettere di essere inadatta a sostenere un turno di guardia. Passai la prima parte della notte a pregare Pyros, ringraziandolo per aver protetto la nostra spedizione e non aver permesso che il crudele presagio formulato dall'individuo noto come Fante di Quadri si avverasse. Nelle mie preghiere però non consideravo che quella notte faceva ancora parte dei sette giorni vaticinati a seguito della mia aggressione: gli eventi che sarebbero occorsi nelle ore successive mi avrebbero costretto a scontrarmi duramente con tale imprecisa approssimazione.

Non ricordo esattamente quando la vidi. Era lì, in piedi a qualche decina di metri di distanza che mi osservava pregare, in silenzio. A prima vista sottostimai la sua altezza, che mi fece pensare inizialmente che potesse trattarsi di una bambina: solo in seguito mi resi conto che era alta più o meno quanto me, e che doveva avere almeno 20 o 25 anni.

Non appena si accorse che l'avevo notata cominciò ad avvicinarsi, lentamente. Rischiarata dalla luce del campo le sorrisi, sorpresa e un pò preoccupata di una simile apparizione nel bel mezzo della notte: cosa ci faceva una bambina, o una ragazza della mia età, nel bel mezzo delle colline da sola? Ma il mio sorriso si tramutò in sgomento quando vidi meglio ciò che stava avanzando, quando riconobbi un viso che avevo incontrato una volta, in passato: un volto che avevo dimenticato, e che i recenti avvenimenti avevano cominciato lentamente a ricondurre alla mia memoria, e che ora completava quell'assurdo e inspiegabile quadro fatto di tante, troppe coincidenze per essere opera di un pennello mosso dal caso.

Kira Klay: questo era il nome con cui ci era stata presentata, circa quattro anni fa. Occhi verdi, capelli neri e lisci come l'ebano. Muta, con lo sguardo spento. Il nostro precettore ci disse che era l'unica superstite di una carovana partita da Sarthe e diretta a Focault, senza fornirci ulteriori dettagli. Il suo nome era stato recuperato da alcuni documenti trovati sul corpo della zia che la accompagnava, scritto sui fogli con cui avrebbe dovuto presentarla all'Abate pregandolo di accettarla come iniziata. Nessuno sapeva se fosse muta dalla nascita o se fosse stato a causa di quanto aveva visto durante l'attacco subito dalla carovana: in assenza dell'abate, che in quei giorni si trovava a Chalard, il priore decise che la sventurata sarebbe stata accolta tra le mura del monastero. Ricordo la pena che provai nei confronti di quella ragazza sfortunata, e la preghiera che noi tutte recitammo quel giorno affinché Pyros potesse offuscare l'esperienza di morte che aveva avuto e alleviare le sofferenze che albergavano nel suo cuore: il giorno che precedette i fatti dell'"uomo di Focault", che provocarono la scomparsa di quella ragazza: una scomparsa che cessò presto di essere tale: un giorno di settembre il decano affidato alla nostra ala ci disse che la luce di Pyros aveva dissolto le tenebre che offuscavano il mistero di quella notte, e da quel momento nessuno ne parlò più. Pochi giorni dopo Valerie venne perdonata per le sue azioni e inviata presso la caserma di Rigel. Da quel giorno io e Rosalie le scrivemmo due lettere, che non ebbero però alcuna risposta.

"Kira?" mormorai, incredula. Ero ancora convinta che fosse muta, mi aspettavo un cenno del capo come risposta: grande fu la mia sorpresa quando la sentii articolare parola.

"Stai dormendo", mi disse piano. La sua voce era strana, sembrava spettrale. "Ti regalerò un sogno che non dimenticherai".

Cosi' dicendo alzò le mani: non verso il cielo, ma tenendole ai lati della sua testa, con il dorso rivolto verso di me. Con orrore vidi che le sue nocche cominciarono a deformarsi e poi a sanguinare, mentre rigide protuberanze cominciavano a farsi largo tra le ossa, tra le carni. Rossi filamenti acuminati si fecero lentamente strada verso l'alto lungo il dorso delle sue mani, provocando un suono simile a quello di ossa frantumate e disegnando rivoli di sangue che percorsero rapidamente gli avambracci per poi perdersi nello spazio vuoto che li separava dal terreno.

