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13 maggio 518
Venerdì 30 Maggio 2025

Il Colpo del Piccione



Il cielo ruggisce sopra le nostre teste, imbrattando di pioggia e bagliori dorati le pietre nere che delineano il perimetro della rocca.

Quante altre volte lo abbiamo sentito urlare così, Ali?

Mi torna alla mente quella sera d'aprile, quando, di ritorno da un pattugliamento lungo le rive opposte del Traunne, un acquazzone torrenziale ci colse di sorpresa. Il cielo, fino a poco prima terso, si oscurò repentinamente, e le prime gocce si trasformarono in una pioggia battente che sembrava volerci schiacciare al suolo.

"Chi arriva ultimo paga da bere a tutti!", gridasti all'improvviso, rompendo il silenzio che ci avvolgeva. Un attimo dopo, Roy, Vasq, Dunc e io ci lanciammo in una corsa sfrenata, incuranti del peso delle armature fradice e delle cascate d'acqua che ci avvolgevano... E tu subito dietro, disposta a tutto pur di non perdere il passo. Ricordo il suono delle risate che si mescolavano al rumore degli stivali sull'erba bagnata, mentre la guerra per un attimo sembrava lontana, quasi irreale. Eri con noi da pochi mesi, ma eri già diventata nostra sorella.

Ma la guerra non si è mai allontanata davvero: è rimasta con noi per tutto questo tempo. Mutando più volte le sue sembianze, come una creatura delle leggende antiche, ma restando sempre molto, molto reale. La guerra degli uomini, dei demoni e degli dèi. Contro i Risvegliati, gli Innalzati e il Signore di Ghaan. Fino a prendersi più volte gioco di noi, trasformando in alleati i nostri più acerrimi avversari e in traditori coloro che pensavamo fossero venuti a combattere al nostro fianco... Strappandoci dal petto un pezzo di anima dopo l'altro, lasciando al loro posto inutili medaglie.

Il ponte esterno è calato. Ora che la guarnigione è ridotta ai minimi ranghi, la sorveglianza del perimetro grava sulle zanne dei Gran Bovari del Tredicesimo Plotone. Per nostra fortuna si tratta di creature che non conoscono il morbo dei personalismi, delle congiure da corridoio e dei mutamenti di casacca che da sempre corrodono il cuore dell’uomo. Per loro, il mondo si divide in ciò che odora di fiducia e ciò che sa di minaccia. Gli amici e i nemici. E noi, per loro, siamo amici. La loro inossidabile fedeltà, sorda a qualsivoglia ambizione o brama di potere, li rende i guardiani più affidabili su cui queste stanche mura possano contare. La loro ignoranza è la loro forza... E, in giorni come questo, anche la nostra.

Gran Bovaro delle Lande - Immagine 2

Marciamo in silenzio lungo il vialetto di selci che conduce all'ingresso principale della Rocca: fianco a fianco, come ai vecchi tempi. Nessuno fa caso a noi, del resto le armature sono ancora quelle, e a quest'ora il cortile di addestramento e il poligono sono praticamente deserti. Ti ho mai detto che questi blocchi di pietra li abbiamo piantati Ram, mio fratello e io? Eravamo una bella squadra, all'epoca. Prima ancora di essere un soldato, Ram era anche un muratore eccezionale. Ne sono passati di soldati sopra a questi sassi, da allora... Eccoci qua, siamo arrivati. Finalmente a casa.

«Garruk! Sei davvero tu?» La voce che mi raggiunge è quella di Cedric Fry, caporale dell'Esercito di Uryen. Cedric è uno dei tanti Fry: fratello, cugino o forse zio di Barney, Thedor, Carl e almeno altri tre o quattro con lo stesso cognome. Tutti caporali, tutti con lo stesso taglio di capelli, la stessa inflessione nella voce, lo stesso modo di stringere la cinghia della corazza. A volte mi chiedo se non siano stati forgiati in serie, come le lance dell'armeria. Gli unici in grado di distinguerli siamo io, la loro madre e Brad, anche se quest'ultimo solo quando si tratta di riscuotere i debiti che hanno contratto con lui. Brad ha una memoria infallibile per i creditori, meno per i volti.

Cedric ci guarda con un misto di sorpresa e sollievo. Non so se sia felice di vederci o preoccupato per ciò che la mia presenza potrebbe significare.

Annuisco. «Sono io... È passato un pò di tempo. Ci fai entrare?»

Lo sguardo di Cedric si fa serio, quasi dispiaciuto. «Ho... degli ordini...» balbetta. Al suo fianco, un soldato semplice che non ho mai visto mi scruta con aria sospettosa.

Sospiro, guardando le mura annerite dalla pioggia. «Solo finché non spiove: il tempo di sistemare una cosa e non ci vedrai più.»

«Non posso, Garr... lo sai, sono le consegn-»

Fanculo le consegne: il mio manrovescio lo coglie impreparato, facendogli sbattere violentemente la testa contro l'intercapedine tra il muro e il portone. Il compare apre la bocca giusto in tempo per prendersi un cazzotto sui denti, seguito da un altro. Ecco cosa rischia di succedere quando metti alla porta due novellini: Barun non avrebbe mai commesso questa leggerezza.

Il corridoio centrale è proprio come ce lo ricordavamo, gli osceni lavori in muratura per costruire il cesso personale di Orstein Bach di cui mi hanno parlato i miei compagni non sembrano averlo intaccato. Dalle cucine arriva un profumo avvolgente di broccoli e patate, segno che stasera ci perderemo dell'ottimo stufato.

«Garr! Sei tornato?»

Laurel Marten, soldato scelto. Non esattamente la spada più affilata della rastrelliera, è stato promosso una sola volta in sette anni. Gli faccio cenno di fare silenzio: «E' una sorpresa» , gli sussurriamo all'unisono. Annuisce sgranando gli occhi, quindi si allontana fingendo indifferenza. Neanche il tempo di arrivare alle scale e la nostra fortuna finisce di colpo.

«Ma che cazz... Guardie!» Non so chi sia questo nanetto da giardino ma la sua faccia da cazzo mi dice che si tratta di Tom Weiss, il pappone della corte di sir Gadman. Il pensiero che un simile scarto possa vestire il grado e ricoprire il ruolo che fu di Radom Ruud mi fa ribollire il sangue nelle vene. Con un balzo lo raggiungo e lo spingo contro il muro con l'intento di prenderlo a calci una volta a terra, ma lo sgorbio si dimostra più agile del previsto e riesce a restare in piedi. «Guardie! guardie!» continua a strillare, cercando disperatamente di raggiungere le scale. Ma quali guardie, idiota? Sei tu la guardia! Mi avvento contro di lui, riuscendo ad acciuffarlo per la cintola un attimo prima che possa trovare ricovero dietro le alabarde di due soldati che non ho mai visto.

«Lascialo andare, stronzo!» Intima uno dei due.

Fossi matto. «Levatevi dal cazzo o gli spacco la testa». La mia faccia deve essere spaventosa, perché entrambi arretrano di un passo. Grosso errore: io e Ali li carichiamo col nanetto in braccio, così da evitare che ci piantino le alabarde in pancia. La manovra li coglie impreparati: uno dei due perde l'equilibrio e cade all'indietro, l'altro riesce a prendere spazio ma non può impedirmi di afferrargli la gorbia dell'alabarda. Gliela strappo di mano, quindi lo incalzo lungo la scala fino a piantargli un cazzotto in pieno volto. Il compagno però riesce a rialzarsi e a riprendere posizione, e viene subito affiancato da altri due compagni accorsi sulla scena. Due contro tre. Abbiamo visto ben di peggio, non è cosi? Temo che a questo punto mi toccherà prendere l'ascia, il che non è affatto una buona notizia per il nostro gnometto cagasotto Tom Weiss...

«Fermi!», tuona una voce da sopra le scale, che io e Ali non facciamo fatica a riconoscere: è quella del sergente Ivan Reiner, uno dei pochissimi ad aver mantenuto la copertura. Solo adesso ci rendiamo conto che i due soldati accorsi in difesa dei due scagnozzi di Tom Weiss sono due dei suoi uomini, Goze Gozran e Warino Odeschal. Un singolo scambio di sguardi con Ivan è più che sufficiente: ci ha detto culo, Ali... davvero culo.

«Garruk Jagger», esclama Ivan con inflessione solenne, «non so cosa sei venuto a fare, ma da questo momento sei agli arresti con l'accusa di diserzione e crimini contro il Feudo: consegna le armi o saremo costretti a ridurti all'impotenza!». Intorno a noi cala il silenzio: tutti ci guardano, ma nessuno ha il coraggio di intervenire. Alzo lentamente in aria l'ascia, quindi la consegno nelle mani del caporale Gozran.

Ivan intima ai tre soldati che mi fronteggiano di portarmi in cella, per poi far cenno a Tom Weiss di seguirlo su per le scale. «Andiamo a fare rapporto al Comandante», gli dice poi, con tono sufficientemente alto da far sentire anche a me. Molto bene, Ali: adesso sappiamo con certezza che il padrone è in casa.

Gozran e Warino mi si dispongono ai lati, mentre il terzo soldato - l'unico a non essere della partita - si mette dietro di me, puntandomi l'alabarda sulla schiena. Gli altri soldati che erano accorsi a curiosare, persuasi dalla recita del sergente Ivan, si disperdono rapidamente, certi che lo spettacolo sia finito qui. Si sbagliano: non facciamo neanche in tempo a voltare l'angolo del corridoio che porta alle celle che uno schianto tremendo sconquassa le pareti della Rocca, provocando una sorta di terremoto.

«E' soltanto un fulmine», esclama Tom Weiss dalle scale: «tornate alle vostre faccende!». Sorrido: in fondo ha ragione, era soltanto un fulmine: ciò che ignora è l'entità del tuono che lo seguirà.

Non appena giriamo l'angolo Gozran e Warino entrano in azione, colpendo da entrambi i lati il soldato dietro di me. Non appena sento che la punta dell'alabarda perde peso mi giro di scatto e gli assesto due pugni in testa dall'alto: il primo gli fa saltare l'elmetto, il secondo lo manda al tappeto.

