21 marzo 518
Nei pochi giorni successivi alla chiacchierata con Bondred la mia sorte è stata decisa senza che potessi oppormi in alcun modo. Stavolta, vista l'evidente complicità del Burgravio, non è stato neanche necessario fingere un processo, inventare accuse o costringermi a firmare una confessione: mi hanno direttamente caricato su uno di quei carretti per prigionieri che usano da queste parti e poi scaricato in una fattoria diroccata adibita a prigione a un tiro di balestra dalla Torre Dodici. Una zona di Uryen dove non eravamo mai stati e che, come avrei avuto modo di scoprire di lì a poco, era stata affidata a Bondred per i suoi affari privati.
E' qui che, sotto lo sguardo ben poco vigile di due cani da cortile con l’elmo, ho passato le ultime tre settimane: un susseguirsi di giorni scanditi da sonni agitati, veglie interminabili, pasti raffermi e un paio di stronzate che ho fatto nel patetico tentativo di migliorare la mia condizione, prevedibilmente vanificate da quel bastardo del mio carceriere.
Il problema è che cominciano a mancarmi le forze: le ferite non accennano a rimarginarsi, la fame morde ogni giorno di più, i ricordi cominciano a farsi confusi e il tempo ha smesso di darmi gran parte dei suoi riferimenti. Ma non è la prima volta che mi ritrovo dietro le sbarre, e se c'è una cosa che ho imparato a fare in questi antri di pietra e silenzio è tenere conto dei giorni che passano. Per questo so che oggi è una ricorrenza speciale. È il momento dell'anno in cui si accendono i ceri e si osservano svanire insieme alla ragazza con cui speri di andare a letto; in cui il mondo muta forma, tingendosi dei vividi colori che preludono alla primavera...
... Ed è anche il giorno in cui avevo promesso a Saga e a Freya che sarei tornato a trovarle... Mi sa che non ce la farò, è sopraggiunto un impegno a forma di gabbia che mi tiene bloccato qui. L'unica consolazione è che non dovrò fornire spiegazioni per questa benda sull'occhio.
Ma andiamo con ordine.

Tre settimane prima
Il carretto mi scarica a terra senza troppi complimenti. Finire con la faccia nel fango è particolarmente fastidioso, specie quando piove e hai i polsi legati dietro la schiena.
«In piedi!», mi intima uno dei due bovari delle Lande destinati a diventare i miei carcerieri.
Mi alzo a fatica, ancora indolenzito per le sberle ricevute al momento di salire sul carro, e mi faccio spintonare verso il portone di ingresso della torre.
La sala è illuminata da un caminetto che scoppietta allegro: al centro c'è un robusto tavolo di legno, dietro il quale mi attende Bondred con la sua consueta maschera di ferro.
«Ben arrivato!», esclama divertito: «fatto buon viaggio?»
Sospiro. «Vedo che muori dalla voglia di prendermi per il culo, ma avrei un'urgenza», rispondo poi, in totale sincerità.
«Immagino tu voglia capire perché ti abbiamo portato qui...»
Scuoto la testa. «Non me ne frega niente: è che devo cacare.»
«Ah!»
«Eh.»
«Ci vorrà solo un minuto: puoi resistere, o Barun vi ha addestrato a farla come i cavalli?»
Alzo le spalle. «Farò del mio meglio, ma non ti prometto niente.»
E' davvero un peccato che abbia il volto coperto da quell'elmo: mi perdo tutte le sue reazioni. Che gusto c'è a far incazzare i propri superiori - o carcerieri, che poi in fondo è la stessa cosa - se non si può godere del loro fastidio?
«Sei una persona divertente, Vodan. E' anche per questo che ho deciso di scegliere te. E poi la tua storia mi ha ricordato quello che ho vissuto io: un susseguirsi di accuse, condanne e cazzate...»
E niente, muore proprio dalla voglia che io gli chieda perché mi ha portato qui, per cosa mi ha scelto, etc: si capisce tantissimo. Fossi matto se glielo chiedo, piuttosto mi faccio cavare i denti uno a uno.
«Lusingato: ora posso andare al cesso?»
Bondred fa un cenno ai bovari, che in men che non si dica mi scortano sul retro della torre. La latrina è relativamente pulita: o sta piovendo da giorni, o in questa torre ci abitano davvero in pochi. Beh, buono a sapersi.