Di fronte a me si ergeva qualcosa che per anni mi ero preparata ad affrontare, qualcosa di tremendamente simile a quello che Abel aveva affrontato nel Miestwode con coraggio, al prezzo della vita. Un emissario delle divinità oscure, del Caos Primitivo, del sangue, della sofferenza e del dolore. Ma in questo momento non c'era Abel: c'ero io. Le gambe mi tremavano: dovevo fare qualcosa, ma cosa? Pensare, dovevo pensare. Cosa avrebbe fatto Abel? Di certo lo avrebbe affrontato, con la sua alabarda. Sguainai la spada, puntandogliela contro. "Fermati e arrenditi, in nome di Pyros" gli dissi. Pronunciare quella frase mi diede coraggio. Anche io ero un emissario, non meno di lei.

Un istante dopo aver pronunciato quelle parole capii quanto Malaki avesse ragione. Ero morta. Non vidi neppure gli artigli arrivare, nè la mia spada nè il mio corpo riuscirono a muoversi, colti di sorpresa dalla velocità innaturale di quell'attacco portato ai miei danni. In un attimo era di fronte a me, la mano sulla mia fronte, a spingerla indietro esponendo il collo indifeso alla voracità di quegli artigli. Sentii il freddo che mi penetrava, poi il peso del mio corpo che mi trascinava giù. Ero morta, ma i miei occhi vedevano ancora. La vidi avvicinarsi verso il campo, oltrepassando silenziosamente i primi sacchi a pelo. La vidi avvicinarsi a uno di loro in particolare. No, pensai. Vi prego, Dei, no. No, no, no, no, NOOOOOOOOOOO!

Un grido d'allarme mi svegliò di soprassalto. Balzai in piedi, guardandomi intorno. Eravamo stati attaccati: uno degli uomini di Malaki, Elan di Passorosso, era a terra in un lago di sangue, immobile: l'altro soldato che montava di guardia con lui, il cui nome credo fosse Rob, giaceva anch'esso in terra, muovendosi a fatica: intorno a lui vi erano i cadaveri di due lupi. Al centro del campo si trovava, in piedi, il terzo membro di quel gruppo: Daimar, uno dei paladini che avevano ricevuto l'incarico di accompagnarci. Il suo scudo, illuminato dalla luce della luna, recava impressa una profonda artigliata che solcava, senza cancellarlo, il simbolo della Dea. Al suo fianco si trovava sir Thomas, anche lui con la spada in pugno. Non indossava l'armatura, la sua spalla sinistra sanguinava. La luce di Kayah illuminava la zona, consentendo a tutti quelli che si stavano svegliando di rendersi rapidamente conto della situazione.

Nel giro di pochi minuti fummo in grado di ricostruire gli eventi: il campo era stato attaccato da un branco di lupi: un comportamento ben strano da parte di animali solitamente non aggressivi, specialmente contro un accampamento così numeroso e protetto da due fuochi. In ogni caso, gli animali avevano impegnato duramente Rob e Daimar, mentre Elan era corso a dare l'allarme. Pochi istanti prima che potesse farlo, però, un essere incredibilmente rapido lo aveva colto di sorpresa, colpendolo duramente al collo. Daimar, accortosi del pericolo, era corso verso il centro del campo, seguendo i velocissimi movimenti di quell'essere: lo aveva raggiunto all'altezza del sacco a pelo di sir Thomas, non prima che questi potesse sferrare un colpo su di esso. Immediatamente dopo lo aveva ingaggiato, riuscendo a bloccare con lo scudo una delle sue artigliate. A quel punto, stando alle parole di Daimar, Kayah era intervenuta in suo aiuto: l'essere, illuminato dalla luna, aveva incominciato a muoversi più lentamente, consentendo al paladino di resistere mentre chiamava aiuto e a sir Thomas di raccogliere la spada e di unirsi allo scontro, chiamando anche lui a raccolta i suoi uomini. Immediatamente dopo quegli eventi, un attimo prima che il resto del campo si svegliasse, la creatura era scomparsa senza lasciare traccia. Nel frattempo Rob, rimasto da solo contro i lupi, era riuscito ad avere la meglio su due di loro, riportando però diverse ferite di artigli e morsi, fortunatamente più dolorose che gravi.

Per Elan di Passorosso non c'era più nulla da fare: una profonda artigliata gli aveva squarciato il lato sinistro del collo, trapassandolo quasi da parte a parte. Nessuno dei soldati fu in grado di spiegarsi quell'assurda ferita, neppure Malaki: da parte mia, non avevo dubbi in proposito. Gli altri paladini rimasero in silenzio, assorti e preoccupati.

