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25 novembre 517
Venerdì 26 Luglio 2019

Storia di una lunga guerra



Dicono che il Dio dei Nordri sia cieco da un occhio: a quanto pare i nostri non hanno neanche quello, visto come stanno andando le cose ultimamente. Io per fortuna ne ho ancora due, anche se la sorte ce l'ha messa tutta per fare altrimenti. La fortuna nella sfortuna; la parte di mela senza il verme; il bicchiere mezzo p...

Fanculo. Ne ho abbastanza di bicchieri mezzi pieni, ho voglia di farmi una bevuta come si deve. Come quella notte in cui Roy crollò ubriaco sulle assi sgangherate della capasanta e si svegliò in mezzo al Traunne, con un cartello al collo con su scritto... Cosa c'era scritto? Non me lo ricordo più. Vasq se lo ricorderebbe, visto che l'aveva scritto lui; e anche Duncan, visto che fu lui a caricare Roy sulla barchetta di Jebediah e poi a spingerla nel fiume. Sembra una roba di secoli fa, invece è successa solo... secoli fa.

Prima di prendere la torcia dal muro mi fermo un momento a contemplare il fuoco: il riflesso delle fiamme guizza tra le spille e spillette che ricoprono la mia armatura: stelloni, scudetti, croci, e poi lui, lo scudo dell'ultimo, eroica celebrazione del mio fallimento: non mi riesce di tenere un plotone mezzo pieno, figuriamoci un bicchiere.

Queste scale le avrò percorse mille volte: quasi sempre da guardia, in un paio di occasioni da prigioniera. Mai per fare quello che sto per fare oggi. Raggiungo la porta e busso: nessuna risposta. Il tempo di individuare la chiave giusta, girarla nella toppa e muovere un passo, e sono dentro.

La torcia non illumina granché, era lì da troppo tempo e in questo momento non siamo abbastanza per cambiarle quando è ora. Saremo nuovamente abbastanza, prima o poi? Chi lo sa. Tra poco non sarà più un mio problema.

Non distrarti, scema: la cella sembra vuota, ma non sei sola. Tu sei praticamente cieca, lei no.

Mi cade addosso dal soffitto, come un ragno. La torcia mi viene strappata dalla mano sinistra e rotola a terra; la destra scatta istintivamente sull'elsa di Ametista, ma morde il vuoto. Poco dopo la sento sulla schiena, la punta che mi viene spinta contro e penso che tutto sommato potrei pure starci, che in fondo forse è l'ultima occasione di poter morire qui, a casa mia: e invece no, resta lì, incagliata tra una vertebra e l'altra.

"Cosa vuoi?"

"Ciao Ani", esclamo. "Come va?".

"Ti ho sentita fin da quando eri sulle scale". Il fiato delle sue parole che mi arriva sul collo, freddo come il Vento del Nord.

"Mi hai sentita? Dai passi?"

"Dall'odore".

"Ma se mi sono appena lavata...".

"Per il tuo naso, forse: per il mio puzzi come una scrofa".

"Non mi sembra una cosa carina da dire".

"Neanche rinchiudermi qua dentro è stato carino".

"Hai ragione. Ma bisognava farlo, dopo quello che è successo".

Silenzio.

"Così penseranno che sono uguale a lui".

"... o magari lo abbiamo fatto per darti modo di provare che non è cosi".

"... o magari pensate tutti che sia così".

"Ti sbagli".

"... Magari lo pensi pure tu".

"Ti sbagli".

"Magari lo dici solo perché hai una spada tra le scapole".

"Se tu fossi come lui mi avresti già sbranata. E poi, da quando in qua te ne frega qualcosa di quello che pensano gli altri?".

Silenzio. Aspetto che sia lei a parlare: ha tutte le ragioni per volersi sfogare.

"...Ti hanno mandata a uccidermi, Ali?"

"Sciocchezze. Se avessi voluto ucciderti, non avrei bussato: e saresti già morta".

"Forse un tempo: ora non più".

Eh no: quando è troppo è troppo. Mi getto in avanti di scatto, poi mi giro e le sferro un calcio sulle mani, tra le dita e l'elsa: la spada sfugge alla sua presa e sbatte sul muro della cella, quindi ricade in terra, in mezzo a noi. Restiamo entrambe a guardarla, in silenzio, per un pò.

"Visto? Sei più forte di prima, ma devi ancora mangiarne di panini prima di...". Mi interrompo: non ricordo se può ancora mangiarli, i panini.

"Come hai..."

"E' un trucchetto che mi ha insegnato Ramsey: arriverà il giorno in cui saprai farlo anche tu".

Annie guarda me, poi la spada, quindi volge lo sguardo verso la porta aperta. "Ma hai abbandonato l'ingresso: se ne avessi voglia, ora potrei scappare".

Annuisco. "E' quello che spero: sono venuta apposta".

Annie mi osserva. Nel buio pressoché totale che ci circonda l'unica cosa che riesco a distinguere sono i suoi occhi, rossi come braci: lei invece ci vede benissimo. Al punto da capire che sto dicendo la verità.

"Vuoi che io venga con te...".

"Si".

"Vi serve un innalzato e sono l'unico che avete".

"Mi servi tu".

"Perché sono innalzata: altrimenti non saresti neppure qui".

"Oh, quanti cazzi, Ani. Sei in prigione perché sei un'innalzata, ti voglio con me perché sei un'innalzata, penseranno che sei come lui perché sei un'innalzata... Lo sai che ti dico? Hai rotto i coglioni. Il mondo non gira attorno a te e al tuo innalzamento. Sei un soldato, o l'hai dimenticato?".

"Sono stata sospesa".

"Ti sto reintegrando adesso".

"Perché ti servo".

"Sai com'è, funziona così: quando un soldato serve, lo chiamano; quando non serve, non lo chiamano".

"Vi faccio schifo. Vi faccio paura".

Scuoto la testa. "Né l'uno né l'altra".

"Barun non..."

"Barun ha puntato su di te dal primo momento. Ti ha mandata in missione appena ha capito che non eri contagiosa, sfidando il parere contrario di molti. Era convinto che ce l'avresti fatta quando non ci credevi neppure tu, quando stracciavi i coglioni a tutti ogni giorno dicendo che saresti morta l'indomani".

"Barun neanche sapeva che esistevo, a momenti".

"Ti ha reinserita nell'esercito due settimane dopo il tuo ritorno da Ghaan".

"Voleva togliermi dal servizio attivo".

"Ti ha mandato contro la bestia del ponte".

"Mi ha messa in quarantena...".

"Ti ha dato una casa a dieci metri dalla Rocca! Sono stata più in quarantena io quando avevo i pidocchi".

"... Perché vi servivo!"

"... Esatto! E ci servi ancora! Per questo sono qui. E non per i poteri, ma per il fatto che li controlli. Cosa vuoi, Ani? Che ti apprezzino per quello che eri e non per il fatto che ora sei così? Se la pensi in questo modo sei tu che ti fai schifo, sei tu a metterti in quarantena da sola. A me non frega nulla del colore dei tuoi occhi, che non hai fame, o che i risvegliati non ti mordono: il mio compito è far sì che quelle schifezze non mordano nessuno, e se ti importa ancora qualcosa dello stendardo che porti e all'armatura che indossi dovrebbe importare anche a te, e dovresti agire di conseguenza".

I due puntini rossi cominciano ad assumere una forma più naturale: piano piano, comincio a distinguere il suo volto. E' sempre lei, è sempre Annie. In barba alla prigione, a Ghaan, a Mirai, e all'anima de li mortacci loro.

"... Anche a lui hai detto le stesse cose?"

Mi mordo il labbro. Devo restare calma. "Ci abbiamo provato". La voce mi esce rotta, uno spezzatino di sillabe. "Abbiamo fatto del nostro meglio: non ci siamo riusciti".

