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4 febbraio 518
Martedì 23 Novembre 2021

La Vecchia Guardia



I venti del Nord si presentano col Samhain, ma è tra Gennaio e Febbraio che fanno i danni veri. Il fiato del Samaelen: così lo chiamavano ad Angvard fino a non molto tempo fa, prima che la Guerra delle Lande e le piaghe che ne sono derivate mettessero definitivamente sotto terra quel poco che restava della mia generazione.

«Sai per caso quanto manca, Jim?»

La sfrontatezza di quelle parole mi rammenta in un baleno che no, sfortunatamente non tutta la vecchia guardia è stata richiamata in servizio presso gli Dei: c'è anche chi, ad oggi, continua a dimostrarsi indegno persino di crepare.

«Non ne ho idea», mormoro scuotendo la testa. «Arriveremo quando arriveremo. E ti ho detto cento volte di non chiamarmi così». Accelero il passo, con l'obiettivo di liberarmi di quella presenza sgradevole. Tentativo velleitario, a quanto pare: dopo pochi istanti sento nuovamente il peso della sua mano tozza gravare sulla spalla della mia armatura, come ad aggiungere fastidio al fastidio.

«Eddai, non fare il burbero: ne abbiamo passate tante, insieme. Pensavo che ci avessimo entrambi messo una pietra sopra...»

«Quando sarai morto, forse». Gli tolgo la mano con un gesto secco. «O quando lo sarò io. Aspettiamo che arrivino quelle, di pietre».

Cork alza gli occhi al cielo. «Te la leghi troppo al dito, Jim. 'Ste guerre del cazzo non meritano l'impegno e la passione che ci metti te».

«Sono tramontati i giorni in cui potevi parlare di merito, Cork: li hai fatti tramontare tu, a forza di ripetere queste fanfaronate da sfaticato travestito da irredentista. Dì piuttosto che non ti va di fare il tuo dovere, ché fai miglior figura. Anzi, non dire niente: risparmia il fiato, così forse non stramazzi nella neve come il somaro recalcitrante che sei diventato».

Cork sospira. «Ho capito, ho capito: ce l'hai ancora con me. Non me la sento di biasimarti, in fondo. Né posso pretendere che tu comprenda i miei motivi. Speravo solo che potessi almeno apprezzare il fatto che sto qua, a marciare in mezzo alla neve, proprio come te... ».

«Lo sai benissimo perché ti trovi qui.»

«Si: perché voglio contribuire alla battaglia di Lady...»

«No», esclamo voltandomi di scatto verso di lui. «Sei qui perché l'alternativa era la forca. E non t'azzare a nominare chi ha avuto la benevolenza di concedertela, questa scappatoia: non voglio sentirti pronunciare il suo nome.»

«D'accordo», dice, alzando le mani, «d'accordo. Non sono degno neanche di pronunciare il suo nome: posso almeno pensare che, FORSE, disperdere le forze in questo modo, per giunta nel mese più freddo dell'anno e contro avversari equipaggiati molto meglio di noi, non si sta rivelando quell'idea geniale che magari poteva sembrare sulla carta?».

«Tienila bene a mente questa tua opinione, Cork» gli rispondo, volgendogli le spalle e rimettendomi in marcia: «è il motivo per cui io sono al comando di questa spedizione, mentre tu sei quello che tra poco monterà le tende».


Rak-Jim - Immagine 2


Come se poi l'avessi chiesto, di essere al comando di questa spedizione. Intendiamoci, Lady Yara ha sempre ragione e se lei vuole che io metta radici sul Valico di Mulligan per guardarle le spalle mentre lei va a rischiare la vita a Ghaan non chiedo di meglio, anche se questo significa non poter essere al suo fianco quando perforerà il cuore del Signore di Ghaan e di Aghvan l'(ancora per poco) invitto con la lancia sacra che ho forgiato per lei... Una privazione che mi lacera il cuore, e che pur tuttavia riesco a farmi violenza al punto di sopportare.

Ma condannarmi a trascinarmi dietro Corcazzo no, questo è un tiro mancino che proprio non meritavo.