«Ah!», esclama Gozran: «il famoso 'colpo del piccione' di Garruk: finalmente lo vedo da vicino!»

Annuisco. «Ringrazia che non lo hai mai visto come lo ha appena visto lui!» Mi fermo un istante a guardarli, lui e Warino: una copertura durata mesi, nel corso della quale avranno dovuto vedere e ingoiare chissà quanta merda, bruciata in un singolo istante... Per non parlare di Ivan. Devo assolutamente mostrarmi degno dell'occasione che mi stanno dando.

Mi riprendo l'ascia, quindi ci dirigiamo nuovamente verso le scale: tutti insieme, coprendoci le spalle come siamo stati addestrati a fare. In questo momento mi sembra davvero di sentire la tua voce, Ali. Cosa avresti detto in questa situazione? «Vediamo di fare in fretta, non voglio certo perdermi quello stufato!» Le parole mi escono da sole, Warino soffoca a fatica una risata.

La concomitanza del temporale e del casino che i miei compagni stanno montando all'Asilo si rivela provvidenziale: i soldati non riescono a capire quello che sta succedendo, cosa che ci consente di riguadagnare le scale senza che nessuno badi a noi. Al primo piano non c'è nessuno, salendo verso il secondo incontriamo un soldato che ci passa di fianco correndo a perdifiato senza neanche guardarci in faccia. Al termine delle scale troviamo ad attenderci il sergente Ivan.

«Tom Weiss è appena andato dal Comandante per informarlo della tua "cattura"», dice sottovoce, indicando il corridoio di fronte a noi. «Se ti sei preso il rischio di venire qui alla Rocca, suppongo che sia arrivato il momento di...»

Annuisco. «E' arrivato. Hai sentito il botto prima, no?»

«Va bene. Appena Weiss esce lo togliamo di mezzo, poi pensiamo al comand-»

Scuoto la testa. «Negativo: devo farlo da solo.»

«Perché?»

«Perché il botto lo ha sentito pure lui, e purtroppo non è un coglione. Il soldato che è corso giù un attimo fa sta per dare l'allarme generale, e appena lo farà avremo bisogno di qualcuno che impedisca ai soldati di dare man forte all'Asilo... o quantomeno rallentare le operazioni». Non faccio neanche in tempo a finire di parlare che il campanaccio della sala strategica al primo piano comincia a suonare energicamente le note dell'adunata generale di emergenza.

«Andate», intimo a Ivan. Lui esita.

«Non è una richiesta», aggiungo: «è un ordine.»

«D'accordo: prendi almeno Gozran e Warino...»

«No, serviranno a te. Questo posto trabocca di scagnozzi di Scherer che proveranno a difendere l'Asilo: dovete impedire che accada... con ogni mezzo necessario».

Ivan non è un idiota, non ci mette molto a capire che ho ragione. Non serve neppure che gli spieghi gli altri motivi per cui non voglio nessuno tra i piedi. Primo: finché non avremo le prove, è bene far passare alla storia quello che succederà tra poco come l'operato di un singolo disertore e non come l'esito di un'operazione pianificata e condotta da un manipolo di infiltrati; non possiamo permetterci una seconda Congiura dei Compari. Secondo: questo piano a breve si riempirà di ufficiali di comando ansiosi di fare rapporto al Comandante; l'udienza che suo malgrado sta per concedermi sarà un viaggio di sola andata.

«Andiamo», esclama Ivan ai suoi. «Buona sorte», aggiunge poi rivolgendosi a me. «Buona sorte, sergente maggiore», ripetono Gozran e Warino prima di seguirlo giù per le scale.

Ci siamo, Ali: un ultimo sforzo e scriveremo finalmente la parola fine a questa brutta storia. I nostri stivali risuonano all'unisono sul pavimento di pietra mentre percorriamo la distanza che ci separa dall'ingresso della sala che un tempo apparteneva a Barun. Ogni passo è un ricordo che riaffiora: le strategie pianificate, le risate condivise, le tensioni prima delle battaglie. Quante volte abbiamo attraversato questo corridoio, a ogni ora del giorno e della notte...

A metà strada dalla nostra meta la porta di fronte a noi si apre, rivelando la faccia di cazzo di Tom Weiss accompagnata da un soldato con il grado di ufficiale che però non ho mai visto... Il che può significare soltanto che si tratta di uno dei famigerati "soldati del comando". Non sono necessarie parole, sia Weiss che lo sconosciuto comprendono immediatamente la situazione. Due contro due, Ali... fianco a fianco, come ai vecchi tempi.

L'unico vantaggio che ho rispetto a loro è avere l'arma già pronta in mano: fossi matto se me lo lascio scappare. Non conosco le abilità dello sconosciuto ma se lo hanno fatto ufficiale un minimo di competenza ce l'avrà, quindi lascio che la mia ascia sibili verso Tom Weiss nella speranza che la sua rapidità sia commisurata alla statura. Una scommessa che non tarda a rivelarsi vinta: la lama lambisce l'elsa della spada che avrebbe voluto sfoderare, tranciandogli di netto metà della mano destra. Le sue grida stridule mi strappano un sorriso compiaciuto, munito del quale rivolgo la mia attenzione all'ufficiale del comando.

Lo sconosciuto si rivela essere di ben altra stoffa: sfortunatamente per lui, quando un uomo con la spada incontra un uomo con un'ascia, l'uomo con la spada meglio avrebbe fatto a portare anche uno scudo... Cosa che lui, fortunatamente per me, non ha avuto il tempo di fare. Dopo cinque o sei scambi interlocutori riesco finalmente a portare a segno un colpo, che basta e avanza per porre termine allo scontro. E' il turno del nanetto. Mi volto per fronteggiarlo, ma... sparito. Non lo vedo più.

«Ali, cosa ne è di Tom Weiss?»

«Non ne ho idea... a parte le tre dita lì per terra!»

Bah, sarà tornato a frignare da Gadman Scherer: meglio fare in fretta, tra poco questo piano si riempirà di soldati che non apprezzeranno affatto il nostro operato. Al fine di non commettere lo stesso errore dell'ufficiale del comando ci premuniamo di raccogliere uno scudo, comodamente offerto da una rastrelliera poco distante, quindi ci accingiamo a proseguire.

Raggiungiamo e oltrepassiamo la porta della sala delle attese, che è anche l'anticamera della Sala del Comandante. Ricordi l'ultima volta che siamo stati qui, Ali? E' stato subito prima di prendere il largo verso Ghaan insieme all'esercito di Lady Yara... Abbiamo tenuto compagnia al messo di Feith incaricato di portarci la lettera in cui il Conte Bianco ci ordinava di interrompere la guerra seduta stante. Ma Barun aveva mangiato la foglia e lo ha tenuto fermo qui per quasi tre giorni interi, impedendogli persino di andare in bagno, mentre organizzava la nostra spedizione... Ah, non ne nascono più di comandanti così! Se penso a chi siede al suo posto adesso... Beh, ancora per poco, spero.

«Puoi entrare, Garruk: ti concedo udienza.»

Gadman Scherer - Immagine 2

La voce di Gadman Scherer è ancora più fastidiosa di quanto ricordassi: una sega arrugginita che stride sulla pietra. Ma è quando oltrepasso la porta che il mio disgusto aumenta a dismisura, raggiungendo vette che non toccava dal giorno in cui mi dissero che Ceyen si era fidanzata con Greg Lorne. Come diavolo s'è permesso questo damerino di conciare in questo modo la stanza di Barun? Arazzi, drappeggi, cuscini... Cosa avresti detto qui, Ali? Provo a formulare mentalmente qualche battuta sulla somiglianza tra questo ridicolo gineceo e le Case della Gioia, ma non sono bravo come te.

Poi mi accorgo che oltre a lui e a quel verme nano di Tom Weiss c'è anche una donna e però allora no, quando è troppo è troppo, portarsi le mignotte nella Stanza del Comandante non...

«Aspetta», mi interrompe Ali: «quella tipa la conosciamo!» Ha ragione: è... come si chiama... Robyn qualcosa. E se non ricordo male anche lei è sulla lista degli stronzoni: ci sono tutti e tre. Sfortuna per loro, fortuna per me.

Gadman, spada in una mano e scudo nell'altra, sembra avere tutta l'intenzione di vendere cara la pelle. Al suo fianco, Tom Weiss imbraccia goffamente una balestra tutta sporca di sangue che, con sette dita in tutto, deve essere stato piuttosto complesso e doloroso caricare. Robyn Qualcosa è disarmata e non sembra intenzionata a prendere parte allo scontro... Saggia decisione.

Robyn Macht - Immagine 3

«Questi due scopano», sentenzia Ali con un sogghigno: «lo sai, vero?»

«Non uscirai mai vivo da qui», mi apostrofa Gadman Scemo: «lo sai, vero?»

Annuisco sia ad Ali che a lui. «Neanche voi», rispondo poi, spostando lo sguardo sul gruppetto. «Nessuno di voi». Sto per contravvenire a uno dei divieti che mi sono sempre imposto: uccidere una donna disarmata. Ma è sulla lista degli stronzoni, e quella vale ben più dei miei principi. Bando alle ciance, che il tempo è poco e le teste da rompere sono parecchie.

Gadman è un guerriero esperto, un cavaliere. Si capisce da come muove i piedi, da come tiene il peso basso, come se danzasse. Ma io non sono venuto a ballare, non è quello il mio stile: io spacco, frantumo, faccio casino.

Scatto in avanti. Lui blocca subito, scudo alzato. Buon per lui: l’ascia avrebbe preso di netto la clavicola. Sente la forza e indietreggia. Dietro di lui Tom sussulta, il rumore del colpo gli fa quasi perdere l’equilibrio. Robyn, mostrando più coraggio di lui, raggiunge una credenza e prova a mettersi in mano un portacandele.

«Combatti come un cinghiale», ringhia Gadman. La sua voce mi graffia i timpani. Lo interrompo con un colpo di scudo dritto in faccia. Per un attimo il rumore mi sembra quello giusto: osso e metallo. Poi capisco che è arretrato in tempo, sono riuscito giusto a frantumargli la fibbia del mantello.

