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« Si piega l'Equilibrio costretto dalla sorte, e salva la Speranza che befferà la morte »
- Quentin -
 
Solice Kenson
Cronache della Campagna di Caen
Solice Kenson
"Voi avete coraggio e siete molto convincente: ma non appena sarete chiamata a combattere, al primo combattimento che possa realmente definirsi tale, voi morirete. E non parlo di scontri confusi o ingarbugliati, dove nessuno capisce fino in fondo quello che sta facendo o magari ha meno voglia di uccidervi che di portare la pelle a casa. Parlo di uno scontro vero, in cui affronterete una persona con le vostre sole forze. Beh, è giunto il momento che qualcuno che vi vuole bene vi dica che queste forze non basteranno proprio contro nessuno".
creato il: 20/05/2005   messaggi totali: 91   commenti totali: 32
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18 maggio 517
Mercoledì 2 Maggio 2007

La caduta

June e Joan, Dhjou-Neh e Dhjou-Ahn, la rosa rossa e la rosa bianca: la prima, simbolo della passione e dell'amore terreno, talmente forte da sopravvivere alla morte; la seconda, simbolo dell'amore puro e incondizionato, libero dalla passione terrena... ma anche simbolo di morte. Rossa era la rosa che June portava tra i capelli quando all'inizio della ballata conosce Amon, colui che sarà in di lì a poco il suo carceriere; e bianca quella che orna il capo di Joan quando, dopo aver abbracciato la sorella per l'ultima volta, si consegna nelle mani del rapitore.

Dhjou-Ahn: rosa bianca. Un segnale indecifrabile per sir Thomas e Malaki, alla presenza dei quali sono avvenuti i miei dialoghi con il prigioniero di Valamer dopo la sua incarcerazione, ma non per me. Come avevo potuto ignorarlo? Troppo a lungo mi ero soffermata sull'interpretazione dei miei sogni: avevo colpevolmente frainteso le parole di padre Barkev, concentrandomi sul linguaggio onirico, trascurando quello degli uomini, dimenticando che entrambi sono opera del disegno degli Dei.

Non avevo alcuna prova a suffragio della rivelazione che avevo avuto pochi istanti prima: ma sentivo dentro di me la necessità di controllarne immediatamente la veridicità, di impedire che il troppo tempo impiegato per comprendere il messaggio potesse recare danni al segreto che avevo giurato di proteggere e custodire. Dovevo immediatamente raggiungere mastro Malkhas e convincerlo a consegnarmi quella lettera: sarebbe stata lei a rivelarmi se le segrete di Valamer imprigionavano un uomo di fede e se il segreto della rosa era stato o meno compromesso. Non avrei aspettato altro tempo per portare luce su questi dubbi, troppe ore erano già trascorse per colpa della mia cecità.

Dopo il suo arrivo, mastro Malkhas era stato alloggiato nella vecchia torre delle Termiti, che si trovava a circa tre metri dal palazzo: l'alto e massiccio edificio, contenente un gran numero di libri, era la residenza ideale per gli studiosi che venivano alloggiati nei pressi del palazzo. Era di certo il posto ideale per un individuo come lui, e quando sir Thomas e mio padre lo avevano convocato a Beid la torre era sembrata il posto ideale, sufficientemente distante dalle feste e dai banchetti per consentire la tranquillità necessaria a svolgere il suo incarico.

A mastro Malkhas era stata affidata la pergamena che il prigioniero di Valamer recava con sé: sua era la responsabilità di assicurarsi che non potesse essere fonte di pericoli diretti o indiretti, prima di comunicarne il contenuto. Purtroppo, tanto la ferita accusata da sir Thomas quanto il matrimonio avevano assorbito ogni possibile interesse nei confronti di quella pergamena: d'altronde, il ritardo di mastro Malkhas nel comunicarne il contenuto aveva lasciato intendere che non contenesse nulla di rilevante ai fini della scarcerazione del prigioniero o del ritrovamento di Rosalie. Le mie recenti scoperte avevano però portato alla luce una nuova possibilità: magari in quella pergamena era contenuto un messaggio che soltanto io ero in grado di leggere o interpretare, o qualche riferimento che soltanto chi fosse a conoscenza dell'esistenza della Rosa Bianca avrebbe potuto comprendere: forse il prigioniero di Valamer si aspettava che quella lettera sarebbe presto finita nelle mie mani, ed aveva puntato tutto su quell'eventualità, rifiutando di rivelare qualsiasi informazione in presenza di Malaki o di sir Thomas e continuando a chiamarmi Joan nel tentativo di far scattare in me la molla che avrebbe portato alla dimostrazione della sua buona fede.

Se c'era anche solo una possibilità che tutto questo fosse vero dovevo saperlo subito, senza aspettare un altro istante. Arrivai trafelata davanti alla porta della torre delle Termiti: una guardia di Beid piantonava li' nei pressi, a protezione dell'ingresso. Vedendomi arrivare a perdifiato mi guardò con espressione incuriosita.

"Salve", gli dissi, trafelata. "Il mio nome è Solice, e ho urgente bisogno di parlare con mastro Malkhas. Vi prego", continuai, vedendolo dubbioso, "ho davvero molta premura. E' necessario che io gli parli adesso, non posso aspettare".

La guardia perse alcuni secondi a osservarmi, grattandosi il mento: non l'avevo mai vista prima, era improbabile che mi conoscesse: in quel caso, se non si fosse fidato della mia parola, sarei stata costretta ad aspettare l'indomani.

Con mia grande sorpresa, la guardia annuì. "Va bene", mi disse. "Dopotutto, non credo che sarà un grosso problema per mastro Malkhas ricevere una visita a quest'ora".

Il suo tono era piuttosto divertito. Mastro Malkhas era noto per restare sveglio fino a tarda ora, studiando i suoi tomi nel silenzio della notte: evidentemente, il suo singolare comportamento non era ignoto alla guardia che era stata affidata alla sua porta.

La guardia aprì la porta della torre, avendo poi cura di accendere una lanterna che portava con sè.

"Seguitemi, prego" mi disse precedendomi all'interno dell'edificio.

Il piano terra della torre era occupato da una unica sala piuttosto spoglia, facente funzioni di anticamera: sparuti bauli e cassapanche erano disposti ai lati del muro, mentre al centro era disposto un tavolo circondato da una decina di sedie. Sul lato opposto rispetto all'ingresso incominciava la lunga rampa di scale che portava ai piani superiori, il cui accesso era bloccato da una robusta porta di legno.

"Mastro Malkhas!", chiamò la guardia, avanzando a larghi passi verso la porta. "Mastro Malkhas!", ripetè a gran voce, bussando con il pugno sul legno spesso.

La porta si aprì con un cigolio: era aperta. La guardia si girò verso di me. "Evidentemente sta dormendo", mi disse scrollando le spalle. "Spero che questa sveglia improvvisa non gli dia troppo fastidio". Cosi' dicendo si avviò lungo le scale, precedendomi.

Passammo cosi' il primo piano della torre, parzialmente occupato dagli alloggi delle guardie: "dormite qui?" chiesi alla guardia, notando che due dei letti erano preparati: come risposta, il mio accompagnatore si limitò a scuotere il capo. Passammo poi per il secondo e il terzo piano, occupati da scrivanie e scaffali polverosi a volte vuoti, a volte ingombri di libri e pergamene. Vi erano anche moltissimi oggetti di uso comune, misteriosi alambicchi contenenti sostanze rese inservibili dal tempo, ampolle dal contenuto misterioso, mappe e strumenti per comprendere la volta del cielo. Lo studio di mastro Malkhas doveva essere al quarto piano, mentre il quinto e ultimo era riservato ai suoi alloggi.

Raggiunta la porta di accesso al quarto piano, la guardia bussò ancora. "Mastro Malkhas!", ripetè un paio di volte, senza ricevere alcuna risposta.

"Dannazione", disse. "Il vecchio deve avere il sonno pesante. Ci ha detto una gran sfortuna, proprio oggi ha deciso di dormire di notte..." Cosi' dicendo mise una mano sulla maniglia, mentre con l'altra già si preparava a cercare la chiave. Non era necessario: anche questa porta si aprì, cigolando appena. La guardia alzò le spalle, evidentemente sorpresa dal fatto che mastro Malkhas non fosse solito chiudere a chiave neppure l'accesso alle sue stanze, e spalancò la porta.

"Ah, eccovi qui", esclamò volgendo lo sguardo verso l'alto. "Cominciavo a pensare che vi fosse successo qualc..."

Improvvisamente, tutto avvenne a una velocità innaturale. La guardia arretrò di scatto di fronte alla figura ammantata che si trovava in cima alle scale, quando quest'ultima si avventò di scatto su di noi. Dalla mia posizione riuscii a vedere che brandiva qualcosa, ma non feci neppure in tempo a gridare: sentii calde gocce di sangue dipingersi sul mio viso, mentre l'aria si riempiva del rumore sordo e bagnato del ferro che penetrava nella carne.

"Ah...gg...gghh.." riuscì appena a pronunciare la guardia prima di cadere rovinosamente al suolo mentre la lama veniva ritirata via dalla sua gola, passata da parte a parte. La lanterna esplose in una girandola di vetri luccicanti, proiettando dal basso verso l'alto ombre enormi e minacciose lungo la rampa di scale.

Ci volle tutta la mia forza di volontà per costringere le mie gambe a muoversi, vincendo il terrore di quel singolo istante, costringendomi ad ignorare il battito impazzito del mio cuore. Arretrai di scatto con l'intenzione di correre verso l'uscita, ma subito dopo fui costretta a gettarmi in terra per evitare un fendente rivolto verso di me: le gambe si rifiutarono di sorreggermi mentre arretravo lungo quegli scalini; caddi all'indietro, giungendo all'altezza del terzo piano. Il mio aggressore mi fu subito addosso, costringendomi a gettarmi dentro la sala ingombra di oggetti e scaffali: ogni mio movimento sembrava goffo e lento, se paragonato alla rapidità con cui il mio aggressore si liberava degli ostacoli che gli impedivano di raggiungermi. Dopo pochi secondi mi trovai come un topo in trappola, con le spalle chiuse da una delle robuste finestre di legno e vetro della torre, oltre la quale splendeva vivida la luce di Kayah.

Il mio aggressore si arrestò, come un predatore nell'atto di contemplare la sua preda. Non potevo più scappare, un pesante scaffale in legno di quercia chiudeva l'unica via di fuga. Mi ritrovai a pregare silenziosamente gli dei: forse c'era la possibilità che la luce di Kayah potesse impedire al mio carnefice di incedere ancora. Tale speranza venne ben presto vanificata dai lenti ma inesorabili passi con cui l'assassino riprese ad avanzare verso di me.

Non mi restava molto tempo. Pensai alla finestra affacciata sul vuoto della notte che si stagliava dietro di me, e in quell'attimo disperato mi tornò alla mente la canzone che da giorni mi ossessionava: la sorte mi aveva definitivamente costretta nei panni di Joan, dandomi la scelta tra consegnarmi inerme nelle mani del mio carnefice o rifiutare il destino avverso arrogandomi il diritto di decidere in prima persona la mia sorte. Una scelta impossibile, che agli occhi di chiunque non aveva alcuna reale via d'uscita: fino a poche ore prima avevo pensato a una soluzione che facesse dormire a Malaki sonni tranquilli, e sebbene l'avessi trovata non ero poi così convinta che avrebbe funzionato. Alzai lo sguardo, rivolgendomi alla luce della luna: la luce di Kayah, la luce di Abel: ripensai a quello che una volta mi raccontò, di come fosse sopravvissuto a una caduta che avrebbe dovuto condannarlo a morte certa o a un'esistenza di sofferenza, invalidità e dolore; pensai ai rischi che la Rosa Bianca e il mio stesso paese avrebbero corso se non fossi sopravvissuta, se non avessi avuto modo di rivelare le informazioni che ora, evidenti, si rivelavano a pochi istanti dalla mia probabile morte.

