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Solice Kenson
Cronache della Campagna di Caen
Solice Kenson
"Voi avete coraggio e siete molto convincente: ma non appena sarete chiamata a combattere, al primo combattimento che possa realmente definirsi tale, voi morirete. E non parlo di scontri confusi o ingarbugliati, dove nessuno capisce fino in fondo quello che sta facendo o magari ha meno voglia di uccidervi che di portare la pelle a casa. Parlo di uno scontro vero, in cui affronterete una persona con le vostre sole forze. Beh, è giunto il momento che qualcuno che vi vuole bene vi dica che queste forze non basteranno proprio contro nessuno".
creato il: 20/05/2005   messaggi totali: 91   commenti totali: 32
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Scritto il 23/03/2007 · 30 di 91 (mostra altri)
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10 maggio 517
Venerdì 23 Marzo 2007

Il quarto giorno

Nonostante tutte le mie preghiere i miei sogni continuano ad essere inquieti e agitati: all'alba del quarto giorno, dopo la terza visione incomprensibile e altrettante notti insonni, ho chiesto a Malaki di accompagnarmi alla chiesa del Santo Custode.

"Ti senti bene, principessa?" Mi ha detto, scrutando il mio volto con aria preoccupata. No, avrebbe voluto che gli rispondessi: ma non avevo il diritto di mettere a repentaglio il riconoscimento del mio ruolo da parte di mio padre faticosamente ottenuto nella giornata precedente, cosi' lasciai alla mia voce stanca l'onere di comunicare le mie condizioni al soldato che si era messo a mia disposizione.

"Ho soltanto bisogno di parlare con Padre Barkev. Lui saprà darmi le indicazioni che ci servono per iniziare la nostra ricerca".

Bartoughimeos Barkev ricopre, fin da prima che io nascessi, la funzione di prevosto della città di Beid. A lui i sacerdoti e i paladini delle chiese e degli altri luoghi di culto che circondano la mia città natale chiedono da sempre consiglio sui dubbi legati ai misteri della fede e dell'esistenza: la maggior parte di loro sostiene che, a differenza di molti sacerdoti più giovani impazienti di comunicare le proprie sensazioni, padre Barkev possiede il dono innato di saper ascoltare. Si tratta di un uomo solitario e schivo e ho avuto l'onore di incontrarlo soltanto in due occasioni, entrambe prima della mia partenza per Focault: la seconda volta ero insieme a Patrick: avevo quindici anni, e ricordo distintamente il suo sguardo su di noi mentre mio fratello gli parlava, agitato. Era impossibile non accorgersi della profondità di quegli occhi, che in oltre sessant'anni si erano posati su innumerevoli cose in giro per il mondo, in particolare in terra di Delos, la sua patria: quel giorno, padre Barkev fu in grado di rispondere alle domande che gli rivolse mio fratello, dissipando tutte le sue incertezze: era senza dubbio la persona giusta con cui parlare.

Sulla strada per la chiesa del Santo Custode io e Malaki ci siamo imbattuti in una festa paesana: una piccola orchestra di musici suonava su un palco improvvisato al centro di piazza dei Mercanti, circondata da una folla danzante e allegra. Il mio accompagnatore, leggendo sul mio volto la mia sorpresa, si è affrettato a spiegarmi che doveva trattarsi di una iniziativa del borgomastro analoga ad altre che aveva già visto nei giorni passati: una buona parte dei cittadini di Beid e degli abitanti dei territori circostanti non riusciva a partecipare a molti dei ricevimenti e dei banchetti organizzati a palazzo e nella zona dei festeggiamenti, a volte per ragioni di spazio, altre volte perchè le feste non erano aperte a tutti. Per questo motivo venivano organizzate di giorno in giorno una serie di attività cittadine con lo scopo di far vivere a tutti il clima di festa e di felicità di quei giorni.