E' il suo turno. Mi tocca ammettere che si muove in modo maledettamente rapido: affonda la spada verso il mio fianco, una finta e poi un colpo vero, basso. Riesco a deviarlo, ma sento comunque il ferro sfiorarmi le costole. Veloce, troppo veloce. Gli pianto una spallata che ci allontana entrambi, ma gli lascia il tempo di rimettersi in guardia.

In quel momento Tom prova a tirare. La balestra sputa male, sbilenca, ma è troppo vicina per mancarmi del tutto. Il dardo si conficca nella spalla destra, appena sotto l'osso. Bravo verme, hai compiuto il tuo dovere di tirapiedi. Adesso vediamo come ricarichi con la mano e mezzo che ti ritrovi.

Carico Gadman di nuovo. Questa volta lui para, sì, ma indietreggia troppo. Lo seguo come un’ombra con i denti. L’ascia trova il suo scudo e lo scheggia. Il suono del legno che cede mi fa sentire bene, addolcendo il dolore che comincia a sprigionarsi dalla spalla. Le mani sudano sotto i guanti, il cuore mi batte nel petto come un tamburo di guerra.

Lui parla ancora: «non ce la farete mai», mormora digrignando i denti. Lo sento berciare qualcosa sui soldati che stanno per arrivare, sui pupilli che ci faranno il culo a strisce, che non ne usciremo mai vivi: non ha capito che non me ne frega nulla. L'unica cosa che mi interessa è la sua gola, a un certo punto la vedo scoperta per un attimo e calo il colpo. Non abbastanza veloce, ahimé: lui si sposta, mi prende al braccio, lo stesso della spalla. Fa male.

«Sei lento, Garruk: un tempo eri forte, ora sei soltanto un vecchio stanco che non vale più niente. Pronto per il congedo, come Barun».

Eh no. Questa non la dovevi dire. Mi scaglio su di lui come una furia, costringendolo ad arretrare ancora. Ma la sua guardia è troppo salda, troppo ben addestrata per cedere a questo tipo di assalti: blocca e devia ogni singolo colpo, respirando il ritmo del duello come se ci fosse nato dentro. Mi duole ammetterlo, ma è davvero bravo. Un gran cazzo di cavaliere veterano. C'è solo un modo per aver ragione di questa categoria di combattenti, ed è quello di sfruttare l'unica cosa che i tanti anni di addestramento e battaglie tra suoi pari non gli hanno mai insegnato: l'umiltà.

Aspetto l'occasione propizia, quindi alzo l'ascia sopra la testa per sferrare un colpo dall'alto. Ma la sua arma è più veloce e non tarda ad approfittarsene: la vedo arrivare con un affondo preciso, educato, impossibile da parare. La lama mi prende in pieno, al ventre, spingendomi dentro acciaio e rabbia. Sento la sua voce stridula esultare: è convinto di avermi. Sollevo ancora l'ascia, ruotandola verso l’alto come se volessi aprirgli la testa, e lui, finalmente, solleva istintivamente quel cazzo di scudo.

Ed è allora che lo colpisco davvero. Con la testa. Un colpo secco, brutale, dritto al centro del petto. Lo sento scricchiolare, lo sterno che cede come un ramo secco sotto il piede. Gadman vacilla, boccheggia. Gli manca l’aria. Adesso non sghignazzi più, eh? Prova ad arretrare, ed è in quel momento che l'orgoglio da cavaliere lo tradisce, impedendogli di mollare la spada. Quella lama è ancora nel mio fianco e lo tiene lì, inchiodato a me come le carcasse del porto di Uryen ai loro pali.

Alzo l’ascia, quindi la calo con forza. La prima volta colpisco lo scudo, la seconda pure: alla terza glielo spacco in due e trovo la carne. Lo sento urlare: abbandona la spada, ma è troppo tardi. Il quarto colpo lo raggiunge alla schiena, schiantandolo in terra. Sento le urla di Robyn, il gracidìo di Tom Weiss che invoca aiuto, il rumore di passi pesanti in rapido avvicinamento. Poi vedo una figura minuta varcare la soglia con una velocità impressionante e capisco che non c'è più tempo.

«Getta l'arma», mi dice. «Arrenditi, e ti dò la mia parola che avrai un giusto processo». Dietro di lui, di lì a poco, fanno capolino cinque o sei soldati armati fino ai denti.

Sorrido, scuotendo la testa. Credo di conoscerlo, è un ragazzino di Nuova Lagos che per un certo periodo ha vissuto nell'Ongelkamp di Uryen. Te lo ricordi, Ali? L'ultima volta che lo abbiamo visto non riusciva a dire una parola senza balbettare, adesso parla come un paladino in missione. Credo che di nome faccia Seth. Gadman Scemo cerca di approfittare della situazione per rimettersi in piedi, ma ha capito male: lo stringo saldamente a me, sforzandomi di ignorare il pensiero del suo sangue che si mescola col mio. Siamo messi male tutti e due.

«Sei ferito», insiste lui. «Siete entrambi feriti. Se getti l'arma, possiamo...»

«Risparmiamoci questo discorso», lo interrompo. «Veniamo al sodo: pensi di riuscire a disarmarmi prima che la mia ascia possa aprire la gola a questo stronzo rantolante?»

«Non credo, no», risponde lui. «Ma se lo farai, poi dovrò ucciderti...» Dal tono in cui lo ha detto penso che ci abbia riconosciuto anche lui: sbaglio, Ali, o una volta gli abbiamo portato da mangiare la nostra cena? Era proprio uno stufato di broccoli e patate, se non ricordo male.

Lo guardo, consapevole del fatto che tra poco gli darò un dispiacere. «Una volta un'amica mi ha detto che quelli... come voi... riescono a capire se qualcuno dice o meno la verità dal battito del cuore: è vero?» Trattengo a stento un attacco di tosse che gli regalerebbe una preziosa opportunità di saltarmi addosso: parlare con una spada conficcata tra le costole non è proprio il massimo.

«No. O almeno, io non so proprio farlo».

E' simpatico e umile, questo pupillo innalzato... Tutto il contrario di Gadman Scemo. Spero che sia il Re dei pupilli... Non mi dispiacerebbe essere ammazzato da un Re. «Peccato... ti avrei detto che... che questo stronzo vi ha fottuti... ci ha fottuti tutti... e che merita di morire. E magari, chissà... mi avresti... creduto...»

«Ti credo. Però adesso getta la spada». I soldati dietro di lui sono pronti a scattare. Robyn Qualcosa trattiene il fiato, speranzosa, torturando il portacandele che ancora stringe nelle mani. Tom Weiss sta venendo medicato nelle retrovie. Il pensiero che sopravviveranno entrambi mi infastidisce assai... E mi sa che, dopo tutto, non ci mangeremo neanche quello stufato. Non mi resta che consolarmi con l'unico piatto che ancora mi rimane a portata.

Le forze mi stanno abbandonando: devo provarci adesso, finché esiste ancora la possibilità che la mia ascia sia davvero più veloce di lui. Due palmi contro circa cinque passi. Non sono mai stato bravo con i calcoli, ma a occhio dovrei farcela.

Che dici, Ali? Ci proviamo?

«E me lo chiedi? Andiamocene col botto, Garr!»

Speravo lo dicessi.

SZOCK!


Esercito di Uryen - Stendardo del Terzo Plotone


scritto da Garruk Jagger , 03:59 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
10 aprile 518
Domenica 5 Marzo 2023

Pristina

«Esci dalla finestra sul retro e và a chiamare gli altri».

Reprimo a stento il senso di vergogna che mi assale nell'udire le parole di Colin. L'unico aspetto positivo della maledizione che si nutre del mio corpo è dato dalla possibilità di aiutare i miei compagni in questi momenti cruciali, quando affrontano avversari che versano in una condizione simile alla mia. Aggrappandomi a questa tenue consolazione sono riuscita ad allontanare l'impulso ricorrente di togliermi la vita, ad accettare le cure di Colin, a seguire Ali in questo lungo viaggio che mi ha portata fino a qui.

Eppure, è sufficiente una sola goccia di quell'orribile sostanza per vanificare tutto, per trasformare il mio cervello in un ammasso pulsante di desideri irrefrenabili, alla stregua della sorte che tocca ad un qualsiasi risvegliato.



La pristina della Mantide, così mi chiamano. Non ho idea di cosa significhi e non mi interessa saperlo. Quando qualcuno si rivolge a me utilizzando quell'espressione di solito scandisce le parole come se si trattasse di chissà quale elogio. Come se non fossi l'innalzato più debole, lento e goffo di tutti quelli che abbiamo incontrato finora, nessuno escluso: talmente inutile da essere un peso persino in queste situazioni, costretta alla fuga da una fiala colma di liquido arancione.

Maledico me stessa e il sangue avvelenato che mi scorre nelle vene mentre attraverso la finestra che mi porterà in salvo, lontana dagli effluvi irresistibili di quella sostanza mefitica. La voglia che ho di bere, di cospargermi di quella roba quando ne avverto l'odore, la presenza, la prossimità, sancisce la distanza che mi separa ormai dalla natura umana. Posso convivere con il ribrezzo che provo ogni volta che mi guardo, con gli sguardi inorriditi di chi mi circonda, con le notti interminabili passate ad ascoltare il respiro delle persone a cui voglio bene, immaginando i loro sogni e chiedendomi se chissà, magari almeno lì, esisto ancora con fattezze diverse da queste... Dèi, quanto mi manca sognare.

I vicoli di Ghaan si aprono davanti ai miei passi veloci, ormai queste contrade le conosco fin troppo bene... grazie ad Ayza. Al pensiero di come mi sono comportata con lei senso di vergogna che provo si fa ancora più intenso: la sorte mi ha fatto conoscere uno spirito affine, una delle poche creature al mondo con cui poter condividere un male che affligge entrambe, e io cosa ho fatto? L'ho allontanata con rabbia, amareggiata perché non voleva darmi l'unica cosa che in quel momento credevo di desiderare, impedendole di onorare le ultime parole di Ali. Non potevi scegliere un successore migliore, amica mia: mi ricorda tantissimo com'eri te. Ho cambiato idea, Ayza: non la voglio più quella roba, voglio che mi aiuti a smettere. E ho bisogno del tuo aiuto adesso, perché Colin e Blanche sono in pericolo e tu sei l'unica che può affrontare quelli che un tempo erano i tuoi compagni.