Non molto dopo il costruttivo scambio di opinioni con il neo-reintegrato sergente Cork raggiungiamo finalmente la cima del costone che conduce al Valico di Mulligan, la cui vista ci offre uno spettacolo da mozzare il fiato. L'Angelo di Pietra si staglia solenne verso il cielo, con il sole al tramonto che lo avvolge di un mantello di fiamme possenti e rigogliose: alle sue spalle, fiera nelle sue antiche vestigia di pietra nera, si erge la Sacra dei Difensori. Non sono molte le meraviglie in grado di suscitarmi simili emozioni, specie da quando il destino ha deciso di condurmi qui: ma questa vista, questo scorcio glorioso al centro di una landa fredda e desolata, non può lasciare indifferente neppure il cuore ormai invecchiato di un esule di Ammerung. Mi chiedo cosa penserebbe Mastro Greb Kun di fronte a quest'opera di ingegno così magnificamente incastonata nella roccia.


Angelo di Pietra - Immagine


Una volta Minar il Bianco mi raccontò che uno dei Runi apocrifi del Khal-Valàn attribuisce la costruzione della Sacra a Vainar, figlio di Ilmarinen: secondo la leggenda, il fabbro leggendario progettò e fece costruire quel maniero per condurre gli esperimenti che lo portarono a costruire la Sposa d'Argento e d'Oro, il simulacro con le sembianze della sua defunta moglie Maaren più volte menzionato nel canone: un tentativo di creare la vita oltrepassando i limiti imposti dalla natura e violandone dunque i dettami, espondendosi in tal modo alla collera divina. I figli di Krynn hanno un nome proibito per riferirsi a questo tipo di costrutti: una parola che nessuno dei miei fratelli pronuncia a cuor leggero, in quanto è da secoli considerata tabù. Un termine bandito dall'uso comune che designa un organismo privo di vita e dunque di significato, tragico risultato di ricerche compiute in preda all'orgoglio, alla vanità e alla bramosìa, ma anche all'amore più folle, cieco e disperato. E non posso fare a meno di chiedermi se non sia stata anche la perversione malsana di questo sentimento a guidare i primi passi compiuti dai nostri abietti avversari nei recessi dei laboratori di Ghaan. Mentre questi pensieri mi attraversano la mente continuo a osservare quel manto argenteo di neve illuminato dai raggi dorati del sole che si staglia innanzi ai miei occhi e mi domando se l'Angelo di Pietra, in fondo, altro non sia che...

«Accidenti, che spettacolo!»

La voce del soldato scelto Dresden, vibrante di sincera emozione nonché decisamente meno fastidiosa di quella di Corcazzo, mi restituisce bruscamente alla realtà. E mi fa pensare che in fondo, perché no, questo "spettacolo" merita di essere valorizzato.

«E' il vostro giorno fortunato, pelandroni!» esclamo rivolgendomi alla truppa: «vi concederò una breve pausa prima di raggiungere la cima: chissà che la maestosità di questo panorama non riesca a rendervi dei soldati decenti!».

I ragazzi annuiscono e rompono le file: non siamo in marcia da molto, ma il terreno e il freddo li hanno già resi esausti. C'è chi cerca un sasso dove sedersi tra la neve che ci circonda a perdita d'occhio e chi ne approfitta per pisciare o mangiare; altri ancora mi raggiungono sul ciglio del costone per ammirare l'Angelo e la Sacra. Tra questi c'è Dresden, accompagnato da Julia, la ragazza con cui si è fidanzato qualche mese fa. Ricordo ancora il giorno in cui me lo disse e il mio brusco commento di disapprovazione: i rapporti tra soldati di uno stesso esercito portano solo problemi, specie se vengono a trovarsi addirittura nello stesso squadrone. Eppure, questi due non hanno mai fatto nulla che potesse mettere in imbarazzo me o l'esercito... Anche perché ho fatto sempre in modo di tenerli separati. Tuttavia, in questa missione mi hanno chiesto di farsi assegnare alla stessa unità, e io... beh, ho deciso di accontentarli. Ebbene si, lo ammetto: per una volta ho deciso di fare uno strappo alle mie stesse regole. L'ho fatto perché ho ben presente le difficoltà di ciò che stiamo facendo e le scarse probabilità di tornare a casa che ha ciascuno di questi ragazzi... ciascuno di noi. Quell'impenitente farabutto di Corcazzo non ha tutti i torti: se non ci uccideranno i Nordri, i Risvegliati, gli Innalzati o i soldati di Ghaan, è probabile che lo farà il freddo. Ma questi ragazzi sono entrati nell'esercito di Angvard nel momento più difficile, e quando hanno capito cosa li aspettava non si sono tirati indietro. A quanto ho capito, se tutto andrà bene, Julia e Dresden contano di sposarsi in primavera: saranno gli Dèi a stabilire se avranno la possibilità di vivere mano nella mano, ma fino ad allora non sarò io a negar loro quella di andarsene insieme. E questo non vale soltanto per loro, ma per tutti i soldati di Angvard che ho addestrato e che hanno scelto di...

