Cerca nel Sito

NomeKeywordsDescrizioneSezioniVoci correlate

Forum di Myst

 
« Finalmente ci sta qualcuno che mi fa sembrare magro »
- Fra Padnor -
 
Solice Kenson
Cronache della Campagna di Caen
Solice Kenson
"Voi avete coraggio e siete molto convincente: ma non appena sarete chiamata a combattere, al primo combattimento che possa realmente definirsi tale, voi morirete. E non parlo di scontri confusi o ingarbugliati, dove nessuno capisce fino in fondo quello che sta facendo o magari ha meno voglia di uccidervi che di portare la pelle a casa. Parlo di uno scontro vero, in cui affronterete una persona con le vostre sole forze. Beh, è giunto il momento che qualcuno che vi vuole bene vi dica che queste forze non basteranno proprio contro nessuno".
creato il: 20/05/2005   messaggi totali: 91   commenti totali: 32
352768 visite dal 31/07/2007 (ultima visita il 25/04/2024, 15:08)
Scritto il 30/03/2007 · 31 di 91 (mostra altri)
« Precedente · Successivo »
10 maggio 517
Venerdì 30 Marzo 2007

Il quarto giorno (seconda parte)

La carta, dimenticata sul mio comodino, bruciava lentamente di un pallido fuoco del colore della vaniglia; i miei occhi osservavano rapiti quella danza irregolare, mentre ombre increspate si componevano e ricomponevano sulle pareti e lungo il soffitto in legno di Veremar. Avrebbe preso tutto fuoco? Nel mio cuore speravo di no: era la mia camera, dopo tutto.

Non è il fuoco di Pyros: ho gia visto queste fiamme, ma non ricordo dove. Proviene da posti che non possono essere visitati. Eppure l'ho visto, ne sono sicura. Proviene da posti che non possono essere visitati. Sono certa di conoscerlo. Se lo conosci, conosci anche quelli come me. Chi sei tu? Uno stregone. E cosa vuoi da me? Due cose: la prima, ringraziarti. La seconda, farti ascoltare la mia storia. Ringraziarmi? Non ho fatto nulla. Hai fatto molto, invece: il tuo nome è innocente, il tuo sangue ci ha vendicato. Vendicato? Non capisco, cosa c'è da vendicare? La mia morte. La nostra morte. Vuoi ascoltare la mia storia? Aspetta: come può un morto sopravvivere, come può comunicare con me come stai facendo tu? Fino a quando qualcuno si ricorderà di lui, egli sopravviverà. Dimmi il tuo nome, allora. Non è così semplice. Parlami dei tuoi amici. I miei... cosa? Lo stregone. Il paladino. I guerrieri. Le due ragazze. Tieni molto a loro? Io non... Dimmi i loro nomi e ti saprò dire se corrono qualche pericolo... Non posso. Ascolta la mia storia, allora. Come fai a conoscerli? chi sei? Ti ho già risposto, ora tocca a te rispondere. Non intendo farlo. Non ti fidi di me? lo hai detto tu stesso: il tuo fuoco non è quello di Pyros. Neanche quello di Francois. Come conosci questo nome? In nome degli dei, chi sei? Cosa importa? Non è il suo vero nome. Non ho intenzione di parlare ancora con te. Non avevi sonno? Non ho intenzione di parlare ancora con te. Quando ti addormenterai di nuovo verrò a chiedertelo ancora. Se le cose stanno cosi', non succederà più. Perché non vuoi ascoltarmi? Non ho il diritto di poter essere ascoltato da te? Non sei forse una servitrice degli dei? Perchè... perchè mi stai facendo questo? A dire il vero te lo sei fatta da sola, prendendo quella carta. Per favore... lasciami in pace. Dunque è cosi'? Non vuoi ascoltare la mia storia? Sono così stanca... non riesco a pensare. La prossima volta che ti addormenterai ci incontreremo ancora e mi darai la tua risposta. E poi riuscirò a dormire? temo... che questo non succederà per un pò di tempo.

Riaprii gli occhi, sollevandomi a sedere e scostando la coperta che qualcuno doveva aver messo sopra i miei abiti. Mi guardai intorno, convinta di incontrare da un momento all'altro lo sguardo severo di mio padre o il volto apprensivo e preoccupato di mio fratello: i miei occhi spaziarono invece all'interno di un lungo salone occasionalmente percorso da soldati che vestivano le insegne di Beid. Uno di loro, vedendomi, si mise sull'attenti. "Salute a voi", disse battendo uno stivale in terra.

"Quando morirò", disse una voce proveniente dalle mie spalle "si potranno dire tante cose sul mio conto: troppo vino, forse anche troppe donne. Ma una cosa non voglio che venga detta: che ho disubbidito a un ordine della mia principessa". Cosi' dicendo, Malaki si alzò in piedi, muovendosi attorno a me fino ad incontrare il mio sguardo. "Come state?" mi chiese poi, abbassando la voce.