Fu con questi pensieri che mi piegai sulle ginocchia, ripensando a tutto ciò che avevo imparato sull'arte di evitare i colpi di un avversario, aspettando l'istante che avrebbe preceduto l'attacco del mio aggressore. Dopo pochi, interminabili istanti di attesa la spada vibrò, sibilando nella mia direzione: chiamando a raccolta tutte le mie energie balzai all'indietro, anticipando la lama diretta contro la mia gola.

Nel giro di pochi secondi sentii il vetro rompersi sotto le mie spalle, poi la fredda aria della notte che mi avvolgeva. Poi, improvvisamente, tutto si fermò: vidi due o tre persone nei pressi della torre, lo sguardo rivolto verso l'alto, costretto a mettere a fuoco un simile quanto inatteso spettacolo: poi, d'un tratto, incominciai a precipitare. Cercai di ruotare il mio corpo e di assumere una posizione che mi avrebbe consentito di attutire in qualche modo la caduta, poi pregai con tutto il mio cuore di aver fatto la scelta giusta, che tanto Malaki, quanto mio fratello e mio padre, quanto i miei amici potessero dormire sonni tranquilli... E, se questo non doveva essere, pregai affinché Pyros li proteggesse dal male e dal pericolo.

Poi tutto diventò buio.
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17 maggio 517
Venerdì 27 Aprile 2007

Rivelazione

Il matrimonio si era concluso nel migliore dei modi, e il favore degli Dei che aveva consentito ai festeggiamenti di procedere senza alcun tipo di complicazione continuò ad arridere alla mia famiglia anche nei giorni immediatamente successivi.

Il 15 maggio ci fu l'attesa premiazione della giostra: sir Georg Poe, lady Joanne Chirac e sir Steven DeRavin, splendidi nelle loro armature, precedettero gli altri cavalieri nella parata conclusiva, per poi ricevere dalle mani del Conte di Verrière e di sua figlia i premi che mio padre aveva fatto preparare per l'occasione. Come da tradizione si trattava di oggetti finemente realizzati da sapienti artigiani, più adatti a una parata o a dei festeggiamenti in tempo di pace che non a un vero e proprio utilizzo sul campo di battaglia: questa usanza, fortemente voluta dalla chiesa della Luce, simboleggiava ulteriormente la natura festosa e gioiosa dell'evento.

A sir Georg venne consegnato il premio più prezioso, un bellissimo elmo d'argento arricchito da venature scure e decorato con una collana di perle del colore del marmo. Il cavaliere ebbe cura di ringraziare con profondi inchini il conte, sua figlia e mio padre: pronunciò poche parole, con le quali espresse la sua profonda graditudine per l'ospitalità ricevuta e per il corretto svolgimento del torneo. Fu poi la volta di Lady Joanne, la cui presenza suscitò applausi forse addirittura superiori: maschi e femmine applaudivano a quella giovane e bellissima donna che aveva sorprendentemente mantenuto una posizione tanto alta, giungendo a sfiorare la vittoria. Lady Joanne ricevette un elmo da giostra ornato da due ali dorate, impreziosito da un drappo rosso fiammante: forse intimidita da un'accoglienza tanto calorosa si limitò a ringraziare, senza pronunciare altre parole.

Fu infine la volta di sir Steven, che si inchinò profondamente al Conte di Verriére prima di ricevere il suo premio: un mantello finemente intessuto di colore rosso scuro ornato da una spilla argentata, opera di abili tessitori e di sapienti artigiani. Sir Steven non pronunciò che una manciata di parole, ringraziando il Conte, mio padre e la terra di Beid, per poi scendere dal palco.

"Avete visto?", disse Yera vedendolo scendere. "Ha chiaramente guardato in questa direzione! Scommetto che, se fosse arrivato primo, vi avrebbe dedicato la vittoria!"

Guardai Yera con affetto: la felicità e l'energia con cui stava vivendo quei giorni erano luminose quanto il riflesso del sole nei suoi verdi e grandi occhi. Sperai con tutto il cuore che sir Leon si dimostrasse cavaliere al punto di non dimenticarsi di lei al termine dei festeggiamenti: Yera non sapeva leggere né scrivere, ma sarei stata più che felice di aiutarla a mantenere attiva una corrispondenza che di certo le avrebbe riscaldato il cuore per molto, molto tempo. "Ne sono certa anche io", dissi abbracciandola.

"Hey! Fate piano... non sono mica robusta come sir Steven!" disse, ridendo.

Dopo la premiazione, spendemmo il resto della mattina e il pomeriggio a osservare le restanti competizioni: la gara di tiro con l'arco venne vinta da un ufficiale di Beid che seppe sfruttare al meglio il lieve va deciso vento che si alzò nel corso della giornata. La corsa dei cavalli venne vinta dal velocissimo Yurae, che non ebbe problemi a imporsi sugli altri concorrenti vista l'assenza di tutti i cavalieri che avevano partecipato alla giostra e che tradizionalmente si astenevano dalle altre competizioni; degni di nota i piazzamenti di degli scudieri di Amer e di Chalard, in particolare del piccolo Kasper che arrivò tra i primi cinque e con il quale corsi a complimentarmi. "Un giorno se vorrai ti insegnerò a cavalcare veloce!" mi disse soddisfatto: annuii con decisione, avrei di certo avuto molto da imparare.

Nel corso del pomeriggio ci fu un clamoroso tentativo di Yera di far prendere parte a sir Leon al gioco della pentolaccia, e a nulla valsero i miei tentativi di dissuaderla: grande fu la mia sorpresa quando fui costretta a ingoiare le mie perplessità; dopo uno scambio verbale che durò quasi due ore il cavaliere acconsentì a farsi bendare per poi amministrare tre solidi colpi ad altrettante pignatte sospese, provocando la fuoriuscita (nell'ordine) di salsicce e insaccati, piume e coriandoli; la cosa più incredibile fu vedere come Yera riuscì persino a evitare di partecipare in prima persona, preoccupata com'era di rovinare il vestito donatole da mio fratello!

"Avete visto? Me ne dovete una!" mi disse, tornando trionfante. Scossi la testa, fingendo disperazione.

Passai il resto della giornata a suonare, cantare e conversare con alcuni degli invitati: gradii in particolar modo l'interesse mostrato nei miei riguardi da parte della mia nuova cognata. Lady Amy sembrava molto interessata a conoscermi meglio, e mi fece domande piuttosto precise sul paladinato e sul mio percorso iniziatico: fui lieta di illustrarle come avevo vissuto quegli anni e di spiegarle i motivi per cui avevo compiuto una scelta simile.

Quel giorno non era comunque destinato a concludersi serenamente come era iniziato: a sera, poco dopo l'inizio di quello che sarebbe stato l'ultimo banchetto nei pressi della piazza della giostra, mio padre ricevette infatti una visita inaspettata che mi fece venire la pelle d'oca.

A preannunciare l'arrivo di questi nuovi, inattesi ospiti fu un messo proveniente da palazzo, che ci informò che una piccola delegazione di cavalieri chiedeva udienza; si trattava di un'altra delegazione proveniente da Anthien, più numerosa di quella formata da sir Steven e da sir Leon: erano uomini inviati in rappresentanza di Lord Albert Keitel.

Non appena appresi la notizia, il panico si impadronì di me: sapevo perfettamente che mio padre non avrebbe potuto far altro che invitarli a prendere parte al banchetto. Chi faceva parte di quella misteriosa delegazione? Per quanto potevo saperne, tra di loro poteva esserci lord Albert in persona: una persona della quale nè mio fratello nè mio padre avevano un'ottima considerazione, ma in ogni caso del tutto inattaccabile a livello ufficiale, tanto più in un contesto come quello. Il pensiero di essere costretta dalle circostanze a sorridere a colui che sapevo essere responsabile di un dolore così grande, di vedere mio padre costretto a stringere quelle mani insanguinate mi faceva sentire male: istintivamente mi allontanai nascondendomi dietro ad altri commensali, ripromettendomi che avrei fatto del mio meglio per evitare ogni sorta di contatto visivo e verbale con quegli uomini.

Quando la delegazione arrivò, fu presto chiaro a tutti che Lord Albert non era presente: a rappresentarlo vi era un certo Sir Eldon Tallard, un uomo alto e dal viso sottile, che ebbe cura di porgere a mio fratello una lettera da parte del suo signore e a Lady Amy un piccolo scrigno in regalo. Attenta com'ero a non farmi notari non potei sentire che alcuni stralci del suo discorso: in compenso lo osservai molto attentamente nell'eventualità che, un giorno, il destino avesse deciso di incrociare ancora le nostre strade. Sir Tallard e i suoi furono ben lieti di poter partecipare al banchetto, e dopo essersi profusi in inchini e ringraziamenti furono lesti ad appagare il loro appetito e a fare conversazione con molti dei commensali: Sir Tallard in particolare parlò a lungo con mio fratello e con Lady Amy, poi con Lady Joanne e con i cavalieri di Anthien, avendo cura di farsi raccontare quanto era successo e scusandosi in più occasioni con il suo colpevole ritardo dovuto, a suo dire, alla cattiva condizione delle strade e al tempo non sempre favorevole. Aveva un modo di parlare decisamente accattivante, in grado di interessare l'interlocutore con poche, semplici frasi.

"Guardateli il meno possibile", disse a un certo punto una voce alle mie spalle: "non vorreste mai che si accorgessero di aver fatto presa sui vostri occhi". Prima di voltarmi, sapevo già a chi appartenesse. Guardai Peter Gremaud, che aveva un'espressione fin troppo eloquente. Non disse altro, non ce n'era bisogno: accettai di buon grado il suo consiglio, e fui ben lieta di distogliere la mia attenzione dal gruppo di cavalieri.

Quando il banchetto terminò, mi recai da mio fratello: lo trovai di buon umore, felice di come si era svolta quella giornata: fui lieta di appurare che neppure quella visita inattesa era riuscita ad intaccare la sua felicità. Anche Lady Amy sembrava al settimo cielo: quando la guardai, era intenta a fissare il contenuto dello scrigno da poco ricevuto in dono. Notando il mio sguardo incuriosito me lo porse. Guardando il contenuto fui sorpresa di vedere che conteneva delle erbe sbriciolate, non troppo dissimili dall'incenso di cui a volte si faceva uso a Focault. L'odore che sentivo era però completamente diverso. Quando sollevai la testa, per un attimo gli occhi faticarono a rimettere a fuoco la mia interlocutrice.

"E' tabacco", mi disse sottovoce notando la mia reazione, attenta a non farsi sentire. "Penso che venga da Delos: se è così, è estremamente prezioso. Sentite che buon odore?".

Non dissi nulla, limitandomi ad arretrare rapidamente. No, avrei potuto dire molte cose a riguardo di un simile dono, ma di certo nessuna volta a celebrare le lodi di quell'odore intenso che ancora non abbandonava le mie narici. Lady Amy si accorse della mia espressione e si affrettò a chiudere lo scrigno, facendolo sparire di lì a poco.

