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- Colin Tarr -
 
Solice Kenson
Cronache della Campagna di Caen
Solice Kenson
"Voi avete coraggio e siete molto convincente: ma non appena sarete chiamata a combattere, al primo combattimento che possa realmente definirsi tale, voi morirete. E non parlo di scontri confusi o ingarbugliati, dove nessuno capisce fino in fondo quello che sta facendo o magari ha meno voglia di uccidervi che di portare la pelle a casa. Parlo di uno scontro vero, in cui affronterete una persona con le vostre sole forze. Beh, è giunto il momento che qualcuno che vi vuole bene vi dica che queste forze non basteranno proprio contro nessuno".
creato il: 20/05/2005   messaggi totali: 91   commenti totali: 32
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8 agosto 517
Venerdì 28 Settembre 2007

Non ti facevo...

Nomi. Luoghi. Altri nomi: i nostri nomi. E poi ancora appunti, annotazioni, idee cancellate perché impraticabili o non abbastanza buone, non abbastanza rapide: e niente altro. Fino a poco fa ero in grado di vedere fili invisibili che collegavano queste parole intrecciarsi tra loro e formare diversi possibili piani d'azione... ma da quando sono tornata a sedermi è come se non ci fossero più. Forse dovrei seguire il consiglio di Padre Lorenzo e andare a riposare: sento che c'è un particolare che mi sfugge, ma è altrettanto chiaro che non riuscirò a trovarlo comunque, questa sera. Sono troppo stanca... o troppo distratta.

Non ti facevo così...

Quella frase continua a tornarmi in mente con una frequenza impressionante. Come mai? In fondo è stato un semplice errore, un fraintendimento del tutto normale in una conversazione di quel tipo: Padre Quart è un uomo d'azione oltre che di intelletto, ed è abituato a parlare con persone come lui: una simile reazione avrebbe anzi dovuto lusingarmi, è forse la prima volta in cui non ha visto in me una bambina quanto piuttosto un combattente alla stregua di Eric, Loic, Quixote o Guelfo... e se davvero è così, forse non mi considera più un'apprendista che ha bisogno di un compagno più esperto di lei a prendere decisioni difficili e importanti.

Non ti facevo così spregiudicata.

Si sbaglia: vorrei che leggesse dentro di me, per capire che l'esperienza di Laon mi ha mostrato cosa significa dover prendere decisioni che non sono in grado di prendere, che non posso prendere: non ancora, non più. Vorrei che leggesse quanto ho bisogno di una figura come Abel che abbia la capacità e il giudizio di compiere scelte che potrebbero costare vite; che sappia dire di no a una bambina bisognosa di aiuto per concentrarsi su un disegno più grande; che possa perdersi per poi ritrovarsi, sprofondare nell'abisso e nel baratro della rinuncia al suo credo per salvare chi sta annegando, per poi avere la forza di tirare su entrambi. Persone che ammiro e rispetto perché capaci di trovare i valori in cui credono anche privandosi di questa veste che indosso, e per questo più meritevoli di me di indossarla... Mentre io so soltanto lavarla, quando la vedo impregnata di sangue che non voglio versare.

Non ti facevo così spregiudicata, mi ha detto.

Non era un insulto né un rimprovero: era un complimento, in tutto e per tutto simile a quelli che mi fa Loic quando mi vede combattere. A volte vogliamo vedere una cosa con una forza tale che finiamo per convincere noi stessi che sia davvero così: Loic vede una guerriera, Guelfo vede una guida, Padre Lorenzo... forse vede se stesso, o un Paladino della sua stessa statura. Si sbaglia, si sbagliano tutti.

Non ti facevo così spregiudicata, mi ha detto sorridendo.

Forse non sono io quello che serve in questo momento a Padre Quart. Il suo sorriso era una speranza che mi sono affrettata a uccidere: la speranza che gli eventi recenti avessero avuto l'effetto di rendermi qualcosa di diverso dall'Adepta Paladina che si presentò tremante e imbarazzata al suo cospetto meno di un anno fa. Non vi mentirò, Padre Quart: quell'Adepta Paladina trema ancora, ora come allora.

Ora so anche perché non vedo più nulla su questo foglio, oltre ai nostri nomi e a quelli dei luoghi e delle persone con cui avremo a che fare a partire da domani: non vedo più il piano perché ora so che non esiste alcun piano che io abbia speranza di portare a termine con successo, magari proprio perché non sono abbastanza spregiudicata.