«Tiè, guarda là: che je poi dì a 'sto montarozzo, Jim?»

A lui, niente: a te, invece, che consumi la mia aria, penso nervosamente. Eppure, tocca ammettere che persino un pusillanime come Corcazzo, sia pure con l'ascia del boia alla gola, alla fine ha deciso di mettersi al servizio di Lady Yara. Conoscendolo, poteva sicuramente riuscire a farsi dare un'assegnazione meno rischiosa: magari dai suoi amici alla Rocca di Horen, dove pure - bisogna dargliene atto - non è mai scappato. "Non sono miei amici", mi ha detto dopo la cattura, l'unica volta in cui ne abbiamo parlato.


Stephen Cork - Immagine 2


«Perché non sei andato a Horen?» gli chiedo a un certo punto. Non so perché lo faccio, visto che in fondo non me ne frega niente. Ma le parole mi escono così, quasi da sole.

«Te l'ho già detto, Jim: quelli non sono amici miei». Stavolta il tono della sua voce è diverso: come se, in qualche strano modo, il soldato di un tempo fosse riuscito a farsi strada in quella pavida carcassa strafottente per vedere questo tramonto con i suoi occhi. «Mi sono rifiutato di arrestarli perché non mi sembrava giusto... e anche perché non mi fidavo del giudizio dei marmocchi di Tankenborst. Ma mi sbagliavo, Jim: ho visto la luce negli occhi di quella ragazza... quella che non vuoi che chiamo per nome. E credo che hai ragione, sai? Non sono degno di farlo: non ancora. Ma lo sarò, al termine di questa guerra. La chiamerò per nome, a lei e a suo fratello, e saranno la mia Lady e il mio Dominus».

Lo lascio parlare. Non so se e quanto sia sincero, e a dirla tutta neanche mi interessa: i bei discorsi valgono poco finché non godono del supporto di azioni e imprese non dico epiche o gloriose, ma quantomeno adeguate. Tornare a imbracciare lo scudo di Angvard non basta di certo... ma è il primo passo. Questo, se non altro, glielo posso concedere.

Ma non una spanna di più. «Avanti, pelandroni!» esclamo riprendendo il passo: «vediamo di mettere i piedi su quel valico prima che faccia buio: non voglio rischiare di arrivare dopo quei montati di Greyhaven».

Mi chiedo come stiano andando le cose agli altri: tra una manciata ore dovrebbero arrivare ad Antjel e dare inizio alle mosse finali di questa lunga partita. Mi auguro che vada tutto bene.


Valico di Mulligan - Immagine


Il campo è pronto per ospitarci in questa prima notte di veglia sul Valico: se non altro Corcazzo sa ancora come si monta una tenda. La notte su queste cime è fredda il doppio del giorno... o calda la metà, come preferiscono dire a Skogen.

Ogni volta che penso a Skogen mi torna in mente la grottesca parabola di Zodd, il maniscalco che si riciclò soldato, si fece amico del Dominus, ne disonorò la sorella e infine riuscì ad atteggiarsi a gran signore, il tutto senza mai combattere una sola battaglia; o al suo degno compare Vanjar Plank, che iniziò all'ombra della fama e delle glorie del fratello e finì per raccattarne i titoli e il prestigio. Questi uomini e il pragmatismo amorfo che contraddistingue ogni loro azione sono il disonore dell'Altopiano del Tuono: non c'è da stupirsi che ci troviamo su schieramenti opposti. Ed è per colpa loro che siamo qui: Lady Yara teme un attacco alle spalle sferrato da Norsyd e da Ghaan, ma questa eventualità può verificarsi solo con la complicità di Skogen e di Horen. Su Skogen ci avrei potuto scommettere la barba, ma da Horen non mi sarei mai aspettato. Per colpa loro abbiamo dovuto impiegare tre squadroni a proteggere le nostre retrovie: Dossler alla Locanda del Puma, noi al Valico di Mulligan e Greyhaven a far la spola tra qui e l'Angelo di Pietra.