"Stai bene?" mi disse mio fratello. Annuii, prima di chiedergli informazioni su quanto appena successo. Ryan si limitò a dirmi che sir Tallad era stato molto cordiale, scusandosi a nome del suo signore per il ritardo e per l'assenza: a quanto sembrava, non c'era nulla di cui preoccuparsi. Sollevata tornai da Yera, restando con lei fino al termine della giornata.

Il 16 e il 17 maggio passarono altrettanto velocemente: i miei sogni sembravano essersi tranquillizzati, consentendomi di dormire a sufficienza e di recuperare tutte le mie energie; passai a trovare sir Thomas e fui sorpresa di apprendere che non si trovava già più presso la chiesa di Reyks: incredibilmente si trovava già a Valamer, in procinto di riprendere le sue mansioni. Riuscii anche a parlare con mio padre, al quale spiegai per la seconda volta - la prima era avvenuta in conseguenza del resoconto di Malaki - la situazione delle colline Khadan e la presenza di quella misteriosa ragazza ancora in libertà. Mio padre mi disse che sir Thomas si sarebbe occupato della faccenda insieme ai suoi luogotenenti, e che non c'era da preoccuparsi: viste le mie insistenze e la mia determinazione nel prendere parte attiva alla ricerca di informazioni che potessero condurre al ritrovamento di Rosalie, acconsentì comunque a lasciarmi libera di compiere le mie indagini: a differenza di prima, però, avrei dovuto rendere conto a Sir Thomas.

E fu proprio da lui che mi recai, la mattina del 17 maggio: Malaki mi accompagnò di buon grado a Valamer, dove sir Thomas stava organizzando due o tre gruppi per pattugliare i confini con la baronia di Keib e la zona delle colline Khadan che avevamo visitato pochi giorni prima.

"Ancora non vi siete sdebitata", mi disse il cavaliere mentre percorrevamo la salita che ci avrebbe portati al castello. "Non vi facevo così poco di parola".

Lo guardai con aria interrogativa. "Di cosa parlate?" gli chiesi, sorpresa.

"Non ricordate? Ci trovavamo proprio qui, percorrendo questa strada in direzione opposta: mi avevate promesso di raccontarmi un finale alternativo della storia di June e Joan, un epilogo in grado di farmi dormire sonni tranquilli", mi disse, annuendo gravemente e simulando una profonda delusione. "Tutto in cambio del mio aiuto: aiuto che io, fidandomi di voi, ho diligentemente prestato. E dunque ora vi chiedo, dov'è la mia storia?"

Annuii, ammettendo le mie colpe. "Avete assolutamente ragione", dissi con aria solenne. "Prometto che avrete la vostra storia entro domani. D'accordo?"

"E sia", disse Malaki, annuendo soddisfatto. "Ma questa volta vi terrò d'occhio, non tollererò ulteriori ritardi!"

Quando arrivammo a Valamer, Malaki chiese per mio conto udienza al capitano Thomas. I soldati ci fecero attendere per quasi un'ora prima di condurmi in una larga sala, dove il cavaliere mi attendeva, in piedi. I segni della sua ferita erano ancora piuttosto evidenti, ed una lunga fasciatura gli copriva la spalla sinistra. Questo non gli impediva comunque di reggersi saldamente in piedi, e di fissarmi con i suoi occhi penetranti nel momento stesso in cui varcai la soglia.

"Lady Solice", mi disse, accennando un inchino. "Cosa posso fare per voi?".

"Vi chiedo di ascoltare le mie richieste", dissi. "Ho bisogno di parlare ancora con il prigioniero: le sue informazioni si sono rivelate preziose, e ritengo giusto metterlo al corrente".

"Mi rincresce", replicò sir Thomas, "ma mi trovo costretto a non poter acconsentire. Le motivazioni che spingono il prigioniero a parlare non sono ancora ben chiare, e per quanto ne sappiamo potrebbe avere validi motivi per tradire i suoi stessi alleati".

"Non è mia intenzione liberarlo o dargli un credito maggiore di quanto non intendiate fare voi stesso", gli dissi di rimando. "Ho solo interesse ad ascoltare le sue parole, in modo che Pyros possa giudicare la sua reazione meglio di quanto è concesso a noi".

La discussione andò avanti per qualche altro minuto: sir Thomas si dimostrò risoluto nella sua prudenza, ma al tempo stesso disposto a sentire le mie ragioni e, nei limiti del possibile, ad assecondarle.

"Sta bene", replicò infine, avvicinandosi. "Andremo ad ascoltarlo insieme".

Lo osservai mentre camminava: la sua ferita, il cui rossore a tratti ancora permeava dalle bende, non doveva essere troppo dissimile da quella che aveva provocato le cicatrici viste sulla spalla del prigioniero. Con tutta probabilità, la stessa immonda creatura aveva imposto la medesima firma su quei due combattenti: nessuno dei due era morto, ma entrambi avrebbero con tutta probabilità portato in eterno quel marchio impresso nel profondo delle loro carni.

"Sono felice di vedervi ancora vivo", esordì sir Thomas non appena l'individuo noto come Netjerikhet si avvicinò al margine esterno della sua cella: rispetto a qualche giorno prima aveva la barba più lunga, e lo sporco e il sudore di quella cella avevano intaccato pesantemente il suo aspetto; ciònonostante, il fante di quadri conservava uno stile che i giorni di prigionia non erano ancora riusciti a soffocare.

"Sono felice di poter dire lo stesso", rispose Netjerikhet. "Confesso di avervi dato per spacciato. Devo dedurre che siate veloce quanto basta", aggiunse, misurando le parole: "probabilmente siete un buon combattente".

"Gli Dei proteggono la mia causa", rispose sir Thomas, "e di questo li ringrazio: per una volta vi chiedo di fare lo stesso, dimostrando a Pyros e al portavoce che avete di fronte la vostra intenzione di dire la verità".

"E' quello che intendo fare", esclamò con convinzione Netjerikhet.

La discussione proseguì per alcuni minuti: sir Thomas chiese informazioni sui movimenti degli uomini di Keib e sul misterioso individuo che lo aveva assalito. Il fante di quadri confermò i suoi legami con alcuni emissari provenienti da Keib e decisi a fare del loro meglio per aprire un fronte consistente ai danni dei due feudi, particolarmente auspicato dall'entità oscura artefice dell'aggressione. Sir Thomas chiese maggiori dettagli, e Netjerikhet parlò di un contingente militare abbastanza numeroso e ben equipaggiato che, stando alle informazioni che erano in suo possesso, era probabilmente in procinto di chiudere la via d'accesso principale tra Chalard e Beid: il piano, a quanto ne sapeva, era di compiere tale chiusura subito dopo la partenza degli invitati al matrimonio, in modo da non allarmare gli altri feudi e isolare al tempo stesso la marca da ogni possibile interferenza o aiuto esterno.

Sir Thomas si dimostrò particolarmente incredulo: era difficile credere che Keib tentasse una manovra tanto azzardata, considerando i rapporti di forza attuali. Il fante di quadri, d'altro canto, sottolineava come fossero in gioco forze particolari, il cui obiettivo non era tanto la vittoria di Keib quanto piuttosto una temporanea confusione che fosse in grado di accecare, sia pure temporaneamente, la marca e impegnare i suoi baluardi di difesa, allentandone la guardia e provocando una temporanea perdita di controllo territoriale. A quel punto sir Thomas cominciò a chiedere come mai sapesse tutte quelle informazioni: Netjerikhet si dichiarò colpevole di aver mantenuto un atteggiamento ambiguo nei confronti degli artefici di questo crudele piano: un atteggiamento che, nei suoi piani, era l'unico modo per poter raggiungere la sua meta.

"La vostra meta era dunque questa prigione?" chiese sir Thomas, giunti a quel punto.

"In un certo senso", rispose il fante di quadri. "Qui posso parlare liberamente a Joan senza che possano tapparmi la bocca per sempre. Una volta che uscirò di qui sarò in pericolo quanto tutti voi, ma mi lascerete uscire soltanto quando capirete di potervi fidare di me: a quel punto varrà la pena di correre quel rischio".

Mentre diceva queste parole mi guardava: i suoi occhi erano profondi, intensi... e dentro di loro riuscivo a leggere qualcosa: convinzione, fiducia... speranza. Si, speranza: ma di cosa? Non c'era nulla che potessi fare , se non liberarlo come atto di fede in lui e nelle sue parole. Una decisione che non avevo comunque l'autorità di poter prendere, e che avrebbe comunque provocato una situazione tale da costringerlo a fuggire o a finire nuovamente in cella: due alternative che di certo non erano in accordo con quanto aveva appena detto. La volontà del fante di quadri era quella di uscire da quella cella conquistando la nostra fiducia.

Sir Thomas decise di interrompere la conversazione: disse al prigioniero che avrebbe controllato le sue dichiarazioni, ma che la sua storia non era certo sufficiente da sola ad avvalorare una tesi che potesse condurre a una sua rapida liberazione. Gli chiese se avesse altro da aggiungere, ma Netjerikhet si limitò a scuotere la testa e a mormorare una breve frase: "tutto ciò che posso dire", concluse, guardandomi negli occhi, "è che spero che Joan capisca".

Malaki mi aspettava all'ingresso del castello: fu lì che sir Thomas mi salutò, promettendomi che lui e le sue squadre avrebbero controllato la situazione nei dintorni di Beid e i luoghi indicati dal fante di quadri. Annuii, ringraziandolo per la fiducia accordatami, per poi tornare verso la città insieme al mio accompagnatore: le ombre della sera scendevano lentamente, accompagnandoci lungo la strada.

Una volta tornata a palazzo decisi che mi sarei esercitata con il liuto: suonare e liberare la mente poteva essere un buon modo per riflettere sulle parole che Netjerikhet aveva pronunciato poche ore prima. Una volta preso lo strumento mi recai in giardino, nello stesso punto in cui, dieci giorni prima, avevo incontrato per la prima volta Net.

Di lì a poco, cominciai a lavorare sulla ballata che avevo promesso di cantare a Malaki l'indomani: era una delle prime volte che mi cimentavo nella composizione, e ben presto persi completamente la cognizione del tempo. Il sole scomparve ben presto costringendomi ad accendere una lanterna, poi anch'essa si spense, lasciandomi al buio: continuai ugualmente a suonare e a cantare, cercando la rima giusta e sforzandomi di trovare le corde alla cieca. Quando alla fine terminai l'opera, un coro di grilli insonni faceva da contralto ai miei accordi.

Fu a quel punto che, quasi dal nulla, un fiore si materializzò davanti ai miei occhi: i suoi petali erano così candidi da risaltare perfettamente, illuminati da una luna che aveva appena incominciato a abbandonare il suo stato di grazia.

"Odio i fiori", disse una voce dietro di me, "ma visto quello che state suonando, ho pensato che magari vi avrebbe fatto comodo, visto che l'avete dimenticato".

Presi in mano il fiore. "Cosa volete dire?", domandai: ma non era quella la domanda che avrei voluto fare. Cosa ci faceva li'? Come mi aveva trovato? E soprattutto, perché non era a dormire come tutti gli altri? Il mio respiro era affannato, faticavo a controllarlo: che bisogno c'era di darmi questo fiore? Perché non potevo stare da sola? Quel giardino era forse preda di una qualche maledizione, che lo condannava ormai ad essere un assurdo teatro di eventi bizzarri e inspiegabili?

"Voglio dire che avete dimenticato un pezzo: June e Joan... Anche dalle mie parti la cantano, ma da noi il finale è più triste. Joan muore, perlomeno a Anthien: ma a parte il finale", aggiunse prendendomi il fiore dalle mani, "la cosa fondamentale è questa". E così dicendo, mi fissò delicatamente il fiore tra i capelli.