Mi fermai alcuni istanti ad osservare quella folla che danzava e cantava a ritmo di musica, rapita da quei volti felici: la maggior parte di quelle persone aveva sicuramente avuto una vita molto meno fortunata della mia, eppure riusciva a mettere da parte ogni fatica o preoccupazione per regalare a se stessa e agli altri la pace e la gioia di quei momenti. Tra loro potevo scorgere maniscalchi, cameriere, contadini, braccianti e operai: di fronte a molti di quei lavori la mia stanchezza era ben poca cosa eppure erano li', decisi a vivere quel momento prima di ricominciare il loro compito. Da quando ero uscita dal monastero, il compito di alleggerire il loro peso spettava a me: continuai a guardare i loro movimenti, promettendo a me stessa che avrei fatto del mio meglio per essere per loro quello che padre Barkev sarebbe stato quel giorno per me.

"Non so ballare" disse improvvisamente Malaki, facendomi sobbalzare. "Mi spiace", aggiunse poi alzando le spalle in risposta al mio sguardo stupito: colta alla sprovvista cercai invano di correggere il suo equivoco scuotendo la testa, senza riuscire a trattenere le risate. Malaki era al servizio di mio padre da molti anni: forse non mi avrebbe mai vista come una paladina, e per lui sarei rimasta per sempre la "piccola principessa"; e forse, tutto sommato, era giusto cosi'.

Il colloquio con padre Barkev fu lungo e intenso: Malaki restò ad aspettarmi davanti alla chiesa mentre l'anziano sacerdote tenne fede alla sua fama, ascoltando con pazienza le dettagliate descrizioni delle mie esperienze oniriche e senza interrompere i miei goffi tentativi di spiegarli, nel tentativo di ricondurli a una logica che comunque non capivo. Infine mi osservò per alcuni istanti, prima di parlare.

Accolsi le sue parole con la gioia di un pellegrino assetato, il cui sguardo si posa sul contorno diafano di un'oasi: a quanto pare, ero stata scelta da una divinità antica e potente, una delle manifestazioni primordiali della dea Harkel, la cui identità era rivelata dalla conformazione della creatura misteriosa che aveva popolato il mio ultimo sogno: una sorta di cervo dalle sembianze umane alto diversi metri e dagli occhi tristi. Padre Barkev mi spiegò che, nei territori che circondavano la foresta del Miestwode, era diffuso fino ad alcuni secoli prima un culto legato a due spiriti che condividevano lo stesso tempio: Marduk e Etemenanki, opposti e al tempo stesso inscindibili tra loro come l'individuo e la collettività. Il primo, votato all'individualismo, era solito commettere errori e sovente cadeva preda dell'ingratidudine e dell'egoismo; il secondo, al contrario, era aperto al perdono ed all'armonia che trae origine dalla fratellanza e dall'esperienza collettiva della vita e del lavoro di gruppo. Mi disse come gli Dei della Luce vennero in aiuto al culto di Etemenanki, che accettò i dettami della Chiesa e i cui discepoli trovarono asilo nel grembo della dea Harkel; e mi spiegò di come questo non avvenne per il culto di Marduk, che preferì continuare la sua rivalsa contro il fratello arrivando a rinnegare quella stessa Chiesa che lui aveva accettato: in tal modo libero' il culto di Etemenanki dal vincolo che lo vedeva costretto a convivere con lui e i suoi seguaci scelsero le vie della solitudine, scomparendo nell'ombra.

Vedendomi turbata a seguito di quel racconto, padre Barkev continuò a parlarmi delle mie visioni: i luoghi sacri a Etemenanki sono quelli incontaminati, che non conoscono il suono delle parole dell'uomo. Presto o tardi quei luoghi sono destinati ad essere raggiunti, per colpa o per merito dello spirito esplorativo umano. Tale esplorazione può essere benevola, se guidata dalla Luce, o portare grandi scompensi se procede senza regole e pilotata da intenti egoistici. Se spiriti come Etemenanki si manifestano, di certo è per far si' che coloro che si dichiarano fedeli ai principi della giustizia e dell'altruismo affrontino e reagiscano alle azioni di chi non possiede simili ideali.