"Cosa ti fa pensare che con me sarà diverso?"

"Perché ti conosco da una vita, e so che ce la metterai tutta".

"Stronzate, Ali: non mi conosci, non sai niente di me. non mi hai mai considerata: per te ero la figlia incapace di un cliente di tuo padre, il capo della locanda".

"Abbiamo giocato insieme per anni".

"Tu decidevi tutto, io seguivo: anzi, eseguivo".

"Ero più grande! Che diamine, volevi comandare tu?"

"Sono entrata nell'esercito perché c'eri tu".

Scuoto la testa. "Non è così: sei entrata perché ti piaceva quello che facevo, quello che si faceva qui, e volevi farlo anche tu".

Silenzio. C'è ancora qualcosa che vuole dirmi, ma le serve tempo.

"Tutte le volte che mi hanno messa in mezzo... tu non mi hai mai difesa".

"Se lo avessi fatto sarebbe stato molto peggio. Lo sai come si dice qui, no? Ciascuno deve imparare a pulirsi il culo con le mani sue".

"Quando Varchmann mi ha presa di mira, tu non hai alzato un dito".

"Sei uscita da quella cella dopo tre giorni".

"Non mi hai difesa".

"Sei uscita dopo tre giorni!".

Mi guarda: "Adesso mi dirai che è stato grazie a te...".

Sorrido. "No, testona: è stato grazie a te. E' così che funziona, è così che deve funzionare: hai fatto tutto da sola e non devi ringraziare proprio nessuno, perché ti sei pulita il culo con le mani tue. Quella spada, quell'armatura, te le sei meritate. La verità è che sei un bravo soldato, Annie: lo sei sempre stata. Quindi vanne fiera, smettila di piangerti addosso, e...".

"..."

"... e vieni con me. Adesso".

"Dove?"

"Al di là del Traunne. Alla Fortezza dei Difensori. A Ghaan".

"A Ghaan? Ma è inverno! E' un viaggio suicida, adesso..."

"Ma non sei tu quella che non sente il freddo?"

"Io si, ma tu..."

"Non preoccuparti per noi: è proprio perché non se lo aspettano che andiamo adesso!" Ok, detta così è una mezza cazzata, ma tanto tra poco le dirò tutto. Indico la porta aperta: "allora, ci stai?"

Resta ferma, fissandomi con quelle due torce rosse che ha al posto degli occhi. "... Mi vuoi soltanto perché i tuoi compagni sono morti quasi tutti".

"..." Respiro. Mi mordo le labbra.

"Scusami. Non volevo".

"Anche io sono entrata nel terzo plotone perché erano morti tutti. Per la precisione, erano morti tutti i fratelli del mio plotone precedente. Hai visto le loro tombe, no?".

"Scusami".

Annuisco. "Scuse accettate. E comunque... non siamo morti tutti: tanti soldati sono ancora qui. Io sono ancora qui, e ti assicuro che per me questa guerra è appena cominciata".

"..."

"E tu, Ani? Sei viva o sei morta, sotto quelle occhiaie e quelle vene viola? Perché se ti senti morta io non ho problemi a lasciarti qua, o a farti uscire da quella porta e lasciarti libera di andare dove ti pare. Per me te la sei guadagnata, la libertà. Ma se invece ti senti viva, per me dovresti smettere di frignare e venire via con me finché ancora possiamo, perché io sto andando a prendere a calci nel culo tutti, ma proprio tutti... anche quelli che ti hanno fatto quello che ti hanno fatto."

Annie mi guarda, poi guarda la porta, quindi torna a guardarmi: "in che senso, finché ancora possiamo? Non è Barun a mandarti?"

Scuoto la testa. "Sai cosa ho fatto, prima di venire qui? Ho svuotato un secchio che stava da giorni sotto al culo del messo Ducale che è venuto a consegnare a Barun il testo dell'armistizio con Ghaan. In questo momento stanno parlando..."

"... Vuol dire che tra poche ore non ci sarà più la guerra?"

"Vuol dire che tra poche ore non ci sarà più Barun al comando della Rocca".

"...che dici..."

"E' così: fidati di me. Adesso non ho tempo di spiegarti, lo capirai da sola quando saremo fuori di qui".

"Quindi... mi stai facendo fuggire..."

"Si. E' la prima evasione che organizzo qui dentro. Come sto andando? Pensavo che sarebbe stato semplice, ma il prigioniero non collabora".

"Ma cosi daranno la colpa a me..."

"... A entrambe, direi".

"Quando torneremo, sarò degradata. Mi butteranno fuori".

"Ti hanno già buttata fuori, no? Semmai sono io che mi sto fottendo la carriera!"

"Penseranno che sono come lui..."

"No. Perché non ammazzerai nessuno. Uhm... Non al di quà del Traunne, almeno".

"Non appena sapranno che sono scappata, non mi perdoneranno mai: non potrò tornare piu".

Alzo le spalle. "Ammesso che qualcuno di noi torni. Hai capito cosa andiamo a fare, no?".

[...]



L'aria della notte è fredda da morire. Almeno per la mia faccia, visto che Annie non sembra curarsene. Non dice una parola da quando abbiamo lasciato la Rocca. A cosa starà pensando? E' appena tornata da un viaggio in cui ha vissuto le pene dell'inferno e io la sto riportando lì. Sono una pessima amica, oltre che un pessimo sergente... Del resto, se l'avessi lasciata in quella cella, non so proprio cosa sir Gadman Scherer avrebbe potuto fare di lei. E' da quando sta nell'esercito che entra ed esce da una prigione, adesso basta.

"Ali?"

Mi fermo e mi giro a guardarla: "dimmi".

"Tu sarai con me? Quando morirò?"

"Sempre".

"... se non muori prima..."

Sorrido. "Impossibile".

Annie ricambia il sorriso: il primo che le vedo fare da non so quanto tempo.

Ci rimettiamo in marcia, non manca molto all'accampamento: con un pò di fortuna, tra poco la neve coprirà le nostre tracce.

"Senti, Ani, ma..."

"Si?"

"Davvero puzzo come una scrofa?"

"Beh... un pò si...".

"Ma anche adesso? Con questo vento freddo e la mantella pesante addosso?"

"Beh..."

"Va bene, ho capito: come non detto".

"Ma comun-"

"Basta, d'accordo? Non voglio saperlo. Non parliamone più".

Abbiamo rotto il ghiaccio, proprio ora che sta per nevicare.

Passi nella neve - Immagine

scritto da Ali Shark , 06:00 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
23 ottobre 517
Domenica 29 Aprile 2018

Inutilmente freddo





Ci siamo.

Ricambio il segnale accendendo la lanterna, poi guardo Annie: dobbiamo andare, le dico, mettendole la chiave nel palmo della mano. La prima cosa da fare è aprire quella porta al primo piano. Il cuore mi batte forte: ho percorso questi corridoi ad ogni ora del giorno e della notte, ma mai come adesso sento gli occhi di tutti puntati addosso a me. Matt mi saluta con un cenno, senza sollevare gli occhi dalla sua scrivania. "La porto a prendere un pò d'aria", dico con un filo di voce. Un istante dopo mi viene da chiedermi perché l'ho fatto: lavoro qui, non ho bisogno di giustificare ogni mio passo. Sono tesa, troppo tesa. Per mia fortuna Matt si limita ad annuire distrattamente. Subito dopo di lui incrociamo Judith, intenta a trascinare una botte piena d'acqua nella stanza dell'Innalzato di Ghaan: la aiutiamo a fare gli ultimi metri, guadagnandoci un sorriso di gratitudine.