Ma questo non significa che rinuncerò a combattere: tenterò comunque, anche se non vedo per me alcuna possibilità. Ho prestato un giuramento e intendo mantenerlo ad ogni costo, anche se so di non essere la persona adatta. In fondo, mi resta ancora la fede: alla sua luce affiderò i miei passi, sperando e pregando per il meglio. Ma non posso chiedere a Guelfo o ad altri di accompagnarmi in questo fallimento annunciato, del quale peraltro non conosco i pericoli: è giusto che sappiano che ciò che temono sia un rischio è in realtà più simile una certezza.

Non ti facevo così spregiudicata
scritto da Solice , 07:46 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
7 Agosto 517
Domenica 23 Settembre 2007

Teatro dei Nomadi

Questa sera la mia preghiera è stata solitaria.

Ciascuno di noi ha trovato nell'arco della giornata i tempi e i modi per rendere grazie agli Dei: alcuni hanno scelto di recitare le loro preghiere insieme alla città, nel corso di una o di entrambe le funzioni celebrate da Padre Gabriel in memoria dei defunti; altri, impossibilitati a muoversi, si sono inginocchiati alla base del letto insieme a Ludmilla; altri ancora, raccolti nei loro pensieri, hanno scelto di pregare rivolgendo il loro animo agli Dei e cercando da soli una risposta alle loro domande.

L'arrivo del Paladino Nicolas Long e le notizie da lui comunicate circa Padre Lorenzo Quart ci hanno spinti ad andare a letto presto, rimandando a domani i saluti e gli ultimi preparativi. Nessuno ha sentito il bisogno di celebrare il vespro perché tutti, a loro modo, sentivano di averlo già onorato. E avevano ragione: l'ultima giornata che abbiamo passato a Laon si è svolta come un'unica, lunga preghiera. Canti di raccoglimento, come il lungo funerale mattutino che ha riunito una città intera intorno a chi ha dato la vita per difendere valori di verità e giustizia; canti di pentimento, come la breve funzione celebrata in memoria dei prigionieri defunti che troveranno nel giudizio di Pyros il perdono per le loro azioni o la dannazione eterna; canti di misericordia, come le parole con cui Benton ha ricordato a sé stesso ancora una volta le sue esperienze passate e la sua volontà di affidarsi alla luce degli Dei; canti di speranza, come il sorriso di Nickel alla vista di Codino, come l'arrivo di Nicolas Long e l'imminente incontro con Padre Lorenzo Quart.

"Pregare non significa chiedere": questa frase è l'estrema sintesi dell'insegnamento che ho ricevuto durante il mio primo anno a Foucault: dietro queste parole si nasconde un concetto apparentemente semplice, al punto che lo si insegna in tenera età. Ma non c'è niente di semplice quando la paura ti attanaglia lo stomaco, impedendoti di pensare: perché a quel punto, quando le ginocchia tremanti si piegano fino a toccare il suolo e le mani si stringono a farsi coraggio l'un l'altra mentre la fronte si china a raggiungerle, è difficile astenersi dal chiedere quello che ci serve. Coraggio, Forza d'Animo, Risolutezza, e ancora Speranza, Misericordia, Cessazione del Dolore. Che sia per noi, per i nostri cari o per una città intera, in quel momento dimentichiamo la nostra umiltà e chiediamo a gran voce un segno, un messaggio, un aiuto: a tale scopo vincoliamo il nostro voto, a tale richiesta consacriamo la nostra preghiera. "Pregare significa chiedere", questo fu l'insegnamento del secondo anno. Una frase decisamente più complessa, solo apparentemente antitetica rispetto alla precedente: chiedere a se stessi, impostare la propria vita secondo i valori e i dogmi mostrati dagli Dei. Soltanto questo può liberarci delle nostre paure e aiutarci nella lotta contro i nostri nemici.

Al termine della mia preghiera ho spento la lanterna, per poi coricarmi insieme alle mie compagne di stanza. Credo di aver resistito per qualche minuto prima di riaccenderla, illuminando nuovamente le sagome delle mie amiche addormentate: quei minuti passati nel buio più completo mi sono sembrati un'eternità. E' buffo vedere come Nickel riesca a dormire senza problemi: il suo cuore è ancora ferito e scosso, eppure in lei non alberga alcuna paura.