Mentre mi slegano i polsi valuto la possibilità di fare una stronzata in più di quanto ho dichiarato: probabilmente non è una buona idea, anche se riuscissi ad avere la meglio su questi due coglioni dovrei vedermela con Bondred... Tuttavia, qualcosa mi dice che se non ci provo adesso non scapperò mai più. E poi, vista la situazione, cosa ho da perdere?
«Stai attento, idiota: mi hai quasi preso lo stiv...»
Il calcio tra le gambe lo coglie di sorpresa: bovaro #1 si accascia a terra dolorante, mentre bovaro #2 sguaina la spada e si prepara a dare l'allarme. Prima che lo faccia riesco ad assestargli due pugni: il primo prende l'elmo e mi fa un male cane, il secondo lo prende in mezzo al collo, strozzandogli l'urlo in gola e facendolo cadere in avanti, dritto sulla merda mia e di chi sa chi altro. Bene così. Mi chino a raccogliere l'arma e quando mi rialzo, tra la pioggia, scorgo distintamente il gioviale mascherone del padrone di casa.
Ci siamo. Adesso vedi non rovinare tutto: hai sicuramente affrontato di pegg.... Non faccio neanche in tempo a finire il pensiero. Bondred mi colpisce alla testa, al volto, al braccio dell'arma, alla bocca dello stomaco. Ogni colpo è come una valanga, ma il problema vero è la velocità: non riesco neanche a capire quale arriva prima. La spada del bovaro finisce chissà dove, mentre rotolo a terra nel fango concimato che circonda la latrina. Come fa ad essere così veloce? Come?
«Fatta tutta?» Mi osserva dall'alto, il volto incastonato in quell'insopportabile scolapasta, con le gocce di pioggia che gli cadono intorno.
«Vaffanculo», sbuffo mentre mi rialzo. I suoi pugni sono più pesanti di quelli di Garruk e Greg messi insieme. «Innalzati del cazzo: scherzi della natura, questo siete».
Bondred annuisce, tendendo la mano all'incapace che ero riuscito a disarmare e restituendogli l'arma: «per essere una maledizione ha i suoi lati positivi: torniamo dentro?»
Lo seguo senza possibilità di scelta, lasciando alla pioggia sferzante il compito di ripulirmi. I due mastini bastonati si accodano dietro di noi, guardandomi in cagnesco e meditando vendetta.
Tornati dentro la torre, Bondred riprende la parola.
«Allora Vodan, le cose stanno così: nelle prossime settimane prenderai parte a un esperimento che, diciamo così, ti cambierà la vita».
Lo sapevo: vogliono rendermi innalzato, o iniettarmi qualche diavoleria analoga. Scuoto la testa: «Spiacente, non sono interessato: senza offesa, ma preferisco crepare che diventare un mostro come te».
«Oh, credimi... è proprio così che andrà».
«Cosa? Crepare, o diventare un innalzato?»
Bondred scuote la testa. «Non diventerai mai un innalzato: sei troppo vecchio... senza offesa».
«Quindi hai intenzione di farmi fuori: beh, magari scoprirai che ho la pelle più dura di quanto pensi».
Bondred annuisce. «Meglio così. Penso che per oggi abbiamo finito», conclude poi, rivolgendosi ai due idioti: «portatelo nella sua camera». La coppia di animali mitologici col cervello di cane e la testa di cazzo mi si affianca, spintonandomi verso il portone d'ingresso della torre. Quello che avevo colpito tra le gambe mi sussurra qualcosa sul fatto che di lì a poco ci divertiremo un sacco.
«Vedo che avete fatto amicizia», commenta Bondred guardandoci uscire. Non mi resta che prepararmi a quello che sta per succedere: speriamo solo che si stanchino in fretta.

Due settimane prima
I due bovari con l'armatura mi hanno preso a calci per un paio di giorni, poi abbiamo fatto pace. Ho lividi ovunque e un paio di costole rotte, ma sopravviverò. Bondred è venuto a trovarmi soltanto oggi, a giudicare dai movimenti che ho sentito nelle stanze limitrofe presumo sia stato impegnato a ricevere altre cavie.
«Come va?» mi chiede dalle profondità gutturali del suo imperturbabile mascherone.
Alzo le spalle. «Se i soggetti dei vostri esperimenti li trattate così, sfido che falliscono...»