Quel semplice gesto mi fece impallidire: era vero. Mi ero talmente fissata sul finale e sulle sue molteplici implicazioni che avevo finito per dimenticare un particolare molto più evidente, una strofa tanto semplice quanto onnipresente in tutte le versioni e le varianti che avevo mai avuto occasione di sentire di quella ballata: un tassello colpevolmente ignorato alla ricerca di chissà quale assurdo significato recondito, che ora, in modo del tutto inaspettato, mi tornava prepotentemente alla memoria. Per un attimo, l'assurdità dei tempi e dei modi dell'improvvisa scoperta mi resero sospettosa nei confronti di sir Steven: ma quando lo guardai negli occhi, riconobbi lo stupore ingenuo di chi non aveva idea della scintilla che aveva provocato e che rapidamente quanto inaspettatamente aveva generato un incendio. No, non era la volontà di sir Steven, ma quella degli Dei: avevo compreso, e forse ero ancora in tempo.

Mi alzai di scatto, posando rapidamente il liuto. "Vogliate scusarmi", esclamai a sir Steven, avendo agevolmente la meglio su un imbarazzo ormai quasi interamente svanito. "Vi ringrazio infinitamente, ma ora devo andare". Così dicendo, dopo un rapido inchino, mi allontanai velocemente, incominciando a correre verso il palazzo, poi verso la porta, e poi, aprendola, verso le strade deserte della città di Beid ancora immersa nelle ombre della notte. Indossavo ancora il vestito della festa e, anche se ero troppo emozionata per rendermene conto, la rosa bianca che mi aveva donato sir Steven si trovava ancora ben salda tra i miei capelli.

Mentre correvo a perdifiato lungo le vie della città dormiente non potevo certo sapere che, in quello stesso esatto momento, Desiree si trovava di fronte a una scelta tanto problematica e difficile quanto evidente e chiara sembrava la mia. Pur trovandoci a chilometri di distanza, le decisioni che stavamo per prendere quella notte avrebbero cambiato profondamente i giorni a venire.

(continua)

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14 maggio 517
Martedì 24 Aprile 2007

Il matrimonio di Ryan (terza parte)

Quella notte i miei sogni furono confusi quanto diafani: aprii gli occhi alle prime luci dell'alba. Provai per alcuni minuti a ricordare i volti che avevano popolato il mio sonno: Desiree, Loic, Eric e Julie... Quixote... forse anche Guelfo. E poi c'erano le mie vecchie compagne di Focault, Valerie e Rosalie. Purtroppo, ogni istante che passava portava via alla mia memoria preziosi frammenti che componevano il mosaico dei ricordi di quegli eventi onirici, che svanirono ben presto senza lasciare altro che tracce vaghe e incomprensibili. Sorrisi ripensando ai miei compagni: dopo tutto, forse gli Dei mi avevano concesso quei due giorni di tregua.

Alzandomi dal letto mi recai alla porta che mi separava dalla camera di Yera: bussai con forza crescente, sperando che i fumi dell'alcol ingurgitato la sera precedente si fossero ormai diradati. La mancata risposta mi convinse ad aprire la porta per assicurarmi che stesse bene. Era così: la mia ancella giaceva ancora a faccia in giù sul letto, nella stessa posizione in cui, una manciata di ore prima, l'avevo abbandonata tra le braccia di Kayah.

"Leon...", disse nel dormiveglia con voce sognante. Sorrisi, richiudendo la porta: il sole non era ancora alto, aveva ancora tempo per sognare il suo cavaliere. Tornando nella mia stanza, il mio sguardo fu catturato dalla figura rossa e blu della carta raffigurante il Fante di Quadri: erano passati otto giorni dalla mia aggressione, senza che fossi riuscita a risolvere l'enigma legato ad essa. Il significato di quella carta era ancora un mistero, così come le reali intenzioni dell'uomo che ora aspettava in silenzio nelle segrete di Valamer: dovevo inoltre ancora inoltre prendere visione del contenuto della pergamena sigillata che recava con se, della quale non aveva fatto menzione durante il nostro colloquio e che sir Thomas aveva consegnato a mastro Malkhas.

Dopo aver rivolto le mie preghiere a Pyros ed essermi preparata, decisi di scendere nel salone dei ricevimenti. Le cameriere del palazzo avevano fatto un lavoro incredibile: le tracce del banchetto conclusosi soltanto poche ore prima erano scomparse, e il salone era ora invaso dai molti nobili, cavalieri e attendenti che avevano trascorso la notte a palazzo o negli alloggamenti preparati nei pressi di esso. In meno di un'ora tutti quanti si sarebbero trovati alla piazza d'armi, dove il torneo sarebbe proseguito fino all'ora di pranzo: a quel punto sarebbe partita la processione alla volta del castello di Valamer dove, alla presenza di padre Barthougimenos Barkev, sarebbe stato celebrato il matrimonio tra Ryan e Lady Amy. Il torneo sarebbe terminato nel primo pomeriggio, per lasciare poi spazio al banchetto di nozze che si sarebbe protratto per tutta la sera e la notte seguente. Cercai con lo sguardo Yurae o Varal con l'intento di chiedere notizie su sir Thomas o su Rosalie, ma nessuno dei due era presente.

Yera si svegliò appena in tempo: questa volta fui io ad aiutarla a prepararsi e a farsi bella. Non appena fummo entrambe pronte ci affrettammo a prendere parte alla lunga carovana che partì da Palazzo. Ebbi cura di portare con me il liuto: quel giorno avrei rotto per la prima volta il mio imbarazzo suonando in onore degli sposi davanti a un vero pubblico, onorando la promessa fatta a Ryan il giorno del mio arrivo.

La mia ancella cercò invano con lo sguardo il suo Leon: "accidenti", disse delusa dopo aver ispezionato accuratamente le varie carrozze con i suoi grandi occhi verdi; "speravo di poterlo salutare prima del torneo".

Annuii, sorridendo. "Probabilmente lui e gli altri ci hanno preceduto", dissi: "vedrai che quando arriveremo saranno già in sella ai cavalli, pronti per incominciare".

Yera equivocò il mio sorriso: "scommetto che anche voi non vedete l'ora di rivedere sir Steven!", disse guardandomi negli occhi. "Voi non sapete mentire, quindi non provateci neppure".

Alzai le spalle. "Sir Steven è forte e molto abile", risposi, "e sarò felice di rivederlo con la lancia in pugno: lo stesso vale sir Gremaud, Jen, Malaki e molti altri".

Yera scosse la testa, poco convinta. "Voi non me la contate giusta", si limitò a dire, ridacchiando ancora di più quando mi vide abbassare lo sguardo.

"Piuttosto", risposi per uscire dall'imbarazzo, "siete pronta a cantare con me? Non ci siamo potute certo esercitare quanto avremmo dovuto." Non appena pronunciai quelle parole mi resi conto di essere appena caduta dalla padella nella brace.

"Lo so benissimo" rispose Yera, guardandomi con aria di rimprovero: "e la colpa non è certo mia!" Era tristemente vero: nonostante Yera avesse una voce bellissima, che ricordava molto quella della mia amica Julie, non avevamo avuto il tempo per provare a lungo i brani che avremmo proposto di lì a poche ore: una mancanza che, viste le mie attività degli ultimi giorni, non era di certo possibile imputare a lei.

Una volta arrivate ci sbrigammo a prendere posto: di lì a poco assistemmo per la seconda volta alla grande sfilata dei cavalieri, in tutto e per tutto simile a quella del giorno precedente...

... Fino a quando i due cavalieri di Anthien passarono davanti a noi.

"SIR LEOOONNN!!! SIR LEOOOON!!! SIETE BELLISSIMO!!!!!" Gridò a squarciagola Yera, facendomi sobbalzare. Tanto sir Leon quanto sir Steven si voltarono, scrutandoci da dietro i loro pesanti cimieri: come se non bastasse, la mia ancella si affrettò a nascondersi dietro di me, sparendo di fatto alla loro vista.

"Mi ha visto? Mi ha visto?" disse poi non appena si voltarono per proseguire il loro giro, dopo un'attimo che sembrò un'eternità. Continuò a chiedermelo per quasi un minuto senza ricevere risposta, pietrificata com'ero dall'imbarazzo.

Gli scontri di quella mattina regalarono ulteriori sorprese, e consentivano di aggiornare la classifica che ormai cominciava ad assumere una conformazione piuttosto chiara:

Sir Georg Poe, cavaliere di Amer, con 47 lance e 14 vittorie
Sir Steven DeRavin, cavaliere di Anthien, con 44 lance e 12 vittorie
Lady Joanne Chirac, cavaliere di Amer, con 44 lance e 12 vittorie
Lord Peter Gremaud di Chalard, con 38 lance e 10 vittorie
Lord Jerome Kenson, Colonnello di Beid, con 36 lance e 10 vittorie
Sir Zaki Yetvart, cavaliere di Keib, con 35 lance e 9 vittorie
Lady Jen Akhnal, cavaliere di Beid, con 37 lance e 9 vittorie
Sir Leon Perrineau, cavaliere di Anthien, con 33 lance e 9 vittorie
Sir Malaki Akhnal, cavaliere di Beid, con 32 lance e 9 vittorie
Sir Al Fennec, cavaliere di Amer, con 33 lance e 8 vittorie
Sir Albert Von Trier, colonnello di Verriere, con 29 lance e 8 vittorie
Lord Ryan Kenson di Beid, con 27 lance e 7 vittorie
Lord Konon Desyenne di Amer, con 25 lance e 6 vittorie
Lord Zadig, fratello minore di lord Krikor, delle montagne orientali, con 18 lance e 5 vittorie
Lord Hrant, barone della Piana del Vento, con 14 lance e 4 vittorie
Lord Baldur Ripley di Verriere, con 15 lance e 3 vittorie
Sir Olivier Elliott, cavaliere di Amer, con 14 lance e 3 vittorie
Sir Rosdom Khachi, cavaliere di Keib, con 15 lance e 3 vittorie
Lord Krikor, delle montagne orientali, con 11 lance e 1 vittoria

Sir Georg Poe teneva il comando mantenendo buone distanze dai suoi inseguitori: sir Steve DeRavin riuscì a sorprendermi con una prova davvero eccezionale, sconfiggendo in tenzone tanto sir Georg, quanto mio fratello, quanto Jen; nella tenzone contro Lord Jerome Kenson fu particolarmente fortunato: la sua lancia non si spezzò sotto lo scudo di mio zio, costringendo quest'ultimo giù da cavallo e provocandone la sconfitta al primo scontro. Fortunatamente zio Jerome era un combattente di grande esperienza, e non riportò gravi danni in conseguenza dell'imprevista caduta tanto da riuscire ad alzarsi in tempo per stringere la mano al suo avversario, accorso di gran lena per sincerarsi delle sue condizioni, in una scena che suscitò molti applausi e lodi a entrambi. "Ora capisco perché vi piace sir Steven!", esclamò Yera battendo le mani.

Lady Joanne vinse contro Peter Grimaud in uno scontro molto bello ma non riuscì ad imporsi contro due combattenti di grande esperienza: Zio Jerome e sir Von Trier di Verriere: l'onore della città ducale venne ripristinato da sir Al Fennec, che nel corso di una mirabile prova riuscì ad avere la meglio su entrambi i colonnelli arrestando il loro recupero ed escludendoli definitivamente dalla vittoria.