La ferita di sir Thomas era piuttosto grave: quasi identica a quella che aveva ucciso Elan, era però penetrata nella spalla, pochi centimetri sotto al punto mortale. Malaki si apprestò a medicarla, chiedendo l'aiuto mio e quello di Jen. L'esperienza pratica di Malaki si rivelò più utile delle conoscenze frutto dei miei studi: di fatto, mi limitai a lavare le bende e a preparare le erbe di cui aveva bisogno.

Sir Thomas era cosciente, ma l'emorragia subita lo rendeva incapace di liberarsi di Malaki, cosa che probabilmente avrebbe voluto. "Dobbiamo prenderla", disse. "E' a piedi, non andrà lontano".

"L'unica cosa che prenderemo sarà la direzione per casa", rispose Malaki. "o il vostro braccio sarà da buttare nel giro di qualche ora. Non ho mai visto un'artigliata così profonda, solo gli Dei sanno che razza di infezioni può portare".

Non appena i feriti furono stabilizzati, Malaki mi disse che avremmo fatto meglio ad abbandonare le colline: tanto Rob quanto sir Thomas avevano bisogno di cure migliori, e una ricerca notturna avrebbe costretto a ulteriori divisioni. Quell'attacco era una prova a vantaggio delle dichiarazioni del prigioniero di Valamer, e il mio compito era di mettere a parte mio padre della faccenda senza correre ulteriori rischi. Ogni ipotesi di dividerci in due o più gruppi andava scartata: per quanto ne sapevamo poteva trattarsi di una trappola, e se dodici persone erano più che sufficienti a garantire la sicurezza dei feriti, la metà o un terzo di loro sarebbe potuta facilmente cadere vittima di un'imboscata. Le sue ragioni erano valide, quindi acconsentii: forte del mio assenso, Malaki mise tutti a parte della decisione: con sir Thomas in quelle condizioni era lui il soldato più alto in grado, e tutti si prepararono a rimettersi in marcia dopo aver recitato una preghiera per Elan, il cui sacrificio aveva protetto tutti noi: la sua salma sarebbe tornata con noi a Beid, dove avrebbe trovato degna sepoltura.

Quando arrivammo a Beid il sole era già alto. Malaki mi consigliò di recarmi immediatamente da mio padre: Jen e gli uomini di sir Thomas avrebbero condotto il capitano e Rob alla chiesa di Reyks, mentre lui avrebbe pensato a occuparsi di Elan e di avvisare la sua famiglia.

Fu in quelle condizioni che tornai a palazzo: gli eventi di quell'ennesima notte insonne mi avevano turbata al punto di farmi quasi dimenticare che quello era il giorno della vigilia. Persone allegre e indaffarate di muovevano veloci intorno a me, in un'atmosfera di festa e di preparativi che sembrava innaturale. Yera, una delle ancelle, mi vide e mi fermò poco dopo l'ingresso.

"Lady Solice", disse sorpresa. "Ma dove eravate? Vi ho cercata per tutta la giornata di ieri! Dovete assolutamente venire con me, dobbiamo provare il vestito! Inoltre... quei capelli, sono un vero disastro! Non potete certo presentarvi in queste condizioni al torneo!".

Il torneo... L'avevo dimenticato. Mio padre aveva organizzato una giostra per gli invitati al ricevimento: nell'ottica del ducato non era certo un evento della massima importanza, ma erano anni che Beid non ne organizzava una: una tradizione che mio padre aveva deciso di ripristinare, a partire dal matrimonio di Ryan.

"Sarò da te tra poco, Yera", le dissi. "Prima devo parlare con mio padre...".

"Oh, lord Kenson non è qui", mi interruppe Yera. "E in ogni caso, non accetto un no come risposta: dovreste guardarvi, siete... siete impresentabile! Dobbiamo lavare quei capelli e poi dovrete farvi una bella dormita. Vi porterò il pranzo io stessa quando vi sarete svegliata! Sarà qualcosa di leggero comunque... visto il banchetto di questa sera! Coraggio, cos'e' quella faccia? Dovete farvi bella! Non vorrete che vostro fratello e sir Thomas vi vedano cosi'!"