Passiamo per la piccola stanza che conduce all'aperto, quindi percorriamo il porticato tenendoci per mano: nessuno in vista. In lontananza si sentono dei corni e un eco di voci concitate. Guardo Annie, che mi annuisce: sembra che i suoi compagni siano riusciti a creare il diversivo. Potrebbe essere il motivo per cui non c'è il soldato che solitamente monta di guardia qui... meno male: una persona in meno che rischierà di non vedere l'alba. Raggiungo la porta e la apro: è andata. Adesso non ci resta che tornare sui nostri passi e spegnere la lanterna prima di andare.




Le frasi trafelate pronunciate a poche centinaia di metri da noi mi raggiungono a stento, rese incolori e inodori dal forte vento che spira in senso contrario. C'è una rissa... no, un incendio. Anzi, forse ci sono entrambe le cose. Sembra che gli Elsenoriti ci si siano messi d'impegno. In compenso, sento benissimo la porta che si apre di fronte a noi, la stessa da cui siamo uscite qualche minuto fa. "Abbiamo visite", dico sottovoce.

"Chi va là?"

Ireena si blocca come una statua di ghiaccio. Non è abituata a queste situazioni... i battiti del suo cuore rimbombano nelle mie orecchie come un tamburo. Le stringo la mano, ma lei non risponde. La luce di una lanterna illumina le nostre sagome. Sento le ginocchia che si flettono, pronte a scattare. Non sono armata, quindi dovrò usare le mani... O i piedi. O i denti. Fai un altro passo... uno solo.

"Ireena? Piccola, che ci fai qui fuori con questo freddo?"

"Thedor... sto... stiamo... prendendo un pò d'aria..."

Thedor si avvicina cordiale, come se fosse il nostro migliore amico. Come se fosse nostro padre. Non è così. Percepisco come la vede da come il suo sangue scorre nelle sue vene, dall'odore che prende ad emanare quando è davanti a noi, che sovrasta persino il freddo pungente. Impulsi da bestia tenuti a freno da un cervello pensante e rispetto per le regole. Niente di nuovo: è una condizione comune a molti, compresa me.

Alza la lanterna e mi guarda: lascio che mi veda bene, del resto ce l'ho scritto in faccia che sono malata.

"Dovreste rientrare, a quanto sembra non sarà una notte tranquilla".

Ireena mormora un'altra mezza frase, quindi annuisce. E' proprio quello che intendiamo fare. Ovviamente Thedor non ha idea di dove ci toccherà andare poco dopo, in questa parte dell'edificio lo sappiamo soltanto io, Ireena e il soldato del Camerlengo che ci sta aspettando all'ingresso.

"Avvisa i nostri che c'è un soldato", le dico sottovoce non appena siamo di nuovo in stanza. Da togliere di mezzo, penso tra me e me. Poi prendo la spada e mi preparo per andare.




I gradini di legno che portano al seminterrato scricchiolano sotto i nostri passi. Il soldato del Camerlengo ci precede, tenendo la lanterna sollevata sopra la sua testa: lo conosco bene, si chiama Renstor: un tempo era di guardia all'ingresso, ma da qualche tempo lo incontro soltanto nelle rare occasioni in cui mi trovo a percorrere le segrete.

Scendiamo ancora, accompagnate soltanto dalle nostre gigantesche ombre che si stagliano sulle pannellature alla nostra destra.

Un secondo soldato ci aspetta in cima alle scale di pietra: questo non lo conosco affatto, ma non sembra un Innalzato... anche dalla reazione di Annie.

"Benvenute". Si inchina rispettosamente, quindi ci indica le scale: noi scenderemo per prime, lui ci seguirà.




L'ambiente intorno a noi cambia rapidamente: sotto i nostri piedi, sulle pareti e sul soffitto, i rivestimenti in legno cedono il passo alla nuda pietra. L'aria si riempie di odori molto diversi da quelli dell'ospedale: muffa, umido, escrementi, topi, sudore. La mia mente si fissa per un istante su un pianto sommesso e disperato che si consuma all'interno di una delle celle, coperto da più intensi lamenti di dolore: Ireena non può sentirlo, ma di certo è ben consapevole dell'atmosfera sinistra che permea questi corridoi.

"Non fate caso alle urla", esclama il soldato ostentando noncuranza. Passo dopo passo, diventano sempre più assordanti. Ireena mi si affianca, stringendomi il braccio. Non è la prima volta che mette piede qui dentro, ma non si tratta di una cosa a cui una come lei si può abituare. Le prendo la mano e la stringo tra le mie: è caldissima... No. è fredda, invece. Sono io ad essere gelida. Il freddo dell'inverno si attacca alla mia pelle senza che nulla vada a scacciarlo, proprio come accade ai cadaveri o ai Risvegliati. Volevo far forza a Ireena, ma è invece il suo calore a confortare me.

Alcuni dei prigionieri che giacciono in queste segrete esaleranno presto l'ultimo respiro, lasciati all'addiaccio e a nutrirsi di topi, ragni e scarafaggi fino alla fine. Altri vengono tenuti in vita con acqua e pane raffermo per chissà quale immonda crudeltà. I miei sensi raccolgono pazientemente tutte queste informazioni, scavando nei recessi delle loro celle mentre ci avviciniamo a colui che ci porterà alla nostra meta. Di colpo, lo avverto. E' al termine di questo lunghissimo corridoio, al di là di questa cappa di disperazione.

"Lady Ireena, è sempre un piacere ricevervi". L'inchino che le rivolge non è minimamente sentito: eccone un altro che si crede una divinità e che ha preso a trattare tutti come insetti. Peccato che l'insetto sia lui. Il pensiero mi balena in testa all'improvviso e per poco non mi scappa una risata. Ma quando si rivolge a me, capisco subito che c'è poco da ridere.

"Metti queste".

Osservo in silenzio quegli strani lucchetti che mi porge: uno per mano, uniti da una catena che non potrei spezzare neppure facendo ricorso a tutte le mie energie da bacarozzone parlante. Scuoto la testa. Non esiste. A quel punto è lui a scoppiare a ridere. "Pensi davvero che farei avvicinare una come te al Maestro della Curia senza prendere le dovute precauzioni?"

Affronto il suo sguardo, poi indico Ireena: "lei mi ha parlato di un incontro, non di catene: se il Camerlengo vuole parlare con me, dovrà correre il rischio".

E poi ci sei tu apposta, no?




"Questa ragazza è venuta qui di sua spontanea volontà, e io le ho promesso che avrei garantito per la sua incolumità. Le catene sono per i prigionieri, noi siamo state invitate". Il suono della mia voce rimbomba tra le mura di pietra. Faccio un passo in avanti, mettendomi tra Annie e Gant. Coraggio, Ireena: i suoi occhi rossi non devono farti paura: è una vittima come tutti gli altri, anche se fa di tutto per non pensarci, anche se si rifiuta di accettarlo. Non è facile: non con lui. Ma so... sento che Padre Mansell è qui, da qualche parte. Posso sentire la sua forza, il coraggio che vuole infondere al mio cuore.

"Tu sei stata invitata. Di lei non sappiamo niente". Il suo braccio scaraventa con forza le catene ai piedi di Annie. "Ti dò dieci secondi, poi te le metto io".

Annie resta immobile. Questa cosa non l'avevamo prevista. Devo pensare: devo farmi venire in mente qualcosa, altrimenti...

"Gant, che modi sono questi? Non vedi che le stai spaventando?"

La voce, accompagnata da un suono di passi, è quella di Hans Vale. Il Camerlengo emerge dall'oscurità con la tranquillità di chi sa di non correre alcun pericolo.




"E così, tu sei Annie: non hai idea di quanto io abbia sentito parlare di te".