Lord Peter Grimaud continuò la sua ottima prova, avendo la meglio tanto su mio fratello quanto su sir Al Fennec. Perse però gli scontri con i due più forti cavalieri di Amer: 3-1 contro Lady Joanne e 3-2 contro sir Steve DeRavin; quest'ultimo, dopo averlo battuto, si tolse l'elmo e si voltò nella mia direzione. "Avete visto?" Mi disse ancora Yera, ostinata a non darmi tregua. "Deve avervi visto parlare con sir Gremaud ieri, forse ci tiene a farvi sapere chi è il più forte!".

Jen perse molti scontri, nonostante avesse una serie di avversari facili: rispetto a ieri era visibilmente poco concentrata. Ma soprattutto perse quello che forse era lo scontro più atteso, contro sir Zaki Yetvart di Keib che riuscì ad abbatterla con un gran colpo ribaltando un iniziale 2-1 tra il silenzio imbarazzato della folla. L'onore di Beid ricadeva interamente sulle spalle di Malaki, il cui scontro con sir Zaki era atteso nel pomeriggio.

Il matrimonio venne celebrato da padre Barkev presso la splendida cornice offerta dal castello di Valamer, che dominava la vallata che custodiva la città marchesale. Lady Amy, accompagnata da suo padre il Conte, fece il suo ingresso maestoso abbagliando tutti gli astanti con bellezza e grazia degne di una principessa delle fiabe. La gioia negli occhi di mio fratello era indescrivibile: a pochi metri da lui, mio padre osservava felice tanto la sua gioia quanto il coronamento di quello che era al tempo stesso il suo sogno e il suo obiettivo. Mentre gli sposi si scambiavano le reciproche promesse mi trovai a guardare incantata quel panorama meraviglioso: rivolsi le mie preghiere agli Dei, sperando con tutto il cuore che non sarebbe successo nulla in grado di sovvertire quel lieto evento. Poi i musici incominciarono a suonare, e tutti cantammo in onore degli sposi.

Dopo il matrimonio, mio fratello fece un lungo discorso a tutti gli astanti: ebbe modo di ringraziare i presenti per l'onore che avevano fatto a lui e alla nostra terra, parlò della felicità con cui aveva vissuto quei giorni e del privilegio che gli Dei gli avevano concesso dandogli la possibilità di prendere in sposa Lady Amy. Ma parlò anche della necessità di rivolgere le nostre preghiere a chi in quel momento non si trovava a Beid, e a tutti coloro che erano partiti per difendere il nostro Ducato e il futuro dei suoi abitanti: parlò dei soldati e dei paladini coinvolti nella guerra a Benson, tra cui si trovava anche nostro fratello Patrick; parlò del difficile rapporto con i Nordri di Surok e delle dolorose condizioni in cui versavano i vicini territori di Delos, dei quali Beid raccoglieva alcune centinaia di abitanti. Infine, rinnovava i ringraziamenti ai cavalieri di Keib per essere intervenuti alle nozze, auspicando una progressiva risoluzione del rancore che da anni insanguinava inutilmente entrambi i territori. Il grande applauso che si levò al termine delle sue parole distolse un pò l'attenzione da me e da Yera che, silenziose e imbarazzate, ci accingemmo a cominciare la nostra parte.

Fortunatamente, quando le nostre voci si levarono nell'aria accompagnate dalle corde del mio liuto, una parte degli astanti si era già rivolta in direzione del percorso che li avrebbe riportati verso la giostra. Questo mi diede il coraggio sufficiente per concentrarmi unicamente sulla musica: in quel momento, sentii di suonare unicamente per mio fratello e per Lady Amy, che accolsero la nostra canzone con grande trasporto. Quando smisi di suonare mio fratello venne ad abbracciarmi.

"Te l'avevo detto che non avrei dovuto suonare", gli dissi sorridendo mentre mi stringeva. "Ti ho persino fatto piangere".

"Che scema", disse stringendomi forte. "Grazie", mi disse poi.

Nel giro di un'ora eravamo nuovamente tutti sugli spalti della giostra: mancavano soltanto pochi scontri, che di lì a poco avrebbero consentito di stendere la classifica finale e definitiva del torneo.


01. Sir Georg Poe, cavaliere di Amer, con 56 lance e 17 vittorie
02. Lady Joanne Chirac, cavaliere di Amer, con 53 lance e 16 vittorie
03. Sir Steven DeRavin, cavaliere di Anthien, con 50 lance e 15 vittorie
04. Lord Jerome Kenson, Colonnello di Beid, con 46 lance e 13 vittorie
05. Lord Peter Gremaud di Chalard, con 48 lance e 13 vittorie
06. Lady Jen Akhnal, cavaliere di Beid, con 50 lance e 12 vittorie
07. Sir Zaki Yetvart, cavaliere di Keib, con 43 lance e 11 vittorie
08. Sir Leon Perrineau, cavaliere di Anthien, con 41 lance e 11 vittorie
09. Sir Al Fennec, cavaliere di Amer, con 41 lance e 10 vittorie
10. Sir Malaki Akhnal, cavaliere di Beid, con 39 lance e 10 vittorie
11. Sir Albert Von Trier, colonnello di Verriere, con 36 lance e 10 vittorie
12. Lord Ryan Kenson di Beid, con 38 lance e 8 vittorie
13. Lord Konon Desyenne di Amer, con 30 lance e 7 vittorie
14. Lord Zadig, fratello minore di lord Krikor, delle montagne orientali, con 26 lance e 6 vittorie
15. Lord Hrant, barone della Piana del Vento, con 23 lance e 6 vittorie
16. Lord Baldur Ripley di Verriere, con 21 lance e 4 vittorie
17. Sir Rosdom Khachi, cavaliere di Keib, con 21 lance e 4 vittorie
18. Sir Olivier Elliott, cavaliere di Amer, con 17 lance e 3 vittorie
19. Lord Krikor, delle montagne orientali, con 17 lance e 2 vittorie
(etc.)

Sir Georg Poe subì un'incredibile botta d'arresto da parte del colonnello Von Trier, che si tolse la soddisfazione di sbattere a terra il campione dopo un incerto 1-1 iniziale e riaprì momentaneamente il torneo. Il cavaliere Amerita riuscì comunque a mantenere la calma, vincendo i successivi 3 scontri e mantenendosi ai vertici impedendo ogni possibilità di rimonta.

Lady Joanne vinse tutti gli scontri, lottando come una tigre per riconquistare il secondo posto contro sir Steven DeRavin che, in caso di parità di vittorie, si sarebbe comunque trovato sopra di lei. Sir Steven trovò la sua nemesi in un Lord Konon Desyenne ormai fuori dai giochi ma che riuscì comunque ad essere determinante per il suo paese colpendo con rara precisione il cavaliere di Anthien sull'elmo, rifilandogli un secco 3-1 e regalando di fatto ad Amer anche il secondo posto.

Sir Peter Grimaud si classificò quinto: il quarto posto gli venne sottratto dall'ineffabile Zio Jerome che riuscì a strappare lo scontro diretto in un memorabile 4-3 e superandolo in classifica proprio in conseguenza di tale vittoria, nonostante il minor numero di lance spezzate in suo possesso.

A Malaki spettò l'onore di chiudere le tenzoni di Beid con quello che, pur quasi del tutto irrilevante ai fini della classifica, era senza ombra di dubbio lo scontro più atteso. Il cavaliere non deluse le aspettative del suo popolo, regalando una tenzone di grandissima intensità e riuscendo a imporsi con grande determinazione in un combattutissimo 3-2: purtroppo, lo scontro non gli consentì comunque di superare sir Zaki in classifica.

Mio fratello spezzò moltissime lance, ma perse tre scontri di misura (3-2, 3-2, 4-3) e non riuscì a entrare nella metà superiore della classifica: si dichiarò in ogni caso contentissimo del risultato ottenuto, e fu ben lieto di lasciare spazio e gloria agli altri cavalieri. La premiazione dei vincitori ci sarebbe stata l'indomani.

Nel lunghissimo banchetto che seguì il torneo ebbi modo di parlare con molti dei cavalieri che non avevo avuto occasione di conoscere la sera prima: parlai inoltre ancora con Lord Peter, con Lord Baldur e con Knel della Stirpe dei Nani, che mi venne presentato con l'altisonante titolo di Rangis Al Fre'Ah'Omm. Quest'ultimo mi raccontò alcuni retroscena legati al campione del torneo sir Georg Poe in una lunga conversazione nel corso della quale cercò di allenare il mio nanico: al termine del nostro discorso si offrì di darmi qualche lezione ulteriore nei giorni a venire, cosa che fui ben lieta di accettare. Mi spiegò anche il significato del suo titolo, che in Greyhaven può essere tradotto con: ufficiale di grado inferiore e buon conoscitore degli Umani.


Io e Yera ricevemmo molti complimenti per la nostra esibizione canora e musicale: ci fu più volte chiesto di suonare e cantare ancora, e fummo liete di variare il nostro repertorio spaziando dai canti religiosi alle ballate più diffuse tra quelle note ai menestrelli di Beid: tanto gli insegnamenti di Yera quanto quelli di Julie e delle locande in cui ero stata con gli amici di Caen mi tornarono utili; nondimento, a forza di suonare e di cantare scoprivo quanto quella dimensione mi fosse mancata negli ultimi mesi. Decisi che d'ora in poi, dovunque fossi andata, avrei trovato il modo di portare il liuto con me.

Naturalmente la battaglia di Yera nei confronti di sir Leon non conobbe tregua: lentamente ma inesorabilmente i cavalieri di Anthien vennero strappati ai loro interlocutori dagli inchini e dalla parlantina della mia ancella e costretti ad assistere ai nostri concerti improvvisati. Fortunatamente riuscii a dileguarmi in tempo per non finire in un'altra situazione imbarazzante, mentre Yera fu ben lieta di scambiare un'altra lunga, intensa chiacchierata con sir Leon.

Nel corso della serata e della nottata che seguì ebbi modo di stare un pò con Jen e Malaki, che mi raccontarono le loro gesta negli scontri degli ultimi giorni. Parlammo anche di sir Thomas, del quale fortunatamente portavano buone notizie: mi ripromisi di andarlo a trovare l'indomani. Parlai anche un pò con Lady Amy, che mi ringraziò moltissimo per la canzone e si dimostrò una conversatrice di rare intelligenza e classe. Infine, dedicai il mio tempo a mio fratello Karl: gli raccontai di quanto fossimo fortunati a vivere quei giorni, e di quanto gli Dei ci amassero. Gli promisi anche che presto avremmo potuto riabbracciare tutti insieme Rosalie: lui mi chiese se sarei rimasta sempre lì con lui, a Beid, e io gli risposi che non potevo saperlo: l'ideale che avevo giurato di servire aveva la priorità su ogni mia decisione, ma gli promisi che avrei fatto comunque in modo di vegliare su di lui. Poi mi chiese di parlargli della mamma: mentre parlavo lo stringevo forte, e a tratti mi trattenevo dal piangere. Poi lo presi in braccio, e dissi a mio padre che probabilmente era il caso di essere riaccompagnata a palazzo, dove avrei potuto metterlo a dormire.

Strappai Yera alla sua infinita conversazione, ricevendo in cambio diverse e svariate gomitate lungo il viaggio di ritorno, in carrozza: "Stavamo per baciarci! Mancava pochissimo..." mi disse, fingendo di essere molto arrabbiata. "E dire che ho persino fatto tutto un discorso per mettervi in ottima luce di fronte a sir Steven..." Un brivido mi corse lungo la schiena, pensando a cosa mai Yera avrebbe mai potuto dire dopo due o tre bicchieri di droppo: scossi la testa, e poi ci mettemmo entrambe a ridere come matte con Karl che ci guardava, divertito e incuriosito, mentre le luci del palazzo si facevano sempre più vicine.


