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creato il: 23/06/2014   messaggi totali: 24   commenti totali: 69
103703 visite dal 23/06/2014 (ultima visita il 29/03/2024, 11:56)
23 ottobre 517
Domenica 29 Aprile 2018

Inutilmente freddo





Ci siamo.

Ricambio il segnale accendendo la lanterna, poi guardo Annie: dobbiamo andare, le dico, mettendole la chiave nel palmo della mano. La prima cosa da fare è aprire quella porta al primo piano. Il cuore mi batte forte: ho percorso questi corridoi ad ogni ora del giorno e della notte, ma mai come adesso sento gli occhi di tutti puntati addosso a me. Matt mi saluta con un cenno, senza sollevare gli occhi dalla sua scrivania. "La porto a prendere un pò d'aria", dico con un filo di voce. Un istante dopo mi viene da chiedermi perché l'ho fatto: lavoro qui, non ho bisogno di giustificare ogni mio passo. Sono tesa, troppo tesa. Per mia fortuna Matt si limita ad annuire distrattamente. Subito dopo di lui incrociamo Judith, intenta a trascinare una botte piena d'acqua nella stanza dell'Innalzato di Ghaan: la aiutiamo a fare gli ultimi metri, guadagnandoci un sorriso di gratitudine.

Passiamo per la piccola stanza che conduce all'aperto, quindi percorriamo il porticato tenendoci per mano: nessuno in vista. In lontananza si sentono dei corni e un eco di voci concitate. Guardo Annie, che mi annuisce: sembra che i suoi compagni siano riusciti a creare il diversivo. Potrebbe essere il motivo per cui non c'è il soldato che solitamente monta di guardia qui... meno male: una persona in meno che rischierà di non vedere l'alba. Raggiungo la porta e la apro: è andata. Adesso non ci resta che tornare sui nostri passi e spegnere la lanterna prima di andare.




Le frasi trafelate pronunciate a poche centinaia di metri da noi mi raggiungono a stento, rese incolori e inodori dal forte vento che spira in senso contrario. C'è una rissa... no, un incendio. Anzi, forse ci sono entrambe le cose. Sembra che gli Elsenoriti ci si siano messi d'impegno. In compenso, sento benissimo la porta che si apre di fronte a noi, la stessa da cui siamo uscite qualche minuto fa. "Abbiamo visite", dico sottovoce.

"Chi va là?"

Ireena si blocca come una statua di ghiaccio. Non è abituata a queste situazioni... i battiti del suo cuore rimbombano nelle mie orecchie come un tamburo. Le stringo la mano, ma lei non risponde. La luce di una lanterna illumina le nostre sagome. Sento le ginocchia che si flettono, pronte a scattare. Non sono armata, quindi dovrò usare le mani... O i piedi. O i denti. Fai un altro passo... uno solo.

"Ireena? Piccola, che ci fai qui fuori con questo freddo?"

"Thedor... sto... stiamo... prendendo un pò d'aria..."

Thedor si avvicina cordiale, come se fosse il nostro migliore amico. Come se fosse nostro padre. Non è così. Percepisco come la vede da come il suo sangue scorre nelle sue vene, dall'odore che prende ad emanare quando è davanti a noi, che sovrasta persino il freddo pungente. Impulsi da bestia tenuti a freno da un cervello pensante e rispetto per le regole. Niente di nuovo: è una condizione comune a molti, compresa me.

Alza la lanterna e mi guarda: lascio che mi veda bene, del resto ce l'ho scritto in faccia che sono malata.

"Dovreste rientrare, a quanto sembra non sarà una notte tranquilla".

Ireena mormora un'altra mezza frase, quindi annuisce. E' proprio quello che intendiamo fare. Ovviamente Thedor non ha idea di dove ci toccherà andare poco dopo, in questa parte dell'edificio lo sappiamo soltanto io, Ireena e il soldato del Camerlengo che ci sta aspettando all'ingresso.

"Avvisa i nostri che c'è un soldato", le dico sottovoce non appena siamo di nuovo in stanza. Da togliere di mezzo, penso tra me e me. Poi prendo la spada e mi preparo per andare.




I gradini di legno che portano al seminterrato scricchiolano sotto i nostri passi. Il soldato del Camerlengo ci precede, tenendo la lanterna sollevata sopra la sua testa: lo conosco bene, si chiama Renstor: un tempo era di guardia all'ingresso, ma da qualche tempo lo incontro soltanto nelle rare occasioni in cui mi trovo a percorrere le segrete.

Scendiamo ancora, accompagnate soltanto dalle nostre gigantesche ombre che si stagliano sulle pannellature alla nostra destra.