"Vi ringrazio", risposi. "Vi ringrazio tanto". Ero raggiante: aveva esaudito le mie preghiere, portandomi dove gli avevo chiesto.

Malaki alzò le spalle, borbottando qualcosa. "Siete tale e quale vostro padre: la notte non dormite, il giorno non dormite. Spero che mi concederete l'onore di potervi riportare a casa in buona salute, cosi' da non incorrere nelle sue ire".

Annuii con un sorriso. "Quanto ho dormito?", gli chiesi poi. "E come siamo arrivati qui?"

"Avete dormito due, forse tre ore direi: durante le quali, se la modestia me lo consente, mi sono fatto una bella passeggiata".

"A piedi? Con me?" Lo guardai con gratitudine: per quello che ricordavo, la strada per Valamer era assolata e in salita.

"Ho pensato che era una buona occasione per buttare via qualche chilo di troppo: e poi, che diamine, non rinuncerei mai a portare a passeggio la mia principessa".

Risi di gusto, mentre lo ascoltavo: è bello essere nuovamente a casa, pensai. Poi la mia mente tornò a mettere a fuoco la carta che bruciava: ripensai ai particolari del sogno che si era appena concluso... La voce dentro di me aveva un qualcosa di minaccioso, ma sentivo anche dell'altro: paura, forse... oltre a un desiderio incontenibile di comunicare le proprie sensazioni, le proprie emozioni. Forse avrei davvero dovuto ascoltarlo, forse il mio dovere di Paladina lo richiedeva. Poi ripensai a Rosalie, e improvvisamente, ricordai che c'era del lavoro da fare.

"Malaki", dissi: "nei sotterranei di questo castello è rinchiuso l'individuo che mi ha aggredita. Possiedo l'autorizzazione di mio padre a fare le veci di sir Thomas, e intendo fare uso di questa autorità per chiedere ai soldati di guardia il permesso di parlare con lui.

"Non sarà facile", disse. "Se sir Thomas è partito senza essere al corrente di questo, avrà di certo messo degli uomini che non saranno certo contenti di assumersi la responsabilità di farvi passare".

La conferma delle sue paure venne qualche minuto dopo, quando raggiungemmo la porta che conduceva alle segrete: non conoscevo i volti dei due soldati posti ai lati della robusta porta di ferro, ma lo sguardo di Malaki era sufficientemente eloquente prima ancora che la conversazione avesse luogo.

"Nessuno può scendere nelle segrete", disse uno dei due. "L'ordine è del capitano Thomas".

Malaki fece del suo meglio per presentare me e l'incarico affidatomi da mio padre, ma non ottenne alcun risultato: le due guardie erano intenzionate a non far passare nessuno. Tuttavia, il mio accompagnatore non si diede per vinto: nel giro delle successive due ore chiese e ottenne udienza con l'anziano sir Duran.

Il "vecchio Steve", come lo chiamava lui, era da anni la massima autorità all'interno del castello di Valamer, cavaliere di Beid fin dai tempi del padre di mio padre e suo buon amico e compagno d'armi. Prima di andare a parlare con lui, Malaki mi consigliò di raggiungere nuovamente la coperta e riposarmi un altro pò. Lo ringraziai, scuotendo la testa: non avrei dormito. Non avrei fatto un'altra conversazione con quell'individuo misterioso prima di aver ottenuto delle risposte dall'uomo che si trovava nelle segrete poste pochi metri sotto di me.

Grande fu la mia gioia quando Malaki fu di ritorno scortato da un ufficiale che ebbe cura di aprirci personalmente le porte delle segrete, scavalcando i due increduli soldati. "Sir Thomas non sarà contento", disse uno di loro, guardandomi e scuotendo la testa. Aveva ragione, non lo sarebbe stato: ma la responsabilità che sentivo dentro di me non era meno grande della sua, e forse al suo ritorno mi avrebbe dato la possibilità di spiegargli le mie ragioni.

Per la prima volta mi trovai a scendere quelle scale, buie e silenziose. Malaki guidava con attenzione i miei passi, reggendo una lanterna. "Potrebbe essere il caso di tapparsi le orecchie", mi disse sottovoce una volta raggiunto lo stretto corridoio che conduceva alle celle. "Ci sono altri due prigionieri che non hanno molto da aggiungere alla loro condanna". Passai davanti al primo dei tre, un individuo molto corpulento che mi scrutò da lontano, annusando l'aria. Non disse nulla, e io feci lo stesso: l'ospitalità in quel luogo mi era stata faticosamente concessa e dovevo attenermi al mio incarico.

Il secondo prigioniero che vidi era colui che mi si era presentato come Jack: si trovava in una cella poco distante dalla prima. Era sveglio, seduto in terra. Non appena mi vide, si alzò.

