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Solice Kenson
Cronache della Campagna di Caen
Solice Kenson
"Voi avete coraggio e siete molto convincente: ma non appena sarete chiamata a combattere, al primo combattimento che possa realmente definirsi tale, voi morirete. E non parlo di scontri confusi o ingarbugliati, dove nessuno capisce fino in fondo quello che sta facendo o magari ha meno voglia di uccidervi che di portare la pelle a casa. Parlo di uno scontro vero, in cui affronterete una persona con le vostre sole forze. Beh, è giunto il momento che qualcuno che vi vuole bene vi dica che queste forze non basteranno proprio contro nessuno".
creato il: 20/05/2005   messaggi totali: 91   commenti totali: 32
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10 maggio 517
Venerdì 30 Marzo 2007

Il quarto giorno (seconda parte)

La carta, dimenticata sul mio comodino, bruciava lentamente di un pallido fuoco del colore della vaniglia; i miei occhi osservavano rapiti quella danza irregolare, mentre ombre increspate si componevano e ricomponevano sulle pareti e lungo il soffitto in legno di Veremar. Avrebbe preso tutto fuoco? Nel mio cuore speravo di no: era la mia camera, dopo tutto.

Non è il fuoco di Pyros: ho gia visto queste fiamme, ma non ricordo dove. Proviene da posti che non possono essere visitati. Eppure l'ho visto, ne sono sicura. Proviene da posti che non possono essere visitati. Sono certa di conoscerlo. Se lo conosci, conosci anche quelli come me. Chi sei tu? Uno stregone. E cosa vuoi da me? Due cose: la prima, ringraziarti. La seconda, farti ascoltare la mia storia. Ringraziarmi? Non ho fatto nulla. Hai fatto molto, invece: il tuo nome è innocente, il tuo sangue ci ha vendicato. Vendicato? Non capisco, cosa c'è da vendicare? La mia morte. La nostra morte. Vuoi ascoltare la mia storia? Aspetta: come può un morto sopravvivere, come può comunicare con me come stai facendo tu? Fino a quando qualcuno si ricorderà di lui, egli sopravviverà. Dimmi il tuo nome, allora. Non è così semplice. Parlami dei tuoi amici. I miei... cosa? Lo stregone. Il paladino. I guerrieri. Le due ragazze. Tieni molto a loro? Io non... Dimmi i loro nomi e ti saprò dire se corrono qualche pericolo... Non posso. Ascolta la mia storia, allora. Come fai a conoscerli? chi sei? Ti ho già risposto, ora tocca a te rispondere. Non intendo farlo. Non ti fidi di me? lo hai detto tu stesso: il tuo fuoco non è quello di Pyros. Neanche quello di Francois. Come conosci questo nome? In nome degli dei, chi sei? Cosa importa? Non è il suo vero nome. Non ho intenzione di parlare ancora con te. Non avevi sonno? Non ho intenzione di parlare ancora con te. Quando ti addormenterai di nuovo verrò a chiedertelo ancora. Se le cose stanno cosi', non succederà più. Perché non vuoi ascoltarmi? Non ho il diritto di poter essere ascoltato da te? Non sei forse una servitrice degli dei? Perchè... perchè mi stai facendo questo? A dire il vero te lo sei fatta da sola, prendendo quella carta. Per favore... lasciami in pace. Dunque è cosi'? Non vuoi ascoltare la mia storia? Sono così stanca... non riesco a pensare. La prossima volta che ti addormenterai ci incontreremo ancora e mi darai la tua risposta. E poi riuscirò a dormire? temo... che questo non succederà per un pò di tempo.

Riaprii gli occhi, sollevandomi a sedere e scostando la coperta che qualcuno doveva aver messo sopra i miei abiti. Mi guardai intorno, convinta di incontrare da un momento all'altro lo sguardo severo di mio padre o il volto apprensivo e preoccupato di mio fratello: i miei occhi spaziarono invece all'interno di un lungo salone occasionalmente percorso da soldati che vestivano le insegne di Beid. Uno di loro, vedendomi, si mise sull'attenti. "Salute a voi", disse battendo uno stivale in terra.

"Quando morirò", disse una voce proveniente dalle mie spalle "si potranno dire tante cose sul mio conto: troppo vino, forse anche troppe donne. Ma una cosa non voglio che venga detta: che ho disubbidito a un ordine della mia principessa". Cosi' dicendo, Malaki si alzò in piedi, muovendosi attorno a me fino ad incontrare il mio sguardo. "Come state?" mi chiese poi, abbassando la voce.

"Vi ringrazio", risposi. "Vi ringrazio tanto". Ero raggiante: aveva esaudito le mie preghiere, portandomi dove gli avevo chiesto.

Malaki alzò le spalle, borbottando qualcosa. "Siete tale e quale vostro padre: la notte non dormite, il giorno non dormite. Spero che mi concederete l'onore di potervi riportare a casa in buona salute, cosi' da non incorrere nelle sue ire".

Annuii con un sorriso. "Quanto ho dormito?", gli chiesi poi. "E come siamo arrivati qui?"

"Avete dormito due, forse tre ore direi: durante le quali, se la modestia me lo consente, mi sono fatto una bella passeggiata".

"A piedi? Con me?" Lo guardai con gratitudine: per quello che ricordavo, la strada per Valamer era assolata e in salita.

"Ho pensato che era una buona occasione per buttare via qualche chilo di troppo: e poi, che diamine, non rinuncerei mai a portare a passeggio la mia principessa".

Risi di gusto, mentre lo ascoltavo: è bello essere nuovamente a casa, pensai. Poi la mia mente tornò a mettere a fuoco la carta che bruciava: ripensai ai particolari del sogno che si era appena concluso... La voce dentro di me aveva un qualcosa di minaccioso, ma sentivo anche dell'altro: paura, forse... oltre a un desiderio incontenibile di comunicare le proprie sensazioni, le proprie emozioni. Forse avrei davvero dovuto ascoltarlo, forse il mio dovere di Paladina lo richiedeva. Poi ripensai a Rosalie, e improvvisamente, ricordai che c'era del lavoro da fare.

"Malaki", dissi: "nei sotterranei di questo castello è rinchiuso l'individuo che mi ha aggredita. Possiedo l'autorizzazione di mio padre a fare le veci di sir Thomas, e intendo fare uso di questa autorità per chiedere ai soldati di guardia il permesso di parlare con lui.

"Non sarà facile", disse. "Se sir Thomas è partito senza essere al corrente di questo, avrà di certo messo degli uomini che non saranno certo contenti di assumersi la responsabilità di farvi passare".

La conferma delle sue paure venne qualche minuto dopo, quando raggiungemmo la porta che conduceva alle segrete: non conoscevo i volti dei due soldati posti ai lati della robusta porta di ferro, ma lo sguardo di Malaki era sufficientemente eloquente prima ancora che la conversazione avesse luogo.

"Nessuno può scendere nelle segrete", disse uno dei due. "L'ordine è del capitano Thomas".

Malaki fece del suo meglio per presentare me e l'incarico affidatomi da mio padre, ma non ottenne alcun risultato: le due guardie erano intenzionate a non far passare nessuno. Tuttavia, il mio accompagnatore non si diede per vinto: nel giro delle successive due ore chiese e ottenne udienza con l'anziano sir Duran.