Bondred scuote la testa. «Nel tuo caso è diverso: è sufficiente che resti vivo. Qualsiasi ferita che subirai nel frattempo è... trascurabile».
Nel frattempo di cosa, esattamente? Inutile chiederglielo: è evidente che non ha intenzione di dirmelo.
«Capito» mi limito a rispondere.
«Il problema è che sei talmente testardo che potrebbe venirti voglia di tentare la fuga... o magari persino di farti fuori, pur di infastidirmi. Non è forse così?»
Puoi scommetterci, penso con un sogghigno. Persino darmi la morte a furia di sferrare testate contro il muro sarebbe un prezzo lieve da pagare, pur di scorgere un briciolo di delusione dietro quella maschera del cazzo.
«...Ed è per questo che ho pensato di darti un piccolo incentivo a restare calmo: fate entrare la ragazza».
La porta si apre alle mie spalle. Sento i grugniti dei due cani da riporto mentre trascinano dentro qualcuno... una donna, a giudicare dal timbro dei singhiozzi. Prima di girarmi rivolgo una preghiera silenziosa agli Dei, augurandomi che non siano Saga e Freya, che non le abbiano scoperte. Come potrebbero aver fatto? Ci sono pochissime persone che sanno chi sono e dove si trovano: Kailah, Kelly Babel, John Stryker. i miei compagni, la famiglia Trent...
...D'accordo, forse non sono poi così poche. Ma quelle due poverette hanno già passato le pene dell'inferno: esisterà uno straccio di divinità che abbia pietà di loro? Inspiro profondamente, con la morte nel cuore, quindi mi giro verso la porta... e mi vergogno di me stesso per il fortissimo senso di sollievo che mi pervade quando i miei occhi mettono a fuoco il volto disperato di Vian Yor.
«Finalmente insieme!» commenta Bondred sogghignando. «Anche se non mi risulta che l'esercito di Uryen consenta questo tipo di relazioni tra commilitoni... se ci fosse ancora Barun al comando sareste stati degradati, o peggio».
Non posso crederci: questo idiota crede che la poveretta sia davvero la mia ragazza. Deve essere stato quell’altro imbecille di Tom Weiss a metterglielo in testa. Mannaggia alla mia boccaccia…
Nei successivi minuti, prevedibilmente, ci spiega che se accetterò di starmene buono non le accadrà nulla, altrimenti... Ah, che vigliacco figlio di puttana. E meno male che lo chiamano Innalzato: ho visto vermi ben più alti sguazzare nei rivoli di sterco delle segrete di Lagos.
«Mi dispiace» singhiozza Vian: è evidente che i due bastardi non ci sono andati leggeri neanche con lei.
No, cazzo, è a me che dispiace: se ti trovi in questa situazione è soltanto colpa mia.
Una settimana prima
Ci hanno rinchiusi nella stessa cella. Non so se per una sottile forma di scherno, o per una di quelle crudeli curiosità di cui Bondred sembra ghiotto: mi ricorda quel piccolo stronzetto di Nuova Lagos che era solito rinchiudere i topi in un barattolo per vederli prima scopare, e poi azzannarsi quando la fame prendeva il sopravvento. Quel piccolo stronzetto ero io. Solo che all'epoca avevo 10 anni, mentre ho idea che questo bastardo sia vissuto fin troppo a lungo.
Vian è accasciata sul pagliericcio, il volto rigato di lividi e una benda strappata, ricavata da un pezzo della mia camicia, che le fascia il braccio. Da quando l'hanno portata qui non ci siamo detti quasi nulla, anche perché i mastini di Bondred ascoltano ogni nostro respiro. In compenso, piano piano stiamo imparando a comunicare a gesti, leggendo le parole sulle labbra l'uno dell'altra.
Cosa vogliono da te? Mi chiede a un certo punto.
Non ne ho idea, rispondo scuotendo la testa. Ma qualsiasi cosa sia, non penso che ti lasceranno andare.
Annuisce, sconsolata. Come facciamo ad andarcene? aggiunge dopo un pò, guardandomi con aria speranzosa.
Vorrei proprio saperlo. Vorrei avere un'idea, uno straccio di piano di fuga che possa consentire, se non a me, almeno a lei di uscire da questa cella con le sue gambe, e non, come è probabile, in una cassa da morto come quella in cui finirò io. Ma quello stronzo è troppo forte, troppo veloce... Come se non bastasse, a forza di farci mangiare poco e male stiamo cominciando a indebolirci: tra pochi giorni non avremo più le forze neanche per opporci alle attenzioni quotidiane dei nostri carcerieri... come era prevedibile, la presenza di Vian ha trasformato quei due cani in una coppia di maiali.