E così, questo è il Camerlengo. Non so perché, ma mi ricorda il mio compagno Engelhaft: tuttavia, sono certa che l'aspetto cordiale e i modi affabili nascondano in realtà una indole viscida e meschina. Avrà almeno 50 anni. I suoi occhi sgranati brillano, compiaciuti e minacciosi, alla luce delle torce.

Si avvicina me, osservandomi con apparente ammirazione e curiosità. I suoi occhi mi infastidiscono quasi quanto le manette, brillano come se stessero guardando un cavallo.

"Sei un capolavoro: sei perfetta", sentenzia alla fine. Ne dubito. Si china a raccogliere le catene. "Queste non servono, suvvia: non vedi che sono brave ragazze?". Poi si gira, dandomi le spalle... Ho ancora la spada alla cintura. Il pensiero mi balena forte: devo farlo adesso. Poi me la vedrò con il cane da guardia, dando a Ireena la possibilità di scappare. Avrò bisogno di abbandonarmi un bel pò, ma ne vale la pena.

Proprio nell'istante in cui inizio a lasciare il braccio di Gant mi circonda la vita, stringendomi a lui. "Da questa parte". Le dita della sua mano si chiudono sull'elsa della mia spada. "Questa non te la tolgo", aggiunge poi, con un sussurro molto vicino al mio orecchio, "ma tu non la toccare". Le parole scandite dalla sua voce profonda mi entrano nell'orecchio come macigni e mi arrivano dritte nel cervello provocandomi un fastidio senza pari. Il Camerlengo sfugge al tiro della mia lama e ci precede lungo le scale da cui è venuto, che conducono a una porta aperta: Ireena è al suo fianco, tenuta rispettosamente per il braccio.

L'ambiente in cui entriamo è molto più caldo: le pareti sono in gran parte coperte di stoffa, così come la porta che viene chiusa alle nostre spalle. L'odore di sterco e topi svanisce, coperto da un effluvio di incenso che mi impedisce di sentire altro.

Gant torna a parlarmi all'orecchio. "Benvenuta", mi sussurra. Il tono della sua voce non mi piace per niente. Sento il suo fiato sul collo, freddo come il mio, e sento che...

... Freddo come il mio.

Inutilmente freddo.




E poi, improvvisamente, capisco. Capisco tutto. Capisco perché Giada, perché il Castello di Seta, perché... perché siamo qui. Ireena.

E'... è peggio di quanto pensassimo. Ed è doppiamente mostruoso se penso che a Uryen lo sapevamo fin dall'inizio. Barun, poi Logan, magari, oppure il gruppo di Greyhaven... O forse... forse noi tutti avremmo potuto saperlo fin dall'inizio, e abbiamo semplicemente preferito non pensarci, chiudere la mente, nascondere l'evidenza dietro un castello di sassi... di seta.

Soprattutto io, più di chiunque altro.

Devo giocarmela bene. Devo scegliere il momento giusto e non sarà facile: non devo farmi mettere quelle catene. Ma soprattutto non devo fargli capire che ho capito, sono certa che non aspetta altro. Come faccio? Come faccio? Non sono capace...

Mi porto le mani alla vita e slaccio la cintura che regge la spada. "Questa non mi serve, giusto?" Gant annuisce soddisfatto. Forse non sono in grado di non fargli capire che ho capito, ma posso fargli credere che ne ho bisogno. Che questa empietà che hanno architettato serve anche a me, proprio come a lui. In fondo... In fondo è quasi vero. E poi, un istante prima... o nel peggiore dei casi, durante... potrò cogliere il momento giusto per agire.

"Scommetto che hai un'altra arma", mi dice.

Annuisco: mi chino ad estrarre il pugnale dallo stivale, quindi glielo porgo. Quando sarà il momento, lo farò a mani nude.

Il Camerlengo e Ireena raggiungono una porta, che lui apre con un corposo e pesante mazzo di chiavi che porta appeso alla cintura: chissà se una di quelle apre la porta della cella di Padre Mansell. Ireena mi guarda interrogativa: non ha ancora capito. Lui ci fa cenno di entrare, quindi mi guarda con occhi da pazzo... Perché solo un pazzo potrebbe avere una brama del genere. Un pazzo, o una persona che sa molte cose... ad esempio, di non correre alcun rischio.

"Sono venuta per parlare della Mantide", esclamo un attimo prima di entrare. "Ci sono delle cose che devo sapere".

"Oh, ne parleremo", risponde lui con un sorriso. "Eccome, se ne parleremo".

Poi entro, e improvvisamente vengo avvolta da un odore che ero appena riuscita a dimenticare, un odore che neppure il muro di incenso che questo figlio di puttana ha eretto riesce più a nascondere alle mie narici. Al mio cervello.

E capisco che siamo fottute.




scritto da Annie , 05:29 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
16 Settembre 517
Mercoledì 6 Settembre 2017

Come tempesta d'estate



16 Settembre, ore 02.24

[...]

"Ram, che facciamo?" La voce di Garruk esce come un rantolo: era un bel pò che non lo vedevo così provato da uno scontro.

"Continuiamo così, non diamogli tregua: non può tenere questo ritmo a lungo!".

Lo spero davvero: combattere in queste condizioni è estenuante. Se solo non fosse così dannatamente veloce, le poche volte che riusciamo a vederlo... Maledizione, se almeno la gamba non mi facesse così male. Dai Ali, non puoi mollare ora: ci sarà tempo dopo per riposarti, adesso hai una testa da staccare.

[...]




13 Settembre 517, ore 20:15

Quello che è accaduto stasera ha dell'incredibile: se non avessi assistito in prima persona, con i miei occhi, dubito che ci avrei mai creduto... ma andiamo con ordine.

La partenza di Giada ha avuto un forte impatto sull'umore di tutte noi: nessuna affronta l'argomento in modo diretto, ma è evidente che la tensione si fa più forte ogni giorno che passa. Non siamo abituate a non ricevere notizie fresche dal fronte, ma stavolta è diverso: il silenzio è totale, come se il plotone fosse svanito nel nulla, inghiottito dalle spire del vento sabbioso che soffia con forza al di là del Traunne.

Ciascuna di noi vive la cosa in modo diverso. Mira si sfoga mordendosi le nocche: lo fa per brevi istanti, quando nessuno la guarda, facendo ben attenzione a non andare troppo a fondo; l'ultima cosa che vuole è un ricordo duraturo del suo nervosismo. Al di là di questa comprensibile reazione emotiva è la più misurata di tutte noi: conosce abbastanza bene Sven Herzog, il soldato più anziano e più capace del gruppo, e ha buone ragioni per fidarsi di lui; ci ha più volte ripetuto che Giada è in buone mani, così come lo sarebbe stata chiunque di noi. Non stento a crederlo... sembravano brave persone.

Zyra reagisce tirando di spada: non riesce a capacitarsi che non abbiano scelto lei. In realtà, con il carattere che si ritrova, sarebbe stata la meno adatta... Lei fu l'unica a contestare la scelta di offrirsi tutte come volontarie: voleva che facessimo un passo indietro, ce l'ha messa tutta per sacrificarsi al posto nostro. Quando fu il momento, arrivò persino a contestare Kalina per averci fatto quel discorso che ci ha così tanto motivate.