Il vicolo mi porta sulla strada principale, illuminata da fiaccole e percorsa da piccoli gruppi di persone che si stanno godendo la festa. D'un tratto avverto un rumore dietro di me: mi stanno seguendo. Deve trattarsi dell'innalzato con il bastone: Sami l'Orbo, se ho inteso bene come lo chiamano. Scatto verso la Fortezza in direzione della porta che conduce alla caserma delle guardie, scartando per non investire una giovane coppia che sta venendo via dalla piazza principale. Dove sei, Ayza? Perché non riesco a sentirti?

La presenza ostile che mi segue si fa più vicina. Accelero il passo, ma è tutto inutile: è più veloce di me. Si affianca, mi tira una spallata che non riesco in alcun modo ad evitare, quindi mi spinge con esperienza il bastone tra le gambe, facendomi cadere. Mentre mi schianto al suolo, penso con amarezza che persino un vecchio innalzato come lui è molto più forte, veloce e utile di me. Un attimo dopo mi è addosso: si arrampica sul mio corpo come un gatto, bloccandomi le braccia con le ginocchia e prendendomi il viso con le mani.

Sami l'orbo - Immagine 1

«La pristina della Mantide», mormora mentre mi scruta con i suoi occhi da pazzo.

Il peso del suo corpo sopra di me è persino più insopportabile di quell'appellativo odioso. Mi sento impotente, come quella notte in cui Mirai mi costrinse a subire le sue angherie: mentre tento invano di divincolarmi dalla morsa del mio aggressore, il mio cervello rivanga sprazzi di ricordi delle turpi violenze subite durante quella abominevole iniziazione.



Villaggio di Holov, 7 agosto 516


«Mirai... ti prego! Dobbiamo andarcene da qui!»

«Annie... anNiE”...

Sembra sorridere, mentre pronuncia il mio nome. Un sorriso che fa rabbrividire.

«Mirai, per l’amore degli Dei! Stanno morendo tutti! Dobbiamo scappare, oppure...»

«oPpUre cOsA?»

Mi guarda e sorride. E’ pazza. E’ completamente andata. Forse la presenza dei Risvegliati l'ha fatta uscire di testa, fatto sta che se restiamo qui... se continua a trattenermi qui... siamo morte. Sento le lacrime che mi scendono sul viso. Non posso farci niente. Ho paura. Non voglio morire.

«nOn mOrirAi».

C... come fa ad aver...

«ti sEnto, AnniE. SeNtO tUtTo quELLo chE pEnsi».

Guardo la sua mano, stretta intorno al mio braccio mentre mi trascina per le vie di Holov sfoggiando una forza che non ha nulla di umano, facendosi largo tra sagome di Risvegliati. Perché non ci attaccano? Non ci guardano neppure. Come è possibile? Non capisco...

Mirai Raken - Immagine 1

Mi trascina lungo le scale, poi verso la sua camera. Sono passati soltanto tre giorni. Sembra incredibile. Mi spinge dentro e mi getta a terra, proprio nel punto in cui l'avevo fatta cadere io.

«Mirai, io... Mi dispiace, non volevo...» Non so cosa dirle, non so cosa vuole che io le dica.

«Annie... anNiE»... tRe giOrni fA. iN quEstO luOgO. hAi intErrOttO quAlcOsa. tE lO ricOrdi?”.

Non rispondo. Potrei solo peggiorare le cose. Che parli, che dica quel che mi deve dire.

«adEssO è il miO tUrnO di rOmpErE quAlcOsa».

Si avvicina. Mi mette le mani addosso. Ma cos...

Ora basta. Basta avere paura, basta assecondare questa pazza furiosa. In fin dei conti gliele ho suonate una volta, posso farlo di nuovo. E' soltanto una donna, in fondo: una donna come me.

Mi colpisce con una violenza tale da farmi cadere a terra. La testa mi fa male, devo... non riesco a pensare. Sento caldo e umido sulla nuca. Mirai si china su di me, sento le sue dita che mi schiudono la bocca, poi... un liquido, caldo e denso, mi cola sulla faccia. Saliva? Muco? Catarro? Non lo so... Lo sento sulle labbra. E' disgustoso, dovrei avere i conati. Perché non mi fa schifo? Perché non mi viene da vomitare?

Il viso di Mirai è strano. Mi ricorda il disegno di un insetto, una mosca forse... o un tafano, un calabr...

Mantide

Sento il liquido caldo, denso, dentro la bocca.

Ho aperto la bocca? Perché?

Eppure... non mi fa paura. Mi sento calma, tranquilla... rilassata.

Le membra diventano molli, pesanti. Pesantissime. Avverto le mie braccia adagiarsi sul pavimento. La saliva di Mirai insetto mi cola sui capelli, sul viso, sulle spalle. Mi avvolge come un bozzolo, come per proteggermi. Mi entra dentro e mi scalda, mi calma e mi rilassa, rendendomi docile. Sempre di più.

Sempre di più.

Sempre di più.

Annie attaccata da Mirai - Immagine

«QuEstA cOsA ti fArà mALe».

Non mi importa. Annuisco. Sono pronta. Vedo due appendici sottilissime che spuntano... da dove? Non vedo più la sua bocca. Vedo il suo viso che mi sorride, ma vedo altro... sotto il suo viso, dentro al suo viso, dentro di lei.

Simili a delle antenne?

No... Simili a due aghi. Lunghi e sottilissimi.

«MoltO mALe. Ma pOi ti piAcErà».

Sento che dovrei avere paura, invece sono contenta, soddisfatta. Appagata. Bramo le attenzioni di quei due aghi che mi scrutano, agitando la punta come antenne di un insetto. Li osservo mentre si avvicinano al mio ventre, lenti e leggeri. E lei è... bellissima.

Vaalafor - Immagine



«Non toccarmi!»

Il mio aggressore si ritrae, più per paura del mio grido che non per effetto della flebile spinta che lo accompagnava. Ha cercato di sollevarmi l'armatura, voleva guardarmi le cicatrici. Porco schifoso.

«Stai tranquilla, Annie: non voglio farti del male».



"Non chiamarmi con il mio nome! Non osare rivolgermi la parola». Ali o Ayza avrebbero apostrofato questo farabutto con piglio minaccioso e aria di sfida: a me invece la voce esce rotta dai singhiozzi, mentre le ultime immagini delle brutalità di Mirai tornano a rintanarsi negli oscuri meandri della mia memoria.

«Tu... Sei la cosa più bella che io abbia mai visto. Un'opera d'arte. Avevano ragione a dire che eri meravigliosa... magnifica: la migliore di tutti noi».

Noi? Continuo a fremere di rabbia: i morbosi vaneggiamenti di questo vecchio dissennato mi riportano alla mente l'ennesimo ricordo ripugnante, la lettera che mi scrisse William prima di impazzire... o forse dopo che era già impazzito. Non esiste nessun "noi". Metto la mano sull'elsa della spada. Non so perché mi stia dicendo queste cose e non mi interessa, ma non gli consentirò di umiliarmi ulteriormente.

Il mio gesto non passa inosservato. «Non voglio farti del male. Voglio solo dirti una cosa... Una cosa importante».

Scuoto la testa. «Non mi importa nulla di ciò che vuoi dirmi: risparmia il fiato». Sguaino Ametista e subito il ricordo di Ali mi pervade, infondendomi coraggio. Avverto dei rumori provenienti dalla caserma: qualcuno deve aver sentito il mio grido. Meglio così, adesso questo vecchio idiota sarà costretto a tagliare corto.

«Non prendere quella sostanza: tu non sei come noi... non ne hai bisogno. Puoi sopravvivere anche senza, perché la tua comunione... la tua simbiosi... è perfetta. Assolutamente perfetta. Tu sei perfetta, Annie».

Ci vuole un bel coraggio a consigliarmi di non prendere quella roba dopo aver provato a tirarmela addosso, sono sul punto di replicare. Ma subito mi fermo: le farneticazioni di questa feccia non sono degne di essere ascoltate o commentate. «Non capisco quello che dici e non mi interessa niente», rispondo invece, volgendo la punta di Ametista nella sua direzione. «Affrontami o vattene: a te la scelta».

«Manuel aveva ragione», mormora piano, continuando a fissarmi con l'unica orbita che gli rimane. «C'è speranza, dopo tutto».

«Ancora cazzate». La voce di Ali risuona squillante nella mia testa. «Non ascoltarlo, vuole solo incasinarti il cervello. Tagliamogli la testa, così si zittisce una volta per tutte». Sorrido. Vuoi vedere la pristina della Mantide in azione, vecchio? Eccoti servito.

Con un balzo gli sono addosso: il colpo che sferro è veloce e preciso, ma lui lo evita con facilità. Insisto, cercando di metterlo con le spalle al muro, ma non riesco ad impedirgli di mantenere una distanza sufficiente a eludere i miei colpi. Ametista continua a fendere l'aria, mentre la sorte mi sbatte in faccia per l'ennesima volta l'amara consapevolezza di non essere all'altezza di questi abomini: Ayza, Kzar, Sami l'Orbo, Laèl il Muto, e tutta la stramaledetta stirpe dei miei consimili. Di tutta l'immonda progenie nata dal sangue di demoni renitenti a morire io sono la più anemica, come ogni scontro non tarda a dimostrare, malgrado settimane di estenuanti allenamenti, fatiche e discussioni insieme a chi mi aveva giurato che potevo farcela. E' forse questo il significato del termine con cui si ostinano a definirmi? Scarsa? Debole?

