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Solice Kenson
Cronache della Campagna di Caen
Solice Kenson
"Voi avete coraggio e siete molto convincente: ma non appena sarete chiamata a combattere, al primo combattimento che possa realmente definirsi tale, voi morirete. E non parlo di scontri confusi o ingarbugliati, dove nessuno capisce fino in fondo quello che sta facendo o magari ha meno voglia di uccidervi che di portare la pelle a casa. Parlo di uno scontro vero, in cui affronterete una persona con le vostre sole forze. Beh, è giunto il momento che qualcuno che vi vuole bene vi dica che queste forze non basteranno proprio contro nessuno".
creato il: 20/05/2005   messaggi totali: 91   commenti totali: 32
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10 maggio 517
Venerdì 30 Marzo 2007

Il quarto giorno (seconda parte)

La carta, dimenticata sul mio comodino, bruciava lentamente di un pallido fuoco del colore della vaniglia; i miei occhi osservavano rapiti quella danza irregolare, mentre ombre increspate si componevano e ricomponevano sulle pareti e lungo il soffitto in legno di Veremar. Avrebbe preso tutto fuoco? Nel mio cuore speravo di no: era la mia camera, dopo tutto.

Non è il fuoco di Pyros: ho gia visto queste fiamme, ma non ricordo dove. Proviene da posti che non possono essere visitati. Eppure l'ho visto, ne sono sicura. Proviene da posti che non possono essere visitati. Sono certa di conoscerlo. Se lo conosci, conosci anche quelli come me. Chi sei tu? Uno stregone. E cosa vuoi da me? Due cose: la prima, ringraziarti. La seconda, farti ascoltare la mia storia. Ringraziarmi? Non ho fatto nulla. Hai fatto molto, invece: il tuo nome è innocente, il tuo sangue ci ha vendicato. Vendicato? Non capisco, cosa c'è da vendicare? La mia morte. La nostra morte. Vuoi ascoltare la mia storia? Aspetta: come può un morto sopravvivere, come può comunicare con me come stai facendo tu? Fino a quando qualcuno si ricorderà di lui, egli sopravviverà. Dimmi il tuo nome, allora. Non è così semplice. Parlami dei tuoi amici. I miei... cosa? Lo stregone. Il paladino. I guerrieri. Le due ragazze. Tieni molto a loro? Io non... Dimmi i loro nomi e ti saprò dire se corrono qualche pericolo... Non posso. Ascolta la mia storia, allora. Come fai a conoscerli? chi sei? Ti ho già risposto, ora tocca a te rispondere. Non intendo farlo. Non ti fidi di me? lo hai detto tu stesso: il tuo fuoco non è quello di Pyros. Neanche quello di Francois. Come conosci questo nome? In nome degli dei, chi sei? Cosa importa? Non è il suo vero nome. Non ho intenzione di parlare ancora con te. Non avevi sonno? Non ho intenzione di parlare ancora con te. Quando ti addormenterai di nuovo verrò a chiedertelo ancora. Se le cose stanno cosi', non succederà più. Perché non vuoi ascoltarmi? Non ho il diritto di poter essere ascoltato da te? Non sei forse una servitrice degli dei? Perchè... perchè mi stai facendo questo? A dire il vero te lo sei fatta da sola, prendendo quella carta. Per favore... lasciami in pace. Dunque è cosi'? Non vuoi ascoltare la mia storia? Sono così stanca... non riesco a pensare. La prossima volta che ti addormenterai ci incontreremo ancora e mi darai la tua risposta. E poi riuscirò a dormire? temo... che questo non succederà per un pò di tempo.

Riaprii gli occhi, sollevandomi a sedere e scostando la coperta che qualcuno doveva aver messo sopra i miei abiti. Mi guardai intorno, convinta di incontrare da un momento all'altro lo sguardo severo di mio padre o il volto apprensivo e preoccupato di mio fratello: i miei occhi spaziarono invece all'interno di un lungo salone occasionalmente percorso da soldati che vestivano le insegne di Beid. Uno di loro, vedendomi, si mise sull'attenti. "Salute a voi", disse battendo uno stivale in terra.