... A proposito, ma dove cazzo sono finiti? A quest'ora dovrebbero essere già arrivati da un pezzo, invece non ce n'è traccia.

Un corno risuona in lontananza, come in risposta alla mia preoccupazione. Poi un altro. E un altro ancora.

«Questa non è Greyhaven», mormora Corcazzo guardandomi negli occhi.

Scuoto la testa. No: questi sono Nordri.

«Tutti in piedi!», esclamo a gran voce, mentre cerco di raggiungere un punto sufficientemente alto per capire cosa ci sta per piombare addosso: «vediamo di regalare una notte indimenticabile a questi scappati di casa».

«Dovremmo essere il doppio di quanti siamo, Jim», mi dice Corcazzo mentre si stringe i lacci dell'armatura. «Dove accidenti sta lo squadrone Vachter, Water, o come cazzo si chiama?»

«Non ne ho idea», rispondo scuotendo la testa. «Spero solo che non li abbiano beccati a valle... altrimenti c'è il rischio che stiano molto peggio di noi». Cork annuisce, serio. Sappiamo entrambi cosa stiamo pensando, e lo sanno anche i nostri ragazzi: quell'esaltato con il martello è ancora in giro e finora chi ha avuto la sfortuna di affrontarlo in campo aperto non ne è uscito bene. Il problema di questi combattenti che brandiscono armi leggendarie non è dato solo da ciò che impugnano, ma anche dall'impatto di quelle diavolerie sul morale delle truppe avversarie. Del resto è una scommessa su cui abbiamo puntato parecchio anche noi, altrimenti non avremmo messo Yrakavin nelle mani di Lady Yara...

«...e un Wyrm sotto alle sue sacre terga». La chiosa di Cork mi fa sobbalzare: per la barba di Vainar, stavo forse parlando ad alta voce? Beh, giunti a questo punto importa poco: se tra i Nordri che stanno arrivando c'è il Signor Martello, c'è un concreto rischio che Corcazzo non dovrà mai pagare per l'oltraggiosa uscita che ha appena...

BBBOOOOOMMMM!

Una scossa di terremoto scuote il Valico, costringendo gran parte di noi a terra. Non facciamo neanche in tempo a mettere la faccia fuori dalla neve che ne arriva un'altra; poi un'altra, quindi un'altra, e poi un'altra ancora. Restare in piedi è praticamente impossibile a meno di non avere un baricentro particolarmente ottimizzato, e io su questo me la cavo piuttosto bene. Lo sapevo, porcaccia Shasda: vedi un pò se non si tratta di quel martello di merda!

«Avanti pigroni, finitela di rotolarvi a terra e alzatevi in piedi: se vogliamo vedere quello che succederà tra poco dobbiamo accendere qualche luc...»

Ma nessuno dei miei ragazzi mi sta ascoltando: l'attenzione di tutti è rapita dalla sagoma gigantesca che di punto in bianco si staglia tra noi e la luna.


Colosso di Mulligan - Immagine


«Cosa cazz...» Comincia a dire Julia. Ma è l'ultima cosa che dice: una mano mostruosa fuoriesce dall'ombra gigante che ci sovrasta e la schiaccia sulla neve come se fosse un insetto. Un istante dopo non c'è più, al suo posto non resta che una macchia nera dalla forma indistinta.

«Scappate!» Esclamo con tutto il fiato che ho in gola. E' un Risvegliato, ne sono certo: uno di quelli grossi. Titanus, Gigantibus, o come diavolo li chiamano giù a Uryen. A dire il vero non so neanche se esiste: o meglio, so per certo che esiste, visto che ce l'ho davanti. Esiste e continua a sbracciare: la sua seconda mossa colpisce in pieno Ethan e spacca lo sperone di roccia sottostante, facendo precipitare nell'abisso il suo corpo devastato insieme a quelli di Damian, Thomas e Victoria.