«Maledetto!» urlo all'indirizzo del mio avversario, mentre tento invano di impedire che continui a farsi beffe della punta e la lama di una spada che non sono all'altezza di brandire. Sia maledetto lui e tutti quelli come lui... compresa me. «Stronzate, Ani», ruggisce Ali da dentro la spada che fu sua: «tu sei una dei nostri. Lo sei sempre stata e sempre lo sarai. Adesso piantala di frignare e fammi vedere cosa hai imparato. Più veloce. Più veloce... Più veloce!»

E poi, a un tratto, tutto intorno a me rallenta. Un fendente fortunato raggiunge il corpo del mio avversario, costringendolo a parare con il bastone. Un altro lambisce la spalla, squarciandogli il saio. Ametista diventa più leggera colpo dopo colpo, fino a diventare un'estensione naturale del mio braccio: anche Sami l'Orbo se ne accorge, l'interesse maniacale che traboccava dal suo occhio buono lascia il posto a uno sguardo carico di stupore, paura, eccitazione. Volevi vedere le mie ferite, vecchio? Io invece voglio fartene di nuove. Ametista segue i miei pensieri ed è lesta a manifestarli, eludendo una guardia improvvisamente manchevole e conficcandosi nello sterno della sua preda.

la forza del colpo scaglia all'indietro il mio avversario, gettandolo a terra. La ferita è profonda, le fragili vesti che indossa non gli hanno offerto alcuna protezione: eppure, dal solco che adesso gli divide il costato non esce una singola goccia di sangue. Le vestigia di Vaalafor che scorrono nelle mie vene mi spronano a proseguire l'assalto. Eliminalo, Annie. Uccidi questa creatura inferiore prima che si rialzi: è tempo di dimostrare a tutti quanto vali, quello che sei. Divora la tua preda.

Ma io non sono così: Colin, Ali e gli altri mi hanno insegnato a non essere quel genere di mostro. Non oggi, né domani, né mai. Rivolgo la punta di Ametista verso Sami l'Orbo. «Sei in arresto», esclamo senza perderlo di vista. Immediatamente dopo la porta alle mie spalle si apre, rivelando la presenza di tre soldati di Angvard.

L'innalzato si rialza lentamente, aiutandosi con il suo bastone: «Che controllo, che equilibrio magnifico.... Manuel aveva ragione», farfuglia ancora una volta, attonito. «Sei perfetta. Abbiamo un futuro».

«Sei in arresto», gli ripeto, incurante delle sue parole: ma sappiamo entrambi che non avrò modo di dare seguito a tale affermazione. Per impedire a questo disgraziato di dileguarsi gli sarei dovuta saltare addosso quando era a terra, per poi staccargli la testa dal corpo: se avessi compiuto questa scelta, i soldati di Angvard che si stanno avvicinando con circospezione sarebbero stati testimoni della mia furia.

«Non prendere quella roba», mi dice ancora. «Non ne hai alcun bisogno. Trova un supporto, un amico, un compagno: aggrappati a lui. Vivi. Ama. Fallo anche per noi». Mentre parla si tocca la ferita che gli ho provocato e mi mostra la mano, nella quale non scorgo che qualche grumo di sangue rappreso.

Vorrebbe dirmi altre cose ma non c'è tempo, i soldati ormai gli sono addosso. Con un balzo si mette fuori dalla portata delle torce, nascosto ai loro sguardi ma non al mio. Da lì mi rivolge una specie di inchino, prima di darmi le spalle e scomparire nell'oscurità. Stanotte non tornerà più. Meglio così, uno in meno. I soldati di Angvard mi circondano, chiedendomi come sto. Dico loro che non c'è tempo da perdere, la casa dell'erborista è stata attaccata, dobbiamo andare di corsa: dobbiamo salvare Colin e Blanche. C'è un altro Innalzato, Laèl il Muto, ma non mi fa paura: adesso so che posso affrontarlo.

Poi, dalle stesse tenebre che avevano inghiottito Sami l'Orbo, giunge un odore, un battito familiare. Tiro un sospiro di sollievo: siano ringraziati gli Dei, almeno lui è salvo. Abbasso gli occhi a osservare il mio riflesso nella lama di Ametista, un attimo prima di riporla nel fodero: «grazie», le dico di cuore. «Grazie per aver sempre creduto in me».

«Di nulla, zia», mi risponde: «lo sai che adoro le feste. Eri tu quella che non ci voleva venire...».

Annuisco. «Perché non sapevo ballare...».

«...E fai ancora schifo, diciamocelo! Ma stai migliorando in fretta. Adesso non farti trovare con gli occhi lucidi, però: abbiamo una paladina da salvare, ricordi?»

Si, me lo ricordo. Sarà fatto, tenente: puoi contarci.

Ali Shark - Immagine 3
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14 febbraio 518
Mercoledì 12 Ottobre 2022

Lo Scudo dell'Ultimo

Data: 14 febbraio, ore 06:58
Luogo: Città di Ghaan, contrada della Scure
POV: Garruk Jagger




La zona che percorriamo ora è decisamente più pulita della latrina a cielo aperto da cui siamo entrati. Le stamberghe di legno hanno lasciato il posto a imponenti edifici in pietra, i vicoletti storti e polverosi dove a momenti facevo fatica a passare sono diventati strade pavimentate con grandi pietre levigate. Apprezzo lo sforzo, cari Ghaanesi, ma con me non attacca: la vostra città resterebbe una cagata pazzesca anche con le strade lastricate d'oro.

Il pugno alzato di Logan ci intima di fermarci: due guardie a ore undici. Come avevamo previsto, hanno stretto le maglie a protezione del centro, dove si trovano i principali punti chiave... tra cui quello dove siamo diretti. Mi prudono le mani, ma quello che va fatto adesso non è un lavoro per me: e serve qualcuno che lo faccia a regola d'arte, altrimenti avremo addosso l'intero contingente cittadino in un batter d'occhio. I candidati ideali per questo lavoretto sarebbero probabilmente gli innalzati, ma Logan ha già chiarito che non avrebbe chiesto ai "ragazzi di Ghaan" di ammazzare i loro compaesani. Andranno lui e il tenente Cope. Se Vasq fosse qui, sono certo che avrebbe scelto lui... Guardaci le spalle dal cielo, amico mio: se oggi siamo qui è anche per merito tuo. Sputo per terra, mentre i nostri scompaiono in silenzio di fronte a noi. Tre minuti dopo sono già di ritorno, trascinando due carcasse che di lì a poco vengono delicatamente spinte dietro un muretto. Altri due in meno.

Proseguiamo senza ulteriori intoppi fino al punto in cui i "ragazzi di Ghaan" ci dicono che siamo arrivati: l'imponente figura del Sanatorio si staglia a una manciata di passi da noi. Mi chiedo come mai in questa ulcera di Ducato si sia diffusa la manìa di chiamare gli ospedali in modi così assurdi: Nosocomio, Sanatorio... E' proprio vero che più non conti un cazzo e più ti dai arie. In ogni caso, se quello che ci hanno raccontato è vero, quell'edificio è molto più di un semplice ospedale. Come previsto, inoltre, tutta la piazza che lo circonda brulica di soldati.

"Come la vedi, Garr?" Mi chiede Ali.

Come una condanna a morte, ecco come la vedo. Abbiamo un piano per entrare, per quanto balordo, ma le probabilità di uscire vivi da quel nido di vespe sono quantomai scarse. E' una missione di sola andata, salvo miracoli... almeno per la nostra squadra.

Logan si volta a guardarci, come a sincerarsi per l'ultima volta che ciascuno di noi abbia ben chiaro quello che deve fare. Il ruolo affidato alla mia squadra, se non altro, è semplice da ricordare: varcare l'ingresso secondario di quell'edificio, seguire le indicazioni dei "ragazzi di Ghaan" fino a raggiungere il laboratorio segreto di Aghvan, uccidere chiunque si trovi lì - Aghvan compreso, se ci farà la cortesia di non tentare la fuga - e distruggere tutto ciò che contiene. Cosa potrebbe andare storto? Tutto, ovviamente. A partire dalla pagliacciata che ci toccherà fare tra poco per entrare, che per molti aspetti è l'aspetto mi preoccupa di più.

"Ma lo sai che quell'ascia sul petto ti dona?" mi sussurra Ali, subito prima di metterci in marcia.

"Altroché", bofonchio di rimando. "Che idea del cazzo: e comunque non ci cascheranno mai, sono troppo bello per essere scambiato per un giannizzero di Ghaan".

"Poteva andare peggio, Garr... Potevano farti vestire da donna!"

"Guarda, a momenti avrei preferito!"

"... e farti arrivare in nave!"

Sputo per terra. "Hai ragione, c'è sempre un peggio: andiamo a spaccare i giocattoli allo Stregone, va...".

Un vero peccato che l'Angelo Nero abbia deciso di perdersi quest'ultimo giro di giostra: con tutto il culo che si è fatto per farci arrivare fin qui, avrebbe meritato di prendere parte alla fine della storia.


Garruk Jagger - Immagine 3


Data: 14 febbraio, ore 07:12
Luogo: Città di Ghaan, Piazza del Sanatorio
POV: Ayza Reich


"Sono entrati: qui finisce la parte facile", mormora Kzar, issandosi sul campanile della chiesa che si erge di fronte al Sanatorio fino a tornare di fianco a me.

"Già".

"A cosa pensi? Sembri turbata".

Annuisco. "C'è qualcosa che non va: e l'odore di quell'uomo... non riesco a ricordare dove l'ho già sentito".

"Capisco. Purtroppo però dobbiamo andare, altrimenti i nostri avranno problemi ben più grossi... e anche noi".

Sorrido. I nostri, addirittura: così li chiama adesso. Kzar è fatto così: semplice e diretto, esattamente come prima di diventare un innalzato. Lo conosco da una vita e non penso di averlo mai visto arrabbiato, neppure durante il periodo trascorso nelle prigioni del laboratorio segreto di Gultch. Perché mi torna in mente quel luogo proprio adesso? Scuoto la testa. Non è il momento di perdersi nei ricordi di una vita fa: abbiamo un lavoro da fare e uno stregone da ammazzare. "Andiamo", esclamo alzandomi a mia volta. Un attimo dopo siamo a librarci nel vuoto, mentre il sole fa lentamente capolino alle nostre spalle.

