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Solice Kenson
Cronache della Campagna di Caen
Solice Kenson
"Voi avete coraggio e siete molto convincente: ma non appena sarete chiamata a combattere, al primo combattimento che possa realmente definirsi tale, voi morirete. E non parlo di scontri confusi o ingarbugliati, dove nessuno capisce fino in fondo quello che sta facendo o magari ha meno voglia di uccidervi che di portare la pelle a casa. Parlo di uno scontro vero, in cui affronterete una persona con le vostre sole forze. Beh, è giunto il momento che qualcuno che vi vuole bene vi dica che queste forze non basteranno proprio contro nessuno".
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Scritto il 25/05/2007 · 44 di 91 (mostra altri)
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16 giugno 517
Venerdì 25 Maggio 2007

Il ritorno di Rosalie

Gli Dei hanno accolto le mie preghiere: Rosalie è tornata a Beid! La lieta notizia è stata portata a palazzo da Jen il 12 giugno. Ricordo distintamente quel giorno: Ryan mi aveva raccontato di come l'avvistamento di alcuni uomini armati, presumibilmente agli ordini di qualche ufficiale di Keib, aveva costretto mio padre ad inviare sir Thomas, lady Jen e un plotone di soldati a pattugliare la via che unisce la marca di Beid con la baronia di Chalard; grande era stata la sorpresa di veder tornare soltanto lei, ancora avvolta nel leggero mantello che l'aveva accompagnata lungo una cavalcata lunga una notte intera.

Subito dopo essere smontata da cavallo Jen è andata dritta dal marchese, senza rispondere alle domande di mio fratello o dei soldati: non le era concesso dirci nulla, ma un solo sorriso della sua faccia è stato sufficiente a illuminarmi. Impaziente di aspettare sono corsa da mio padre che ha presto confermato l'incredibile notizia: Rosalie era viva e in procinto di tornare a casa. Con il cuore colmo di gioia mi sono precipitata alla chiesa di Pyros: la povera Yera è stata costretta a corrermi dietro per tutta via Finlungo, preoccupatissima che potessi cadere e farmi male.

Grande, grandissima è stata la mia sorpresa nell'apprendere, al mio ritorno, che un determinante ruolo nella sua liberazione era stato giocato proprio dai miei amici di Caen, che avrebbero raggiunto Beid l'indomani insieme a Rosalie. Confesso di ricordare ben poco al momento di quella seconda rivelazione per colpa di un violento capogiro, forse provocato dalla corsa e dall'effetto delle nuove rivelazioni, che purtroppo portò i consueti scompensi al mio stomaco e che mi costrinse mio malgrado a letto per gran parte della giornata.

"Questi vostri rigetti non mi piacciono per niente", aveva detto Yera subito dopo aver pulito il pavimento di fianco al mio letto. "Toccate a malapena cibo, eppure non riusciamo ancora a comprendere cosa li provochi. Se volete la mia opinione, il marchese dovrebbe essere informato".

Con la sola eccezione delle visite di monsignor Ridde, Yera era l'unica a conoscenza delle mie reali condizioni: le mie preghiere di non rivelare a mio padre i dettagli di quell'ultima crisi non erano state sufficienti a convincerla.

"Siete certa che Pyros sia d'accordo sul tenere nascosta a vostro padre questa cosa?" Mi aveva chiesto poco dopo, guardandomi improvvisamente con i suoi grandi occhi verdi.

"Non posso fermarmi adesso, Yera", le avevo prontamente risposto. "Non senza prima ascoltare le parole dei miei amici". Dentro di me sapevo che non avrei potuto tenere nascosta a mio padre la verità, eppure sentivo di non potermi tirare indietro proprio adesso consentendo alla sua legittima preoccupazione di preservarmi dal compito che gli Dei stesso sembravano inviarmi con così tanta chiarezza; Netjerikhet il prigioniero e la rosa bianca, il ritorno di Rosalie, gli amici di Caen, il sogno ricorrente: troppi elementi cominciavano a prendere forma davanti ai miei occhi. Yera aveva ragione, nulla al mondo avrebbe potuto fermarmi dal rivelare a mio padre la verità sulle mie condizioni... Ma era un sacrificio quello che ora mi veniva chiesto, e lo avrei onorato quel tanto che bastava per apprendere tutte le informazioni necessarie per spargere la luce degli Dei sul mare di tenebra che mi circondava e che sentivo prossimo a squarciarsi: gli amici di Caen erano giunti in mio soccorso, e anch'io avrei fatto la mia parte.