Alzai le spalle. Avrei evitato di dirle che sir Thomas non avrebbe certo preso parte al torneo: la voce si sarebbe sparsa comunque, ma Yera sarebbe riuscita a farla arrivare fin quasi a Delos nel giro di poche ore e non ero sicura che fosse la cosa migliore. La guardai: era evidente, non vedeva l'ora di andare al torneo e di godersi i festeggiamenti. Quella che per mio padre era una importante e delicata questione diplomatica, da quasi chiunque altro veniva percepita come una imperdibile occasione per divertirsi, conoscere gente e dimenticare le proprie preoccupazioni tra balli, banchetti e risate.

"D'accordo", dissi sforzandomi di sorridere. "Andiamo a farci belle per la festa".

Per prima cosa, mi fece provare il vestito. Quando lo vidi restai a bocca aperta. "E'... e' bellissimo", dissi.

"Vi piace? E' un regalo di vostro fratello. Lo ha voluto rosso a tutti i costi, in modo che potesse intonarsi ai vostri capelli ricordando i colori di Pyros".

Annuii: era indubbiamente un vestito splendido. Passai quasi un'ora a provarlo e riprovarlo, mentre Yera zompettava intorno a me, annotando gli aggiustamenti necessari come una sarta provetta.

"Vi sta a pennello", disse soddisfatta. "Dobbiamo soltanto accorciarlo un pò".

Dopo il vestito fu la volta dei capelli. Yera aveva in mente qualcosa di molto diverso dalla mia treccia abituale. "Non capisco perché vi costringiate i capelli in questo modo", disse mentre mi pettinava. "State meglio quando li portate sciolti".

"Non sono molto pratici quando si viaggia", dissi. In effetti, avevo incominciato a intrecciarli da quando avevo lasciato il monastero. Ogni tanto li avevo sciolti, ma prima o poi poi finivo sempre con l'intrecciarli di nuovo.

A quel punto, Yera mi chiese dei miei viaggi. Fu molto sorpresa - e incuriosita - quando le dissi che avevo viaggiato con un gruppo di gente cosi' numeroso. Mi tempestò di domande su Abel e sugli altri compagni, il che mi mise a disagio in parte perché potevo raccontarle ben poco, in parte perché cominciavano a mancarmi. Mi chiese chi di loro fosse il più alto, chi il piu' bello, quale mi piacesse di piu' e altre domande che mi aspettavo.

"Ecco fatto", disse quando ebbe finito con la spazzola. "Li ho allisciati per bene: quando vi sveglierete li pettineremo. Ora fatevi una bella dormita, o non sarò in grado di distogliere l'attenzione dalle quelle occhiaie! Penserò io a portarvi il pranzo". Il suo tono non ammetteva rifiuti. In ogni caso, mio padre non sarebbe tornato dalla caccia: lo avrei incontrato direttamente al torneo. Chiusi gli occhi, buttandomi sul letto: prima di addormentarmi, lo sguardo mi cadde sul comodino che avevo visto bruciare in sogno qualche giorno prima. La carta raffigurante il fante di quadri era ancora lì. "Ti prego, Pyros", mormorai. "concedimi la grazia di un sonno senza sogni".

Le mie preghiere furono ascoltate. Quando mi svegliai ero sufficientemente riposata: il mio letto ondeggiava, come una barca mossa dalle onde del mare.

"Presto!", disse Yera, continuando a scuotermi. "Siamo in ritardo!"

I minuti seguenti furono piuttosto frenetici: Yera mi aiutò a truccarmi, pettinarmi e vestirmi, e io feci lo stesso con lei: anche il suo abito era bellissimo. "Anche questo è opera di suo fratello", mi disse. Ryan aveva fatto davvero di tutto per rendere speciali questi giorni, pensai. Immersa nei pensieri e nelle vicende degli ultimi giorni avevo trascurato fin troppo questo evento: mi ripromisi che avrei fatto tutto il possibile per evitare di portare via da lui l'attenzione che meritava. Era il suo matrimonio, e avevo il dovere di onorarlo con tutta me stessa.

Al termine dei preparativi ci recammo di corsa davanti allo specchio grande: una volta li' ci specchiammo una dopo l'altra, simulando un inchino. I vestiti erano davvero meravigliosi: in quel momento, per un attimo la mia mente si svuotò di tutti i pensieri e il cuore mi si riempì di speranza. Sir Thomas era salvo, il prigioniero di Valamer aveva detto la verità: forse Pyros avrebbe ascoltato le mie preghiere, e Rosalie sarebbe tornata a casa sana e salva. Mio fratello stava per sposarsi... Dovevo essere felice, per lui e per mio padre.