Al termine della conversazione ero a dir poco scossa: una volta congedatami da padre Barkev sono rimasta per diversi minuti a riflettere su quelle parole, inginocchiata di fronte all'icona di Harkel presente nella chiesa del Santo Custode. La battaglia tra Marduk ed Etemenanki si mostrava in buona sostanza come lo scontro, inevitabile e spesso sanguinoso, tra le aspirazioni dell'individuo e i bisogni e i principi della collettività: uno scontro che, secondo l'interpretazione dei miei sogni da parte di padre Barkev, vedeva oggi in me uno dei soldati; di certo uno dei meno importanti, a giudicare dall'incapacità che avevo di restare sveglia... Ma se non altro, ora sapevo che c'era un motivo. Quando alfine mi rialzai dall'inginocchiatoio le mie membra erano ancora stanche, ma la mia mente lottava per dibattersi dal torpore: ero un soldato. E la prima cosa che dovevo fare era confrontarmi con il mio avversario, la persona che si era introdotta a palazzo per mettermi alla prova e rivelare a se stesso la mia identità prima ancora che io stessa potessi comprenderla. Cosa avrebbe fatto, se non fosse arrivato sir Thomas? Non sembrava in procinto di volermi attaccare, ma di certo le sue azioni palesavano una forte spinta individualista che non sembrava affatto associabile con gli ideali nominati da padre Barkev. Probabilmente non ero io il suo obiettivo, o forse non solo: magari la sua missione era quella di scoprire chi era coinvolto in questa storia e metterlo fuori gioco. Ripensai a Rosalie, alla sua lettera insanguinata: la mia migliore amica, mia sorella. Quell'uomo l'aveva vista dopo il suo rapimento, con tutta probabilità aveva assistito alle sue torture... senza fare nulla.

Come fantasmi impazziti, stralci delle sue parole cominciarono a danzare all'interno della mia mente:

"Ogni notte la morde in un posto diverso, staccando dal suo corpo lembi di pelle."

"... avevano ragione. Sei davvero... l'innocenza".

"Rosalie è già in viaggio... E ora ho la certezza che avevano ragione anche su di lei."

"La profezia ha iniziato a compiersi, e tu ne prenderai parte come gli altri".

"Un'ora con lei... Ho bisogno di parlarle, da solo. Concedetemi questo e vi darò ogni informazione in mio possesso"
.

Voleva parlarmi ad ogni costo, da sola. Lo avrei presto accontentato, ma non sarebbe andata come si aspettava.

La testa mi doleva quando misi piede fuori dal sagrato della chiesa. Malaki mi venne incontro, quasi a sorreggermi.

"Voi non state bene, principessa", disse con aria grave, guardandomi in volto. "E io non posso permettervi di fare un altro passo".

"Dovrete farlo, invece", mormorai continuando a camminare con le mie gambe. "Dobbiamo andare".

"Dove, di grazia?" Dal suo tono si capiva bene che non avrebbe gradito nessuna risposta, tantomeno quella che sarebbe arrivata l'istante successivo.

"A Valamer", risposi. "Se non perdiamo tempo, possiamo essere li' per l'ora di pranzo".

"L'unico posto dove posso accompagnarvi" disse Malaki, scuotendo la testa, "è a palazzo. Avro' personalmente cura di depositarvi tra le braccia di vostro padre o di vostro fratello, che provvederanno a mettervi a letto".

"No!" risposi, scuotendo la testa, la quale non smise di fermarsi quando mi fermai. "Andremo a Valamer, è davvero importante. Dico davvero, Malaki! Devo recarmi li'".

Poi ricordo di aver perso i sensi, o forse mi sono addormentata: in ogni caso credo di averlo fatto in piedi, poiché quando ho riaperto gli occhi, un istante dopo, il mio volto era a pochi centimetri dal selciato di pietra chiara che pavimentava il cortile esterno della chiesa del Santo Custode, con Malaki che mi sorreggeva per le spalle. Mi girò, guardandomi negli occhi con un'espressione tanto eloquente da farmi venire le lacrime agli occhi. Riportarmi a palazzo in quelle condizioni avrebbe costretto mio padre e mio fratello a tenermi a letto per i prossimi giorni: come potevo spiegargli che non potevo rinunciare a quella che sarebbe stata l'unica occasione per fare la mia parte, per essere il soldato che gli Dei volevano, per riportare indietro Rosalie?

"Ti prego" gli dissi, non sapendo cos'altro fare. "Non portarmi a casa... Dobbiamo andare a Valamer. Per favore Malaki... ti prego..."

E poi, d'un tratto, calò la notte.

scritto da Solice , 07:28 | permalink | markup wiki | commenti (0)
Scritto il 23/03/2007 · 30 di 91 (mostra altri)
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