Domani all'alba lasceremo questa città: i quattro giorni che ci lasceremo alle spalle hanno cambiato per sempre la vita di molte persone. Abbiamo portato giustizia ma anche la consapevolezza che il male è subdolo e recidivo, e che le sue spire arrivano a corrompere persino le famiglie più importanti del feudo. Molti degli eventi occorsi in questi quattro giorni resteranno per sempre impressi nella mia memoria: i due colpi inferti prima a Nickel e poi al Monaco, sferrando i quali ho avuto per la prima volta paura della spada che porto; le due ferite ricevute da Jarel, l'una dovuta ai suoi incantesimi, l'altra alle parole volte a giustificarne lo studio; e infine lo sguardo velenoso della figlia del Barone, che mi ricorderà sempre quanto possano rivelarsi intoccabili alcuni dei nostri nemici.

Osservo le ombre danzare sulle pareti, frutto della mia mano che passa davanti alla lanterna: il Teatro dei Nomadi, così lo chiamava Yera. Provo a fare qualcuna delle facce e degli animali che mi faceva sempre prima che mi addormentassi: alcune mi riescono, altre no.

Non vedo l'ora di incontrare nuovamente Lorenzo Quart e di metterlo al corrente dei risultati del nostro lavoro: lui saprà fugare le mie paure e e aiutarci a continuare così, seguendo il cammino tracciato dagli Dei: un solo giorno e potremo parlare con lui.

E' con questo pensiero che spengo la luce, abbandonandomi finalmente all'abbraccio di Kayah.

Ombre Cinesi
scritto da Solice , 08:19 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
4 agosto 517
Sabato 1 Settembre 2007

Duello perso

Un personaggio più inquietante del previsto, capace di metterti a disagio con poche frasi e uno sguardo in grado di scavare a fondo. Nei suoi occhi c'è una rabbia felina, viva e profonda verso tutto quello che sono e rappresento. Gli occhi del nemico, secondi forse solo a quelli di Uther del Miestwode ma non per questo meno spaventosi, meno raggelanti: armi non meno letali dei suoi stessi incantesimi.

"Il fedele di Kayah cede il passo". Le parole di Padre Francesco da Achenar risuonavano nella mia mente mentre le toglievo la sottile fascia di stoffa che le impediva di parlare: ciò che cercavo era una conversazione, non uno scontro verbale. Lei no: un istante dopo mi trovavo già costretta a difendermi, vittima del suo sguardo e dalle sue parole che colpivano veloci e spietate come lame di un coltello affilato, prima in Delos, poi in Greyhaven: parole di odio e disprezzo, forgiate con una voce di acciaio non meno tagliente della lama di falsa luce in precedenza scagliata contro il mio braccio. Il piano era questo, in fondo: cedi il passo; fatti colpire; falla sfogare; fatti giudicare; fatti insultare; fatti calpestare. Pensavo che sarebbe stato più facile: rispondere alle domande anziché farle, farsi deridere, farsi sbeffeggiare... Domande senza senso, la mente che si offusca di fronte allo sguardo accusatorio... Era ancora lei la prigioniera? Non ci ha pensato due volte a prenderselo il passo, per poi colpire a morte l'avversaria rea di averglielo ceduto.

Poi è intervenuto Guelfo: "se non ti dispiace, vorrei chiederti ancora un'ultima cosa". Sono stati gli istanti immediatamente successivi a farmi comprendere il profondo significato delle parole di padre Francesco da Achenar. La recente vittoria l'aveva resa superba e carica d'orgoglio, convincendola di poter colpire una seconda volta una seconda persona, questa volta in modo ancora più difficile, efficace e perverso: non ha resistito alla tentazione di instillare il seme del dubbio nel suo avversario, nel trasformare il disprezzo in sdegno, la rabbia in persuasione, l'odio in seduzione. Guelfo l'ha lasciata fare, accettando di vedere le sue carte come un giocatore esperto, obbligandola a rischiare, a rilanciare con i suoi ideali, le sue conoscenze. Informazioni preziose, che ci consentiranno di riferire particolari di fondamentale importanza all'inquisizione e agli studiosi che la Chiesa deciderà di impiegare per la risoluzione di questo mistero esoterico.

Vittoria, dunque: abbiamo ceduto il passo, ottenendo le informazioni che volevamo. Perché allora mi sento come se avessi perso il mio primo, vero duello? Perché non riesco a pensare ad altro che al suo sguardo di soddisfazione, compiacimento e vittoria nel vedermi muta, impotente e terrorizzata mentre Guelfo le consegnava il foglio dei Labirinti di padre Erwin?

Jarel Delosan - Immagine 1
scritto da Solice , 05:23 | permalink | markup wiki | commenti (0)