Vedendomi esitare di fronte allo specchio, Yera mi afferrò per un braccio: "coraggio, non vi imbambolate: dobbiamo andare!" esclamò, spingendomi frettolosamente fuori e poi trascinandomi di corsa giù per le scale: prima di raggiungere la carrozza fummo salutate dalle guardie di palazzo, che Yera omaggiò con ampi e calorosi sorrisi stringendosi a me. Poi salimmo in carrozza, dove ci aspettavano i nostri accompagnatori. Salutai nuovamente Yurae e Varal, che avevo lasciato soltanto poche ore prima in compagnia di Jen e Malaki dopo il nostro ritorno a Beid.

Varal cominciò a parlare con Yera, più che felice di conversare con il giovane soldato. "Sir Thomas le manda i suoi saluti", si limitò a dire Yurae, approfittando della sua distrazione. "Ci vorrà del tempo, ma pare che il braccio se la caverà". Annuii, sollevata. La carrozza prese rapidamente velocità, muovendo alla volta del largo pianale dove mio padre aveva fatto allestire lo spazio della giostra.


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12 maggio 517
Mercoledì 11 Aprile 2007

Verso il matrimonio

Sir Thomas e i suoi uomini vennero ritrovati la mattina del 12 maggio da uno degli altri gruppi di ricerca. Malaki, Jen ed io fummo messi a parte della lieta novella soltanto quella sera, impegnati come eravamo a seguire le tracce che avevamo trovato nei pressi degli alberi segnati; le impronte tracciavano una pista che riuscimmo a percorrere per molte ore e, prima di perdersi inghiottite dal sottobosco, lasciavano pochi dubbi su quale potesse essere la loro destinazione: quando ci fermammo, incerti sul da farsi, potevamo intravedere la solida e massiccia figura del castello di Adare ergersi maestosa al di sopra delle cime degli alberi.

Soltanto per la seconda volta nella mia vita il mio sguardo si posava sulla più antica fortificazione di Keib: il castello nero, una delle prime roccaforti umane presenti nel ducato. Più volte distrutto e ricostruito nel corso dei secoli buii, era alfine entrato in possesso di una importante famiglia deliota, i Keiros, oltre due secoli fa: gli ultimi proprietari si erano occupati dell'ultima ristrutturazione, rimpiazzando l'antica pietra nanica con quella più scura proveniente dalle cave della zona orientale di Keib e innalzando tanto le torri quanto il maschio centrale. Una serie di scelte che avevano ottenuto l'effetto di rendere quella fortificazione imponente e temibile, trasformando le preziose miniere di argento che circondavano quella zona in un tetro cimitero per i numerosissimi soldati di Beid che morirono ai piedi di quel gigante spietato.

Il castello di Adare mantenne la sua inviolabilità per oltre 200 anni: la sua leggendaria capacità di respingere ogni tipo di attacco fu decisiva durante la guerra del 496-497, dove i migliori reparti dell'esercito del padre di mio padre vennero annientati ai suoi piedi. Mi guardai intorno; molti di questi alberi avevano il fusto grande a sufficienza per aver visto il vano tentativo di ritirata da parte dei pochi superstiti di quello scontro: a nessuno di loro fu concesso di tornare indietro.
Il mio sguardo si posò su Malaki e Jen: gli occhi di entrambi erano fissi su quelle mura nere. Con tutta probabilità erano assorti nei miei stessi pensieri.

"Raccontami la loro storia" chiesi, dopo qualche minuto di silenzio.

Malaki prese la parola. "La maggior parte di loro morì nei pressi delle mura: quegli spalti consentono di scagliare frecce a una grande distanza e l'altezza consente all'arciere di mantenere la traiettoria tesa, capace di perforare qualsiasi armatura. E se il colpo non uccideva subito, non di rado il veleno finiva il lavoro per lui". Malgrado facesse di tutto per trattenersi, potevo sentire l'amarezza e la rabbia presente nelle sue parole. Non aveva preso parte a quella battaglia, ma molte persone a lui vicine avevano perso la vita in quel modo: amici, parenti, compagni d'armi.