"Quando morirò", disse una voce proveniente dalle mie spalle "si potranno dire tante cose sul mio conto: troppo vino, forse anche troppe donne. Ma una cosa non voglio che venga detta: che ho disubbidito a un ordine della mia principessa". Cosi' dicendo, Malaki si alzò in piedi, muovendosi attorno a me fino ad incontrare il mio sguardo. "Come state?" mi chiese poi, abbassando la voce.

"Vi ringrazio", risposi. "Vi ringrazio tanto". Ero raggiante: aveva esaudito le mie preghiere, portandomi dove gli avevo chiesto.

Malaki alzò le spalle, borbottando qualcosa. "Siete tale e quale vostro padre: la notte non dormite, il giorno non dormite. Spero che mi concederete l'onore di potervi riportare a casa in buona salute, cosi' da non incorrere nelle sue ire".

Annuii con un sorriso. "Quanto ho dormito?", gli chiesi poi. "E come siamo arrivati qui?"

"Avete dormito due, forse tre ore direi: durante le quali, se la modestia me lo consente, mi sono fatto una bella passeggiata".

"A piedi? Con me?" Lo guardai con gratitudine: per quello che ricordavo, la strada per Valamer era assolata e in salita.

"Ho pensato che era una buona occasione per buttare via qualche chilo di troppo: e poi, che diamine, non rinuncerei mai a portare a passeggio la mia principessa".

Risi di gusto, mentre lo ascoltavo: è bello essere nuovamente a casa, pensai. Poi la mia mente tornò a mettere a fuoco la carta che bruciava: ripensai ai particolari del sogno che si era appena concluso... La voce dentro di me aveva un qualcosa di minaccioso, ma sentivo anche dell'altro: paura, forse... oltre a un desiderio incontenibile di comunicare le proprie sensazioni, le proprie emozioni. Forse avrei davvero dovuto ascoltarlo, forse il mio dovere di Paladina lo richiedeva. Poi ripensai a Rosalie, e improvvisamente, ricordai che c'era del lavoro da fare.

"Malaki", dissi: "nei sotterranei di questo castello è rinchiuso l'individuo che mi ha aggredita. Possiedo l'autorizzazione di mio padre a fare le veci di sir Thomas, e intendo fare uso di questa autorità per chiedere ai soldati di guardia il permesso di parlare con lui.

"Non sarà facile", disse. "Se sir Thomas è partito senza essere al corrente di questo, avrà di certo messo degli uomini che non saranno certo contenti di assumersi la responsabilità di farvi passare".

La conferma delle sue paure venne qualche minuto dopo, quando raggiungemmo la porta che conduceva alle segrete: non conoscevo i volti dei due soldati posti ai lati della robusta porta di ferro, ma lo sguardo di Malaki era sufficientemente eloquente prima ancora che la conversazione avesse luogo.

"Nessuno può scendere nelle segrete", disse uno dei due. "L'ordine è del capitano Thomas".

Malaki fece del suo meglio per presentare me e l'incarico affidatomi da mio padre, ma non ottenne alcun risultato: le due guardie erano intenzionate a non far passare nessuno. Tuttavia, il mio accompagnatore non si diede per vinto: nel giro delle successive due ore chiese e ottenne udienza con l'anziano sir Duran.

Il "vecchio Steve", come lo chiamava lui, era da anni la massima autorità all'interno del castello di Valamer, cavaliere di Beid fin dai tempi del padre di mio padre e suo buon amico e compagno d'armi. Prima di andare a parlare con lui, Malaki mi consigliò di raggiungere nuovamente la coperta e riposarmi un altro pò. Lo ringraziai, scuotendo la testa: non avrei dormito. Non avrei fatto un'altra conversazione con quell'individuo misterioso prima di aver ottenuto delle risposte dall'uomo che si trovava nelle segrete poste pochi metri sotto di me.

Grande fu la mia gioia quando Malaki fu di ritorno scortato da un ufficiale che ebbe cura di aprirci personalmente le porte delle segrete, scavalcando i due increduli soldati. "Sir Thomas non sarà contento", disse uno di loro, guardandomi e scuotendo la testa. Aveva ragione, non lo sarebbe stato: ma la responsabilità che sentivo dentro di me non era meno grande della sua, e forse al suo ritorno mi avrebbe dato la possibilità di spiegargli le mie ragioni.