Kalina... la nostra guida, la nostra protettrice. Posso solo immaginare quanto questo silenzio possa essere doloroso per lei, eppure dal suo viso perfetto non traspare nulla: la sua tempesta di tensioni, rimorsi e rimpianti ruggisce nel nulla che riesce a creare dentro di lei, lo stesso che le consente di non sentire il dolore fisico e celare qualsiasi emozione. Ma persino lei non è onnipotente: la sua preoccupazione per Giada traspare più di quanto vorrebbe. Mi chiedo se si sia pentita di averci motivate a quel modo, il giorno in cui i soldati vennero a reclutarci: di averci detto che quella missione era fondamentale, che non soltanto il suo esito ma la vita stessa di quegli uomini era nelle nostre mani, nelle mani della sirena che avrebbero scelto. Conoscendola, so per certo che avrebbe davvero essere lei: eppure ha scelto di non imporsi, confidando nelle capacità di scelta di quel gruppo di uomini e donne e condannandosi a questa interminabile attesa. In queste ultime settimane si è dedicata ad assistere il Caporal Maggiore Ali Shark, che ha concluso la sua convalescenza alla fine di agosto: l'ho vista persino scambiare qualche parola con una paladina di Pyros, June Vogel. Un rischio notevole, per una come lei. Ma Kalina è fatta così, non ha paura di nulla: più il pericolo è grande, più crescono le sue capacità.

Poi, stasera, è successa una cosa molto strana. Poco dopo il tramonto, a una manciata di minuti dalla consueta apertura della capasanta. Io e Teegan stavamo piegando alcune lenzuola quando abbiamo sentito chiamare. Era un soldato di Uryen, uno dei tanti che viene spesso a cercare conforto qui: il suo nome è William, William Deed. Lo so perché ho una buona memoria, faccio del mio meglio per ricordare i nomi degli ospiti con cui abbiamo a che fare. Nel suo caso era ancora più semplice, visto che il suo nome era stato citato spesso negli ultimi giorni come protagonista di alterne prodezze al di qua e al di là del fiume.

La maggior parte dei soldati che viene qui finisce per affezionarsi a una di noi, nella maggior parte dei casi la prima che prova... o che trova. Lui no, è uno di quelli che ha voluto provare tutto, e stasera era venuto a pretendere l'unica che non aveva ancora potuto avere. Gridava a gran voce il suo nome, affermando di avere dell'oro e di voler entrare nella stanza dell'oro. Di lì a poco eravamo tutte affacciate, cercando di capire le sue intenzioni. Poco dopo è uscita Zyra, brandendo la spada per il fodero e intimandogli di tacere. Era prevedibile: della stanza non si deve parlare, lo sanno tutti. Specialmente con una paladina di Pyros che vive nei paraggi.

Il soldato si è avvicinato a Zyra e, con forza e velocità pazzesche, l'ha colpita con uno schiaffo, sbattendola al suolo. Poi l'ha bloccata con lo stivale, schiacciandola a terra e continuando a chiamare Kalina a gran voce. Ho l'oro. Voglio entrare nella stanza. Mostrati e non le farò nulla, altrimenti... A quel punto Teegan è corsa via, diretta verso l'uscita del retro, pensando che fosse meglio andare a chiamare Varchmann. La situazione è rimasta ferma per una manciata di secondi, quindi Kalina è uscita. Ha cominciato a parlare con il soldato, riuscendo a calmarlo e a convincerlo a liberare Zyra. Poi gli ha chiesto di seguirla, prendendolo per mano e portandolo verso una delle porte. Verso la stanza.

A questo punto, sono certa che vi chiederete dove si trovi la cosa strana nel mio racconto. Non si tratta del primo soldato o avventore che picchia e minaccia una di noi: prima o poi è successo a tutte, Kalina compresa. Siamo sopravvissute a una guerra, se c'è una cosa che abbiamo imparato a fare è incassare. La cosa strana è quello che è accaduto dopo. Eravamo tutte certe che Kalina avrebbe raccontato tutto a Varchmann e che la vicenda si sarebbe conclusa come di consueto: una gamba rotta, un dito mozzato, o magari qualche settimana di "distaccamento speciale" al porto... Invece no, niente di tutto questo. Eravamo presenti tutte quando Kalina ha detto a Varchmann che era tutto a posto, che non era successo niente. E mentre lo diceva, con tono fermo e rassicurante, il suo sguardo non lasciava dubbi su cosa bisognasse fare: non una parola, nessuna di noi.

Varchmann non sembrava convinto. Dava l'impressione di essere molto contrariato del fatto che suo cugino Ork non avesse visto nulla, nonostante si trovasse di pattuglia proprio lungo la strada che porta alle case: il soldato William doveva essergli passato proprio sotto il naso. Quando si è allontanato, Kalina ci ha spiegato il motivo di questa sua decisione. Ci ha raccontato che quel soldato, William non è normale: che rappresenta un serio pericolo per tutte noi. Infine ha allentato la fascia di seta che le stringe la veste alla vita, e ci ha mostrato quello che le aveva fatto. "Non vi preoccupate", ha aggiunto, vedendo i nostri sguardi esterrefatti: "guarirà presto". A quel punto Zyra non si è potuta trattenere e le ha chiesto come mai abbia rifiutato l'aiuto di Varchmann. Kalina le ha risposto che con quelle persone non bisogna cercare lo scontro finché non si è certi di poter prevalere. Non ero pronta, ha quindi aggiunto prima di congedarsi: la prossima volta lo sarò. Prima di lasciarci si è fatta promettere di stargli alla larga e che, nell'improbabile caso di un suo ritorno, saremmo corse a chiamarla senza indugi.

Lo abbiamo promesso tutte, anche se Teegan mi è parsa un pò risentita: è normale, lei è qui da poco... non conosce ancora Kalina bene come noi. Dal canto mio non ho dubbi: se c'è una persona che può gestire al meglio questa situazione è senza dubbio lei.

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- Laara Vintemberg -



16 Settembre, ore 02.27

[...]

"Ma siete sicuri che sia uno, si? Perché io ne vedo sempre di più..."

"Lo stregone ha detto che quello vero è uno: tutto sta a trovarlo".

Facile a dirsi, il problema è che non si vede un cazzo. "Quelli finti non fanno ombra", urlo mentre tiro un fendente all'ennesimo simulacro. Il problema è che le ombre le facciamo noialtri, poi con questa luce ridicola c'è poco da capire.

"Ce l'ho io!" urla Roy, subito dopo averlo colpito al piede con la lancia. Garr è troppo lontano, ma io e Ram siamo a due passi. Un attimo dopo lo attacchiamo in tre: Roy finta un secondo colpo e assesta una spallata, Ramsey punta a intralciargli le gambe; a me spetta il compito più gratificante. Impugno Ametista con entrambe le mani e la sollevo in alto: aspetto che si copra la testa e poi la spingo giù, disegnando un rapido cerchio che si conclude con un montante dal basso. Per la testa c'è tempo, adesso è la tua zampa che voglio!

Il colpo va a segno: vorrei avere il tempo di contemplare maggiormente quell'artiglio mozzato che intravedo appena, ma se non mi tolgo subito di mezzo finisce male.

"Tre contro uno e non riuscite a stenderlo?" Ruggisce Garruk, correndo verso di noi. Non fa in tempo: in un attimo lo stronzo è addosso a Roy, conficcandogli l'artiglio ancora sano appena sotto al braccio sinistro. Ha una velocità pazzesca, irreale. Roy urla di dolore, come se l'anima gli venisse strappata dal corpo: poi crolla al suolo, proprio come gli altri. Maledizione! Aveva già preso un colpo prima, proprio lì. Lo stronzo deve averlo fatto apposta... non avrà mica centrato il giunto?

Roy rotola a terra, privo di sensi: non resta che sperare che questa testa di cazzo non sia contagiosa, altrimenti domani ci risveglieremo tutti.

[...]






14 Settembre, ore 17:41

"Davvero te l'ha fatto quando..."

Quando faccio cenno di si col capo, Astor scuote la testa. "E tu non gliene hai dette subito quattro? Guarda che non è mica uno scherzo..."

"Dai, è solo un morso..." Mi vergogno quasi, a minimizzare la cosa: probabilmente non dovrei, ma davvero lì per lì non mi era sembrato niente di che.