Dopo un momento di silenzio, si sforzò di proseguire. "Il dio dei miasmi aveva fatto la sua comparsa qualche mese prima, in occasione del loro primo attacco. Il morso di qualsiasi freccia era mortale, a meno che non venisse trattato nel giro di poche ore: purtroppo non eravamo equipaggiati per una simile evenienza, e subimmo grandi perdite nel corso dei primi scontri. L'avanzata delle truppe di Keib portarono la guerra oltre le colline, a ovest: la loro ondata si infranse contro il castello di Valamer, da dove partì la nostra controffensiva. E fu a quel punto che i nostri nemici decisero di ripiegare: i soldati di Beid vinsero un paio di battaglie marginali sulle colline e quegli effimeri successi li condussero fino a qui, dove incontrarono una morte crudele e spietata, che ci costò la guerra e la perdita di tutti i territori a ovest di Valamer".

"... E la vita di mio nonno", aggiunsi: Malaki si limitò ad annuire. Non avevo mai conosciuto il padre di mio padre, quasi quattro anni mi separavano dalla sua morte. Una morte che era avvenuta a poche centinaia di metri da dove mi trovavo, ai piedi di quella creatura nera la cui gigantesca carcassa giaceva ferita a morte di fronte a me.

"Dove sono sepolti?" chiesi ancora, riprendendo fiato.

"I pochi che ebbero la fortuna di morire tra questi alberi restarono qui: molti di loro vennero recuperati e fu loro data una sepoltura dignitosa nei pressi di Valamer. Purtroppo", aggiunse, "tuo nonno non ebbe questa sorte: perse la vita insieme alla maggior parte dei suoi uomini, nei pressi delle mura".

"E... cosa ne fu, di loro?"

Malaki scosse la testa. "La maggior parte dei corpi venne trasportata verso le cave d'argento. Quella zona è piena di scavi interrotti e spaccature naturali, la maggior parte di loro venne gettata lì".

"E' orribile", pensai.

Malaki annuì. "Per anni Adare fu considerato un posto maledetto dai nostri soldati: un luogo mortalmente pericoloso, infestato dagli spiriti e dalle anime insepolte dei tanti morti di quel giorno. Questa fama portò all'isolamento dei Keiros, la famiglia che viveva al suo interno e che sembra avesse diffuso tra l'esercito di Keib le pratiche sacre al dio dei miasmi..."

"E soltanto nove anni dopo", lo interruppe Jen, "fu causa della loro disfatta". Proseguì nel racconto, raccontando altri eventi di cui ero a conoscenza: il castello di Adare era caduto nel 506 dopo un lungo assedio portato dagli uomini di mio padre: la perdita di quel baluardo costò a Keib la perdita dei territori acquisiti nove anni prima e il lato orientale delle colline Khadan, che comprendeva le cave d'argento. "In tal modo", concluse fieramente, "i morti del 497 tornarono finalmente a riposare in terra di Beid, e fu possibile dar loro degna sepoltura".

Abbandonammo quella zona qualche ora dopo, non senza aver celebrato una funzione in memoria delle innumerevoli vite che si erano spente nel corso degli anni passati. D'altronde, era improbabile che Sir Thomas avesse continuato in quella direzione: gli uomini di guardia al castello di Adare risposero a Malaki di non aver visto nulla di insolito, e di certo non avrebbero potuto non notare tre uomini a cavallo, specie considerando che non avevano alcun motivo per nascondere la loro presenza o le loro insegne. Tanto Malaki quanto Jen storsero il naso quando mi sentirono includere i caduti di Keib nella preghiera: il nostro giudizio nei loro confronti aveva il dovere di arrestarsi al momento della loro morte, e da quel punto in avanti diventava prerogativa degli Dei e loro soltanto.

La sera del 12 ci ritrovammo con gli altri gruppi al centro delle colline, presso il punto d'incontro precedentemente designato. Fu lì che, con mia grande sorpresa, incontrai lo sguardo di sir Thomas.

"Non dovevate correre questo rischio", mi disse scendendo dal suo cavallo e avvicinandosi a me. "Se porto questa spada è anche per far sì che non dobbiate mai salire su queste colline".

"Sono felice di vedere che state bene", risposi. "Avevamo modo di credere che poteste essere in pericolo".