"Ciao, Joan. Sono felice di vederti qui", mi disse avvicinandosi alle sbarre. A parte un accenno di barba, i giorni passati in cella non avevano avuto altri effetti sul suo aspetto.

"Stà zitto, verme" lo interruppe Malaki, "parla lei". L'uomo che diceva di chiamarsi Jack annui', spostando il suo sguardo prima su di lui, poi su di me.

Avevo pensato a lungo sulla frase con cui avrei iniziato questa conversazione, ma in quel momento ci fu una cosa sulla quale si concentrarono le mie parole: "Ho preso la tua carta", esclamai, cercando di cogliere la sua reazione. Niente. Continuava a guardarmi, fisso e attento.

"Credo... credo che mi abbia parlato. Nel sonno, forse. Io..."

"Il bestione è fidato?" mi chiese, interrompendo la mia frase, volgendo nuovamente lo sguardo verso Malaki che si limitò a guardarlo male, senza rispondere alla provocazione.

"Non saranno le tue parole a stabilire se ci sono o meno bestie tra noi", risposi, prima di continuare il mio discorso. "E le persone malfidate sono solite stare dal tuo lato delle sbarre. La tua carta mi ha parlato", aggiunsi, imponendomi di restare calma: non era alla collera o al raconre che avrei dovuto chiedere consiglio su come condurre questa conversazione. "Ma non è stata l'unica voce che ho ascoltato in queste notti insonni: altri messaggi hanno raggiunto la mia mente, e se ancora è la nebbia a offuscare la mia vista, ora i miei occhi sono più aperti rispetto al nostro primo incontro".

"Sono contento", mi rispose. "Ma se hai intenzione di chiuderli ancora, ti consiglio di riconsegnarmi quella carta".

"Spiegami perché dovrei fare qualcosa di diverso dal distruggerla".

"Non lo farai comunque: non mi sembri il tipo di persona che risolve i problemi uccidendo chi gli fa la domanda, o sbaglio? In ogni caso, distruggerla o meno non avrebbe alcuna importanza. Quella persona è già morta, ti limiteresti a consegnarne lo spirito nelle mani degli Dei."

"Se quello che dici è vero, cosa mantiene il suo spirito su questo mondo?".

"L'ingiustizia di cui è stato vittima", rispose. "Ed ora che questa ingiustizia è stata lavata non c'è piu' nulla che possa farlo. Malgrado i suoi sforzi, in un modo o nell'altro è destinato a svanire".

Non capivo i suoi discorsi: "Se il suo scopo è stato raggiunto, perché si trova ancora qui? perché mi ringrazia, e perché vuole raccontarmi la sua storia?"

"Perché è giusto che qualcuno possa raccontarla, e non ha saputo resistere all'occasione di raccontarla a quella che in forse è l'unica persona che potrebbe realmente far si che ciò avvenga".

Continuavo a non capire. "Perché proprio io?".

"La risposta a questa domanda non posso dartela io: se desideri conoscerla, ascolta la storia e capirai: se ho capito bene che tipo di persona sei", aggiunse, "probabilmente non ti pentirai di averlo fatto".

"Perché mi hai aggredita?"

"Avevo poco tempo, troppo poco per convincerti in altro modo: ho scelto di rischiare e mi è andata doppiamente male: speravo di avere ragione e scoprirlo da uomo libero, invece avevo torto e l'ho scoperto un attimo prima di finire dietro le sbarre".

"Cosa dovevi capire?"

"Che completi un quadro: tu e le persone che hai incontrato nell'ultimo periodo della tua vita. Un quadro bellissimo e doloroso, come una rosa ricoperta di spine. Speravo che tu non ne facessi parte ma avevo torto, ti credevo innocente e invece eri l'Innocenza. Divertente, no?"

Scossi la testa: era divertente quanto il delirio di un pazzo. Eppure, quella massa di parole senza senso avrebbe cominciato lentamete a prendere una forma definita di li' a poco.

La conversazione durò poco meno di un'ora, nel corso della quale rispose a tutte le mie domande: le informazioni che mi rivelò sono troppe per essere trascritte in modo coerente, cercherò di metterle insieme nel corso dei prossimi giorni una volta che sarò riuscita a ricomporle in modo ordinato nella mia mente.

"Uscirò mai di qui, Joan?" mi chiese, al termine del mio inaspettatamente fruttuoso interrogatorio.

Scossi la testa, rifiutandomi di rispondere: anche se fosse riuscito a convincermi, non sarebbe stato facile. "Se quello che mi hai rivelato corrisponde al vero, devi aspettare e avere fede: se mi hai mentito, invece" aggiunsi dopo alcuni istanti, "no, non uscirai mai".

Fu a quel punto che mi chiese di pregare.
scritto da Solice , 02:15 | permalink | markup wiki | commenti (0)
Scritto il 30/03/2007 · 31 di 91 (mostra altri)
« Precedente · Successivo »