Per la prima volta mi trovai a scendere quelle scale, buie e silenziose. Malaki guidava con attenzione i miei passi, reggendo una lanterna. "Potrebbe essere il caso di tapparsi le orecchie", mi disse sottovoce una volta raggiunto lo stretto corridoio che conduceva alle celle. "Ci sono altri due prigionieri che non hanno molto da aggiungere alla loro condanna". Passai davanti al primo dei tre, un individuo molto corpulento che mi scrutò da lontano, annusando l'aria. Non disse nulla, e io feci lo stesso: l'ospitalità in quel luogo mi era stata faticosamente concessa e dovevo attenermi al mio incarico.

Il secondo prigioniero che vidi era colui che mi si era presentato come Jack: si trovava in una cella poco distante dalla prima. Era sveglio, seduto in terra. Non appena mi vide, si alzò.

"Ciao, Joan. Sono felice di vederti qui", mi disse avvicinandosi alle sbarre. A parte un accenno di barba, i giorni passati in cella non avevano avuto altri effetti sul suo aspetto.

"Stà zitto, verme" lo interruppe Malaki, "parla lei". L'uomo che diceva di chiamarsi Jack annui', spostando il suo sguardo prima su di lui, poi su di me.

Avevo pensato a lungo sulla frase con cui avrei iniziato questa conversazione, ma in quel momento ci fu una cosa sulla quale si concentrarono le mie parole: "Ho preso la tua carta", esclamai, cercando di cogliere la sua reazione. Niente. Continuava a guardarmi, fisso e attento.

"Credo... credo che mi abbia parlato. Nel sonno, forse. Io..."

"Il bestione è fidato?" mi chiese, interrompendo la mia frase, volgendo nuovamente lo sguardo verso Malaki che si limitò a guardarlo male, senza rispondere alla provocazione.

"Non saranno le tue parole a stabilire se ci sono o meno bestie tra noi", risposi, prima di continuare il mio discorso. "E le persone malfidate sono solite stare dal tuo lato delle sbarre. La tua carta mi ha parlato", aggiunsi, imponendomi di restare calma: non era alla collera o al raconre che avrei dovuto chiedere consiglio su come condurre questa conversazione. "Ma non è stata l'unica voce che ho ascoltato in queste notti insonni: altri messaggi hanno raggiunto la mia mente, e se ancora è la nebbia a offuscare la mia vista, ora i miei occhi sono più aperti rispetto al nostro primo incontro".

"Sono contento", mi rispose. "Ma se hai intenzione di chiuderli ancora, ti consiglio di riconsegnarmi quella carta".

"Spiegami perché dovrei fare qualcosa di diverso dal distruggerla".

"Non lo farai comunque: non mi sembri il tipo di persona che risolve i problemi uccidendo chi gli fa la domanda, o sbaglio? In ogni caso, distruggerla o meno non avrebbe alcuna importanza. Quella persona è già morta, ti limiteresti a consegnarne lo spirito nelle mani degli Dei."

"Se quello che dici è vero, cosa mantiene il suo spirito su questo mondo?".

"L'ingiustizia di cui è stato vittima", rispose. "Ed ora che questa ingiustizia è stata lavata non c'è piu' nulla che possa farlo. Malgrado i suoi sforzi, in un modo o nell'altro è destinato a svanire".

Non capivo i suoi discorsi: "Se il suo scopo è stato raggiunto, perché si trova ancora qui? perché mi ringrazia, e perché vuole raccontarmi la sua storia?"

"Perché è giusto che qualcuno possa raccontarla, e non ha saputo resistere all'occasione di raccontarla a quella che in forse è l'unica persona che potrebbe realmente far si che ciò avvenga".

Continuavo a non capire. "Perché proprio io?".

"La risposta a questa domanda non posso dartela io: se desideri conoscerla, ascolta la storia e capirai: se ho capito bene che tipo di persona sei", aggiunse, "probabilmente non ti pentirai di averlo fatto".

"Perché mi hai aggredita?"

"Avevo poco tempo, troppo poco per convincerti in altro modo: ho scelto di rischiare e mi è andata doppiamente male: speravo di avere ragione e scoprirlo da uomo libero, invece avevo torto e l'ho scoperto un attimo prima di finire dietro le sbarre".

"Cosa dovevi capire?"

"Che completi un quadro: tu e le persone che hai incontrato nell'ultimo periodo della tua vita. Un quadro bellissimo e doloroso, come una rosa ricoperta di spine. Speravo che tu non ne facessi parte ma avevo torto, ti credevo innocente e invece eri l'Innocenza. Divertente, no?"