Il "vecchio Steve", come lo chiamava lui, era da anni la massima autorità all'interno del castello di Valamer, cavaliere di Beid fin dai tempi del padre di mio padre e suo buon amico e compagno d'armi. Prima di andare a parlare con lui, Malaki mi consigliò di raggiungere nuovamente la coperta e riposarmi un altro pò. Lo ringraziai, scuotendo la testa: non avrei dormito. Non avrei fatto un'altra conversazione con quell'individuo misterioso prima di aver ottenuto delle risposte dall'uomo che si trovava nelle segrete poste pochi metri sotto di me.

Grande fu la mia gioia quando Malaki fu di ritorno scortato da un ufficiale che ebbe cura di aprirci personalmente le porte delle segrete, scavalcando i due increduli soldati. "Sir Thomas non sarà contento", disse uno di loro, guardandomi e scuotendo la testa. Aveva ragione, non lo sarebbe stato: ma la responsabilità che sentivo dentro di me non era meno grande della sua, e forse al suo ritorno mi avrebbe dato la possibilità di spiegargli le mie ragioni.

Per la prima volta mi trovai a scendere quelle scale, buie e silenziose. Malaki guidava con attenzione i miei passi, reggendo una lanterna. "Potrebbe essere il caso di tapparsi le orecchie", mi disse sottovoce una volta raggiunto lo stretto corridoio che conduceva alle celle. "Ci sono altri due prigionieri che non hanno molto da aggiungere alla loro condanna". Passai davanti al primo dei tre, un individuo molto corpulento che mi scrutò da lontano, annusando l'aria. Non disse nulla, e io feci lo stesso: l'ospitalità in quel luogo mi era stata faticosamente concessa e dovevo attenermi al mio incarico.

Il secondo prigioniero che vidi era colui che mi si era presentato come Jack: si trovava in una cella poco distante dalla prima. Era sveglio, seduto in terra. Non appena mi vide, si alzò.

"Ciao, Joan. Sono felice di vederti qui", mi disse avvicinandosi alle sbarre. A parte un accenno di barba, i giorni passati in cella non avevano avuto altri effetti sul suo aspetto.

"Stà zitto, verme" lo interruppe Malaki, "parla lei". L'uomo che diceva di chiamarsi Jack annui', spostando il suo sguardo prima su di lui, poi su di me.

Avevo pensato a lungo sulla frase con cui avrei iniziato questa conversazione, ma in quel momento ci fu una cosa sulla quale si concentrarono le mie parole: "Ho preso la tua carta", esclamai, cercando di cogliere la sua reazione. Niente. Continuava a guardarmi, fisso e attento.

"Credo... credo che mi abbia parlato. Nel sonno, forse. Io..."

"Il bestione è fidato?" mi chiese, interrompendo la mia frase, volgendo nuovamente lo sguardo verso Malaki che si limitò a guardarlo male, senza rispondere alla provocazione.

"Non saranno le tue parole a stabilire se ci sono o meno bestie tra noi", risposi, prima di continuare il mio discorso. "E le persone malfidate sono solite stare dal tuo lato delle sbarre. La tua carta mi ha parlato", aggiunsi, imponendomi di restare calma: non era alla collera o al raconre che avrei dovuto chiedere consiglio su come condurre questa conversazione. "Ma non è stata l'unica voce che ho ascoltato in queste notti insonni: altri messaggi hanno raggiunto la mia mente, e se ancora è la nebbia a offuscare la mia vista, ora i miei occhi sono più aperti rispetto al nostro primo incontro".

"Sono contento", mi rispose. "Ma se hai intenzione di chiuderli ancora, ti consiglio di riconsegnarmi quella carta".

"Spiegami perché dovrei fare qualcosa di diverso dal distruggerla".

"Non lo farai comunque: non mi sembri il tipo di persona che risolve i problemi uccidendo chi gli fa la domanda, o sbaglio? In ogni caso, distruggerla o meno non avrebbe alcuna importanza. Quella persona è già morta, ti limiteresti a consegnarne lo spirito nelle mani degli Dei."

"Se quello che dici è vero, cosa mantiene il suo spirito su questo mondo?".

"L'ingiustizia di cui è stato vittima", rispose. "Ed ora che questa ingiustizia è stata lavata non c'è piu' nulla che possa farlo. Malgrado i suoi sforzi, in un modo o nell'altro è destinato a svanire".

Non capivo i suoi discorsi: "Se il suo scopo è stato raggiunto, perché si trova ancora qui? perché mi ringrazia, e perché vuole raccontarmi la sua storia?"

"Perché è giusto che qualcuno possa raccontarla, e non ha saputo resistere all'occasione di raccontarla a quella che in forse è l'unica persona che potrebbe realmente far si che ciò avvenga".

Continuavo a non capire. "Perché proprio io?".

"La risposta a questa domanda non posso dartela io: se desideri conoscerla, ascolta la storia e capirai: se ho capito bene che tipo di persona sei", aggiunse, "probabilmente non ti pentirai di averlo fatto".

"Perché mi hai aggredita?"

"Avevo poco tempo, troppo poco per convincerti in altro modo: ho scelto di rischiare e mi è andata doppiamente male: speravo di avere ragione e scoprirlo da uomo libero, invece avevo torto e l'ho scoperto un attimo prima di finire dietro le sbarre".

"Cosa dovevi capire?"

"Che completi un quadro: tu e le persone che hai incontrato nell'ultimo periodo della tua vita. Un quadro bellissimo e doloroso, come una rosa ricoperta di spine. Speravo che tu non ne facessi parte ma avevo torto, ti credevo innocente e invece eri l'Innocenza. Divertente, no?"

Scossi la testa: era divertente quanto il delirio di un pazzo. Eppure, quella massa di parole senza senso avrebbe cominciato lentamete a prendere una forma definita di li' a poco.

La conversazione durò poco meno di un'ora, nel corso della quale rispose a tutte le mie domande: le informazioni che mi rivelò sono troppe per essere trascritte in modo coerente, cercherò di metterle insieme nel corso dei prossimi giorni una volta che sarò riuscita a ricomporle in modo ordinato nella mia mente.

"Uscirò mai di qui, Joan?" mi chiese, al termine del mio inaspettatamente fruttuoso interrogatorio.

Scossi la testa, rifiutandomi di rispondere: anche se fosse riuscito a convincermi, non sarebbe stato facile. "Se quello che mi hai rivelato corrisponde al vero, devi aspettare e avere fede: se mi hai mentito, invece" aggiunsi dopo alcuni istanti, "no, non uscirai mai".

Fu a quel punto che mi chiese di pregare.
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10 maggio 517
Venerdì 23 Marzo 2007

Il quarto giorno

Nonostante tutte le mie preghiere i miei sogni continuano ad essere inquieti e agitati: all'alba del quarto giorno, dopo la terza visione incomprensibile e altrettante notti insonni, ho chiesto a Malaki di accompagnarmi alla chiesa del Santo Custode.

"Ti senti bene, principessa?" Mi ha detto, scrutando il mio volto con aria preoccupata. No, avrebbe voluto che gli rispondessi: ma non avevo il diritto di mettere a repentaglio il riconoscimento del mio ruolo da parte di mio padre faticosamente ottenuto nella giornata precedente, cosi' lasciai alla mia voce stanca l'onere di comunicare le mie condizioni al soldato che si era messo a mia disposizione.

"Ho soltanto bisogno di parlare con Padre Barkev. Lui saprà darmi le indicazioni che ci servono per iniziare la nostra ricerca".