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13 maggio 517
Venerdì 20 Aprile 2007

Il matrimonio di Ryan (seconda parte)

Per quanto riguardava la giostra, le regole adottate dagli araldi d'arme erano rispettose dei dettami della Chiesa in misura analoga a quanto da sempre avveniva al grande palio di Krandamer; per fortuna, Ryan e mio padre avevano spinto per l'esclusione i giochi che, relativamente al palio delle Gilde e dei Clan, erano da sempre bersaglio di numerosi interventi di vescovi e cardinali volti a limitarne i pericoli: non era dunque previsto il torneo alla spada, nè alcuna battaglia o battagliola. Oltre alla giostra erano previste una competizione di tiro con l'arco, una corsa dei cavalli e una variante della quintana.

Al termine della prima giornata di torneo, l'esito degli scontri consentiva di stilare una prima, provvisoria classifica (limitandomi ai nomi più rappresentativi):

Sir Georg Poe, cavaliere di Amer, con 24 lance e 8 vittorie
Lady Joanne Chirac, cavaliere di Amer, con 21 lance e 7 vittorie
Sir Steven DeRavin, cavaliere di Anthien, con 17 lance e 5 vittorie
Lord Peter Gremaud di Chalard, con 16 lance e 5 vittorie
Lady Jen Akhnal, cavaliere di Beid, con 16 lance e 5 vittorie
Sir Zaki Yetvart, cavaliere di Keib, con 16 lance e 4 vittorie
Sir Leon Perrineau, cavaliere di Anthien, con 16 lance e 4 vittorie
Lord Jerome Kenson, Colonnello di Beid, con 15 lance e 4 vittorie
Sir Al Fennec, cavaliere di Amer, con 15 lance e 3 vittorie
Lord Konon Desyenne di Amer, con 14 lance e 3 vittorie
Lord Ryan Kenson di Beid, con 13 lance e 3 vittorie
Sir Malaki Akhnal, cavaliere di Beid, con 13 lance e 3 vittorie
Sir Albert Von Trier, colonnello di Verriere, con 11 lance e 2 vittorie
Lord Zadig, fratello minore di lord Krikor, delle montagne orientali, con 9 lance e 2 vittorie
Lord Baldur Ripley di Verriere, con 8 lance e 1 vittoria
Sir Olivier Elliott, cavaliere di Amer, con 7 lance e 1 vittoria
Lord Hrant, barone della Piana del Vento, con 5 lance e 1 vittoria
Sir Rosdom Khachi, cavaliere di Keib, con 6 lance e 0 vittorie
Lord Krikor, delle montagne orientali, con 5 lance e 0 vittorie

Sir Georg Poe di Amer fu il protagonista assoluto di quella prima giornata di torneo, riuscendo a vincere tutti gli scontri: al termine di tutte le tenzoni, ricevette dal conte di Verriere il titolo di campione della giornata. Il prestigio della città dei cento torrenti fu ulteriormente impreziosito dalla splendida prova di Lady Joanne, che sconfisse tutti i suoi avversari con la sola eccezione di sir Steve DeRavin, che riuscì a disarcionarla con una mossa velocissima giudicata corretta dagli araldi d'arme e che lasciò tutti a bocca aperta, sulla quale io e Yera ci ripromettemmo di indagare. La marca di Beid veniva rappresentata al meglio da Jen, autrice di una splendida prova contro alcuni degli avversari più forti del torneo. Lo scontro più bello in assoluto fu comunque quello che vide Peter Grimaud di Chalard opporsi a Sir Zaki Yetvart di Keib: il giovane, colpito sull'elmo al primo scontro, riuscì a recuperare l'enorme svantaggio spezzando le successive due lance sul torace dell'avversario: venne dunque disputato lo scontro finale dove entrambi riuscirono a spezzare, portando il risultato sul 3 a 3: ebbero diritto così ad un ulteriore scontro, nel corso del quale Peter disarcionò di netto il favorito di Keib per venire poi sommerso dal boato della folla in estasi, con Yera che quasi mi svenne in braccio. Peter vinse anche contro mio fratello il quale si trovava comunque in buona posizione, mantenendo alto l'onore della sua marca: degno di nota il suo scontro con Malaki, il quale lo mandò in vantaggio di due lance per poi abbatterlo impietosamente al terzo scontro, gridando "qui non si fanno regali a nessuno!" in direzione della folla, tra le risate generali.

Al termine degli scontri e della premiazione i cavalieri tornarono nelle loro tende. L'indomani avrebbe portato nuovi emozionanti scontri: Lady Joanne avrebbe affrontato Sir Georg, mentre Jen se la sarebbe dovuta vedere contro Peter Grimaud.

Tutti i cavalieri erano invitati al banchetto che si sarebbe tenuto quella sera stessa a palazzo, ma alcuni di loro decisero di non prendervi parte. Malaki e Jen scelsero di non venire per mantenere alta la concentrazione, e anche i due cavalieri di Keib scelsero di sfruttare la facoltà che era loro concessa di declinare il gentile invito. Con grande sorpresa e meraviglia di tutti, non venne neppure il campione del giorno: la versione ufficiale fu che preferiva non distrarsi e conservare le energie sottraendosi all'ennesimo banchetto, ma a quanto pare il motivo della sua scelta era da ricondurre alla delegazione nanica giunta da Nair-Al-Zaurak. A quanto sembrava, le argomentazioni di Yera erano esatte: il tempo non aveva mitigato il rancore nell'animo del cavaliere, così come non aveva cancellato dal suo volto i segni di quella tragica vicenda.

Al banchetto Yera fece il possibile per vincere la mia volontà a mantenere un profilo tranquillo: "non ce ne andremo prima di aver parlato almeno una volta con TUTTI i cavalieri!", mi disse con un tono che non ammetteva repliche. In ogni caso, la sua era una raccomandazione inutile: mio padre era presente, e non lo avrei mai messo in imbarazzo dimostrandomi scortese con i suoi ospiti. Inoltre, tanto il banchetto quanto il ballo che seguì pullulavano di gente molto più interessante di me.

L'ospite d'onore della serata, oltre che protagonista assoluto, era senza dubbio Lord Konon Desyenne: il cugino del Duca diede prova tanto della sua grande personalità quanto dei sani e robusti appetiti, tenendo lungamente banco prima al tavolo di mio padre e del Conte e, in seguito, sulla pista da ballo, dove non c'era dama che non fosse disposta a fare la fila pur di danzare con lui. Da parte mia, io ebbi un bel da fare a evitare i calci che Yera cercava di menarmi da sotto il tavolo ogni volta che qualcuno (a detta sua) posava lo sguardo su di noi. Era incredibile quanto fosse migliore di me a ricordare facce e nomi di tutta quella gente: conosceva non soltanto i cavalieri ma anche gli scudieri, i soldati, le guardie e persino parte degli attendenti e della servitù. In ogni caso, la presenza in sala della bellissima Lady Joanne dirottava la gran parte delle attenzioni, e a ragione: lo straordinario risultato conseguito una manciata ore prima aveva dissipato ogni diceria sulla sua presunta carriera lampo all'interno della guardia di Palazzo di Amer, dimostrando il suo indiscutibile valore di combattente. "E' una vera fortuna che sir Thomas non sia presente", sentenziò Yera: "quella sciacquetta potrebbe mettersi in testa chissà cosa!". In realtà, Lady Joanne sembrava la sorella maggiore di Jen: la sua avvenenza era di certo più evidente, cionostante non riscontravo in lei alcun comportamento aristocratico o altezzoso. Sembrava una ragazza davvero interessante, magari avrei avuto modo di parlarle più avanti.

Prima dei balli ebbi modo di conversare piacevolmente con Lord Baldur: a un certo punto, io e Yera fummo avvicinate dai due cavalieri di Anthien. A dire il vero, sospetto che fu proprio la mia ancella a orchestrare quell'incontro, con l'evidente intenzione di perdersi in una intensa conversazione con sir Leon; da parte mia, mi trovai davanti sir Steven DeRavin, con il quale scambiai di buon grado qualche parola: il cavaliere mi parlò di vini e di luoghi esotici, mettendo a dura prova le mie conoscenze agricole e geografiche, e sembrò quasi sorpreso quando gli chiesi delucidazioni sulla mossa con cui era riuscito a sconfiggere Lady Joanne. Mi spiegò che si trattava della "presa del lancillotto", un espediente che sfruttava a proprio vantaggio il punto di forza dell'avversario esercitando una pressione dello scudo sul braccio capace di far perdere tanto la presa sulle redini quanto l'equilibrio. Purtroppo commisi l'errore di dirgli che non avevo capito, dando il via a una catena di eventi che fortunatamente non portarono alcuna conseguenza: in risposta alla mia richiesta di spiegazioni, sir Steven decise di darmi una dimostrazione pratica. Prima che potessi accorgermene il suo braccio premette contro il mio, imprigionandolo contro il fianco; la velocità della sua azione non mi permise di reagire: la mia mano si aprì, facendomi cadere il bicchiere. Per bilanciarmi mi chinai all'indietro, consentendogli di continuare il movimento e di sorreggermi con l'altro braccio, come in un ballo, mentre con l'altra mano, velocissimo, recuperò il bicchiere rimasto come sospeso in aria.

Yera applaudì estasiata, subito seguita da altri che avevano notato la scena. Tra essi c'era però anche Lord Hrant della piana del vento, che non aveva alcuna intenzione di battere le mani: con due rapidi passi intervenne in direzione di sir Steven che si affrettò a posare in terra il mio bicchiere, del quale non aveva versato neanche una goccia.

"Da dove venite, sir?" Domandò Lord Hrant, dopo essersi assicurato che stavo bene.

"Anthien è la mia patria, myLord", rispose pacatamente sir Steven.

"Dev'essere un posto interessante: ditemi, vi insegnano anche a ricevere le spallate o si limitano a istruirvi su come darle alle vostre dame?".

"Sarò lieto di scusarmi con Lady Solice", rispose sir Steven, "qualora avesse reputato inappropriata la mia dimostrazione. Ma, perdonatemi, in che modo questo potrebbe destare il vostro interesse? L'unico bicchiere che vi compete lo avete in mano: vuoto, ma al suo posto".

Lord Hrant non la prese bene: il suo sguardo sembrava davvero molto minaccioso.

Decisi di intervenire in fretta. Mossi velocemente un passo verso i due, intervenendo prima che la discussione avesse modo di continuare. "Sir Steven, vi pregherei di osservare un comportamento più rispettoso. Prima mi avete chiesto dei vini della mia terra: ebbene, parte del vino che avrete il piacere di bere nel corso di questa festa proviene dalle cantine di Lord Hrant. Lui è onorato di avervi come ospite, e noi tutti ci aspettiamo che l'onore sia reciproco".

Sir Steven mi guardò, sorpreso dalle mie parole. Un istante dopo si scusò tanto con me quanto con Lord Hrant, che annuì, mi sorrise e tornò sui suoi passi, evidentemente soddisfatto.

"Le vostre parole mi hanno colpito", mi disse sir Steven. "Normalmente combatto per me stesso, ma mi sento in dovere di riparare all'imbarazzo che vi ho provocato. E' per questo che non posso esimermi dal chiedervi se avete già dato a qualcuno il privilegio di poter combattere in vostro onore".

