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« E' uno stragista, un massacratore. Tu hai presente l'epidemia? Chi credi che l'abbia provocata? »
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Solice Kenson
Cronache della Campagna di Caen
Solice Kenson
"Voi avete coraggio e siete molto convincente: ma non appena sarete chiamata a combattere, al primo combattimento che possa realmente definirsi tale, voi morirete. E non parlo di scontri confusi o ingarbugliati, dove nessuno capisce fino in fondo quello che sta facendo o magari ha meno voglia di uccidervi che di portare la pelle a casa. Parlo di uno scontro vero, in cui affronterete una persona con le vostre sole forze. Beh, è giunto il momento che qualcuno che vi vuole bene vi dica che queste forze non basteranno proprio contro nessuno".
creato il: 20/05/2005   messaggi totali: 91   commenti totali: 32
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Scritto il 05/04/2007 · 34 di 91 (mostra altri)
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12 maggio 517
Giovedì 5 Aprile 2007

Il sesto giorno

La conversazione con Jen era piuttosto stimolante e, a differenza dell'ultima volta, ero io quella con più viaggi sulle spalle e un numero maggiore di cose da raccontare. Certo, se al posto mio ci fosse stata Jen con gli amici di Caen, le cose sarebbero andate molto diversamente: il malvagio Hakon, il razziatore che non si fece scrupolo di depredare un santuario di Pyros, avrebbe avuto una spada in più rivolta verso di sè e la sua armata di vigliacchi. E qualcosa sarebbe cambiato anche nelle profondità del Miestwode: forse lei sarebbe stata capace di difendere Abel... Tuttavia, non era andata così: la sorte aveva deciso di mettere me a ricoprire quel ruolo, ed ogni singola volta le mie ginocchia si erano piegate, incapaci di sorreggermi quel tanto che bastava per adempiere ai miei doveri e difenderli con la spada.

Jen ascoltava i miei racconti in silenzio, mentre cavalcava. A differenza di Malaki, il suo atteggiamento nei miei confronti era spigliato e decisamente diretto.

"Devi ringraziare di essere ancora viva: i Nordri sono guerrieri formidabili, non c'è niente di cui vergognarsi a perdere uno scontro con loro. E poi il loro capo è morto, no?"

Era vero. Hakon il malvagio era morto, il suo corpo orribilmente macerato dall'operato di forze arcane provenienti dalla voce e dai gesti dello stregone che nostro malgrado ci aveva seguito. Stando al racconto di Eric egli aveva pronunciato parole arcane, aggravando a dismisura le già compromesse condizioni di salute del barbaro e provocandone la morte in preda a spasmi di dolore.

Lothar: lo stesso individuo che, pochi giorni prima, aveva salvato dalle fiamme gli occupanti di una casa che non ero riuscita a mettere in salvo. Colui che di lì a poco sarebbe diventato il maestro di Guelfo, colpito dall'efficacia del suo tremendo potere in misura di certo maggiore che non dai miei patetici tentativi di difendere quel sacro suolo. Fino a quel momento, malgrado fossi cosciente dei miei limiti con la spada, ero convinta di poter dare se non altro un segnale, un esempio della forza degli ideali professati dalla mia fede: ma era davvero cosi'?

Non raccontai a Jen i dettagli di quello scontro, così come le tenni nascosto il mio giuramento e l'impegno di servire gli obiettivi della Rosa. Ma non riuscii a tenerle nascosti i dubbi che mi attanagliavano da quando Malaki aveva appoggiato la punta della sua spada sul mio cuore, provocando in me una ferita non meno grave di quanto avrebbe prodotto un affondo portato a piena forza.

"Andiamo, cos'è quella faccia? Sei ancora giovane, hai tutta la vita davanti!", si limitò a dirmi inizialmente, mentre addentava una mela durante una delle nostre pause. Ero talmente immersa nei miei pensieri che mi dimenticai di risponderle... grosso errore. Un torsolo di mela mi colpì sul capo, producendo un rumore simile a una bottiglia di vetro sigillata quando la si apre per la prima volta.

STOC!

La guardai perplessa, non sapendo cosa fare. Perche' lo aveva fatto?

"Visto? Suona a vuoto! Quindi è inutile che fai finta di pensare", disse alzandosi e venendo verso di me, "tanto non ci crede nessuno. La verità è soltanto una, e la sai benissimo. Non sei tagliata per questa vita: vivere all'aperto, cibarsi di bacche, cacciare, pescare, arrangiarsi, tirare di spada contro qualcosa di diverso da un manichino o un istruttore che ti faccia vincere apposta... Questa è la verità. Questo è il mio mondo, ma non il tuo: per te il posto è soltanto uno, l'altare, e dovresti ringraziare il cielo di poter scegliere se stare in piedi dietro di esso o davanti e in ginocchio".

Continuai a guardarla, senza dire una parola: le sue parole facevano male.

"Tra l'altro", continuò portandosi un dito alla fronte, "io fossi in te non ci starei troppo a pensare: tuo padre guarda lontano e non si accorge tu hai già scelto qualcuno di molto, molto vicino. Non è forse cosi'?" disse sorridendo.

Scossi la testa, senza ricambiare il sorriso. "No", risposi costernata, "non è così. E mi ferisce davvero che tu possa crederlo. Credevo che mi volessi bene, che potessi comprendere ciò che sto passando e rispettare le scelte che ho fatto". Possibile che parlasse sul serio? D'un tratto non la riconoscevo più. Guardai Malaki, intento a lavare le scodelle su cui avevamo appena pranzato. Anche lui non batteva ciglio, malgrado avesse quasi certamente sentito tutto.