"Un morso! E ti pare normale? Guarda che se non ti fai rispettare tu, loro non ti rispetteranno mai..."

"Ahia!" Doloredoloredolore... Ma che c'è in quella boccetta, acido al peperoncino?

"Tiè, guarda che roba: non mi stupisce che sia un avanzo di galera!" Astor contempla le mie ferite per qualche secondo, quindi riprende a medicarmi, intingendo nuovamente il pennello in quell'ampolla piena di tintura giallastra.

"Ahia..."

"Ma smettila, che adesso non ti ho neanche toccata. Scommetto che quando quello ti prendeva a sberle non fiatavi neppure..."

"Beh, a dire il vero..."

Rido, poi ride anche lei. Astor mi sta davvero simpatica, avrei voluto conoscerla prima: è qui in infermeria soltanto da qualche settimana, ma ha già conquistato tutti i soldati. E' la figlia del tenente di vascello Kraven e, a quanto ho capito, fa parte del suo equipaggio. Dicono che parli anche la lingua degli Elsenoriti... Mentre continua a curarmi parliamo del più e del meno: mi chiede se ho notizie di Angelica, la nostra cuoca tuttofare, e io colgo l'occasione per spiegarle la mia teoria: una fuga d'amore con Heinrich, la sua guardia del corpo personale. Ridiamo ancora. Chissà se è fidanzata, chissà se c'è qualcuno che le piace. Non siamo ancora abbastanza in confidenza per farle questo tipo di domande... meglio aspettare: nel frattempo direi che è il caso di capire se sono fidanzata io, oppure se si è trattata di... com'è che si dice in questi casi? una botta e via?

Bah, e dire che fino a due giorni fa non mi piaceva per niente. Poi, verso la fine di quella festa... boh, che ne so. Fatto sta che ci ho pensato per tutta la notte: poi il giorno dopo, proprio quando ero riuscita a togliermelo per bene dalla testa, mi si avvicina ancora. Cominciamo a parlare in mezzo agli allenamenti, poi mi guarda in modo strano, e prima di salutarmi, a fine giornata, mi indica nuovamente la casetta di Ann... ehm, la casetta in cui alloggia. "Ti aspetto".

Ma che cavolo vuol dire, ti aspetto? Che frase è? E soprattutto, perché ci sono andata? Non sono davvero il tipo di ragazza che si imbarca in questo tipo di storie frettolose e... Beh, fatto sta che ci sono andata: a momenti neanche ho fatto in tempo a bussare: mi ha letteralmente trascinata dentro, con una forza pazzesca e una frenesia da togliere il fiato. Quello che è successo dopo, beh... So solo che non mi era mai capitato niente di simile! Sarà durato una, forse due ore: alla fine siamo dovuti scappare via di corsa, altrimenti se ne sarebbero accorti tutti! E' stato così... intenso, che quasi non mi sono accorta di tutti questi segni che evidentemente mi ha fatto. Eppure, nonostante tutto, fanno un male cane! Questa notte ho dormito malissimo, nonostante il bel ricordo e le interessanti prospettive. Per non parlare degli allenamenti di oggi... ho stretto i denti per tutto il tempo! E adesso eccomi qui, che non aspetto altro che uscire da questa stanzetta che odora di olio disinfettante per...

... per capire come funziona adesso, suppongo. Oggi William non s'è visto: il sergente ha detto che aveva da fare con il terzo plotone, ma secondo me non era la verità. Ho paura che possa avere avuto una giornata no, come quelle che aveva Annie... O magari è colpa mia che... No, Charlie, ma che vai a pensare? Il mondo non gira mica tutto intorno a te! Vedrai che quello che è successo ieri non c'entra niente. Adesso la cosa migliore da fare è farsi almeno un'oretta di riposo e poi, magari, vedere se si fa trovare a cena. Non diventare petulante: fatti desiderare.

Tuttavia, le gambe non sembrano essere molto d'accordo: si muovono da sole, verso quella che era la stanzetta di Annie, come se non sopportassero l'idea di farmi sprecare l'occasione di rendermi ridicola prima di cena. E va bene, mi arrendo: farò come dite voi!

Il minuscolo vialetto che porta alla casetta è deserto. Al tempo stesso, è talmente vicino alla Rocca che quasi certamente qualcuno mi vedrà: pensaci bene, Charlie, davvero vuoi farti ridere dietro da tutto l'esercito di Uryen? Non ti è bastata la volta in cui ti sei offerta di organizzare Mister Tramontano? Bah, problemi loro: come diceva la mia saggia nonna, chi non ti sopporta oggi non ti sopporterà mai, quindi tanto vale fregarsene. Il che, peraltro, è in aperto contrasto con la mia rivalutazione di William... Insomma, comunque la si guardi resto una cretina.

"William?" Chiamo a bassa voce, una volta raggiunta la porta. Nessuna risposta. Provo a bussare... niente. Gli scuri alle finestre sono tirati, sembra proprio che non ci sia nessuno. Poi mi ricordo che ce n'è uno con il gancetto rotto: ci ho fatto caso ieri, quando ero... insomma, quando ero dentro. Mi ero fissata a guardare la luce che filtrava. Charlene, so perfettamente a cosa stai pensando, ed è davvero una pessima idea! Lo so, nonna... ma non è colpa mia: le braccia si muovono da sole! e poi, William potrebbe stare male come Annie, magari ha bisogno di aiuto... Ma chi vuoi prendere in giro: vuoi solo curiosare, ficcare il naso, magari farti trovare dentro... Si, ok, sono colpevole, penso mentre applico una serie di spinte strategiche finché lo scuro non si convince ad aprirsi.

CRASH!

Il rumore improvviso mi fa sobbalzare... poi, con orrore, realizzo quello che è successo. Cacchio... la piantina! Me ne sono totalmente dimenticata! Stupida, stupida Charlie!

E vabbè, ormai è fatta: in men che non si dica, sono dentro, tra cocci e mucchietti di terriccio. Devo assolutamente provare a ricomporla in qualche modo, prima di andarmene...

Mi guardo intorno: e così qui è dove vivono gli Angeli di Uryen: è almeno la terza volta che ci sono stata ma così, da sola e di sera, fa tutto un'altro effetto. Una scrivania, due sedie, un baule, un letto... e adesso un vaso rotto. Nel baule ci sono i vestiti di William, mentre la roba di Annie è stata spostata in una specie di mucchietto in un angolo. Ieri sera non ci avevo fatto proprio caso, ma sembra che William l'abbia riposta molto accuratamente. Mi chiedo dove sia Moffy, visto che Annie lo aveva lasciato qui. Forse sotto il letto? Mi chino a guardare e, in effetti, vedo che c'è un pò di roba pure lì: vestiti appallottolati, si direbbe. Li prendo, ma di Moffy nessuna traccia. I vestiti sono femminili: altra roba di Annie, suppongo... un completo che non penso di averle mai visto addosso, decisamente più carino e femminile di qualsiasi altro abito che mette di solito. Nel piegarlo, capisco perché: è sporco di sangue in più punti. Poverina... Chissà che cosa deve aver passato, nelle tante notti solitarie che ha trascorso qui. Mentre lo ripongo, quasi mi uccido inciampando sul vaso rotto... No, non sul vaso, bensì sulla trave di legno che dev'essere saltata a seguito della sua caduta. Cavoli, Charlie, stai qui dentro da tre minuti e l'hai quasi demolita, questa casa.

Poi vedo che sotto alla trave c'è qualcosa. Altri vestiti, a quanto pare. In pessime condizioni, si direbbe... e poi...

No.