Un secondo soldato ci aspetta in cima alle scale di pietra: questo non lo conosco affatto, ma non sembra un Innalzato... anche dalla reazione di Annie.

"Benvenute". Si inchina rispettosamente, quindi ci indica le scale: noi scenderemo per prime, lui ci seguirà.




L'ambiente intorno a noi cambia rapidamente: sotto i nostri piedi, sulle pareti e sul soffitto, i rivestimenti in legno cedono il passo alla nuda pietra. L'aria si riempie di odori molto diversi da quelli dell'ospedale: muffa, umido, escrementi, topi, sudore. La mia mente si fissa per un istante su un pianto sommesso e disperato che si consuma all'interno di una delle celle, coperto da più intensi lamenti di dolore: Ireena non può sentirlo, ma di certo è ben consapevole dell'atmosfera sinistra che permea questi corridoi.

"Non fate caso alle urla", esclama il soldato ostentando noncuranza. Passo dopo passo, diventano sempre più assordanti. Ireena mi si affianca, stringendomi il braccio. Non è la prima volta che mette piede qui dentro, ma non si tratta di una cosa a cui una come lei si può abituare. Le prendo la mano e la stringo tra le mie: è caldissima... No. è fredda, invece. Sono io ad essere gelida. Il freddo dell'inverno si attacca alla mia pelle senza che nulla vada a scacciarlo, proprio come accade ai cadaveri o ai Risvegliati. Volevo far forza a Ireena, ma è invece il suo calore a confortare me.

Alcuni dei prigionieri che giacciono in queste segrete esaleranno presto l'ultimo respiro, lasciati all'addiaccio e a nutrirsi di topi, ragni e scarafaggi fino alla fine. Altri vengono tenuti in vita con acqua e pane raffermo per chissà quale immonda crudeltà. I miei sensi raccolgono pazientemente tutte queste informazioni, scavando nei recessi delle loro celle mentre ci avviciniamo a colui che ci porterà alla nostra meta. Di colpo, lo avverto. E' al termine di questo lunghissimo corridoio, al di là di questa cappa di disperazione.

"Lady Ireena, è sempre un piacere ricevervi". L'inchino che le rivolge non è minimamente sentito: eccone un altro che si crede una divinità e che ha preso a trattare tutti come insetti. Peccato che l'insetto sia lui. Il pensiero mi balena in testa all'improvviso e per poco non mi scappa una risata. Ma quando si rivolge a me, capisco subito che c'è poco da ridere.

"Metti queste".

Osservo in silenzio quegli strani lucchetti che mi porge: uno per mano, uniti da una catena che non potrei spezzare neppure facendo ricorso a tutte le mie energie da bacarozzone parlante. Scuoto la testa. Non esiste. A quel punto è lui a scoppiare a ridere. "Pensi davvero che farei avvicinare una come te al Maestro della Curia senza prendere le dovute precauzioni?"

Affronto il suo sguardo, poi indico Ireena: "lei mi ha parlato di un incontro, non di catene: se il Camerlengo vuole parlare con me, dovrà correre il rischio".

E poi ci sei tu apposta, no?




"Questa ragazza è venuta qui di sua spontanea volontà, e io le ho promesso che avrei garantito per la sua incolumità. Le catene sono per i prigionieri, noi siamo state invitate". Il suono della mia voce rimbomba tra le mura di pietra. Faccio un passo in avanti, mettendomi tra Annie e Gant. Coraggio, Ireena: i suoi occhi rossi non devono farti paura: è una vittima come tutti gli altri, anche se fa di tutto per non pensarci, anche se si rifiuta di accettarlo. Non è facile: non con lui. Ma so... sento che Padre Mansell è qui, da qualche parte. Posso sentire la sua forza, il coraggio che vuole infondere al mio cuore.

"Tu sei stata invitata. Di lei non sappiamo niente". Il suo braccio scaraventa con forza le catene ai piedi di Annie. "Ti dò dieci secondi, poi te le metto io".

Annie resta immobile. Questa cosa non l'avevamo prevista. Devo pensare: devo farmi venire in mente qualcosa, altrimenti...

"Gant, che modi sono questi? Non vedi che le stai spaventando?"

La voce, accompagnata da un suono di passi, è quella di Hans Vale. Il Camerlengo emerge dall'oscurità con la tranquillità di chi sa di non correre alcun pericolo.




"E così, tu sei Annie: non hai idea di quanto io abbia sentito parlare di te".

E così, questo è il Camerlengo. Non so perché, ma mi ricorda il mio compagno Engelhaft: tuttavia, sono certa che l'aspetto cordiale e i modi affabili nascondano in realtà una indole viscida e meschina. Avrà almeno 50 anni. I suoi occhi sgranati brillano, compiaciuti e minacciosi, alla luce delle torce.