«Figlio di puttana!» Grido nella sua direzione. Come possiamo affrontare una bestia del genere in queste condizioni? Non riusciamo neppure a vederlo: lui, invece, sembra perfettamente in grado di capire dove siamo. Le sue braccia colpiscono ancora una volta il terreno, precipitandomi nuovamente nella neve. Annaspo impotente in quel mare d'argento, le orecchie piende delle urla dei miei ragazzi mentre vengono dilaniati da quegli arti mostruosi.

«Sta salendo, Jim». Sento la voce di Corcazzo a qualche metro da me: «sta venendo dove siamo noi». Sta urlando con tutto il fiato che ha in gola, ma il frastuono che ci circonda è tale che riesco a udirlo a malapena. E' come se la montagna si stesse spaccando tutto intorno a noi.

«Dobbiamo andarcene da qui», urlo a mia volta. Devo ripeterglielo due volte per farmi sentire. Quindi mi rialzo, cercando di capire qual è il punto migliore dove mettermi ad aspettarlo. Il pendio dove ci troviamo è in discesa: ora che è salito, può solo scendere verso di noi.

Poi arrivano, tutte insieme: piccole, grandi, enormi. Una grandinata di pietre che non ci lascia scampo. Urlo di sollevare gli scudi, poi sento un dolore lancinante alla gamba. Al diavolo il dolore, non ho tempo né voglia di rendermi conto: tutto quello che voglio è portare via i miei ragazzi, salvarne il più possibile, ad ogni costo. Mi guardo intorno per capire se Corcazzo è ancora vivo, ed è in quel momento che lo vedo.

Dresden. Riverso al suolo, nel punto dove fino a qualche istante fa esisteva ancora Julia, il collo trafitto da una scheggia di roccia lunga più di me. Non riesco neppure a capire se è morto nell'assurdo tentativo di proteggere quella macchia informe dalla tempesta di detriti di prima o se, più semplicemente, è stato colpito mentre cercava di mettersi in salvo. Il risultato, ahimé, non cambia.


Sangue sulla Neve - Immagine 2


«E' morto, Jim».

Annuisco. «Porta via i ragazzi», dico a Cork: «dirigetevi a valle».

«A valle? In bocca ai Nordri?»

«Si. Coi Nordri possiamo giocarcela, con questo affare no. E poi magari persino le loro zucche vuote potrebbero capire che non è esattamente la nottata migliore per suonarcele. Andate, presto!»

«E tu cosa vorresti fare, invece?»

«Proverò a ritardarlo. Ora vai, presto!»

Corcazzo annuisce e corre via, sbracciandosi e urlando per attirare l'attenzione. Purtroppo per lui ci riesce fin troppo bene: fa circa dieci passi, poi una mano gigantesca lo raggiunge, lo schiaccia in terra, quindi lo afferra e lo solleva.

E' una scena che riesco a vedere a malapena, fiocamente illuminata dalla luce della luna e dalle poche torce che qualcuno dev'essere riuscito ad accendere nonostante questo casino: eppure non riesco a distogliere gli occhi. Il mio sguardo segue impotente il lento e inesorabile percorso di quell'arto mostruoso, il corpo di Corcazzo avvinto in una stretta mortale malgrado i furiosi tentativi di dimenarsi, fino all'antro di ingresso di quella specie di cranio deforme. Poco dopo cominciano i rumori. E' uno spettacolo orribile, ma se non altro mi consente di capire come diamine è fatta questa immonda creatura. E di illudermi che forse, dopo tutto, ho una possibilità.

Osservo per l'ultima volta quello che resta del nostro accampamento. Stralci di frasi pronunciate soltanto poche ore fa tornano a risuonarmi nella testa, come a prendersi gioco di me e della devastazione che mi circonda. Aspettiamo che arrivino quelle, di pietre. Scuoto la testa. Mantieniti concentrato, vecchia carcassa di un Nano: ti resta ancora un lavoro da fare.