Scossi la testa: era divertente quanto il delirio di un pazzo. Eppure, quella massa di parole senza senso avrebbe cominciato lentamete a prendere una forma definita di li' a poco.

La conversazione durò poco meno di un'ora, nel corso della quale rispose a tutte le mie domande: le informazioni che mi rivelò sono troppe per essere trascritte in modo coerente, cercherò di metterle insieme nel corso dei prossimi giorni una volta che sarò riuscita a ricomporle in modo ordinato nella mia mente.

"Uscirò mai di qui, Joan?" mi chiese, al termine del mio inaspettatamente fruttuoso interrogatorio.

Scossi la testa, rifiutandomi di rispondere: anche se fosse riuscito a convincermi, non sarebbe stato facile. "Se quello che mi hai rivelato corrisponde al vero, devi aspettare e avere fede: se mi hai mentito, invece" aggiunsi dopo alcuni istanti, "no, non uscirai mai".

Fu a quel punto che mi chiese di pregare.
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10 maggio 517
Venerdì 23 Marzo 2007

Il quarto giorno

Nonostante tutte le mie preghiere i miei sogni continuano ad essere inquieti e agitati: all'alba del quarto giorno, dopo la terza visione incomprensibile e altrettante notti insonni, ho chiesto a Malaki di accompagnarmi alla chiesa del Santo Custode.

"Ti senti bene, principessa?" Mi ha detto, scrutando il mio volto con aria preoccupata. No, avrebbe voluto che gli rispondessi: ma non avevo il diritto di mettere a repentaglio il riconoscimento del mio ruolo da parte di mio padre faticosamente ottenuto nella giornata precedente, cosi' lasciai alla mia voce stanca l'onere di comunicare le mie condizioni al soldato che si era messo a mia disposizione.

"Ho soltanto bisogno di parlare con Padre Barkev. Lui saprà darmi le indicazioni che ci servono per iniziare la nostra ricerca".

Bartoughimeos Barkev ricopre, fin da prima che io nascessi, la funzione di prevosto della città di Beid. A lui i sacerdoti e i paladini delle chiese e degli altri luoghi di culto che circondano la mia città natale chiedono da sempre consiglio sui dubbi legati ai misteri della fede e dell'esistenza: la maggior parte di loro sostiene che, a differenza di molti sacerdoti più giovani impazienti di comunicare le proprie sensazioni, padre Barkev possiede il dono innato di saper ascoltare. Si tratta di un uomo solitario e schivo e ho avuto l'onore di incontrarlo soltanto in due occasioni, entrambe prima della mia partenza per Focault: la seconda volta ero insieme a Patrick: avevo quindici anni, e ricordo distintamente il suo sguardo su di noi mentre mio fratello gli parlava, agitato. Era impossibile non accorgersi della profondità di quegli occhi, che in oltre sessant'anni si erano posati su innumerevoli cose in giro per il mondo, in particolare in terra di Delos, la sua patria: quel giorno, padre Barkev fu in grado di rispondere alle domande che gli rivolse mio fratello, dissipando tutte le sue incertezze: era senza dubbio la persona giusta con cui parlare.

Sulla strada per la chiesa del Santo Custode io e Malaki ci siamo imbattuti in una festa paesana: una piccola orchestra di musici suonava su un palco improvvisato al centro di piazza dei Mercanti, circondata da una folla danzante e allegra. Il mio accompagnatore, leggendo sul mio volto la mia sorpresa, si è affrettato a spiegarmi che doveva trattarsi di una iniziativa del borgomastro analoga ad altre che aveva già visto nei giorni passati: una buona parte dei cittadini di Beid e degli abitanti dei territori circostanti non riusciva a partecipare a molti dei ricevimenti e dei banchetti organizzati a palazzo e nella zona dei festeggiamenti, a volte per ragioni di spazio, altre volte perchè le feste non erano aperte a tutti. Per questo motivo venivano organizzate di giorno in giorno una serie di attività cittadine con lo scopo di far vivere a tutti il clima di festa e di felicità di quei giorni.