Sapevo di questa usanza, particolarmente in voga a Krandamer ma di fatto presente in ogni torneo, secondo cui un cavaliere dedicava le proprie vittorie a una dama che, in caso di vittoria, diventava la Regina del Torneo. Scossi la testa con decisione: "vi ringrazio, ma non è davvero quello che voglio. Non chiedo altro onore che quello di assistere alla giostra: ho dei doveri che mi tolgono ogni interesse diverso dal prendervi parte come spettatrice".

Sir Steven annuì, senza insistere ulteriormente. "E sia", disse. "In ogni caso, nel caso in cui dovessi vincere spero non vorrete negarmi la possibilità di potervi nominare. Le possibilità non sono alte, ma questa sarà per me una motivazione forte".

Scossi la testa nuovamente, ma questa volta sir Steven fece in modo di evitare il rifiuto: in un attimo era scomparso, come risucchiato dal ballo che nel frattempo era incominciato. Non feci neppure in tempo a voltarmi che Yera mi venne quasi addosso, passando a meno di un millimetro dal bicchiere rimasto in terra, che subito mi chinai a raccogliere.

"Lady Solice!" mi disse. "Ho visto tutto! E' stato tutto cosi' romantico come sembrava da lontano?"

Scossi la testa, per la terza volta in pochi istanti. "E' stato inopportuno" risposi, sorridendo. "Se non altro, ora so come sir Steven ha disarcionato Lady Joanne": scoppiammo a ridere, poi ci raccontammo un pò di cose: io finii a malapena il mio primo bicchiere di vino, mentre lei ne buttò giù tre o quattro. Capii che avrei fatto meglio a tenerla d'occhio: Yera era una ragazza in gamba e non avrebbe fatto niente di stupido, ma c'era pur sempre un sacco gente intenzionata a divertirsi e la maggior parte di loro non li conoscevamo neppure.

Nel corso della serata venni presentata alla delegazione nanica di Nair-Al-Zaurak: il mio interlocutore, Knel, fu lieto di rispondere a molte delle mie domande che avevo maturato a seguito del viaggio all'interno del Miestwode: apprese con interesse il mio interesse per la lingua dei figli di Krynn e, quando ci salutammo, mi promise che avrebbe avuto cura di aiutarmi ad affinare le mie capacità.

ballai con Lord Zadig delle montagne orientali e poi con Lord Baldur, come promesso durante il banchetto. Subito dopo fui raggiunta da mio fratello, che mi chiese di ballare inchinandosi e prendendomi la mano, un gesto che quasi mi commosse. "Lo so che lo fai per me e di questo ti ringrazio, ma so anche che non puoi mentire ed è per questo che te lo chiedo: ti stai divertendo?", mi disse, sorridendo, mentre mi conduceva lungo la pista: con sua grande gioia, fui felice di potergli rispondere di si senza timore di infrangere alcun voto.

"Ragazzo, tu reclami troppe fanciulle in questi giorni", disse qualcuno alle spalle di Ryan quando il nostro ballo volgeva ormai al termine. "E spetta ai vecchi come me il compito di raddrizzarti: quindi, vola dalla tua dama!" Era la voce dell'instancabile Lord Konon, al quale né la giostra né la lauta cena avevano impedito di danzare con la maggior parte delle dame presenti in sala. Ryan mi sorrise, per poi inchinarsi al cospetto del cugino del Duca: "come comandate, vostra Signoria", gli disse tra il serio e il faceto, prima di salutarmi e di tornare verso la sua sposa.

"A dire il vero", mi sussurrò Lord Konon dopo alcuni passi di danza, "temo di essere troppo ubriaco per continuare. Ma non vi disperate", mi disse ridacchiando sotto i baffi, "vi porto da un cavaliere che troverete persino più affascinante di me!". E cosi' dicendo mi condusse da mio padre, che mi accolse tra le sue braccia per quello che fu il più bel ballo in assoluto di tutta la sera.

"Padre", gli dissi a un certo punto, incapace di trattenermi. "Quando... non appena sarà possibile, vi dovrò parlare. E' molto, molto importante: solo gli Dei sanno quanto non vorrei darvi preoccupazioni in questi giorni di gioia, ma..."

"Non preoccuparti", mi disse. "Ho già ricevuto alcune informazioni da Malaki. Avremo modo di parlare, molto presto: ora pensa dare pace ai tuoi pensieri per un istante: in questo momento io ho bisogno di mia figlia e Ryan di sua sorella ancora più che di una Paladina. D'accordo?"

Annuii, nascondendo il volto tra le falde del suo mantello. Pregai gli Dei con tutto il cuore di concedermi il lusso di poter rispettare la volontà di mio padre, e mi augurai che Malaki fosse riuscito a spiegare la situazione nel migliore dei modi nel poco tempo che probabilmente mio padre gli aveva concesso.

Dopo quel ballo, mi allontanai un pò dalle danze in cerca di un pò di tranquillità. La giostra e il banchetto mi avevano reso impossibile osservare la preghiera del vespro, e di certo non era il modo migliore per chiedere la grazia degli Dei. Mi rivolsi dunque al cielo stellato, felice di incontrare lo sguardo pieno e luminoso della Dea della Luna: pregai per mio padre e per Ryan, per la salute di sir Thomas e per i miei amici; pregai per il prigioniero di Valamer, nella speranza che fosse sincero come sembrava; pregai per Abel, implorandolo di darmi la forza di non far sì che questo clima di festa mi distogliesse dai miei impegni; e più di ogni altra cosa, pregai per Rosalie: tra pochi giorni, gli impegni che ero tenuta a rispettare sarebbero finalmente cessati, e allora niente avrebbe potuto impedirmi di gettarmi anima e corpo alla sua ricerca: pregai gli dei di salvarla, di liberarla... o di darmi la forza di poterla riportare a casa.

D'un tratto, mi accorsi di un rumore dietro di me. Mi girai in fretta, asciugandomi gli occhi con il dorso della mano.

"Io... mi dispiace moltissimo", disse con espressione mortificata, vedendomi in lacrime. "Sono desolato, vi avevo visto pregare e volevo chiedervi l'onore di poter pregare insieme a voi". Era Peter Gremaud, il silenzioso cavaliere dall'armatura azzurra, la cui impresa ai danni del nostro cugino sarebbe rimasta impressa per mesi tra i cittadini di Beid e nel cuore di Yera e di chissà quante altre dame.

"Non preoccupatevi", gli risposi. "Non mi avete affatto disturbata. A dire il vero, mi farebbe davvero bene pregare con qualcuno, ammesso che siate ancora di quell'intenzione".

Peter annuì, inginocchiandosi, e io feci lo stesso. Restammo lì in silenzio per alcuni minuti, recitando la nostra preghiera alla Dea della notte e della saggezza.

"Vi siete battuto con onore oggi", gli dissi al termine della preghiera: "la vostra impresa sarà ricordata a lungo".

"Ho soltanto avuto fortuna", si affrettò a dire lui. "Lui era più forte. Se non avesse avuto troppa fretta di vincere non avrebbe commesso errori, e non avrei avuto alcuna possibilità".

Le sue parole mi fecero riflettere. "Troppa fretta, avete detto. Quindi, la vostra impressione è che la sua impazienza lo abbia tradito".

Peter annuì. "Il mio maestro mi ha insegnato che quando si combatte, la fretta di concludere è il peggiore dei nemici. Raramente il colpo migliore è anche il più veloce, perché quella rapidità lo porta spesso ad essere impreciso o troppo facile da evitare: nel corso del mio addestramento ho imparato ad aspettare il momento giusto: grazie a eventi come quello di oggi riesco a capirne pienamente il senso, anche se è una lezione che non si finisce mai di imparare".

Aveva ragione. "Sapete", gli dissi, "anche io ho fatto una scelta simile, in questi giorni: prego gli Dei che la mia decisione venga ricompensata quanto la vostra".

"Pregherò anch'io per voi", mi rispose, senza chiedermi spiegazioni di sorta. "Sono certo che la vostra fede farà sì che questo avvenga".

Parlammo ancora per qualche minuto, per poi salutarci: tornai quindi verso la sala da ballo, nella speranza di recuperare Yera e di poterla convincere che la festa era finita. Ero quasi arrivata, quando mi accorsi che da quelle parti, vicina alla tavolata delle pietanze ormai semideserta, si trovava Lady Joanne Chirac. I suoi corteggiatori dovevano aver desistito lasciandola libera, e ora stava studiando lentamente i vari commensali, forse soppesandoli in vista degli scontri dell'indomani. Le andai vicino, con l'intenzione di complimentarmi per gli scontri della giornata.

"Ha fregato anche voi", mi disse, prendendomi d'anticipo.

"C...come?" risposi, un po' interdetta.

"Il tipo, là... Steven. Ho visto prima... stessa mossa".

Annuii. "Ma tu hai più lance, no? Non dovrebbe essere un problema...".

"Vedo che vi importa", mi disse, sorridendo. "Farete il tifo per lui, domani?"

"Non lo so", risposi. "Non credo".

"E' un bel tipo" mi disse, dopo un pò. "Molto determinato. Quando mi ha battuta sono andata a stringergli la mano e abbiamo scambiato due parole".

"Cosa vi siete detti?" chiesi, incuriosita.

"Gli ho detto di non aver gradito quella mossa, e che qualora avessi vinto il torneo sarebbe tornato a piedi a Anthien". Faceva riferimento alla regola in vigore al grande palio, secondo la quale, se ricordavo bene, il vincitore della giostra aveva il diritto reclamare il cavallo di uno degli altri sfidanti.

"Siete stata molto aggressiva. E lui?" le chiesi di rimando.

"Lui mi ha detto", continuò Lady Joanne, "che ero molto brava, ma troppo sicura di me. Poi ha aggiunto che secondo la regola del grande palio, il vincitore può reclamare soltanto i cavalli degli sfidanti sconfitti in tenzone diretta: in altre parole, se anche io avessi vinto non sarebbe tornato a casa a piedi. Ha anche tenuto a precisare che non dovevo preoccuparmi: anche se avesse vinto lui, io sarei comunque tornata ad Amer sul mio cavallo".

"E' stato corretto", ebbi cura di osservare, un pò divertita.

"Forse si", disse. "E' un tipo interessante, senza dubbio"

Restai qualche minuto a parlare con Lady Joanne, poi mi ricordai che dovevo recuperare Yera. Con mio disappunto la trovai in una conversazione non del tutto discreta con sir Leon. Quando mi vide, si affrettò a liberarsi del suo interlocutore e mi raggiunse.

"Lady Solice!" mi disse. "Credo di aver bevuto un pò troppo... che ore sono?"

"Tardi", dissi guardandola. Nononostante non fosse sbronza, per lei era decisamente ora di dormire. "Stai bene?" le dissi.

"Si... tutto a posto", mi disse. "Siete arrabbiata? Stavamo solo parlando..."

"Lo so, non preoccuparti", le risposi. "Ora però andiamo a riposare. Domani ci aspetta una giornata lunga e bellissima".

Lentamente, la accompagnai verso l'interno, in direzione del lungo corridoio che ci avrebbe condotto alle scale e poi alle nostre stanze.