Bartoughimeos Barkev ricopre, fin da prima che io nascessi, la funzione di prevosto della città di Beid. A lui i sacerdoti e i paladini delle chiese e degli altri luoghi di culto che circondano la mia città natale chiedono da sempre consiglio sui dubbi legati ai misteri della fede e dell'esistenza: la maggior parte di loro sostiene che, a differenza di molti sacerdoti più giovani impazienti di comunicare le proprie sensazioni, padre Barkev possiede il dono innato di saper ascoltare. Si tratta di un uomo solitario e schivo e ho avuto l'onore di incontrarlo soltanto in due occasioni, entrambe prima della mia partenza per Focault: la seconda volta ero insieme a Patrick: avevo quindici anni, e ricordo distintamente il suo sguardo su di noi mentre mio fratello gli parlava, agitato. Era impossibile non accorgersi della profondità di quegli occhi, che in oltre sessant'anni si erano posati su innumerevoli cose in giro per il mondo, in particolare in terra di Delos, la sua patria: quel giorno, padre Barkev fu in grado di rispondere alle domande che gli rivolse mio fratello, dissipando tutte le sue incertezze: era senza dubbio la persona giusta con cui parlare.

Sulla strada per la chiesa del Santo Custode io e Malaki ci siamo imbattuti in una festa paesana: una piccola orchestra di musici suonava su un palco improvvisato al centro di piazza dei Mercanti, circondata da una folla danzante e allegra. Il mio accompagnatore, leggendo sul mio volto la mia sorpresa, si è affrettato a spiegarmi che doveva trattarsi di una iniziativa del borgomastro analoga ad altre che aveva già visto nei giorni passati: una buona parte dei cittadini di Beid e degli abitanti dei territori circostanti non riusciva a partecipare a molti dei ricevimenti e dei banchetti organizzati a palazzo e nella zona dei festeggiamenti, a volte per ragioni di spazio, altre volte perchè le feste non erano aperte a tutti. Per questo motivo venivano organizzate di giorno in giorno una serie di attività cittadine con lo scopo di far vivere a tutti il clima di festa e di felicità di quei giorni.

Mi fermai alcuni istanti ad osservare quella folla che danzava e cantava a ritmo di musica, rapita da quei volti felici: la maggior parte di quelle persone aveva sicuramente avuto una vita molto meno fortunata della mia, eppure riusciva a mettere da parte ogni fatica o preoccupazione per regalare a se stessa e agli altri la pace e la gioia di quei momenti. Tra loro potevo scorgere maniscalchi, cameriere, contadini, braccianti e operai: di fronte a molti di quei lavori la mia stanchezza era ben poca cosa eppure erano li', decisi a vivere quel momento prima di ricominciare il loro compito. Da quando ero uscita dal monastero, il compito di alleggerire il loro peso spettava a me: continuai a guardare i loro movimenti, promettendo a me stessa che avrei fatto del mio meglio per essere per loro quello che padre Barkev sarebbe stato quel giorno per me.

"Non so ballare" disse improvvisamente Malaki, facendomi sobbalzare. "Mi spiace", aggiunse poi alzando le spalle in risposta al mio sguardo stupito: colta alla sprovvista cercai invano di correggere il suo equivoco scuotendo la testa, senza riuscire a trattenere le risate. Malaki era al servizio di mio padre da molti anni: forse non mi avrebbe mai vista come una paladina, e per lui sarei rimasta per sempre la "piccola principessa"; e forse, tutto sommato, era giusto cosi'.

Il colloquio con padre Barkev fu lungo e intenso: Malaki restò ad aspettarmi davanti alla chiesa mentre l'anziano sacerdote tenne fede alla sua fama, ascoltando con pazienza le dettagliate descrizioni delle mie esperienze oniriche e senza interrompere i miei goffi tentativi di spiegarli, nel tentativo di ricondurli a una logica che comunque non capivo. Infine mi osservò per alcuni istanti, prima di parlare.

Accolsi le sue parole con la gioia di un pellegrino assetato, il cui sguardo si posa sul contorno diafano di un'oasi: a quanto pare, ero stata scelta da una divinità antica e potente, una delle manifestazioni primordiali della dea Harkel, la cui identità era rivelata dalla conformazione della creatura misteriosa che aveva popolato il mio ultimo sogno: una sorta di cervo dalle sembianze umane alto diversi metri e dagli occhi tristi. Padre Barkev mi spiegò che, nei territori che circondavano la foresta del Miestwode, era diffuso fino ad alcuni secoli prima un culto legato a due spiriti che condividevano lo stesso tempio: Marduk e Etemenanki, opposti e al tempo stesso inscindibili tra loro come l'individuo e la collettività. Il primo, votato all'individualismo, era solito commettere errori e sovente cadeva preda dell'ingratidudine e dell'egoismo; il secondo, al contrario, era aperto al perdono ed all'armonia che trae origine dalla fratellanza e dall'esperienza collettiva della vita e del lavoro di gruppo. Mi disse come gli Dei della Luce vennero in aiuto al culto di Etemenanki, che accettò i dettami della Chiesa e i cui discepoli trovarono asilo nel grembo della dea Harkel; e mi spiegò di come questo non avvenne per il culto di Marduk, che preferì continuare la sua rivalsa contro il fratello arrivando a rinnegare quella stessa Chiesa che lui aveva accettato: in tal modo libero' il culto di Etemenanki dal vincolo che lo vedeva costretto a convivere con lui e i suoi seguaci scelsero le vie della solitudine, scomparendo nell'ombra.

Vedendomi turbata a seguito di quel racconto, padre Barkev continuò a parlarmi delle mie visioni: i luoghi sacri a Etemenanki sono quelli incontaminati, che non conoscono il suono delle parole dell'uomo. Presto o tardi quei luoghi sono destinati ad essere raggiunti, per colpa o per merito dello spirito esplorativo umano. Tale esplorazione può essere benevola, se guidata dalla Luce, o portare grandi scompensi se procede senza regole e pilotata da intenti egoistici. Se spiriti come Etemenanki si manifestano, di certo è per far si' che coloro che si dichiarano fedeli ai principi della giustizia e dell'altruismo affrontino e reagiscano alle azioni di chi non possiede simili ideali.

Al termine della conversazione ero a dir poco scossa: una volta congedatami da padre Barkev sono rimasta per diversi minuti a riflettere su quelle parole, inginocchiata di fronte all'icona di Harkel presente nella chiesa del Santo Custode. La battaglia tra Marduk ed Etemenanki si mostrava in buona sostanza come lo scontro, inevitabile e spesso sanguinoso, tra le aspirazioni dell'individuo e i bisogni e i principi della collettività: uno scontro che, secondo l'interpretazione dei miei sogni da parte di padre Barkev, vedeva oggi in me uno dei soldati; di certo uno dei meno importanti, a giudicare dall'incapacità che avevo di restare sveglia... Ma se non altro, ora sapevo che c'era un motivo. Quando alfine mi rialzai dall'inginocchiatoio le mie membra erano ancora stanche, ma la mia mente lottava per dibattersi dal torpore: ero un soldato. E la prima cosa che dovevo fare era confrontarmi con il mio avversario, la persona che si era introdotta a palazzo per mettermi alla prova e rivelare a se stesso la mia identità prima ancora che io stessa potessi comprenderla. Cosa avrebbe fatto, se non fosse arrivato sir Thomas? Non sembrava in procinto di volermi attaccare, ma di certo le sue azioni palesavano una forte spinta individualista che non sembrava affatto associabile con gli ideali nominati da padre Barkev. Probabilmente non ero io il suo obiettivo, o forse non solo: magari la sua missione era quella di scoprire chi era coinvolto in questa storia e metterlo fuori gioco. Ripensai a Rosalie, alla sua lettera insanguinata: la mia migliore amica, mia sorella. Quell'uomo l'aveva vista dopo il suo rapimento, con tutta probabilità aveva assistito alle sue torture... senza fare nulla.