Non preoccuparti, le rispondo: ho un piano. Ma è una menzogna bella e buona, una cazzata per farla stare meglio. Riesco a strapparle un mezzo sorriso, quindi ne è valsa la pena. E' carina quando sorride. Non è bella come Ardee e non ha il corpo di Dina, ma in altre circostanze, forse... D'accordo, Vodan: adesso fatti venire in mente un modo per metterla in salvo.
Nelle ventiquattro ore successive mettiamo a punto un piano di fuga che fa acqua da tutte le parti, ma che se non altro ha il pregio di tenerci occupati e accendere un barlume di speranza nel cuore di entrambi. Ne discutiamo sottovoce, con la testa vicina, approfittando del rumore della pioggia che batte contro le pareti dell'edificio adibito a prigione e che, se tutto andrà bene, potrebbe aiutarci - o meglio, aiutarla - a scappare.
La pioggia cresce mentre parliamo, facendosi sempre più densa e rabbiosa. Le gocce si trasformano in raffiche, un martellare incessante che fa vibrare le pietre che ci circondano e riempie i lugubri silenzi di questa fattoria diroccata. Ben presto le nostre parole scompaiono, divorate dal rombo dell'acqua e dei tuoni. Lentamente, inesorabilmente, cominciamo ad alzare la voce: i sussurri diventano mormorii, poi esclamazioni, e infine vere e proprie grida che sfidano la furia del temporale. E a poco a poco, quasi senza accorgercene, smettiamo di discutere del piano e iniziamo a metterlo in pratica.
«E' colpa tua!» urla Vian, sovrastando il rombo dei tuoni. «E' per colpa della tua idiozia che mi trovo qui dentro! E' colpa tua se moriremo entrambi!»
«Mia?» sbraito, sforzandomi di sembrare credibile. «Ma che cazzo dici? Ti sei messa in mezzo da sola, hai...»
Lei mi urla in faccia, impedendomi di continuare. «Oh no, non osare! Non dirlo nemmeno! Se non fossi stato così orgoglioso, così testardo, non saremmo qui! Ti sei fidato di chi non dovevi, ti sei messo insieme a quel manipolo di traditori per combattere una guerra che non ti riguardava... Che non MI riguardava!»
«Non sai di cosa stai parlando...»
«...E lo sai perché, Vodan? Perché sei un incapace! Un inetto! E lo sei sempre stato, questa è la verità!»
Continuiamo così per qualche istante. Lei è molto più brava di me, io riesco a malapena a interpretare il ruolo del maschio impacciato che balbetta parole a caso sapendo di avere torto. Siamo entrambi talmente presi che quasi non ci accorgiamo quando i cani da guardia decidono di abboccare alla nostra esca venendo a godersi lo spettacolo più da vicino.
«Che succede qui? Già finita la luna di miele?»
Vian mi annuisce in modo impercettibile: è il momento di passare alla seconda fase di questa ridicola sceneggiata: che gli dèi ci aiutino...
«Vaffanculo!» le urlo a pieni polmoni, quindi mi avvento su di lei, spintonandola con forza contro il muro alle sue spalle. Lo abbiamo provato più volte, ma mai a questa velocità: il tonfo che ne esce suona fin troppo vero. Lei tossisce e barcolla, cercando di riprendere fiato. Mi sa che le ho fatto male...
«Vaffanculo!» ribadisco, sferrandole un cazzotto in pancia. La osservo mentre cade a terra, quindi le assesto un paio di calci al basso ventre, enfatizzando il movimento il più possibile.
«Troia che non sei altro» concludo, sputandole addosso. «Hai paura di morire, eh? Beh, adesso ti risolvo il problema!» Mi chino su di lei, serrandole le mani al collo. Poco dopo lei comincia ad annaspare, gemendo e cercando di prendere aria. La pressione che applico è minima, ma non dovrebbe essere facile capirlo per i due stronzi che ci stanno guardando... o almeno spero.
«Basta così» esclama uno di loro, colpendo le sbarre con una specie di randello. «Allontanati da lei».
Lo ignoro, continuando a fingere di strangolare la mia "fidanzata".
«Va a finire che l'ammazza...» dice l'altro.