"Non mi sembra che tu faccia nulla per difenderle o sostenerle: nulla di pratico, almeno. La spada si studia, si impugna, si vive. Tu forse la impugni? No, apri la bocca e parli. La sfoderi forse ogni giorno per allenarti? No, apri i libri e leggi. Tu sei fatta per impugnare la penna, non la spada: è così che hai impostato la tua vita, e anche se sei ancora in tempo per cambiare ti consiglio di chiederti se è quello che realmente vuoi". E cosi' dicendo mi tirò un altro torsolo.

STOC!

"Tu potresti allenarmi", le chiesi dopo un attimo di esitazione. "Potresti..."

"O magari", mi interruppe subito, "posso convincerti a indossare la tunica invece dell'armatura. Potresti servire gli dei senza sanguinare, senza provare vergogna per te e per loro ogni volta che rovini a terra".

Scossi la testa, energicamente: era un discorso che mi era stato ripetuto almeno altre due volte, da entrambi i padri a cui gli Dei mi avevano affidato: tanto il mio genitore quanto padre Jacques a Foucault avevano espresso la loro perplessità di fronte alla scelta che intendevo compiere, ed entrambi avevano finito con l'accettare la mia decisione a intraprendere la strada che maggiormente sentivo. E, malgrado la sensazione di impotenza degli ultimi giorni, quella scelta continuava ad ardere al centro del mio cuore, alimentata da una fiamma tanto ardente e vigorosa da non poter essere spenta da nessuna lacrima.

Prima di rispondere, mi alzai in piedi. "Il mio posto è qui, con voi: con l'armatura, con la spada. Posso scegliere di non sfoderare quest'ultima, e di combattere con altri mezzi, ma non possiedo la facoltà di stabilire la direzione che la mia fede deve intraprendere a seconda delle mie emozioni".

Jen mi guardò per alcuni istanti. Poi sorrise, annuendo con il capo. Guardandola, mi resi conto dello sforzo che dovevano esserle costate le precedenti parole: a suo modo aveva cercato di aiutarmi, come Malaki. Erano molto diversi tra loro, ma l'affetto che provavano nei miei confronti era lo stesso. La ringraziai con lo sguardo, in silenzio: "vorrei davvero che fosse così semplice come lo è per te, Jen", pensai mentre la guardavo.

In seguito non parlammo più di questa cosa. Restammo sulle colline Khadan per quasi 2 giorni, senza trovare alcuna traccia di sir Thomas e dei suoi uomini. Le visioni smisero temporaneamente di tormentarmi, senza però che il mio sonno si decidesse a stabilizzarsi: giorno dopo giorno continuavo ad accumulare stanchezza, e sebbene mi sforzassi di tenerlo nascosto ai miei compagni di viaggio mi era diventato pressoché impossibile compiere qualsiasi azione diversa dallo stare a cavallo e dal mangiare. Al termine del secondo giorno, poco prima dell'imbrunire, Jen si fermò ad osservare la corteccia di un albero con fare preoccupato.

"Guarda qui", disse rivolta al fratello, che si affrettò a confermare la sua impressione. Per quello che potevo vedere, la corteccia non aveva che alcune venature, più che normali su un albero di quell'età e di simili dimensioni.

"Cosa succede?" chiesi, vedendoli preoccupati.

"Cugini", rispose Jen. "Il loro linguaggio degli alberiè cambiato e non sono capace di leggerlo, ma di certo sono stati qui da poco: questi segni sono ancora freschi".

Il linguaggio degli alberi: ero al corrente di questa particolarità dei soldati di Keib, addestrati a marcare il territorio ostile con segni in grado di poter essere riconosciuti dai loro compagni d'armi: successivamente alla guerra del 506, l'alto numero di prigionieri catturati sul campo di battaglia aveva dato alla marca di Beid il vantaggio di poter apprendere tale strumento nel corso degli anni, costringendoli a modificarlo progressivamente.

"Perché utilizzare il linguaggio degli alberi se l'obiettivo è sir Thomas?" chiesi. "Significa forse che sono organizzati in più squadre, come noi?"

"Ne dubito", rispose Malaki. "Una singola pattuglia ha discrete possibilità di eludere le torri di avvistamento, se è poco numerosa e si muove con circospezione: ma molte pattuglie rischiano di commettere molti errori, e uno solo di essi potrebbe mettere a repentaglio la sopravvivenza di tutte".

"E allora, perché..."

"Ci sono varie possibilità", intervenne Jen. "La prima è che abbiano un esploratore davanti a loro, con il compito di segnalare la posizione delle delle nostre vedette al drappello che lo segue a ragionevole distanza".

"E la seconda?" Chiesi: il suo tono di voce era strano, potevo leggere la preoccupazione di entrambi.

Malaki impiegò alcuni minuti per scrutare il terreno che circondava quell'albero: dopo qualche passo si fermò, indicando con la punta dello stivale quella che poteva essere la traccia di un uomo solo.

"La seconda", disse poi, gravemente, "è che non segnalino affatto le sentinelle o le vedette di Beid".

Alzò la testa, incontrando il mio sguardo che lo fissava con aria interrogativa.

"Keib", disse poi, indicando verso est. "Chiunque abbia lasciato quei segni, lo ha fatto per qualcuno diretto in quella direzione".

"Questo potrebbe significare che sir Thomas sta bene!", intervenne Jen, con aria sollevata. "Magari è semplicemente un segnale rivolto ad altre vedette più avanzate".

"O magari", continuò Malaki, "rivolto a qualcuno che abbia motivo di temere le vedette di Keib. Magari su queste colline c'è davvero qualcuno intenzionato a togliere di mezzo sir Thomas", aggiunse poi, tenendo lo sguardo fisso, "ma comincio a pensare che potrebbe avere ben poco a che spartire con i nostri cugini".


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Scritto il 05/04/2007 · 34 di 91 (mostra altri)
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