Come fantasmi impazziti, stralci delle sue parole cominciarono a danzare all'interno della mia mente:

"Ogni notte la morde in un posto diverso, staccando dal suo corpo lembi di pelle."

"... avevano ragione. Sei davvero... l'innocenza".

"Rosalie è già in viaggio... E ora ho la certezza che avevano ragione anche su di lei."

"La profezia ha iniziato a compiersi, e tu ne prenderai parte come gli altri".

"Un'ora con lei... Ho bisogno di parlarle, da solo. Concedetemi questo e vi darò ogni informazione in mio possesso"
.

Voleva parlarmi ad ogni costo, da sola. Lo avrei presto accontentato, ma non sarebbe andata come si aspettava.

La testa mi doleva quando misi piede fuori dal sagrato della chiesa. Malaki mi venne incontro, quasi a sorreggermi.

"Voi non state bene, principessa", disse con aria grave, guardandomi in volto. "E io non posso permettervi di fare un altro passo".

"Dovrete farlo, invece", mormorai continuando a camminare con le mie gambe. "Dobbiamo andare".

"Dove, di grazia?" Dal suo tono si capiva bene che non avrebbe gradito nessuna risposta, tantomeno quella che sarebbe arrivata l'istante successivo.

"A Valamer", risposi. "Se non perdiamo tempo, possiamo essere li' per l'ora di pranzo".

"L'unico posto dove posso accompagnarvi" disse Malaki, scuotendo la testa, "è a palazzo. Avro' personalmente cura di depositarvi tra le braccia di vostro padre o di vostro fratello, che provvederanno a mettervi a letto".

"No!" risposi, scuotendo la testa, la quale non smise di fermarsi quando mi fermai. "Andremo a Valamer, è davvero importante. Dico davvero, Malaki! Devo recarmi li'".

Poi ricordo di aver perso i sensi, o forse mi sono addormentata: in ogni caso credo di averlo fatto in piedi, poiché quando ho riaperto gli occhi, un istante dopo, il mio volto era a pochi centimetri dal selciato di pietra chiara che pavimentava il cortile esterno della chiesa del Santo Custode, con Malaki che mi sorreggeva per le spalle. Mi girò, guardandomi negli occhi con un'espressione tanto eloquente da farmi venire le lacrime agli occhi. Riportarmi a palazzo in quelle condizioni avrebbe costretto mio padre e mio fratello a tenermi a letto per i prossimi giorni: come potevo spiegargli che non potevo rinunciare a quella che sarebbe stata l'unica occasione per fare la mia parte, per essere il soldato che gli Dei volevano, per riportare indietro Rosalie?

"Ti prego" gli dissi, non sapendo cos'altro fare. "Non portarmi a casa... Dobbiamo andare a Valamer. Per favore Malaki... ti prego..."

E poi, d'un tratto, calò la notte.

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9 Maggio 517
Sabato 24 Febbraio 2007

Il terzo giorno

La giornata di ieri è trascora in relativa tranquillità. L'assenza obbligata di sir Thomas ha provocato l'inevitabile rinvio dell'interrogatorio al mio aggressore. Ho saputo che la lettera sigillata è stata aperta e il suo contenuto letto da mastro Malkhas, chiamato a palazzo per l'occasione: se c'è qualcuno in grado di comprendere la sua eventuale pericolosità penso che sia lui; purtroppo non sono riuscita ad ottenere alcuna informazione in merito alle sue scoperte, in quanto le mie domande non hanno ricevuto risposte precise.

Prima di cena, ho chiesto e ottenuto il permesso di parlare con mio fratello Ryan. E' stato molto felice di sapere che sentivo il bisogno di parlare nuovamente con lui, e in poco tempo ho potuto fargli menzione di tutti i miei timori. Dal suo sguardo potevo capire tutta la sua preoccupazione: anche lui aveva avvertito la strana sensazione che qualcosa si stesse verificando proprio in questi giorni, ma i preparativi e gli impegni per il matrimonio gli avevano impedito di ottenere informazioni troppo dettagliate. In ogni caso mi ha confidato di essere al corrente di insoliti movimenti da parte dei cugini di Keib, ma ha anche cercato di tranquillizzarmi: il territorio collinare che marca il confine tra i due feudi è da molti anni oggetto di un serrato quanto continuo braccio di ferro, che prevede spesso l'invio di piccoli contingenti con il compito di sondare il terreno. Mi ha spiegato di come tali pratiche avessero uno scopo prevalentemente difensivo, che nella maggior parte dei casi si limitava a controllare che sull'altro versante vi fosse lo stesso quantitativo di soldati.

E' stato bello sentire mio fratello parlare delle nostre terre in modo cosi' competente e preciso: dopo il matrimonio sarà di grandissimo aiuto a nostro padre, e di certo lo affiancherà nello svolgere le faccende relative alla guida della marca. Ha anche avuto cura di rispondere a tutte le mie domande riguardanti le condizioni degli abitanti di quelle zone di confine, spiegandomi con cura i loro problemi e l'operato costante dei paladini e sacerdoti in quei luoghi difficili.

Malgrado la sua disponibilità, confesso che le sue parole sono riuscite a turbarmi: per la prima volta ho la sensazione di osservare il mio paese natale in tutti i suoi aspetti, compresi quelli difficili e dolorosi. E la cosa peggiore, è che gli ultimi mesi trascorsi in viaggio mi hanno insegnato che ciò che succede tra Beid e Keib non è dissimile rispetto ad altre vicende che accadono altrove, capaci di provocare sofferenze e tragedie anche maggiori. Comincio a credere che forse non è un caso che Pyros mi abbia chiamata nuovamente qui: forse il mio compito come soldato della sua verità deve ricominciare dalle origini, dalle delicate situazioni che si verificano proprio nella mia terra natale.

Purtroppo la mia età non consente a mio padre di vedermi con occhi diversi da quelli di una bambina; inoltre, la mia condizione di Paladina non è suffragata dalla forza e dall'abilità richiesta a chi solitamente ricopre tale incarico. Ma non posso e non devo perdermi d'animo: "il cuore e la parola possono essere impugnati tanto quanto una spada: è soltanto molto più difficile". Queste furono le parole che mi disse padre Esteban la prima volta che mi vide a terra, sconfitta per l'ennesima volta durante gli allenamenti con l'arma. Quella frase mi diede la forza di rialzarmi dopo ogni caduta, e confido che riuscirà a conferire un senso alle mie azioni anche ora.

Ho passato la serata in preda ai miei pensieri, sfogando nella musica la frustrazione di non poter fare niente tanto per Rosalie quanto per aiutare sir Thomas, mastro Malkhas o chiunque altro a svolgere i propri incarichi. Mentre suonavo, avrei voluto sentire la voce di Julie accompagnare le mie note: i ragazzi di Caen... mi mancano. Spero di poterli riabbracciare presto.

Recarmi al banchetto organizzato per cena è stato inaspettatamente faticoso: la stanchezza accumulata per via della precedente notte insonne si è fatta sentire all'improvviso. In ossequio alle preghiere per la mia gente avevo deciso di astenermi dal cibo, ma se devo essere sincera in questi giorni mi sarebbe ben piu' difficile mangiare quello che mi portano: fortunatamente a godere di questa grande abbondanza è tutto il popolo della città, che può partecipare ai banchetti sia pure in una zona diversa da quella riservata alle famiglie nobiliari.