«E 'sti cazzi!» gli risponde il compare, scrollando le spalle. «Facesse pure... Tanto sono fottuti comunque».
Come temevo: questi pendagli da forca hanno un sacco di concime al posto del cuore, figurati se abbiamo speranza di impietosirli al punto da convincerli ad aprire la porta. Però sembrano aver abbassato la guardia... Devo provarci comunque: ora o mai più.
Mi alzo in piedi, continuando a stringere il collo di Vian: il cane da guardia continua a picchiare sulle sbarre con il manganello, quasi a volermi incitare a compiere l'estremo gesto. Mi concentro su quel battito, cercando di cogliere il momento perfetto per agire: bam, bam, bam... Adesso.
Balzo verso di lui, scagliandomi addosso alle sbarre: il mio braccio sinistro afferra il suo prima che riesca a ritrarsi, il destro gli strappa il manganello dalle mani. Vian riesce a ghermire il compare, impedendogli di prendere le distanze e tenendo anche lui a portata della mia nuova arma per una manciata di istanti preziosi.
Comincio a sferrare mazzate come un forsennato, consapevole che la nostra vita è appesa all'esito di ogni singolo colpo. Schizzi di sangue colpiscono le sbarre, le pareti e i nostri volti, seguiti di lì a poco da denti, cartilagini rotte, schegge di cranio e Reyks solo sa cos'altro. Continuo a colpire finché Vian non mi posa la mano sulla spalla. Molliamo la presa all'unisono, osservando con soddisfazione i due corpi martoriati che si accasciano al suolo: è finita. Abbiamo vinto.
Recuperiamo le chiavi dalla cintura del più grosso, le dita tremanti per la fatica e l’adrenalina: in pochi istanti la serratura cede, consentendoci di uscire dalla cella e raggiungere la porta esterna. Quando finalmente spingiamo l’anta che dà sul cortile, la pioggia ci travolge come un fiume in piena, lavandoci via il sangue e le frattaglie dei nostri carcerieri. Siamo fuori.
«Ce l'abbiamo fatta!» esclama lei, raggiante. «Grazie», aggiunge poi, voltandosi verso di me. «Grazie per avermi salvata». Salvata? C'è mancato poco che la condannassi a morte...
«Adesso vai», le rispondo: «corri fino alla torre quattro, senza fermarti. Io vedrò di tenere occupato Bondred... se la sorte ci assiste, questo temporale non gli consentirà di seguirti neanche con le sue dannate capacità da Innalzato».
«Sei sicuro?» mi chiede lei, afferrandomi il polso. «Possiamo provare ad affrontarlo insieme: siamo una bella squadra, dopo tutto...» E' davvero carina quando sorride.
Scuoto la testa. «E' compito mio: tu devi raccontare questa storia, ricordi?»
Annuisce. Mi stringe il polso un’ultima volta, poi si stacca, si volta e corre via. La seguo con lo sguardo finché la sua figura non viene inghiottita dal muro d’acqua che ci circonda.
Per alcuni istanti penso davvero di avercela fatta, di essere riuscito a salvarle la pelle. Mi illudo che la pioggia sia abbastanza fitta da nasconderla ai sensi di Bondred... che la sorte, per una volta, abbia deciso di voltarsi dalla parte giusta.
Poi, oltre il muro d’acqua, intravedo una sagoma in movimento. Una figura alta, scura, che avanza con passo tranquillo, come se la tempesta gli obbedisse. Nella sua mano destra brilla un riflesso metallico; sulla spalla sinistra... No, non ho bisogno di vederlo meglio per capire cos'è.

«Bel tentativo», esclama Bondred continuando a camminare verso di me, «ma vi è andata male. Non mi aspettavo che fossi così stupido da condannarla a morte...»
Resto impietrito mentre si avvicina, costringendomi a guardare in faccia le conseguenze del mio ennesimo errore. Un rivolo scuro le cola dalla bocca... deve averla colpita alla schiena. Il suo viso ha lo stesso colore di un attimo fa, ma quel sorriso è scomparso per sempre: nessuno potrà più vederlo, per colpa di questo miserabile assassino.
«Hai colpito alle spalle una ragazza disarmata» mormoro digrignando i denti: «persino le larve mi fanno meno schifo di te». Non ho più alcuna voglia di scherzare con questa creatura abominevole: mi sento pervaso dalla voglia di ucciderlo, di spaccargli la testa come ho fatto con i suoi scagnozzi. Voglio sentire in bocca il sapore del suo cervello.