(continua)
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13 maggio 517
Domenica 15 Aprile 2007

Il matrimonio di Ryan (prima parte)

Arrivammo nello spiazzo dedicato alla giostra quando mancavano soltanto pochi minuti all'inizio dei giochi. In verità, per tutta la mattina i cavalieri di Beid avevano rotto lance insieme a tutti gli altri partecipanti provenienti degli altri Feudi: tanto Malaki quanto Jen erano arrivati in ritardo e con ben altri pensieri, ma questo non aveva impedito loro di indossare l'armatura e fare quello che mio padre, mio fratello e il popolo di Beid si aspettava da loro. Erano li', splendenti nelle loro armature, in attesa dell'inizio della tenzone ufficiale.

Il palco dove avremmo dovuto dirigerci sembrava irraggiungibile. "Siamo un pò in ritardo", commentò Yurae osservando la grande quantità di gente che si trovava tra noi e loro. "Restate vicine a noi e non ci saranno problemi". Così dicendo, montò sulla sua alabarda lo stendardo di Beid. Nel giro di qualche minuto ci facemmo largo tra la folla festosa, ardente dalla voglia di inneggiare a qualcosa al punto da accoglierci come se fossimo noi stessi dei giostranti.

Immersa in quel clima di festa quasi irreale, non potevo fare a meno di guardarmi intorno, osservando le innumerevoli facce che spuntavano da ogni parte, incrociando sguardi, osservando: temevo di scorgere il volto di Kira, o quale che fosse il nome di quell'empio emissario degli dei oscuri che si trovava all'interno della marca, libero di muoversi, di osservare. Quale sarebbe stata la sua prossima mossa? Avrebbe tentato di far del male a Ryan o a qualcun altro, o forse a me? Qualcosa mi diceva che lo avrei scoperto fin troppo presto.

La vista di mio padre fu sufficiente a distogliermi dalle mie preoccupazioni. Dovevo stare molto attenta a metterlo a parte delle informazioni in mio possesso, senza che questo potesse in alcun modo pregiudicare gli eventi di questi due giorni. Non si trattava di una semplice festa nuziale, in gioco c'erano interessi e accordi che avrebbero potuto avere impatti significativi e a lungo termine sul destino di molte persone: per non rovinare tutto avrei dovuto agire nel modo giusto.

Karl era seduto di fianco a mio padre, insieme alla futura sposa e a quella che doveva essere la sua famiglia: alcuni di loro li avevo già conosciuti: erano arrivati molti giorni prima, insieme alla sposa. Avvicinandomi educatamente, salutai con un profondo inchino. Mio padre mi chiamò vicino a lui, presentandomi ai genitori della sposa: sua signoria Lord Alexander Ripley il Conte di Verriere e la sua consorte, giunti a Beid soltanto due giorni prima. Yera, dietro di me, si inchinò fin quasi a toccare terra con la fronte. "Vi rendete conto? Sua signoria il conte di Verriere!" si affrettò a dirmi poi in un orecchio, euforica.

"Solice!" mi disse Karl sorridendo quando mi vide. "Che bella che sei con quel vestito! Quando tornano i cavalieri?" Sembrava davvero felice. "Come mai Rosalie non è venuta?" chiese poi, guardandosi intorno con aria interrogativa. La domanda, formulata da quegli occhi innocenti e inconsapevoli, mi colpì come una fitta al petto. "Non è qui", gli dissi, chinandomi di fronte a lui e prendendogli una mano. "Ma presto faremo in modo che torni a casa. D'accordo?"

"Va bene!" mi disse, annuendo. "Peccato pero'! Se non fa in fretta si perderà il torneo!"

La nostra conversazione fu bruscamente interrotta dagli squilli di trombe che annunciavano l'inizio dei giochi. Mio padre si alzò: non avrebbe parlato se non l'indomani, ma era previsto che inaugurasse l'inizio delle gare. I cavalieri spronarono i loro cavalli nella nostra direzione, rivolgendo un saluto militare nella sua direzione e preparandosi a compiere il giro del campo: il marchese rispose al saluto, dichiarando di fatto aperta la tenzone tra applausi e grida.

Trovarsi in mezzo a quell'evento era... emozionante. Non pensavo potesse farmi questo effetto, ma mi trovai letteralmente sommersa da una sensazione elettrizzante quanto strana: gioia, euforia, stupore. Senza neanche rendermene conto mi trovai a sorridere e a battere le mani, applaudendo a mio fratello e ai cavalieri che ci avevano onorato della loro presenza e ai loro destrieri.

Yera aveva seguito le vicende legate al torneo molto più attentamente di me, e fu lei a indicarmi la maggior parte dei partecipanti. Ovviamente non fu necessario il suo aiuto per riconoscere il primo della fila: mio fratello Ryan, splendente nella sua armatura rossa come il mio vestito e saldamente in sella al suo nuovo cavallo, al quale aveva dato il nome di Farnas. Questi era il più bello di una magnifica coppia di stalloni arrivati a Beid pochi giorni prima insieme a una delegazione di cavalieri provenienti da Amer, come dono da parte del Duca: Ryan si era allenato per diverse ore ogni giorno nel tentativo di riuscire a cavalcare Farnas in tempo per l'inizio del torneo. Lady Amy era stata omaggiata di un rotolo di seta pregiata e molto preziosa. Mio fratello sfilava a testa alta, non coperta dall'elmo: una volta giunto sotto il nostro palco si sporse dal cavallo, inchinandosi di fronte a mio padre e alla famiglia della sposa. Terminato l'inchino mi lanciò uno sguardo, sorridendomi. Sollevai entrambe le braccia per salutarlo, ricambiando il sorriso: non credo di averlo mai visto cosi' felice.

La mia ancella mi indicò il fratello maggiore di Amy, Baldur, che in quel momento stava porgendo i saluti a mio padre: insieme a lui vi era sir Albert Von Trier, colonnello dell'esercito di Verriere.

A poca distanza da loro si trovavano quattro cavalieri che portavano sul loro scudo il simbolo di Amer. Yera mi rivelò i loro nomi: Sir Al Fennec, che nelle competizioni mattutine aveva spezzato in assoluto il maggior numero di lance; di fianco a lui vi era sir Georg Poe, completamente chiuso nella sua armatura argentea: Yera mi disse che non si toglieva mai il cimiero per nascondere la brutta ferita che gli deturpava il volto. Non sapeva i dettagli ma sospettava avesse qualcosa a che fare con i Nani, considerando l'ostilità con cui il cavaliere aveva accolto l'arrivo della delegazione nanica che era giunta da Nair-Al-Zaurak qualche giorno prima. Dietro sir Georg, un terzo cavaliere era intento a cambiare la bardatura al suo cavallo: quando si tolse l'elmo, rimasi colpita dai suoi lineamenti delicati e dall'eleganza del portamento: incuriosita, chiesi a Yera chi fosse quel ragazzo. Lei scoppiò a ridere, affrettandosi a correggere il mio errore: con mia grande sorpresa mi disse che il nome di quel cavaliere altri non era che Lady Joanne Chirac, e che a dispetto delle apparenze godeva fama di essere una delle migliori spade della città Ducale, oltre ad essere particolarmente attraente. "Hai ragione", dissi guardandola meglio: "devo essere ancora molto stanca". Ridemmo entrambe. A chiudere la fila dei cavalieri di Amer giungeva quello che Yera mi rivelò essere l'invitato più importante di tutto il torneo: Sir Konon Desyenne, cugino del Duca di Amer, circondato dai suoi scudieri. Osservai divertita il suo modo di fare: spesso sollevava il braccio in direzione della folla, urlando e incitandola a sua volta: a dispetto della non più giovanissima età, sembrava decisamente intenzionato a divertirsi.

A qualche metro di distanza, piuttosto in disparte dagli altri, un cavaliere in una meravigliosa armatura striata di azzurro stava dando indicazioni al suo scudiero: Yera mi disse che il suo nome era Peter Gremaud, l'erede al titolo di Signore di Chalard. Quella rivelazione mi sorprese: ero stata presentata a Peter e suo fratello qualche giorno prima, in occasione del loro arrivo, ma il cavaliere che si trovava davanti ai miei occhi sembrava davvero un'altra persona: l'armatura non sembrava recargli alcun impaccio, e il modo che aveva di stare a cavallo era quantomai elegante. Il suo scudiero doveva essere Kasper: Ryan mi aveva raccontato di come, qualche giorno prima, il ragazzo gli avesse chiesto il permesso di poter prendere parte al torneo: un permesso che Ryan, con suo grande disappunto, non aveva certo potuto concedergli. Quando gli fui presentata, la prima cosa che mi chiese fu se avrei partecipato: la mia risposta negativa lo aveva molto risollevato.

Voltai lo sguardo verso gli altri cavalieri, e fu a quel punto che i miei occhi incontrarono il simbolo di Keib. Due dei nostri cugini si trovavano a una certa distanza dal nostro palco, nelle loro armature nere: a differenza degli altri, non sollevavano gli scudi verso la folla. I rancori con la loro baronia che si erano spenti in via ufficiale restavano comunque ben vivi nei cuori del popolo di Beid, che evitava di salutare la loro comparsa e li costringeva a mantenere una certa distanza per evitare di essere colpiti dalla frutta e dalla verdura che occasionalmente veniva lanciata dagli spalti nella loro direzione. I due cavalieri non reagivano, continuando ad avanzare a testa alta.

Poco avanti a loro, al riparo dalle manifestazioni di stizza della folla, altri due cavalieri procedevano diretti verso il nostro palco: sui loro scudi vi era il simbolo della baronia di Anthien. Una volta di fronte a noi si tolsero l'elmo, omaggiando di un saluto mio padre e la sposa. "Guardate quanto sono belli", disse Yera, estasiata. "Magari potremmo conoscerli, durante il banchetto di stasera!"

A chiudere la fila, arrivarono i cavalieri provenienti da Beid: Jen e Malaki erano entrambi bellissimi, nelle loro armature luccicanti: dietro di loro, su un cavallo di enormi dimensioni, si stagliava la sagoma inconfondibile di zio Jerome.

"Wooow! Non sapevo che Lord Jerome avrebbe preso parte al torneo", gridò Yera, emozionatissima. Poi si arrestò improvvisamente, come se si fosse improvvisamente accorta di qualcosa. "Ma... ma dov'è sir Thomas?" mormorò.

Le misi una mano sulla spalla. "Sir Thomas non parteciperà al torneo", le dissi con calma: "è rimasto ferito durante un incarico per conto di mio padre: ma non preoccuparti, Yurae mi ha detto che starà bene: Pyros lo proteggerà".

Yera mi guardò, delusa e costernata: sapevo quanto ci tenesse alla presenza di sir Thomas. "Coraggio", le dissi. "Lui avrebbe fatto del suo meglio per rendere questo torneo un grande spettacolo: dobbiamo divertirci anche in suo onore!". La mia ancella annui', tornando lentamente a sorridere. "Ok", mi disse. "Divertiamoci allora!".

I cavalieri terminarono il loro giro:pochi minuti dopo, l'araldo annunciò quello che sarebbe stato lo scontro inaugurale.

"Lady Joanne Chirac, Cavaliere di Amer, contro Sir Malaki Akhnal, Cavaliere di Beid!"

"Accidenti", disse Yera, "E' uno scontro difficile! AVANTI SIR MALAKI, FATE VEDERE A QUESTA SCIACQUETTA CHI COMANDA!" In un attimo lo sguardo di mio padre la fulminò, terrorizzandola al punto da inchiodarla sul posto. Il Conte di Verriere non trattenne un sorriso, mentre la moglie alzò appena un sopracciglio. "Che significa sciacquetta?", mi chiese Karl, mettendo a durissima prova il mio già arduo tentativo di restare seria e non scoppiare a ridere.

Una cosa era certa: sarebbero stati due giorni indimenticabili.


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