Ancora una volta a decidere il mio posto è stato mio padre: ho declinato piu' gentilmente che potevo gli inviti e le conversazioni offerte da chi mi sedeva intorno: non mi era consentito di fare lo stesso con alcuni piccoli doni ricevuti. A tratti sentivo i miei occhi appesantirsi, ansiosi di chiudersi e di sottrarmi a quell'ambiente enorme e rumoroso: fortunatamente credo che nessuno se ne sia accorto. In ogni caso, prima o poi dovro' parlare con mio padre e mio fratello a questo proposito: il giuramento prestato a Focault non mi fa certo sentire a mio agio nell'essere oggetto di tanta attenzione.

Una volta riuscita a congedarmi sono tornata nelle mie stanze: ero certa che, una volta a letto, mi sarei addormentata di colpo. Ma non e' andata cosi'.

Una catena d'oro, sulla quale era fissato quello che sembrava grosso anello dello stesso materiale. L'altra estremità scompariva dentro un buco nel muro di pietra, piccolo e buio. Una stanza buia, con le pareti piene di incisioni e raffigurazioni. Simboli strani, forse antichi. Non credo di averli mai visti: scene di caccia, danze, balli. Popoli antichi? Difficile dirlo. Perche' mi trovo qui? L'odore di questo posto è strano: odora di morte. Mi giro, guardandomi intorno... Poi vedo i muri, rossi di sangue.

Mi sono svegliata di soprassalto, matida di sudore. Malgrado i miei sforzi, non sono piu' riuscita a prendere sonno se non per pochi minuti consecutivi, destandomi poco dopo. Istintivamente ho incominciato a pregare rivolgendomi a Pyros e alla dea della Luna, con la consapevolezza che anche quella notte sarebbe passata insonne.

E cosi' arriviamo a oggi: ho passato la mattina con un forte mal di testa, incapace di concentrarmi o di pensare. La stanchezza prolungata comincia mio malgrado ad avere effetti sulla mia volontà, lasciando terreno ai dubbi che si fanno avidamente strada dentro di me: forse mi sbaglio a cercare un senso a quello che succede, a quello che mi succede. Sono qui per il matrimonio, e i sogni agitati non sono altro che manifestazioni delle mie paure e delle mie incertezze. Forse tutto questo non è che una prova che Pyros ha messo sul mio cammino: sento la necessità di confidarmi con un sacerdote, lo farò non appena riuscirò ad avere un quadro piu' preciso di quello che sta accadendo.

Ho aspettato il ritorno di sir Thomas per tutto il giorno, inutilmente: sento la necessità di leggere il contenuto di quella pergamena, il cui contenuto potrebbe forse illuminarmi: e voglio ascoltare le parole dell'individuo che mi ha aggredita. E' possibile che abbia delle informazioni fondamentali per poter ritrovare Rosalie, sentire cosa ha da dire è quantomai urgente.

A sera ho chiesto e ottenuto udienza da mio padre: ho passato piu' di un'ora davanti allo specchio nel tentativo di mascherare la stanchezza innegabilmente dipinta sul mio volto, onde evitargli ulteriori preoccupazioni. Mi sono fatta coraggio, e l'ho messo al corrente di quanto avevo appreso due giorni prima. La scomparsa di Rosalie, il suo probabile rapimento, le strane e sfuggenti parole del mio aggressore e la pergamena misteriosa. Ho pregato che acconsentisse, qualora sir Thomas non fosse tornato l'indomani, a concedermi la facoltà di svolgere le sue mansioni in qualità di paladina di Pyros.

Lui mi ha ascoltato senza dire una parola: sentivo il suo sguardo pensoso su di me, come se mi stesse valutando. Al termine del mio discorso lo guardai negli occhi, implorando che non vedesse in me la bambina che era partita per Focault bensi' la paladina che da li' aveva fatto ritorno.

E poi, con mia grande gioia, ha acconsentito alle mie richieste. Mi ha detto che sir Thomas non sarebbe tornato prima di un paio di giorni, e che contava in ogni caso di incaricare qualcuno affinche' prendesse il suo posto a palazzo. In condizioni normali, non avrebbe mai permesso a sua figlia di occuparsi di incarichi di quel tipo. "Ma tu non sei piu' soltanto mia figlia ora, e intendo rispettare questa tua condizione". Quelle parole riempiranno per sempre il mio cuore di gratitudine.

Raggiante di gioia, ho chiesto il permesso di ritirarmi nelle mie stanze per pregare e prepararmi per la giornata seguente: e ora sono qui, seduta sul letto a ringraziare gli dei con tutta me stessa.

Ovviamente, mio padre aveva posto delle condizioni in merito al mio incarico. Non potro' rimpiazzare sir Thomas da sola: Malaki riceverà il compito di scortarmi nei miei giri, mentre Jen si occuperò delle guardie di palazzo e avrebbe organizzato il trasferimento del prigioniero a Valamer. Non sarei mai stata sola e non avrei mai fatto nulla senza la presenza di Malaki, ma la cosa non aveva importanza: avrei potuto servire il volere di Pyros, cercando la risposta alle mille domande che vagavano nella mia testa.

Spero solo di riuscire a dormire: avro' bisogno di tutte le mie forze per l'indomani. Chiedo soltanto qualche ora che mi consenta di poter pensare: sono cosi' stanca...

Yahwn...

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8 maggio 517
Martedì 20 Febbraio 2007

Il secondo giorno

Mancano soltanto 6 giorni al grande evento che tutti aspettano con ansia: il 14 Maggio dell'anno 517 mio fratello Ryan prenderà in sposa lady Amy Ripley, sancendo l'unione tra le nostre due famiglie.

In tutta la città si riesce a percepire un clima di festa e di gioia, e i fatti relativi alla mia insolita esperienza non sono stati di certo sufficienti a rovinarlo.

Mio fratello, non appena informato dell'incidente, si è precipitato nelle mie stanze: ha voluto che gli raccontassi tutto con dovizia di particolari, poi mi ha tenuta stretta per tutta la sera senza dire nulla, rifiutandosi di andare via anche quando vennero a chiamarlo per il banchetto del vespro. Abbiamo pregato insieme e parlato tantissimo, ed è stato grazie a lui che sono riuscita ad allentare la presa che la strana serie di eventi aveva cominciato a esercitare sulla mia mente. Ha insistito perché gli raccontassi le mie ultime esperienze a Focault e con i miei amici, ed è stato molto sorpreso di sentire che non si trattava di uomini di chiesa. Spiegargli tutto ha richiesto molto tempo, ma alla fine mi ha visto convinta della nobiltà d'animo dei miei nuovi compagni e credo che abbia deciso di fidarsi di me. La cosa che più mi è dispiaciuta è stata il non potergli dire della promessa fatta a padre Lorenzo: provo un sentimento di disagio a tenergli nascosto qualcosa, ma tale è il volere degli dei e ho tutta l'intenzione di onorare il mio giuramento e la fiducia che mi è stata accordata.

Ryan mi ha anche confidato tutte le sue paure a proposito del matrimonio: la sua paura di sentirsi inadeguato o inadatto al ruolo di consorte e di futuro feudatario ricorda molto da vicino i miei timori nei confronti della fede nel dio della Luce e della Verità. Ho cercato di trovare le parole giuste per rassicurarlo, spero tanto di essere riuscita a ricambiare parte dell'aiuto che mi ha dato.

Il sogno che ho fatto quella notte mi ha lasciata molto turbata. Probabilmente è stata l'impressione per i fatti avvenuti nel pomeriggio, ma mi è capitato di sognare Jack.