Sento il sangue ghiacciarsi nelle vene, mentre osservo le tracce scure che quei brandelli di stoffa umidicci lasciano sulle mie mani. Fuori ormai fa quasi buio, ma mi sembra proprio...

Cazzo!

Improvvisamente ricordo dove ho già visto quel vestito: non è di Annie, porca puttana!

Ho bisogno di luce: devo controllare, devo esserne sicura. Mi alzo, getto a terra gli stracci insanguinati e mi precipito verso la lanterna sulla scrivania. Quando la accendo, e torno a osservare la zona intorno alla trave, mi sento morire.

No... oh Dèi, no...

Poi, con uno scatto, la porta si apre dietro di me.

"Che significa?" domando, con voce tremante. Non serve girarmi, so benissimo chi è.

"Stà calma", mi sento rispondere. "Non è come pensi".

"E com'è, allora? Perché hai..."

"Siediti e ti spiego. Mi fai spiegare, almeno?". La sua voce è calma, impassibile... completamente diversa da quella di ieri.

"Non posso... Devo.. devo andare, adesso". Le parole mi escono a caso, dettate dalla paura per quello che ho appena visto. Non posso restare qui: devo dirlo a qualcuno.

"Siediti, ho detto..." La sua voce è cambiata ancora: ha un tono suadente, accondiscendente. Forse è davvero come dice, forse dovrei ascoltarlo. Eppure non c'è un'oncia del mio corpo che non mi spinga a correre il più lontano possibile da questa stanza.

"No, no... NO!" Faccio per uscire, ma lui mi blocca la porta. Mi giro verso la finestra e lui, con un balzo fulmineo, mi è alle spalle. Provo a urlare, ma lui mi tappa la bocca. E' fortissimo, maledizione... Pensa, Charlie, pensa: cosa farebbe Ali? Mi viene in mente quello che ho in mano, poi lo sguardo mi cade sulle tende che ondeggiano proprio davanti a me: posso farcela. Colpisco il mio oppressore con il gomito con tutta la forza che ho, poi approfitto di quell'istante per lanciare la lanterna. Avanti, avanti... Il vetro si frantuma in mille pezzi, mentre l'olio infiammato lambisce la stoffa. Ce l'ho fatta, penso. Ce l'ho fatt...

Bes-Vas, replica lui, subito prima di tornare a ghermirmi: e di colpo tutto si spegne.

"Perché?" domando invano, mentre una coltre di tenebra si chiude intorno a me.



- Charlotte Zwein -



16 settembre, ore 2:32

[...]

"Ti ho preso, stronzo!" Garruk esulta, mentre la sua ascia trancia la gamba del nostro avversario all'altezza del ginocchio. Ancora una volta, la medesima scena si ripete su tutti i simulacri che ancora ci circondano: assistere a un tale prodigio alla luce della luna fa un effetto strano... sembra davvero di essere in un racconto del Khal-Valàn.

Il nemico urla di dolore, un rantolo strozzato che non ha più nulla di umano. Poi, ancora una volta, spicca il volo, portandosi dietro buona parte delle sue illusioni. Sorrido: era proprio quello che stavamo aspettando. Vasq scocca la freccia che stava tenendo in serbo sopra all'unica macchia d'ombra sparata al suolo dalla luna, colpendolo in pieno all'altezza del collo: un secondo urlo, stavolta molto più acuto, riempie la notte.

Come sempre, non abbiamo tempo di esultare. "Attento, Vasq!" Urla Ram, mentre si getta a copertura del nostro compagno mentre due sagome scure saltano fuori dall'oscurità della foresta. Grandissimo figlio di una gran troia, ci tiri addosso persino i Risvegliati! Ram riesce a prenderne uno, ma l'altro è più veloce: assisto impotente mentre Vasq viene sbattuto a terra, tentando invano di sguainare la spada.

"ANTAAAAAAR!!" Grido a squarciagola, mentre corro all'impazzata verso il mio compagno. Un grido inutile, visto che siamo già tutti qua: Roy è in una pozza di sangue, i soldati che ci siamo portati sono a terra, l'Angelo Nero e gli altri eroi di Greyhaven si stanno facendo le seghe chissà dove e come al solito tocca a noi. Colpisco l'Hunter con gli occhi iniettati di sangue, brandendo Ametista come se fosse una clava: mentre i frammenti della sua testa di cazzo mi rimbalzano sull'armatura penso a quegli incapaci dei soldati di Angvard e merdecani dell'Armata del Corno che giuravano e spergiuravano che nessuno poteva controllare i Risvegliati, vorrei che venissero qui ora a toccare con mano quello che stiamo vivendo noi.

Vasq è ancora al tappeto. "Stai bene?" Grido nella sua direzione, mentre torno in direzione dell'ospite d'onore. Lo vedo rialzarsi con la coda dell'occhio: meno male, a quanto pare sono arrivata in tempo.

"Dove sta il pipistrello?" Chiedo a Ram e a Garruk, intenti a scrutare il cielo.

"Lo vuoi sapere davvero?" Mi risponde lui, puntando l'ascia da una parte.

"Oh, cazzo..."

[...]




15 settembre, ore 19:21

"Penso che lo stregone abbia ragione: non può essere andato lontano, le tracce sono ancora fresche".

A quanto pare sono tornato ad essere "lo stregone". Fino ad oggi il terzo plotone si limitava a chiamarmi così soltanto in mia assenza: un segno di rispetto, malgrado tutto, per gli obiettivi e i traguardi faticosamente raggiunti insieme. Temo ahimé che le tristi e sanguinose vicende recenti abbiano incrinato irrimediabilmente il nostro rapporto. Non che mi senta di dar loro torto, intendiamoci: riconosco che è ben difficile immaginare un diverso responsabile degli ultimi eventi occorsi... a parte il loro autore, naturalmente. Tra i tanti errori che ho commesso vi è stato quello di sottostimare grandemente il contributo che avrebbe avuto lo Yoki a tutti i livelli: mi aspettavo una versione molto più forte, selvaggia e incontrollabile di Annie, ma questo livello di perversione e squilibrio mentale era al di là di ogni possibile previsione.

Poche ore fa, seguendo le sue tracce, abbiamo trovato il "cimitero" dove William ha sepolto tutte le sue vittime: Angelica Beidenn, Henrich Koch, Charlotte Zwein, una prostituta delle Case della Gioia di nome Teegan Kay, più i due uomini di fiducia del Burgravio incaricati di sorvegliarlo a vista. Tutti uccisi negli ultimi 3 o 4 giorni, nel silenzio più assoluto, con una perizia nell'esecuzione degna dell'Uomo senza Volto di Ghaan. La follia dev'essersi insinuata nella sua mente durante la sua prima e ultima prova sul campo, probabilmente per colpa di un abuso reiterato dei suoi poteri, ancora troppo acerbi: si è sopravvalutato oltre ogni possibile limite, dimostrando di non avere alcun autocontrollo. A nulla è valso avvertirlo, farlo parlare con l'Angelo Nero, affidarlo alle cure di soldati esperti: era un inguaribile inetto, e tale è rimasto fino al momento di perdere totalmente alla sua umanità. La verità è che non mi aspettavo che sarebbe successo così presto: persino io non avevo idea che avrebbe fatto l'esatto opposto di tutto quello che gli è stato detto, che sarebbe diventato un simile pazzo assassino. O forse, ed è la cosa che più mi addolora, dentro di me sapevo... e avevo comunque bisogno di misurare le profondità di questa follia.

La maggior parte dei cadaveri è stata parzialmente divorata. Quelli di sesso femminile, a quanto mi è stato riferito, sono stati anche oggetto di violenza: è probabile che William, ormai preda dei suoi incubi e deliri, abbia provato a placare l'appetito insaziabile che sentiva in ogni possibile modo che gli è venuto in mente. Chissà cosa pensava, quando prendeva quelle vite... Chissà se la sua mente era ancora sua, se pure irrimediabilmente compromessa, ovvero sotto il controllo di chissà quale influsso ancestrale.