Si avvicina me, osservandomi con apparente ammirazione e curiosità. I suoi occhi mi infastidiscono quasi quanto le manette, brillano come se stessero guardando un cavallo.

"Sei un capolavoro: sei perfetta", sentenzia alla fine. Ne dubito. Si china a raccogliere le catene. "Queste non servono, suvvia: non vedi che sono brave ragazze?". Poi si gira, dandomi le spalle... Ho ancora la spada alla cintura. Il pensiero mi balena forte: devo farlo adesso. Poi me la vedrò con il cane da guardia, dando a Ireena la possibilità di scappare. Avrò bisogno di abbandonarmi un bel pò, ma ne vale la pena.

Proprio nell'istante in cui inizio a lasciare il braccio di Gant mi circonda la vita, stringendomi a lui. "Da questa parte". Le dita della sua mano si chiudono sull'elsa della mia spada. "Questa non te la tolgo", aggiunge poi, con un sussurro molto vicino al mio orecchio, "ma tu non la toccare". Le parole scandite dalla sua voce profonda mi entrano nell'orecchio come macigni e mi arrivano dritte nel cervello provocandomi un fastidio senza pari. Il Camerlengo sfugge al tiro della mia lama e ci precede lungo le scale da cui è venuto, che conducono a una porta aperta: Ireena è al suo fianco, tenuta rispettosamente per il braccio.

L'ambiente in cui entriamo è molto più caldo: le pareti sono in gran parte coperte di stoffa, così come la porta che viene chiusa alle nostre spalle. L'odore di sterco e topi svanisce, coperto da un effluvio di incenso che mi impedisce di sentire altro.

Gant torna a parlarmi all'orecchio. "Benvenuta", mi sussurra. Il tono della sua voce non mi piace per niente. Sento il suo fiato sul collo, freddo come il mio, e sento che...

... Freddo come il mio.

Inutilmente freddo.




E poi, improvvisamente, capisco. Capisco tutto. Capisco perché Giada, perché il Castello di Seta, perché... perché siamo qui. Ireena.

E'... è peggio di quanto pensassimo. Ed è doppiamente mostruoso se penso che a Uryen lo sapevamo fin dall'inizio. Barun, poi Logan, magari, oppure il gruppo di Greyhaven... O forse... forse noi tutti avremmo potuto saperlo fin dall'inizio, e abbiamo semplicemente preferito non pensarci, chiudere la mente, nascondere l'evidenza dietro un castello di sassi... di seta.

Soprattutto io, più di chiunque altro.

Devo giocarmela bene. Devo scegliere il momento giusto e non sarà facile: non devo farmi mettere quelle catene. Ma soprattutto non devo fargli capire che ho capito, sono certa che non aspetta altro. Come faccio? Come faccio? Non sono capace...

Mi porto le mani alla vita e slaccio la cintura che regge la spada. "Questa non mi serve, giusto?" Gant annuisce soddisfatto. Forse non sono in grado di non fargli capire che ho capito, ma posso fargli credere che ne ho bisogno. Che questa empietà che hanno architettato serve anche a me, proprio come a lui. In fondo... In fondo è quasi vero. E poi, un istante prima... o nel peggiore dei casi, durante... potrò cogliere il momento giusto per agire.

"Scommetto che hai un'altra arma", mi dice.

Annuisco: mi chino ad estrarre il pugnale dallo stivale, quindi glielo porgo. Quando sarà il momento, lo farò a mani nude.

Il Camerlengo e Ireena raggiungono una porta, che lui apre con un corposo e pesante mazzo di chiavi che porta appeso alla cintura: chissà se una di quelle apre la porta della cella di Padre Mansell. Ireena mi guarda interrogativa: non ha ancora capito. Lui ci fa cenno di entrare, quindi mi guarda con occhi da pazzo... Perché solo un pazzo potrebbe avere una brama del genere. Un pazzo, o una persona che sa molte cose... ad esempio, di non correre alcun rischio.

"Sono venuta per parlare della Mantide", esclamo un attimo prima di entrare. "Ci sono delle cose che devo sapere".

"Oh, ne parleremo", risponde lui con un sorriso. "Eccome, se ne parleremo".

Poi entro, e improvvisamente vengo avvolta da un odore che ero appena riuscita a dimenticare, un odore che neppure il muro di incenso che questo figlio di puttana ha eretto riesce più a nascondere alle mie narici. Al mio cervello.

E capisco che siamo fottute.




scritto da Annie , 05:29 | permalink | markup wiki | commenti (0)