Mi fermai alcuni istanti ad osservare quella folla che danzava e cantava a ritmo di musica, rapita da quei volti felici: la maggior parte di quelle persone aveva sicuramente avuto una vita molto meno fortunata della mia, eppure riusciva a mettere da parte ogni fatica o preoccupazione per regalare a se stessa e agli altri la pace e la gioia di quei momenti. Tra loro potevo scorgere maniscalchi, cameriere, contadini, braccianti e operai: di fronte a molti di quei lavori la mia stanchezza era ben poca cosa eppure erano li', decisi a vivere quel momento prima di ricominciare il loro compito. Da quando ero uscita dal monastero, il compito di alleggerire il loro peso spettava a me: continuai a guardare i loro movimenti, promettendo a me stessa che avrei fatto del mio meglio per essere per loro quello che padre Barkev sarebbe stato quel giorno per me.

"Non so ballare" disse improvvisamente Malaki, facendomi sobbalzare. "Mi spiace", aggiunse poi alzando le spalle in risposta al mio sguardo stupito: colta alla sprovvista cercai invano di correggere il suo equivoco scuotendo la testa, senza riuscire a trattenere le risate. Malaki era al servizio di mio padre da molti anni: forse non mi avrebbe mai vista come una paladina, e per lui sarei rimasta per sempre la "piccola principessa"; e forse, tutto sommato, era giusto cosi'.

Il colloquio con padre Barkev fu lungo e intenso: Malaki restò ad aspettarmi davanti alla chiesa mentre l'anziano sacerdote tenne fede alla sua fama, ascoltando con pazienza le dettagliate descrizioni delle mie esperienze oniriche e senza interrompere i miei goffi tentativi di spiegarli, nel tentativo di ricondurli a una logica che comunque non capivo. Infine mi osservò per alcuni istanti, prima di parlare.

Accolsi le sue parole con la gioia di un pellegrino assetato, il cui sguardo si posa sul contorno diafano di un'oasi: a quanto pare, ero stata scelta da una divinità antica e potente, una delle manifestazioni primordiali della dea Harkel, la cui identità era rivelata dalla conformazione della creatura misteriosa che aveva popolato il mio ultimo sogno: una sorta di cervo dalle sembianze umane alto diversi metri e dagli occhi tristi. Padre Barkev mi spiegò che, nei territori che circondavano la foresta del Miestwode, era diffuso fino ad alcuni secoli prima un culto legato a due spiriti che condividevano lo stesso tempio: Marduk e Etemenanki, opposti e al tempo stesso inscindibili tra loro come l'individuo e la collettività. Il primo, votato all'individualismo, era solito commettere errori e sovente cadeva preda dell'ingratidudine e dell'egoismo; il secondo, al contrario, era aperto al perdono ed all'armonia che trae origine dalla fratellanza e dall'esperienza collettiva della vita e del lavoro di gruppo. Mi disse come gli Dei della Luce vennero in aiuto al culto di Etemenanki, che accettò i dettami della Chiesa e i cui discepoli trovarono asilo nel grembo della dea Harkel; e mi spiegò di come questo non avvenne per il culto di Marduk, che preferì continuare la sua rivalsa contro il fratello arrivando a rinnegare quella stessa Chiesa che lui aveva accettato: in tal modo libero' il culto di Etemenanki dal vincolo che lo vedeva costretto a convivere con lui e i suoi seguaci scelsero le vie della solitudine, scomparendo nell'ombra.

Vedendomi turbata a seguito di quel racconto, padre Barkev continuò a parlarmi delle mie visioni: i luoghi sacri a Etemenanki sono quelli incontaminati, che non conoscono il suono delle parole dell'uomo. Presto o tardi quei luoghi sono destinati ad essere raggiunti, per colpa o per merito dello spirito esplorativo umano. Tale esplorazione può essere benevola, se guidata dalla Luce, o portare grandi scompensi se procede senza regole e pilotata da intenti egoistici. Se spiriti come Etemenanki si manifestano, di certo è per far si' che coloro che si dichiarano fedeli ai principi della giustizia e dell'altruismo affrontino e reagiscano alle azioni di chi non possiede simili ideali.