Temo che non lo sapremo mai: parte dello squadrone dei Predatori del Tenente Ramsey sta per mettersi sulle sue tracce con l'ordine e l'intenzione di farlo a pezzi. Barun vorrebbe impiegare altri uomini, ma non ha intenzione di tollerare l'idea che possa fuggire: sfortunatamente, l'intero squadrone di Greyhaven si trova attualmente presso la zona di Cantor. Quanto a me, ho chiesto invano di poter andare: se anche fossi in grado di tenere il passo dei loro cavalli, Ramsey non mi vorrebbe mai insieme a loro. L'unica cosa che mi hanno concesso di fare è stata fornire a Vasq un piccolo aiuto, nella speranza che possa servire a qualcosa: avrei voluto fare molto di più, ma la realtà è che stavolta ho davvero fatto troppo.

Luger - Immagine

- Luger -



16 settembre, ore 02:33

[...]

"Secondo voi sono vere? O è la solita presa per il culo da stregone?"

Scuoto la testa: non ne ho proprio idea. Certo è che da questa distanza, alla luce della luna sembrano reali.

"Torna qui, Deedo! Voglio giocare con te!" Temo che urla di Garruk non serviranno a molto, se non ad attirare qualche altro Risvegliato: non sembra che il nostro amico abbia intenzione di tornare qui.

"Se non altro non sembra in grado di spostarsi lateralmente", commenta Ram.

E' così: va solo su e giù, come quando non aveva quelle ali ridicole. Forse sono davvero finte, un'illusione come quasi tutte le altre cose che ci ha tirato addosso nelle ultime ore. Purtroppo, quella specie di artigli che hanno preso il posto degli arti e con cui ha squartato i nostri compagni sono fin troppo veri. Figlio di puttana, te la sei presa persino con le donne innocenti e con le ragazzine. Non ti bastava vomitare ogni giorno nel piatto che ti nutriva, hai dovuto persino uccidere chi te lo preparava. Non esiste al mondo che ti faremo volare via da qui, dovessi venire a prenderti io stessa.

Mi guardo intorno, approfittando di questa pausa irreale: quattro soldati di Uryen, gli unici ancora in piedi, che osservano una specie di tafano umanoide che libra a non meno di trenta metri d'altezza. La zona intorno a noi sembra tranquilla, adesso: forse non ha più Risvegliati da chiamare. Forse, dopo tutto il potere che ha speso e i danni che ha preso, anche lui è giunto al limite. Sempre che ce l'abbia, un limite. Che gran stronzo. Se soltanto quel giorno in cui l'ho riempito di botte non mi fossi fermata... Ma non è il momento di recriminare: è tempo di distruzione.

Ram guarda Vasq, chiedendogli se è pronto: Vasq annuisce. Entrambi tendono l'arco e cominciano a prendere la mira. "Inizio io", dice Ram. Scocca una freccia, poi un'altra, poi un'altra ancora: il mostro continua a fare fare su e giù, fluttuando nell'aria. Vasq resta in silenzio, studiando le pause, i cambi di traiettoria e di velocità. Ancora un'altra, dice: cerca di prenderlo al bersaglio grosso. Ram scocca ancora, Deedo va su. Ancora una. La freccia parte, Deedo va giù. Ancora una... Poi, subito dopo Ram, scocca anche lui: un proiettile enorme, lunghissimo, che tutto sembra tranne che una freccia. Ecco perché ha dovuto cambiare arco. La saetta si innalza verso il cielo, quindi si incendia a mezz'aria: trattengo il fiato. Il tafano cerca di evitarla in tutti i modi, ma neppure lui può alterare le forze che governano il suo stesso volo. Il dardo lo trafigge a mezz'aria, colpendolo in pieno petto: poi, un istante dopo, esplode.

Lo spettacolo è notevole, ma nessuno di noi ha davvero voglia di esultare: è ben altro, quello che ci va di fare. Osserviamo pazienti di vedere dove cade, poi ci incamminiamo a passo svelto verso il luogo dell'atterraggio. Contempliamo con tacita soddisfazione il corpo bruciacchiato che si alza lentamente.

La frase di Ram è tombale: "Non posso sopportare di vedergli addosso la nostra armatura". Garruk non se lo fa certo dire due volte: prima lo colpisce bene sulla gamba sana, così da assicurarsi che non gli venga in mente di zompettare via: poi su entrambe le braccia, tanto per evitare che possa nuocere. Quindi procede.

A guardarlo così, non fa certo paura: un povero mentecatto tremante e nudo come un verme. Questa è l'immagine di te che voglio imprimere nella mia memoria, William. Il resto non tarda ad avere luogo: nessuno di noi ha voglia di rischiare che si rigeneri, che ricorra a qualche stregoneria o che cacci l'ennesimo urlo per chiamare aiuto. Lo facciamo a pezzi metodicamente, fino a quando neppure Garruk riesce a trovare più nulla di buono da tagliare.

"Dite che lo stregone ci resterà male? Non sarà facile studiarlo, così..."

"Adesso ci piscio sopra, così se gli viene in mente di farlo mi diverto pure io".

Osservo il rituale, senza particolare emozione. Ram e Vasq si allontanano. Raccolgo una torcia da terra. Siamo stanchi morti, ma dobbiamo recuperare i nostri compagni: per ogni secondo che perdiamo c'è il rischio che qualche brocco fuori zona pensi bene di affondare i denti nel collo di uno dei nostri compagni privi di sensi.

Poi vedo qualcosa che proprio non mi piace. "Ram, c'è qualche problema?" Nessuna risposta. Perché vi state zitti? Avvicino la torcia al collo di Vasq e lo vedo, definito e inequivocabile: con quello degli Antar non ti puoi proprio sbagliare. L'orrore pazzesco e assoluto.

No, no...

Non so cosa dire, ho le lacrime agli occhi. Non sono arrivata in tempo. Non sono...

"Ali, non è colpa tua...".

Certo! Certo che è colpa mia. Tutta questa maledettissima storia è colpa mia. Ce l'ho avuto davanti al naso per quindici giorni e non mi sono accorta di nulla, l'ho visto che faceva lo stronzo con Charlie e non ho fatto niente, e poi come cazzo ti viene di metterti a tirare con l'arco da solo con le spalle agli alberi, Vasq! Come ti permetti di farti mordere così, come una fottuta recluta a due metri da noi.... Ti odio, mi stai sul cazzo, questa non me la dovevi fare. Lui mi stringe forte, poi mi ricorda che abbiamo ancora tanto da fare. Altri soldati da mettere in salvo, per non far sì che possa diventare troppo tardi anche per loro. "Và da Roy", mi dice. "Non perdiamocelo di nuovo".

Annuisco. Ma è proprio lì, a pochi passi, che mi attende l'ennesimo incubo. Ram è chino su di lui, le ginocchia affondate nel sangue, la mano serrata a pugno che preme contro la ferita al collo, come a volergli tenergli dentro l'anima a forza.

"Portami una torcia, Garr".

"È inutile, Ram. È..."

"Portami una cazzo di torcia!"

L'esclamazione di Ram è seguita da un tuono, che prelude alle prime gocce di pioggia. Mentre costringo i miei piedi ad avanzare verso gli altri miei compagni mi viene da pensare che forse stavolta le cazzate sono state tante e tali da far rammaricare qualcuno persino lassù.

Una cosa è certa, dopo stanotte non saremo più gli stessi.



- Ali Shark -
scritto da AA. VV. , 15:37 | permalink | markup wiki | commenti (0)
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