A seguito della fortunata dipartita di Estov Ghaan siamo diventati entrambi ricercati: questo è il motivo per cui non abbiamo potuto accompagnare "i nostri" all'interno del Sanatorio... non passando dalle porte presidiate al piano terra, perlomeno. Entreremo in un altro modo, meno ortodosso ma di certo più spettacolare.



"... E tanti saluti al rosone".

Ci guardiamo a vicenda, per assicurarci di essere tutti interi. Uno dei tanti problemi della nostra condizione è che l'insensibilità al dolore a volte gioca brutti scherzi: se non stai attento a ciò che ti succede rischi di non accorgerti che ti sei rotto un braccio, una gamba, o che stai morendo. A quanto pare però stavolta i nostri mantelli hanno fatto il loro dovere, nessun frammento di vetro che spunta da organi più o meno vitali.

La sala di meditazione è grande e spoglia proprio come ricordavo, e soprattutto deserta come speravamo fosse. "Muoviamoci", mormoro guardando la pesante porta di legno rinforzato che ho aperto e varcato innumerevoli volte una, anzi due vite fa: "a breve avremo i Guardiani alle calcagna".

I Guardiani del Sanatorio sono dei soldati abbastanza scadenti, per la verità: un misto di nuove leve ancora troppo acerbe per il servizio attivo e anziani che, pur avendo ottenuto il congedo, scelgono di continuare a servire la Signoria con un incarico meno remunerativo, ma di certo più sicuro e riposante... Salvo quando ti capitano due innalzati durante il turno di guardia, ovviamente. In ogni caso, il corno a quanto pare lo sanno ancora usare.

"Senti che fanfara", esclama Kzar. Nel giro di pochi istanti altre pernacchie fanno eco da fuori, segnalando problemi da tutt'altra parte: a quanto pare anche la squadra esterna di Logan Treize ha cominciato ad alzare la sua parte di casino. Tutto secondo i piani: speriamo soltanto che la squadra interna sia in procinto di arrivare a destinazione. Quanto a noialtri, a breve avremo un bel pò di compagnia.

"Di qua", indico a Kzar. Qui dentro sono più esperta di lui. Mentre raggiungo le scale che portano verso il basso apro un paio di porte che danno sui dormitori degli alchimisti e sulla terrazza: non sanno dove stiamo andando, quindi saranno costretti a dividersi. Il nostro obiettivo numero uno è distrarne il più possibile, mentre "i nostri" scendono nei sotterranei.

"Stanno arrivando anche dalle scale", mi avverte Kzar.

"Li sento". Hanno reagito leggermente troppo presto rispetto a quanto avevamo previsto: il che non è il massimo, considerando che ci siamo ripromessi di evitare di fare una strage. Togliere di mezzo Estov Ghaan e Aghvan è una cosa, ammazzare guardie con cui abbiamo mangiato insieme solo perché si stanno dimostrando troppo zelanti è un'altra. Tocca tenerli qui senza versare troppo sangue.

L'occhio mi cade su una delle tante finestre centinate che danno verso l'esterno, dalla quale filtrano i primi raggi del sole. "Ti va di rompere un altro paio di vetri?" Chiedo a Kzar. Un altro schianto e siamo di nuovo fuori. Ricordavo bene, sotto di noi c'è un piccolo parapetto che dà su un'altra finestra posta sul gomito delle scale. Facciamo appena in tempo a vedere, da fuori, le guardie salire l'ultima rampa, quindi rompiamo la terza finestra della giornata e rientriamo nell'edificio alle loro spalle. I poveretti non fanno neanche in tempo a girarsi che siamo già arrivati alla base delle scale, dove troneggia la pesante porta rinforzata che chiude l'accesso al piano. Non abbiamo la chiave per chiuderla, ma la forza per rompere la serratura e incastrare i cardini si.

"Questo dovrebbe tenerli impegnati per un pò: adesso vediamo di trovare il nostro uomo".

L'obiettivo numero due del nostro piano è, non sorprendentemente, intercettare e uccidere Aghvan. In condizioni normali, quell'uomo non esiterebbe a difendere le filattiere affrontando la squadra di Uryen e Greyhaven anche da solo... e sarebbe una battaglia dall'esito tutt'altro che scontato. Per nostra fortuna, nonostante le risorse pressoché infinite che ha dimostrato di avere sul campo di battaglia, le sue capacità magiche dovrebbero ormai essere ridotte al minimo. E' dunque probabile che cercherà la fuga, consapevole della difficoltà dei "nostri" di inseguirlo in un posto che brulica di soldati... Ed è qui che entriamo in gioco io e Kzar.

La discesa verso i sotterranei procede senza intoppi: ci limitiamo a colpire e spintonare un pò energicamente un paio di soldati a testa, provocando al massimo qualche frattura. A ben vedere per questi attempati veterani incontrarci è una fortuna, un congedo assicurato dall'assedio prossimo venturo. Per non parlare del fatto che nessuno di loro verrà giustiziato, grazie all'accordo che abbiamo fatto: ci chiameranno traditori ma a ben vedere stiamo ANCHE salvando la vita dei nostri, dovrebbero farci una stat...

"Lo senti?" mormora Kzar a bassa voce, mentre osserva le grandi lastre di pietra levigata sotto di noi, come se fosse in grado di vedere ciò che gli fa ribollire il sangue attraverso il pavimento.

Annuisco. La stessa vampata di Yoki che ho già percepito altre volte: una impronta inconfondibile. Aghvan. "Non è nel laboratorio: sta scappando". A quanto pare farlo fuori spetterà a noi: non chiedo di meglio. "Andiamo a prenderlo", esclamo, stringendo forte la spada. In un modo nell'altro, tra poco sarà tutto finito.


Ayza Reich - Immagine


Data: 14 febbraio, ore 07:21
Luogo: Città di Ghaan, Sanatorio - piano terra
POV: Ali Shark


Avanziamo in fila indiana lungo i corridoi, incrociando di tanto in tanto qualche soldato: la maggior parte sono feriti, ma c'è anche una nutrita sorveglianza in servizio attivo. Mi sembra incredibile che un piano così folle stia funzionando davvero: per fortuna l'esercito di Ghaan è composto in buona parte da esuli e mercenari provenienti da mezzo Granducato, altrimenti ci avrebbero già individuati.

Un lampo di terrore mi assale quando uno dei portantini - neanche una guardia, un cazzo di portantino! - si blocca per un attimo di fronte a Cope, guardandolo con aria interrogativa. Ma il tenente non gli dà il tempo di giungere a conclusioni avvedute, spintonandolo bruscamente contro il muro e passando oltre senza neanche rallentare. "Guarda dove metti i piedi, idiota!".

Il tenente Cope non è mai stato a Ghaan, men che meno dentro questo posto - come nessuno di noi, del resto - ma è molto bravo ad orientarsi, dentro e fuori dai centri abitati: per questo Logan lo ha messo alla guida di questa squadra. Lui, ovviamente, non sarebbe mai potuto entrare: a differenza della nostra, la sua faccia è fin troppo nota. Il loro compito, oltre ad averci portato qui, sarà quello di tirarci fuori non appena avremo compiuto il nostro dovere.



Il suono di vetri rotti che arriva dai piani superiori è musica per le nostre orecchie. In pochi istanti l'ordinata solerzia di questo luogo si sbriciola in un caotico viavai di gente che corre prendendo direzioni a caso, come quando getti un sasso dentro a un formicaio: è il casino che stavamo aspettando.

Acceleriamo il passo, gettandoci a testa bassa lungo il corridoio che, a quanto il tenente spera di aver capito dalle spiegazioni di Ayza Reich, dovrebbe portarci in un posto sufficientemente vicino al laboratorio da...

"La sento!" Esclama Annie all'improvviso, non appena Daron fa buon uso di uno degli ultimi regali che ci ha lasciato Luger per aprire la porta che conduce ai sotterranei. "Seguite me, adesso". Il tenente la fa passare in testa alla fila, per poi seguirla lungo una rinnovata ragnatela di corridoi notevolmente più stretti dei precedenti, ma senz'altro meno affollati. Era quello che speravamo: il laboratorio segreto di Aghvan non può che contenere una bella fornitura di Garmonbozia, e non c'è recipiente al mondo che possa tenerla nascosta al fiuto sopraffino della nostra Annie.

Dopo un paio svolte, un soldato con la pettorina nera e una torcia in mano fa inopinatamente capolino di fronte a noi: nell'altra mano stringe un corno che chiaramente non vede l'ora di suonare, ma non riesce neanche a portarselo alle labbra che Annie lo trafigge alla gola con la spada. "Beccati 'sti spicci, pifferaio!", mormora Garruk in segno di approvazione, prendendo al volo il malcapitato e adagiandolo silenziosamente al suolo. La corsa dietro ad Annie riprende: ormai non ce ne frega più molto neanche di essere silenziosi: gli echi della sinfonia di corni, passi e gente che urla arriva fino a qui. Abbiamo scommesso sui nervi a fior di pelle di questi soldati e, a quanto pare, abbiamo fatto centro: non ci resta che mettere a frutto la zizzania che abbiamo seminato.

La gita all'ospedale continua: altri corridoi, altra rampa di scale, altra porta rinforzata che si scioglie come neve al sole sotto le provvidenziali fialette di Luger, altri due soldati coi mantelli neri che vengono mandati in missione d'urgenza all'inferno ghiacciato: e poi, finalmente, Annie si ferma a sbavare proprio di fronte a una porta che ha tutto l'aspetto di essere l'antro di un laboratorio segreto.

Mi prendo un istante per guardare la mia amica di un tempo... Se posso permettermi di considerarla tale, visto quanto mi divertivo a prenderla per il culo perché ero più grande e più carina di lei. La sua espressione è irriconoscibile, non penso di averla mai vista così. Ho quasi paura di quello che potrebbe fare una volta varcata quella soglia, che poi è uno dei motivi per cui gli stessi "ragazzi" di Ghaan - benché disintossicati da tempo - hanno preferito non essere presenti qui: ma abbiamo bisogno di lei, oggi come ogni singolo giorno da quando abbiamo lasciato Angvard. E' per questo che l'ho portata. A conti fatti sono una stronza, oggi come allora.