In realtà non lo vedevo, ma al tempo stesso ero consapevole della sua presenza durante tutto il sogno. Sapevo che mi osservava, forse nascosto da qualche parte, ma non riuscivo a capire dove: questo pensiero mi metteva addosso una certa ansia e mi impediva di fare qualsiasi cosa fuorché cercarlo. Inizialmente ero convinta di trovarmi nel palazzo di mio padre qui a Beid, ma man mano che aprivo le porte delle varie stanze il corridoio diventava via via più simile a quello del monastero di Focault.

D'un tratto, spalancando l'ennesima porta, mi trovai di fronte la stessa stanza che per molti mesi ebbi modo di condividere con Rosalie e Valerie. Ripensai a come, sia pure per motivi diversi, entrambe abbandonarono quel luogo molto prima di me, e a quanto mi fossero mancate durante l'ultimo periodo della mia permanenza li'. Eravamo molto legate: io ero la piu' piccola delle tre, e non capivo come mai quella stanza per loro fosse così stretta.

"ma ora lo sai, no?"

A parlare era Jack, seduto su quello che una volta era stato il letto di Valerie. Aveva ragione, col tempo l'avevo capito. Durante le cinque settimane in cui convinsero padre Fran a farle uscire dal monastero fecero di tutto per portarmi con loro, ma io sapevo di non poterlo fare: avrei disonorato la mia fede e la mia famiglia.

"quindi le tue compagne hanno disonorato la loro fede e la loro famiglia".

No, erano più grandi di me e in ogni caso non hanno fatto nulla di male.

"se non hanno fatto nulla di male, potevi uscire anche tu". No non potevo, mi sarei persa e in ogni caso non ne avevo l'intenzione. "non ne avevi l'intenzione o non ne avevi il coraggio?" avevo promesso di non uscire mai. "quindi le tue compagne hanno infranto una promessa?" avevano ricevuto l'incarico da un sacerdote "lo sai benissimo come Rosalie ha ottenuto quell'incarico" no non lo so "si lo sai" no non lo so "si che lo sai" ho detto che NON LO SO "non lo sai o non lo vuoi sapere" NON LO SO!!! "non dovresti dire le bugie a quel punto tanto valeva uscire e andare a divertirsi" sono sempre tornate al monastero sempre sempre "e ti raccontavano cosa avevano fatto cosa avevano visto" non ascoltavo quei discorsi "si che lo facevi" non ascoltavo quei discorsi "volevi uscire" non volevo uscire "si che volevi uscire" NO NON VOLEVO USCIRE "non c'è niente di male a voler uscire" NON VOLEVO USCIRE NON VOLEVO USCIRE "non c'è niente di male a uscire" BENE ALLORA ESCI DALLA MIA TESTA

... e fu a quel punto che mi svegliai. Li' per li' ero terrorizzata, ma piano piano riuscii a calmarmi ascoltando i miei stessi respiri al buio; nessuno mi osservava.

Cominciai a pregare, poi mi assalì il pensiero di Rosalie e della sua lettera: piansi un po',per poi pregare ancora. Non potevo proprio fare nulla per lei a parte pregare? L'unica speranza era appesa al filo portato dai soldati di Beid incaricati di ritrovarla. Sir Thomas mi aveva detto che si trattava di persone che conoscevano suo padre, avrebbero fatto di tutto per ritrovarla.

Dopo essermi calmata del tutto, mi alzai dal letto alla ricerca di un pò d'acqua. In camera non ne avevo, così aprii la porta e mi incamminai nel corridoio in direzione delle scale. Passando di fronte allo studio, fui sorpresa di vedere la luce accesa malgrado l'ora tarda; quasi involontariamente mi fermai ad ascoltare la discussione che stava avendo luogo proprio in quel momento, dietro quella porta.

"Quanti ha riferito di averne contati?"

"Tre plotoni completi, in arme".

"Non avrebbe senso... non in uniforme. Non sarebbe la prima volta, ma... non in uniforme".

"Così ha detto di aver visto. E' possibile che si sia sbagliato".

"Quanti ne sono al corrente?"

"Soltanto il mio secondo, signore, al quale ho impartito l'ordine di non dire una parola".

"E la manterrà? Non ho intenzione di far si' che il panico comprometta la cerimonia".

"Con tutto il rispetto, signore... Dobbiamo anche pensare a cosa questo può significare. Non siamo amati al di là del confine, e in quattro giorni..."

"Non ho intenzione di discutere ulteriormente. Avete l'autorità necessaria per fare luce sulla vicenda senza disturbare mio figlio".

"Lord Ryan resta comunque il secondo in comando, io penso che aiuterebbe molto una sua..."

"Sir Thomas, siete troppo abile con la spada per essere sordo. Devo dedurre che siete stanco, il che mi sembra un ottimo motivo per concedervi di ritirarvi".

"Ma..."

"Potete andare".

Ebbi appena il tempo di scostarmi dall'area di apertura della porta, prima che sir Thomas Keen uscisse a passo veloce dallo studio di mio padre. Il Capitano della Guardia scese rapidamente le scale, poi picchiò violentemente con il pugno guantato sul muro, producendo un rumore secco che svegliò Sigmund, lo stalliere che dormiva lì nei pressi.

"Comandi!" disse sobbalzando, ancora mezzo addormentato.

"Spada e cavallo. Subito. E sveglia Yurae e Varal, di' loro che li aspetto all'uscita delle stalle."

Sigmund si limitò ad annuire, ripedendo frammenti di parole: poi si precipitò ad eseguire gli ordini. Sir Thomas sembrava davvero preoccupato, d'altro canto la conversazione che avevo appena ascoltato non lasciava molti dubbi su quello che poteva essere il suo umore.

Come avrei dovuto interpretare quelle parole? Il loro significato mi sembrava fin troppo evidente: ma cosa potevo fare? Se mio padre voleva tenere all'oscuro persino Ryan fino al termine delle nozze, di certo non avrebbe detto nulla a me; avrei potuto parlarne con sir Thomas al suo ritorno, ma non avevo alcuna garanzia che avrebbe acconsentito: inoltre, l'indomani sarebbe stato il giorno dell'interrogatorio di Jack.

Jack... continuai a pensare a quel nome mentre tornai a rapidi passi verso la mia camera: il suo arrivo stava cominciando a coincidere con troppi eventi insoliti. Forse avrei dovuto provare a convincere sir Thomas a farmici parlare: malgrado l'assurdità e l'inspiegabilità del suo gesto, a tratti mi sembrava insolitamente sincero. O forse ero ancora influenzata da quello strano sogno... Difficile dirlo.

Tornai sotto le coperte. Avevo dimenticato l'acqua: meglio cosi', pensai, non avevo molta voglia di sognare ancora e la sete mi avrebbe tenuta sveglia fino all'indomani. Nell'atto di spegnere la lanterna, la mia mano sfiorò la carta da gioco che avevo lasciato vicino al tavolo posto di fianco al letto. Per un attimo mi venne un pensiero assurdo, ma subito lo scacciai scuotendo la testa, con una risata. Non poteva certo essere...


E cosi', torniamo a oggi. Mi sono "svegliata", se cosi' si puo' dire, molto presto. Ho incontrato mio padre per colazione, apprendendo una notizia che già sapevo: sir Thomas, Yurae e Varal erano andati a compiere un giro di perlustrazione. Ho provato per qualche minuto ad annuire soltanto, ma poi guardandolo negli occhi non ce l'ho piu' fatta: era mio padre, doveva sapere che sapevo.