Bondred mi guarda con soddisfazione. «Finalmente, Vodan: finalmente sento l'odore della tua rabbia... finalmente mi mostri il lupo cannibale che alberga dentro di te».
Ho già sentito queste stronzate una volta, esattamente un anno fa: le stesse parole, lo stesso tono di chi crede di conoscermi, di sapere chi sono, di stabilire cosa posso o devo diventare. Allora, come oggi, pioveva a dirotto. Allora, come oggi, lo stronzo che ambiva a insegnarmi la vita nascondeva il proprio volto dietro una maschera di onnipotenza per giustificare le proprie abiette e ripugnanti azioni. Ricordo il clangore dell’acciaio, il sapore del sangue e la speranza che, per una volta, la giustizia divina si schierasse dalla mia parte. Forse è proprio il dio della giustizia di Bohemond a riportarmi sempre qui, a inchiodarmi sullo stesso cardine di questa maledetta ruota del tempo per vedere se, ciclo dopo ciclo, ho imparato qualcosa.
E la risposta, anche stavolta, è no.
Sollevo lentamente la spada che mi sono premurato di recuperare dal corpo esanime del secondo scagnozzo. Di fronte a me non c'è solo Bondred, ci sono anche Kraighar Tarkhun, Cathàl e tutte le altre prove che il destino mi ha messo di fronte. Ognuno di loro pretendeva qualcosa da me, e fino ad oggi sono sempre riuscito a deluderli tutti. Non permetterò a un Innalzato senza un briciolo di onore di mandare in vacca questa tradizione.
Bondred mi osserva divertito, impervio alla mia furia. «Se è un'altra lezione che vuoi, sarò lieto di impartirtela».
Avanzo. Il fango schiocca sotto gli stivali, la pioggia cade a secchiate e l'acciaio vibra nell'aria come un animale affamato. Le nostre lame si incrociano dove un tempo sorgeva il cortile di questa fattoria. Il primo colpo spetta a me: un fendente rabbioso, basso, mirato al ventre. Parato con una grazia disumana. Il contrattacco mi sfiora la gola, portando con sé un sibilo di vento e la certezza che, se avesse voluto, ora sarei morto.
Ne seguono altri: fendenti, stoccate, affondi disperati. Ogni volta che credo di aver trovato un varco, la sua spada è lì ad aspettarmi. Mi costringe indietro, passo dopo passo, senza fretta. Ogni suo movimento trasuda scherno nei miei confronti, ogni parata è solo un modo più elegante per ricordarmi quanto valgo poco.
Le sue lame mi investono come grandine: fendono la pioggia, spaccano l’aria. Mi colpisce al fianco, alla spalla, alla mano. Sento la presa allentarsi, ma non mollo: la rabbia per il destino a cui ho condannato Vian mi costringe a restare in piedi, sostenendo un ritmo che solo chi ha tradito la propria natura umana può mantenere. Ben presto la disperazione diventa la mia unica arma.
Quando finalmente riesco a ferirlo - un graffio, niente più - lui guarda il sangue sul palmo e sorride. «Finalmente un segno di vita!»
Poi contrattacca, polverizzando in un istante quel briciolo di vantaggio che mi ero illuso di aver guadagnato. La sua lama si abbatte in diagonale: sento l'acciaio sfiorarmi la guancia, poi colpirmi in pieno volto con la stessa rapidità di un serpente. Avverto una vampata di calore, seguita da un dolore acuto e violentissimo. Le ultime immagini che mi passano davanti sono il bagliore di un fulmine riflesso sulla lama e il corpo esanime di Vian riverso nel fango... poi tutto si annebbia.
Non ci vedo più.
Cado in ginocchio, mentre il mondo che mi circonda perde la sua simmetria. Sento Bondred gravare su di me, la sua ombra che soffoca ogni altro suono.
«Hai perso qualcosa?» chiede con un sogghigno. «A parte questo scontro, intendo».
Mi rialzo come posso, la parte destra del volto che brucia come se fosse a contatto con un tizzone ardente. Poi un ultimo colpo mi raggiunge alla testa, facendomi perdere i sensi.
«Non preoccuparti, è solo un'occhio: a tempo debito ricrescerà».






