"Annie", le chiedo: "Aghvan è lì dentro?"

Annuisce.

"E il sangue degli Antecessori?"

Annuisce.

Ci siamo, cazzo. Il tenente estrae velocemente dallo zaino l'ultimo lascito di Luger, sommariamente imbottigliato in un fiasco di Centerbe di Rastan che ci siamo scolati una vita fa. "Inauguriamo 'sto laboratorio, tenente!" Gli fa eco Garruk con voce solenne.

Nessuno di noi ha la benché minima idea del casino in cui si sta andando a cacciare.


Porta del Laboratorio - Immagine


Data: 14 febbraio, ore 07:34
Luogo: Città di Ghaan, dintorni del Sanatorio
POV: Ayza Reich


Né io né Kzar siamo mai stati messi ufficialmente al corrente del fatto che i laboratori sotterranei avessero una via d'uscita indipendente, ma Manuel lo sapeva eccome. E, sfortunatamente per Aghvan, prima di morire è riuscito a indicarci anche l'ubicazione del punto di uscita: una anonima costruzione che si affaccia su un piccolo slargo a qualche decina di metri dalla piazza del Sanatorio.

Nel pieno delle forze quello stregone è praticamente onnipotente, come ha ampiamente dimostrato sul campo di battaglia falcidiando gran parte dell'esercito di Yara... Ma, dopo tutto ciò che ha fatto, non posso credere che il suo potere non sia prossimo ad esaurirsi. Per questo abbiamo aspettato tanto a lungo prima di uscire allo scoperto e adesso non possiamo concedergli tregua, né consentirgli alcun riposo.

"Stanno arrivando", esclama Kzar, alzandosi in piedi. Li sento anch'io. Due contro due. "Ricorda cosa ci ha detto Manuel", mi dice guardandomi negli occhi: "qualsiasi cosa accada, non prendere parte allo scontro con lui: servirebbe solo a conferirgli più forza".

Annuisco. "Toglilo di mezzo una volta per tutte: io penserò ad Aghvan". Facciamo giusto in tempo a scambiarci un sorriso appena accennato e a separarci: poi la porta si apre lentamente, sprigionando un sinistro cigolìo nella piazza deserta.

Chad Wilson - Immagine 1

Sir Wilson fa un singolo passo oltre la soglia, sfiorando con la punta dello stivale la striscia di luce disegnata dal sole che ormai splende nel cielo, quindi sguaina le sue due lame. "Ti aspetto, figlio mio", esclama, cercandoci con lo sguardo sui tetti che lo circondano. "Confido che oggi non mi deluderai".

Kzar gli piomba addosso in meno di un istante. I suoi movimenti sono così veloci che nessun essere umano potrebbe vederli, figuriamoci defletterli o schivarli. Ma sir Wilson non è un essere umano, come non lo siamo noi.

Secondo le voci che circolano tra i soldati di Ghaan, il segreto di sir Chad Wilson è la capacità di prevedere le mosse dell'avversario da impercettibili movimenti del corpo, cosa che gli consente di elaborare la migliore contromossa possibile in ogni circostanza. Ma Manuel ci ha spiegato che non è tutto qui: a rendere sir Wilson un combattente imbattibile non sono soltanto le capacità tattiche, ma anche e soprattutto l'addestramento che ha ricevuto e il codice che ha appreso da un misterioso Maestro di cui parla molto di rado. Lo Yog, così lo chiamò una volta.

Kzar continua a incalzare sir Wilson, che per non perdere il controllo della soglia entro cui ancora si nasconde Aghvan è costretto a prendere dei rischi: un colpo va a segno, poi due, poi tre. Il selciato della piazza si macchia di sangue. E' la prima volta che lo vedo sanguinare, ma è ancora presto per cantare vittoria. Resisto alla tentazione di gettarmi su di lui e piantargli la spada tra le scapole e continuo a restare appollaiata sul tetto, aspettando l'occasione propizia per far fuori Aghvan che, se il mio fiuto per lo Yoki non mi inganna, si trova proprio sotto di me.

"Sei deluso, dunque?"

"No", risponde sir Wilson. "Sei il mio capolavoro".

Dopo un altro furioso scambio di colpi, un violento affondo di Kzar riesce finalmente a costringerlo a scartare di lato, liberando il varco quel tanto che basta per consentirmi di passare. E subito sento lo Yoki alzarsi dall'interno della costruzione, come a voler correggere quell'errore prima che sia troppo tardi: maledetto stregone, ancora non t'è finita la voce eh? Ma questa è l'ultima canzone che ti facciamo cantare. Con un balzo sono alle spalle di Sir Wilson, che subito mi accoglie con un fendente all'altezza del collo: lo schivo con un rapido salto all'indietro e mi getto dentro la soglia, dove mi attende...

...

... Ma che cazz...

... dove sono finita? Un secondo fa stavo varcando la porta di quella costruzione, pronta a trovarmi faccia a faccia con Aghvan, mentre adesso mi trovo... Dove? Non ne ho idea. So soltanto che è un posto stretto, chiuso e completamente buio. Ma soprattutto prima ero in piedi, mentre adesso sono... distesa? Com'è possibile? Istintivamente provo ad alzarmi e sbatto immediatamente la testa contro qualcosa di durissimo.... pietra.

Dove cazzo mi trovo?

Non riesco a vedere nulla, il che significa che qui non entra la benché minima fonte di luce: ogni singolo spiraglio è stato chiuso, sigillato. Una prigione per innalzati?! No, peggio... una tomba. Non ho neanche lo spazio per distendere le braccia o piegare le gambe. Cazzo. Ma come è possibile? Come ha fatto a farmi finire qui dentro? Cerco a tentoni un'apertura, una fessura, qualcosa... niente. D'un tratto sento una strana pressione sotto la scapola destra, cerco di arrivarci con la mano e...



Uno specchio? Ma cos...

Oh, cazzo. Non è possibile. Vaffanculo, Aghvan, tu e i tuoi incantesimi di merda.

Pensa, Ayza, pensa. Pensa a come puoi uscire da qui, che Kzar e gli altri hanno ancora bisogno di te.

Chiudo gli occhi e mi concentro: questo sepolcro può togliermi la vista e (forse tra un pò) l'aria, ma non l'udito. Sento urla e rumore di passi: sono di nuovo nel Sanatorio... nei sotterranei, a giudicare dall'odore di muffa. Lo stronzo deve preparato questa trappola prima di darsela a gambe, collegando in qualche modo la porta di quella costruzione e questa... tomba... e io ci sono cascata dentro come una cogliona.

Pensa, Ayza, pensa. Se ci ha potuto infilare lo specchio, vuol dire che un'apertura deve esserci. Una di queste pietre deve essere stata messa da poco. C'è solo un modo per trovarla: scavare e picconare. Purtroppo mi manca l'attrezzo adatto... ma forse posso costruirmelo. Raggiungo la spada con la punta delle dita, quindi me la porto sul bacino. Da quanto ne so, è l'osso più duro e resistente che abbiamo: non resta che metterlo alla prova. Tre, due, uno...



Ok, adesso ho quello che mi serve. Forza e coraggio, Ayza: mettiti al lavoro e vedi di uscire da qui. Dimostra ad Aghvan che non è così semplice seppellire vivo un innalzato.



Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona.

Come se la starà cavando Kzar? Avrà ammazzato sir Wilson? Mi auguro almeno che Aghvan non avesse altro fiato per nuocere anche a lui.

Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Piccona. Scava. Picc....



D'improvviso viene giù tutto.

"Stai bene?"

Questa voce... dove l'ho già sentita? Emergo con fatica dai frammenti di roccia che mi ricoprono e afferro la mano che mi viene tesa. E' la mano di un gigante alto oltre 2 metri. Non lo vedo da chissà quanti anni, ma...

Navèl Vaarden - Immagine

"Mi ricordo di te... A Gultch..." L'Angelo Nero. Così lo chiamavano.

Mi guarda e annuisce. "A Gultch".

"Dove siamo?" Mi guardo intorno: si direbbe una camera funeraria. Ero dentro uno di questi sepolcri, dunque.

"Non ricordo il tuo nome..."

"Navèl". Poi indica la porta di questa strana stanza, che dà su uno dei tanti corridoi che compongono i sotterranei. "Se vuoi salvare i tuoi compagni devi andare ora, altrimenti sarà troppo tardi".

"Kzar?"

Navèl scuote la testa. "Per lui è già troppo tardi".

"Ma cosa dici..." La convinzione con cui lo dice non mi piace per niente. Non può essere, Kzar non può morire. Non può fisicamente morire... neppure per mano di sir Wilson. Eppure...

"Ascoltami bene: oggi abbiamo fallito, tutti noi. Ma tu puoi ancora limitare i danni. Tieni in vita la ragazza di nome Annie e distruggi quello che va distrutto, e un giorno non lontano avrai l'occasione di vendicarti".

Poi mi volta le spalle e raggiunge la porta. La sua armatura è squarciata in più punti, il mantello ridotto a brandelli, il corpo coperto di ferite. E' come se avesse combattuto una guerra da solo. Se non è morto, è solo perché è un innalzato come me. E forse io sarei morta comunque, nelle sue condizioni. Guardo il sarcofago di pietra dietro di me: come diavolo ha fatto a romperlo messo così? Ma soprattutto, come fa a muoversi ancora?

"Kzar è morto?"

"Si".

Cazzo.

"Fai in modo che non sia morto invano".

Non dice altro. Eppure, è come se riuscissi a leggergli dentro, proprio come a Gultch, e quello che capisco non mi lascia alcun dubbio: anche lui vuole uccidere Aghvan. Anche lui vuole che quelle fiale siano distrutte. Quando sarà il momento mi contatterà di nuovo. Se sopravviverà. Se sopravviveremo.

Un attimo dopo è sparito. Ed è in quel preciso istante, con la mente che ancora vaga nei meandri delle grotte di Gultch, che ricordo finalmente dove avevo già sentito quell'odore.