"Ne sono a conoscenza. Li ho visti partire, ieri notte".

"Davvero? Sono sorpreso, pensavo fossi tra le braccia di Kayah".

"Non riuscivo a dormire. Ho fatto uno strano sogno, quindi sono uscita e vi ho sentito discutere..."

Pronunciai quelle parole guardando negli occhi mio padre, Lord Elias Kenson. Mi aspettavo un rimprovero, una giustificazione... Non ci fu niente di tutto questo.

"Non sono piu' una bambina, papà. Se qualcosa vi preoccupa, voglio saperlo".

"Non c'è nulla che mi preoccupa, piccola mia. Qualche soldato di Keib ha oltrepassato il confine, e allora? Lo fanno da anni. I nostri soldati ci sono apposta per impedire che possano fare qualcosa di piu' che rubarsi qualche pecora o tagliare un albero o due".

"Sir Thomas sembrava preoccupato".

"Sir Thomas è ancora un ragazzo, il suo sangue è caldo: se avesse una donna al suo fianco, non vedrebbe battaglie imminenti dove non ve ne sono".

"Padre", dissi nel modo piu' rispettoso che potevo, "non è mia intenzione mancarvi di rispetto: voglio che voi sappiate che, se ci fosse qualcosa che vi dovesse turbare, sono pronta a saperlo. Mi avete protetta a sufficienza dalle insidie del mondo, è giusto che impari a conoscere cosa minaccia la nostra terra".

Lui mi guardò sorridendo. "Piccola mia. Sei cresciuta cosi' tanto... Mi ricordi tua madre, faceva gli stessi discorsi. Ti ringrazio per la tua buona volontà", aggiunse, "ma ti assicuro che non abbiamo niente da temere. In ogni caso, sir Thomas sta controllando le testimonianze di chi dice di aver visto questi soldati. Presto sapremo quante pecore hanno rubato i nostri simpatici cugini".

Cugini. Era questo l'epiteto con cui gli abitanti di Beid e Keib si chiamavano l'un l'altro, fingendo di considerare le violente e sanguinose guerre occorse nell'ultimo secolo come una antipatica lite familiare. Non avevo mai visto i miei cugini, i miei fratelli mi dicevano sempre che era un bene, visto che ci avrebbero voluti vedere tutti quanti morti. Ryan, lui a volte li aveva incontrati: era stato inviato in piu' di un'occasione al castello di Adare, in rappresentanza di mio padre. Ad accompagnarlo c'erano sempre stati anche sir Thomas, Yurae, Varal e anche zio Jerome, Malaki, Jen e molti altri.

Fu con quei pensieri che mi congedai dal tavolo di mio padre. Jack e le sue frasi enigmatiche e minacciose, i soldati in uniforme, il mio sonno agitato: cominciavo a pensare che qualcosa di molto, molto grosso sarebbe accaduto di li' a poco.

Ma cosa?
scritto da Solice , 02:47 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
7 Maggio 517
Venerdì 9 Febbraio 2007

Il primo giorno

Il pugno lo colpì al viso con una forza tale da sbilanciarlo: immediatamente dopo un altro lo raggiunse alla bocca dello stomaco, costringendolo ad accasciarsi al suolo. Lo sconosciuto che mi aveva detto di chiamarsi Jack riprese lentamente fiato, mettendo una mano sull'elsa della spada.

"Sfoderala", gli disse sir Thomas con aria di sfida, facendo altrettanto.
"Avanti, sfoderala. Un pretesto è tutto ciò che mi serve".

Il mio assalitore si guardò intorno, contando i tre uomini intenti a circondarlo, quattro considerando il loro capitano. Sir Thomas era comparso meno di un minuto prima dietro le sue spalle; con un forte strattone lo aveva costretto ad abbandonare la presa su di me, per poi affrontarlo a mani nude. Lo scontro, se cosi' si poteva chiamare, era durato poco: il capitano della guardia di mio padre, considerato uno dei più abili combattenti di Beid, viveva all'altezza della sua fama.

"Non intendo battermi" disse Jack, sputando sangue. "Ritieniti fortunato".

"Alzati".

Abbozzò un sorriso. "Vuoi picchiarmi ancora?"

"Hai tre scelte di fronte a te", continuò sir Thomas ignorando la domanda. "Combattere da uomo, morire o arrenderti. E ti prometto una cosa, non sarai in grado di distinguere la prima dalla seconda".

Jack si alzò, lentamente. Nel giro di pochi secondi gli uomini di mio padre gli furono addosso, disarmandolo e privandolo dello scarso equipaggiamento che aveva indosso. In terra, oltre alla sua spada vennero gettati un sacchetto di monete, una pergamena sigillata e... una carta da gioco?

"Tutto bene?" La voce di sir Thomas mi distrasse di colpo da quegli oggetti.

"Si, io... vi ringrazio", fu tutto quello che riuscii a dire. Malgrado la mia risposta vidi che continuava a fissarmi negli occhi, con espressione poco convinta.

"Siete certa di stare bene?" mi chiese nuovamente, osservandomi da capo a piedi alla ricerca di possibili ferite. Istintivamente feci un passo indietro ma sir Thomas mi fermò all'istante.

"Attenta!" disse, indicando qualcosa che si trovava dietro di me. Seguendo con lo sguardo la traiettoria tracciata dal suo dito mi resi conto con orrore che si trattava dell'esito del conato avuto pochi minuti prima.

Per una frazione di secondo pensai che quella scena quasi surreale avrebbe fatto ridere moltissimo in un contesto diverso, magari raccontata attorno al tavolo di una locanda insieme alla mia amica Julie e agli altri ragazzi di Caen: Julie, Guelfo, Loic... Ricordi di pochi giorni prima, che in quel momento sembravano infintamente distanti.

Le immagini dei miei compagni svanirono l'istante successivo, quando i ricordi legati alle rivelazioni del cavaliere misterioso tornarono ad affacciarsi violentemente sulla mia mente.

"Rosalie", dissi a sir Thomas, "Quell'uomo è coinvolto in un progetto di rapimento che riguarda Rosalie Lambert! Dobbiamo trovarla, si trova in grave pericolo! Mi ha mostrato una sua lettera, forse in questo momento si trova..."

Mi fermai di scatto: ero talmente concentrata sulle mie parole da aver notato con colpevole ritardo l'espressione di tristezza che, con mio grande stupore, si era formata sul volto del capitano a seguito delle mie parole.

"Che... che succede?" chiesi, cercando di decifrare quello sguardo. Poi capii.

"Voi...voi lo sapevate?"

"Mi dispiace", disse chinando il capo. "Mi è stato esplicitamente ordinato di non dirvi nulla".

"Come avete potuto? Chi è stato a costringervi a fare una cosa del genere?"

Mentre parlavo sentivo tornare la disperazione, ma questa volta non portava con sè il pianto; era più simile a una spenta tristezza, che gelava il cuore invece di infiammarlo.

"E' stato mio padre?"

Sir Thomas annui'. "Il marchese ha preferito contenere la notizia affinché non avesse impatti negativi sui festeggiamenti. Puo' sembrare una scelta spietata e in cuor mio non la condivido, ma vi garantisco che la comprendo se penso alla posizione che ricopre. In ogni caso, il mio parere non conta: non ho altra scelta se non quella di onorare il giuramento che ho prestato. Sappiate soltanto che ha incaricato uno dei migliori uomini di Valamer di ritrovarla, un vecchio amico di suo padre".