«Ascoltatemi bene! Chiunque riesca a salvarsi sappia fin d'ora che ha il dovere di raggiungere la Sacra e raccontare tutto questo a Lady Yara! E adesso correte verso l'Angelo di Pietra con tutto il fiato che avete in corpo: mi avete sentito, pelandroni? E' un ordine!» Urlo più forte che posso, nella speranza di attirare su di me le attenzioni della bestia. Fortunatamente è proprio quello che succede. Ma un Nano è un brutto cliente per un gigante: o almeno questo è ciò che spero, mentre mi accingo a passargli sotto le gambe, ignorando il frastuono pazzesco che accompagna ogni suo movimento e fingendo di non vedere i pugni che sferra a pochi centimetri dal mio corpo.



Non è facile come pensavi, eh? Non lo è neanche per me: ormai le torce sono distanti e la luna è coperta dalla mole del mio avversario, quindi non vedo nulla. Ma quando siamo arrivati c'era ancora un barlume di luce, e ricordo piuttosto bene com'era fatta la parete di roccia che, secondo Corcazzo, ci avrebbe protetto dal vento. Povero diavolo, penso mentre mi arrampico, ricordando i tanti momenti trascorsi insieme. La bestia impiega qualche istante per capire dove sono e mi concede un pò di tempo, ma non abbastanza: la sua mano gigantesca è sul punto di ghermirmi quando, improvvisamente, uno squarcio di luna illumina la parete di roccia, rivelandomi una nicchia entro cui potermi rifugiare. Ed è lì che, rintanato come un topo, resisto ai suoi tentativi di farmi fare la fine di Corcazzo. Bravo, continua a perdere tempo con me: fino a quando non desiste, nuovamente attratto dalle più facili prede che si stanno riversando a valle. E nel farlo, finalmente, mi dà le spalle. Grosso errore, come conto di potergli insegnare tra poco: non appena riuscirò ad arrampicarmi fino a un punto della parete di roccia sufficientemente alto per fare quello che c'è da fare.

La gamba mi fa un male cane, ma non è certo questo il momento di lamentarsi. Il mostro fa un passo, poi un altro: ancora uno e sarà fuori portata, quindi devo saltare ora. Solo adesso, un istante prima di librarmi nel vuoto, mi rendo conto della tragica inutilità dell'azione che mi accingo a compiere. Persino la nuca, punto debole per eccellenza di ogni predatore, è interamente ricoperta da spessi strati di pietra.

Ma se Yog-Shoggoth pensa che l'amara consapevolezza della vacuità del gesto impedirà alla mia ascia di piantarsi tra le scapole di questa immonda creatura nella gloria sempiterna di Dytros, ebbene, tra pochi istanti avrò ben modo di dimostrargli quanto si sbaglia.

E' così, dunque: non vedrò Lady Yara brandire Yrakavin, non vedrò la fine di questa guerra. Ma non ho alcun rimpianto, perché il ruolo che mi è stato assegnato è esattamente questo: e se anche solo uno dei miei ragazzi riuscirà a salvare la pelle, allora ne sarà valsa la pena.

Per Lady Yara.

Per Ilmatar, Ilmarinen e Vainar.

Per Julia e Dresden.

Per il Sergente Cork.

Per Ammerung.

Per Angvard.

Rak-Jim - Immagine


From the misty dreams of nighttime
I sought the clarity of my days
From the shades of longing
Looked for the familiar glow

The death of my wife's slayer
Brought no comfort to me
No shape from loneliness
For a dream

A queen of gold I made
A silver bride I built
From the Northern summer night
From the winter moon

Responded not my girl
No beating heart I felt
I brought no sighs to the silver lips
No warmth from the cold

Within my heart a flame of desires
Provoked the power of my will
Forced into a silver shape
A golden queen for me

I made our bed under the stars
Covers a plenty, bear skin hides
Stroked the arc of golden curves
Kissed the lips of silver

Queen of gold, I made
A silver bride, I built
From the Northern summer night
From the winter moon

Responded not my girl
No beating heart I felt
I brought no sighs to the silver lips
No warmth to the cold

(Queen of gold) No heart
(Silver bride) I built her
(Queen of gold) No heart
(Silver bride) No warmth
(Queen of gold) I made her
(Silver bride) I built her
(Queen of gold) No heart
(Silver bride) No warmth
scritto da Rak-Jim , 14:14 | permalink | markup wiki | commenti (0)
Scritto il 23/11/2021 · 77 di 81 (mostra altri)
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