Arman Heck - Immagine


Data: 14 febbraio, ore 07:51
Luogo: Città di Ghaan, Sanatorio
POV: Ali Shark




Questa è la fine, dunque: questo squallido stanzone che odora di aceto è il luogo dove mi tocca crepare, dopo tutto quello che ho fatto. Infilzata dallo spiedo di un bastardo traditore che non ha avuto neanche le palle di guardarmi negli occhi.

Non sento dolore, per ora, ma a questa ferita non si sopravvive. Quanto mi resta? Molto meno che se mi avesse morso un Risvegliato, questo è poco ma sicuro. I disgraziati che cadono vittime di quella sventura hanno ancora una vita davanti, al mio confronto... mentre a me non resta che una manciata di minuti.

Quanto ci ha messo la situazione a precipitare in un modo così rovinoso? E' successo tutto così in fretta che quasi non me ne sono resa conto. Aghvan e la sua guardia del corpo sono scappati in un pertugio scavato nella roccia come due vermi non appena abbiamo fatto saltare la porta: il tenente ha provato a inseguirli, ma è stato travolto dai macigni che lo stronzo ha fatto franare dietro di sé e quindi finito a colpi di spada. Lo abbiamo sentito urlare, mentre moriva a un metro da noi. Per miracolo la frana non ha fatto secco anche Garruk, che se l'è cavata con un braccio, una gamba e forse un piede rotti. E il bello è che fino a lì ancora pensavo che ce l'avremmo fatta, che avremmo potuto uscirne vivi. In fondo eravamo ancora in cinque ed eravamo riusciti a impedire ad Aghvan di portare via il grosso della roba: dovevamo soltanto distruggere questo posto, rimettere in qualche modo in piedi Garruk e andarcene via.

Poi Van ha preso la Garmobozia e l'ha rovesciata in testa ad Annie, come se fosse la cosa più normale del mondo. E subito dopo, non contento, ci si è intinto le dita e gliele ha ficcate in gola, spegnendole gli occhi come una torcia che esaurisce la pece. Neanche il tempo di dire "ma che cazzo fai" e il suo compare, Arman, mi ha spinto il suo stocco dentro la schiena. Da dietro, dolcemente, appena sotto l'innesto dell'armatura. Il tutto sotto gli occhi increduli di Garruk: poveraccio, non ha potuto fare niente. Non l'ho mai visto così impotente, così disperato.

E la cosa peggiore è che a quel punto, con le gambe che mi abbandonavano e il respiro che si faceva denso e sempre più pesante, mi è persino toccato assistere al penoso siparietto tra i due compari. "Perché l'hai fatto, Arman? Ti avevo detto di non ucciderla!" "Non possiamo lasciare testimoni". "Ma mi avevi promesso che l'avremmo risparmiata!" Il tutto mentre lo stronzo continuava a infilare le sue dita lorde di Garmonbozia dentro la bocca di Annie come se fosse una cazzo di anatra da cucinare.

Dèi, che pena. Che vomito. Che merda. Che delusione immensa. Non ci posso credere. Quando ti presenti in battaglia con questi compagni al tuo fianco, a cosa servono gli avversari? Questa è Greyhaven, dunque: l'ordine per instaurare il quale abbiamo spazzato via il caos rappresentato dai Khanast. Non ce lo meritavamo di essere traditi così. E per cosa, poi? Per quattro fiale di merda.

"Mi dispiace, Ali".

"Sei uno stronzo", dico. Anzi, provo a dire. Mi aspetto di sentire la mia voce, invece mi esce una sorta di rantolo gutturale dal petto. Ma porca puttana, potevano essere le mie ultime parole e invece niente: guarda tu se gli Dèi, nella loro infinita balordaggine, devono negarmi persino la soddisfazione di insultare questo pezzente un'ultima volta prima di morire. E va beh, vorrà dire che lo insulterò col pensiero. Pezzo di merda infame che non sei altro, che siate maledetti tu e quella faccia di vomito del tuo compare.

"Togli di mezzo la bionda, io penso al gigante: poi prendiamo le fiale e leviamoci dal cazzo". A me neanche mi nomina, il vigliacco: mi dà già per morta. E ha ragione, purtroppo: quello stocco del cazzo l'ho sentito arrivare fin quasi al naso.

Garruk prova a vendere cara la pelle, ma persino lui non può fare molto con un braccio, una gamba e un piede fuori uso. Arman gli sferra uno, due, tre calci sulla frattura più dolorosa, quindi si avvicina per infilzarlo con il suo stocco del cazzo... E proprio in quel momento la sua testa si spacca in due come un melone maturo.

"Ecco dove cazzo avevo già sentito il tuo fetore: a Gultch!".

Un istante dopo Ayza rivolge la sua attenzione a Van, che non trova di meglio da fare che rivolgere la spada contro Annie: "getta l'arm..." e poi lei gli pianta la spada tra gli occhi sfondandogli il cranio, senza neppure fargli finire la frase.

Rettifico quello che ho detto prima: grazie, Dèi, per avermi regalato questo spettacolo glorioso prima di crepare.

"Aiutala!", grida Garruk, indicandomi. "Lascia perdere me, le fiale e tutto quanto il resto: portala via! Portala in salvo...".

Ayza si china su di me: le basta annusarmi per capire tutto. Mi sorride, e anche io le sorrido. E' davvero bellissima, specie adesso che al posto della maschera da teschio il suo viso è ricoperto del sangue di quei due scorreggioni. Grazie lo stesso, tesoro: mi hai appena fatto un regalo pazzesco, ma mi sa che i miracoli non puoi farli neanche te.

"Coraggio", mi dice. Ah, quello non mi manca di certo: guarda con che cazzo di capelli sto per uscire di scena. Poi si alza e va da Annie: fa del suo meglio per ripulirla dalla Garmobozia, quindi comincia a prenderla a schiaffi. Povera Annie! Eppure confesso che, per qualche assurdo motivo, guardando quella scena mi viene quasi da ridere. Il che è davvero pessimo, quando hai i polmoni bucati. Penso che gliene abbia dati almeno ottanta. Dopo ogni scarica le dice qualcosa: vorrei sentire cosa, ma purtroppo comincio ad avere qualche difficoltà uditiva. Starò forse diventando vecchia?

Poi perdo i sensi. Quando rinvengo sono seduta su un fianco e mi ritrovo i volti di Annie e Garruk in lacrime praticamente attaccati al mio, a momenti non riesco neppure a metterli a fuoco. Ammazza che lago rosso qua sotto: è tutta roba mia? Temo di si. Pensa se non provavano a stabilizzarmi...

"Anche meno, ragazzi... anche meno. Cosa sono questi musi lunghi... lasciamoci col sorriso, no?"

Incredibilmente, stavolta le parole mi escono: questa nuova posizione fa miracoli! Loro invece non sanno che dire, blaterano frasi senza senso, tipo che non è grave, devo solo tenere duro, ce la farò. Certamente.

Poi Garruk dice che c'è ancora una possibilità, mi mostra una fialetta con un liquido rosso. Dice che secondo Ayza potrei essere compatibile, se mi dice culo potrei persino diventare una di loro. Una innalzata, addirittura.

Apprezzo l'idea, ma per oggi passo. Non ho nessuna intenzione di innalzarmi: sono già alta di mio. Voglio vivere e morire così come sono nata, senza il sangue di un demone che mi violenta da dentro e minaccia di farmi impazzire non appena perdo la brocca. Lo sapete come sono fatta, cazzo: voglio ubriacarmi, divertirmi, bestemmiare, scopare. Voglio perdere la calma ogni volta che mi tolgo l'armatura e riacquistarla ogni volta che me la rimetto. Non prendetela sul personale, Annie e Ayza: voi due siete davvero eccezionali, ma io non mi ci vedo, prima o poi farei la fine di William Deed o di qualche altro coglione e francamente non potrei mai perdonarmelo: voglio uscire da questo palco sulle mie gambe, non con un paio di corna e le ali da pipistrello. Si fa per dire, ovviamente, visto che è un pezzo che non me le sento più, le gambe. E poi, diciamocelo... vi ruberei la scena. Quindi mi dispiace, Garruk, ma non se ne fa niente: come se avessi accettato. Grazie, ma no grazie. Questa è la mia fermata.

Del resto, il tenente Logan è stato chiaro: quelle fiale le dobbiamo distruggere, mica scolarcele noialtri. Il tenente Cope è morto, quindi fino a prova contraria comando ancora io, giusto? Bene, fatemi il piacere di portare a termine la missione: spaccate quella merda, pisciateci sopra e fate in modo che di questa stanza puzzolente non resti pietra su pietra. E poi levatevi dai coglioni, che avete una città da... coff... coff... assediare, domani. E' un ordine, capito? Razza di pelandroni del cazzo, se vi vedesse il tenente Ramsey vi prenderebbe a calci nel culo. Uscite da qui e cercate Logan, penserà lui a riportarvi al campo.

Prima che ve ne andiate, però, ho qualcosa da darvi. A te, Garruk, lascio questo. No, non fare quella faccia: sai bene che ti tocca, proprio come quando è toccato a me. E poi è l'unico che ti manca, no? Adesso mi sa che hai finito la collezione...

A te, Annie, lascio questa: mi ha tenuto compagnia per tanto tempo, ma adesso è ora di farle cambiare mano. E ricorda che è una femmina, anzi una signora: trattala con rispetto.

A te, Ayza non lascio un regalo, ma la responsabilità di tenere in vita le due persone a cui hai salvato la vita oggi. E' un'inculata, lo so, ma il Kanun prescrive questo, quindi mi sa che... coff... coff... ti tocca. Me lo prometti, vero?

...

E' buffo, non riesco più a capire se sto ancora parlando con voi o sto solo immaginando di farlo. Non sento più la mia voce e sta diventando tutto... coff... coff... tutto buio.

A proposito.... Sapete qual è il colmo per un ferito?

... No, eh?

Morire... coff... coff.... Morire in un ospedale.

Ah, ah, ah!


Ali Shark - Immagine 3
scritto da Garruk Jagger, Ayza Reich, Ali Shark , 03:20 | permalink | markup wiki | commenti (0)
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