Non appena ebbe pronunciato queste parole, tornò a voltarsi in direzione del prigioniero.

"Ti vedo bene insieme a lei", disse Jack mascherando con un sorriso l'espressione di dolore provocata dalle corde che i soldati gli avevano nel frattempo stretto ai polsi. "A conti fatti, siete due vittime di un giuramento. Beh, ho una brutta notizia per te: stai per giocarti l'unica possibilità che hai per continuare a onorare il tuo".

"Dove si trova Rosalie Lambert?"

"Che senso ha rispondere? Mi torturerete comunque, preferisco spendere il poco che so nel corso dell'interrogatorio cosi' da non farvi pensare che ci sia dell'altro, perchè credimi, non c'è".

"Parla ora" rispose sir Thomas, "aiutaci a ritrovarla sana e salva e faro' in modo di non farti torturare. Ma se non parli", aggiunse, "sarò io stesso a farlo". Potevo sentirlo, diceva la verità.

"Un'ora con lei", disse il prigioniero, fissandomi. "Ho bisogno di parlarle, da solo. Concedetemi questo e vi darò ogni informazione in mio possess.." un forte quanto improvviso manrovescio gli spezzò la frase, impedendogli di continuare.

Sir Thomas si avvicinò al suo volto, guardandolo negli occhi. "Non provare neppure a pensare di poter contrattare qualcosa nelle tue condizioni. Tu mi dirai quello che voglio sapere, o la tua testa rotolerà prima della fine della primavera".

"Forse", rispose Jack. "Ma tu non sarai li' a vederla, visto che sarai morto nel giro di sette giorni". Il suo tono era sprezzante ed evidentemente di scherno, tuttavia quando ascoltai quelle parole avvertii una strana sensazione... Che potesse esserci del vero?

"Portatelo via", sentenziò sir Thomas. "Non intendo mostrare a lady Solice uno spettacolo inadeguato alla sua vista". I soldati ubbidirono, trascinandolo fuori dal giardino.

"Un'ora, Joan" esclamò Jack mentre lo spingevano verso l'esterno. "Ti chiedo solo un'ora, e saranno tutti salvi!".

Sir Thomas si chinò a terra, raccogliendo la pergamena e la carta da gioco. Passò alcuni istanti a osservare il disegno di quest'ultima, in silenzio.

"Fante di quadri", disse dopo un po'. "Un portafortuna, forse".

Annuii, con poca convinzione. In realtà l'unica cosa su cui riuscivo a concentrarmi era su Rosalie, e su mio padre... Perchè tenermi nascosta una faccenda tanto grave? Aver temuto per i festeggiamenti era una spiegazione plausibile, in quelle circostanze una notizia tanto spiacevole avrebbe scatenato il panico specie considerando la storia della famiglia di Rosalie... Ma perchè non dirlo a me, sua figlia? Quale lo scopo di tenermi all'oscuro?

"Dovete dirmi chi ha il comando della spedizione di ricerca", chiesi a sir Thomas. Ho intenzione di partecipare, metterò al suo servizio la mia spada e le mie capacità".

Il capitano scosse la testa. "Mi spiace, ma questo non è possibile".

"Perche'? E' come una sorella per me, sono intenzionata a compiere tutto quello che serve per riaverla".

Sir Thomas mi guardò con espressione triste. "Sono partiti da due giorni", disse poi. "C'e' la possibilità che abbiano trovato alcune possibili tracce. Nessuno è in grado di dire esattamente qual è la loro posizione attuale, e qualsiasi nuova aggiunta non farebbe altro che rallentarli... inoltre suo padre mi ha raccomandato di vegliare su di voi, ed è quello che intendo fare".

"Vi ringrazio di nuovo, ma non voglio essere un peso per voi, non dentro le mura di questa casa".

"Credetemi, non siete affatto un peso. In ogni caso, fino a quando sarete a Beid sarà mio compito proteggervi: ovunque avrete intenzione di andare", aggiunse con un sorriso, "non sperate di liberarvi di me".

Annuii, riproponendomi di tentare quel discorso più tardi, magari con mio padre. "La lettera è sigillata?" chiesi poi.

"Sembra proprio di si. Mi chiedo che senso abbia, di certo non ha avuto modo di leggerla a meno che non sia lui stesso l'autore".

"Avete intenzione di aprirla?" Chiesi guardando il sigillo da una certa distanza: sembrava piuttosto anonimo, senza incisioni o stemmi particolari ad eccezione di un simbolo dall'aspetto piuttosto elementare.

Sir Thomas mi guardò. "Non posso fare altrimenti: se c'è anche solo una minima speranza che possa aiutarci a ritrovare Rosalie o a spiegare le motivazioni dietro all'aggressione che avete subito, ho bisogno di saperlo al piu'presto... A meno che un paladino non me lo impedisca".

"Non lo farò", dissi scuotendo la testa. "Ma, se non posso muovermi liberamente, vi prego almeno di consentirmi di prendere parte allo studio e alla lettura di queste informazioni".

"Non credo sarebbe una buona idea; potreste aver modo di leggere informazioni crudeli o difficili da digerire, gli dei ce ne scampino".

"Non ho paura della verità", dissi.

"Molto bene allora. Se è così che dev'essere, così sarà". Cosi' dicendo, mi porse la mano contenente la carta da gioco.

Lo guardai con aria interrogativa. "Non mi sembra di aver chiesto quella..."

"Il contenuto della pergamena potrebbe essere pericoloso per più di un motivo", mi spiegò, notando il mio sguardo perplesso. "Per quanto improbabile, ritengo sia piu' sicuro controllarla con attenzione prima di affrontarne la lettura diretta. Fortunatamente" aggiunse con un sorriso "non c'è questo rischio per le carte da gioco... anche se mi rendo conto che sia un indizio di portata assai minore".

Il tono spavaldo dell'ultima frase tradiva il reale significato delle sue parole. Era preoccupato per me, temeva ancora che il contenuto di quella pergamena avrebbe potuto sconvolgermi o mettermi in una condizione ancora piu' difficile.

"Ho intenzione di leggere comunque quella pergamena non appena l'avrete controllata. Qualsiasi sia il contenuto". Cosi' dicendo, presi la carta dalle sue mani.

"E sia."

"Dite davvero?"

"Non temete", aggiunse notando la mia espressione incredula, "onorerò la parola data. In fondo, possedete una conoscenza dei testi scritti di molto superiore alla mia, siete senz'altro piu' indicata di me ad affrontarne la lettura. Ora vi chiedo di scusarmi, ma ho bisogno di parlare ancora un pò con il nostro nuovo ospite".

Annuii, salutandolo mentre si allontanava. Sapevo bene cosa andava a fare, e non si sarebbe trattato certo di una chiacchierata: d'altronde, sapevo di non avere alcuna autorità per poter assistere a quel primo interrogatorio o per impedire che avesse luogo.

Tirai un profondo sospiro: per quanto breve, quella discussione era riuscita a distrarmi dalla tragicità delle rivelazioni di poco prima.

Rimasta sola, abbassai lo sguardo verso la carta da gioco ospitata dal palmo della mia mano. A giudicare dallo stile e dal tratto, il disegno sembrava particolarmente vecchio, forse addirittura antico... Ma era in ogni caso una semplice carta da gioco, che di certo non mi avrebbe fornito alcuna informazione.

"Fante di quadri", dissi ad alta voce. "Scommetto che avresti un sacco di cose da raccontarmi, se soltanto potessi parlare".

scritto da Solice , 00:38 | permalink | markup wiki | commenti (0)
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