Al termine della conversazione ero a dir poco scossa: una volta congedatami da padre Barkev sono rimasta per diversi minuti a riflettere su quelle parole, inginocchiata di fronte all'icona di Harkel presente nella chiesa del Santo Custode. La battaglia tra Marduk ed Etemenanki si mostrava in buona sostanza come lo scontro, inevitabile e spesso sanguinoso, tra le aspirazioni dell'individuo e i bisogni e i principi della collettività: uno scontro che, secondo l'interpretazione dei miei sogni da parte di padre Barkev, vedeva oggi in me uno dei soldati; di certo uno dei meno importanti, a giudicare dall'incapacità che avevo di restare sveglia... Ma se non altro, ora sapevo che c'era un motivo. Quando alfine mi rialzai dall'inginocchiatoio le mie membra erano ancora stanche, ma la mia mente lottava per dibattersi dal torpore: ero un soldato. E la prima cosa che dovevo fare era confrontarmi con il mio avversario, la persona che si era introdotta a palazzo per mettermi alla prova e rivelare a se stesso la mia identità prima ancora che io stessa potessi comprenderla. Cosa avrebbe fatto, se non fosse arrivato sir Thomas? Non sembrava in procinto di volermi attaccare, ma di certo le sue azioni palesavano una forte spinta individualista che non sembrava affatto associabile con gli ideali nominati da padre Barkev. Probabilmente non ero io il suo obiettivo, o forse non solo: magari la sua missione era quella di scoprire chi era coinvolto in questa storia e metterlo fuori gioco. Ripensai a Rosalie, alla sua lettera insanguinata: la mia migliore amica, mia sorella. Quell'uomo l'aveva vista dopo il suo rapimento, con tutta probabilità aveva assistito alle sue torture... senza fare nulla.

Come fantasmi impazziti, stralci delle sue parole cominciarono a danzare all'interno della mia mente:

"Ogni notte la morde in un posto diverso, staccando dal suo corpo lembi di pelle."

"... avevano ragione. Sei davvero... l'innocenza".

"Rosalie è già in viaggio... E ora ho la certezza che avevano ragione anche su di lei."

"La profezia ha iniziato a compiersi, e tu ne prenderai parte come gli altri".

"Un'ora con lei... Ho bisogno di parlarle, da solo. Concedetemi questo e vi darò ogni informazione in mio possesso"
.

Voleva parlarmi ad ogni costo, da sola. Lo avrei presto accontentato, ma non sarebbe andata come si aspettava.

La testa mi doleva quando misi piede fuori dal sagrato della chiesa. Malaki mi venne incontro, quasi a sorreggermi.

"Voi non state bene, principessa", disse con aria grave, guardandomi in volto. "E io non posso permettervi di fare un altro passo".

"Dovrete farlo, invece", mormorai continuando a camminare con le mie gambe. "Dobbiamo andare".

"Dove, di grazia?" Dal suo tono si capiva bene che non avrebbe gradito nessuna risposta, tantomeno quella che sarebbe arrivata l'istante successivo.

"A Valamer", risposi. "Se non perdiamo tempo, possiamo essere li' per l'ora di pranzo".

"L'unico posto dove posso accompagnarvi" disse Malaki, scuotendo la testa, "è a palazzo. Avro' personalmente cura di depositarvi tra le braccia di vostro padre o di vostro fratello, che provvederanno a mettervi a letto".

"No!" risposi, scuotendo la testa, la quale non smise di fermarsi quando mi fermai. "Andremo a Valamer, è davvero importante. Dico davvero, Malaki! Devo recarmi li'".

Poi ricordo di aver perso i sensi, o forse mi sono addormentata: in ogni caso credo di averlo fatto in piedi, poiché quando ho riaperto gli occhi, un istante dopo, il mio volto era a pochi centimetri dal selciato di pietra chiara che pavimentava il cortile esterno della chiesa del Santo Custode, con Malaki che mi sorreggeva per le spalle. Mi girò, guardandomi negli occhi con un'espressione tanto eloquente da farmi venire le lacrime agli occhi. Riportarmi a palazzo in quelle condizioni avrebbe costretto mio padre e mio fratello a tenermi a letto per i prossimi giorni: come potevo spiegargli che non potevo rinunciare a quella che sarebbe stata l'unica occasione per fare la mia parte, per essere il soldato che gli Dei volevano, per riportare indietro Rosalie?

"Ti prego" gli dissi, non sapendo cos'altro fare. "Non portarmi a casa... Dobbiamo andare a Valamer. Per favore Malaki... ti prego..."

E poi, d'un tratto, calò la notte.

scritto da Solice , 07:28 | permalink | markup wiki | commenti (0)