Scosse la testa. "A dire il vero, le nostre spade sono sempre rimaste nel fodero. La nostra non era che una missione di ricognizione per conto di vostro padre: e a questo proposito", aggiunse accennando un inchino, "vi chiedo di consentire a me e ai miei uomini di proseguire con l'incarico che ci è stato assegnato. Abbiamo perso le prime ore dell'alba, ma se gli Dei ci doneranno un'altra giornata di sole potremmo essere di ritorno l'indomani sera, in tempo per il ricevimento di dopodomani".

Il suo sguardo si rabbuiò quando mi vide scuotere la testa. "Non posso farlo", dissi. "Vi chiedo il favore di tornare a palazzo".

"Temo di essere costretto a smentirvi", rispose dopo una breve pausa: "ma mi trovo obbligato a ricordarvi che l'incarico che ho ricevuto proviene direttamente da vostro padre, ed è a lui che rispondo... non a voi".

Non mi lasciai scoraggiare: avevo ascoltato la conversazione tra mio padre e sir Thomas, e sapevo di non infrangere alcun ordine specifico di mio padre. Al contrario, le notizie che erano giunte in mio possesso, se vere, rischiavano di mettere a repentaglio la vita di un soldato che per mio padre sarebbe stato impossibile rimpiazzare. "Ho ricevuto alcune informazioni in base alle quali siete a rischio di un attentato alla vostra vita", risposi restando calma. "Qualcuno che conosce il vostro valore come soldato potrebbe aver deciso di volervi morto, e sappiamo che i nostri nemici non esitano a chiedere ogni sorta di aiuto per raggiungere i loro scopi. Per questo motivo, vi chiedo di essere prudente al punto da tornare a palazzo con tutti noi".

"Non è una decisione che posso prendere", rispose sir Thomas. "Il mio compito non prevede la possibilità di essere scontato nè dalla prudenza nè dalle vostre richieste. Non appena sarò di ritorno prenderò in massima considerazione queste informazioni, ma ora sono costretto a chiedervi il permesso di lasciar proseguire me e i miei uomini". Il suo tono era rispettoso quanto deciso: non lo avrei convinto, non con questo tipo di argomentazioni. Tirai fuori l'incartamento consegnatomi da mio padre il marchese: prima di porgerlo a sir Thomas volsi lo sguardo in direzione di Malaki, che sorrise sotto i baffi, scuotendo la testa.

"Questo", disse il capitano, mentre lo leggeva, "dice che siete incaricata di svolgere le mie mansioni fino al mio ritorno. Il marchese vi ha dato l'autorità di occuparvi del palazzo", aggiunse poi, consegnandomi indietro il foglio, "non di ordinarmi di rientrare".

"E' vero: non posso ordinarvi di rientrare, ma posso svolgere le vostre stesse mansioni. Se davvero volete continuare la perlustrazione, verrò con voi".

"Non credo proprio", esclamò lui. "Non posso certo permetterlo, specialmente dopo quanto mi avete detto: con tutto il rispetto voi non siete un soldato, e queste colline sono pericolose".

"Sono un soldato esattamente quanto voi", risposi prontamente. "E queste colline rischiano di essere più pericolose per voi che per me: non ho l'autorità per ordinarvi di rientrare, ma tanto mio padre quanto la mia chiesa mi danno quella necessaria per impedirvi di affrontare un simile pericolo da solo".

La discussione durò un pò di tempo: il vantaggio di conoscere i dettagli del suo incarico mi consentiva di spingermi al di là di quanto normalmente avrei potuto fare, ed alla fine le mie argomentazioni riuscirono a spuntarla sulla risoluzione di sir Thomas. Il punto più difficile fu sostenere il suo sguardo quando rivelai la fonte delle informazioni che avevo ricevuto: potevo percepire la sua fatica nel mantenere un tono calmo e composto, non appena seppe di essere stato scavalcato.

"E sia", disse alla fine, "torneremo a Beid insieme e ascolteremo le dichiarazioni di questo individuo. Voglio sperare che non abbia abusato del vostro buon cuore, individui del genere non aspettano altro che trovare un animo gentile su cui far leva". Annuii in silenzio, senza dire nulla: piu' tardi mi sarei trovata a riflettere sui molti significati di quella frase.

E fu così che, in quindici persone, decidemmo di accamparci per la notte. La mattina seguente avremmo mosso tutti insieme in direzione di Beid, raggiungendo il palazzo in tempo per i preparativi dell'imminente matrimonio.

Nessuno di noi era preparato al tragico e inspiegabile evento che sarebbe accaduto di li' a poco.

(continua)

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