Il giorno dopo ho avuto modo di riabbracciare Rosalie: lacrime di gioia scendevano dalle mie guance mentre la osservavo: ero così contenta da non riuscire neppure a parlare.

"Chi si rivede! Spero almeno di esservi mancata..." furono le sue prime parole: non le ascoltai neppure, occupata come ero ad abbracciarla, ringraziando ancora gli Dei per quel dono.

"Che ti è successo, piccoletta? Pensavo di essere io quella messa male, ma vedo che stai peggio di me", continuò, cercando invano di mantenere un atteggiamento austero; la sua maschera, che era solita indossare per nascondere le sue reali emozioni, si ruppe subito: mia sorella ricambiò il mio abbraccio, piangendo per lunghi minuti insieme a me. Singhiozzò a lungo, mormorando qualcosa all'altezza della mia spalla: sentivo i suoi denti premere senza forza contro il mio vestito, mentre sussurrava qualcosa che non riuscivo a comprendere. In quel momento, non importava: parole e spiegazioni potevano aspettare, ora era il momento di farla sentire nuovamente a casa.

Mio padre e i miei fratelli si avvicendarono a darle il bentornato. La stretta di Ryan fu particolarmente energica, e non potei non notare il tentativo di proteggere la spalla sinistra e l'anca destra da parte di Rosalie. "Stai bene? Sei ferita?" le chiesi a bassa voce, appena ebbi occasione. Lei si limitò a scuotere la testa, ma la sua espressione non mi piacque: qualsiasi cosa stesse nascondendo, doveva aver avuto un pesante impatto su di lei. Decisi tuttavia di non forzarla anzitempo: era una ragazza intelligente e devota, e avrebbe trovato lei i tempi e i modi di aprirsi con me o con altri.

Tale apertura avvenne prima del previsto: poco dopo aver ricambiato gli affettuosi saluti dei miei fratelli Rosalie mi prese per il braccio sano, trascinandomi via dal salone d'ingresso e portandomi su per le scale, verso la mia camera. Yera ci raggiunse trafelata, con in mano un vassoio e una caraffa di acqua di fonte, ansiosa di darle lei stessa il bentornato: "Lady Rosalie! Ho preparato una torta, ma non so come è venut..." ma non fece neanche in tempo a terminare la frase: senza una parola, mia sorella le chiuse la porta davanti.

Aprii la bocca con l'intenzione di parlare: "Rosalie..." feci appena in tempo a dire, ma l'espressione con cui mi guardò, voltandosi dopo aver chiuso la porta a chiave, fu sufficiente a spegnere le mie parole.

"Non... non devi dire a nessuno quello che sto per rivelarti. Devi prometterlo sulla tua stessa vita, su quanto hai di più caro al mondo... Devi giurarmelo. D'accordo?".

Continuai a guardarla, senza dire nulla. Quella richiesta non aveva senso, entrambe sapevamo bene che nessun giuramento al mondo mi avrebbe fatta sentire più vincolata di quanto già non fossi a rispettare le sue confidenze, le sue confessioni, le sue paure; inoltre, entrambe avevamo già prestato l'unico giuramento che ci era consentito fare.

"Puoi dirmi qualsiasi cosa", mi limitai a dire. La sua espressione da sola era in grado di farmi tremare le gambe, di terrorizzarmi: qualsiasi cosa le fosse capitato, era pronta a raccontarlo. Ma io ero davvero pronta ad ascoltare?

"Siediti", mi disse poi, indicando il letto. Obbedii.

E poi, di lì a poco, seppi.

I miei occhi si posarono sulle sue ferite, ancora aperte... aperte da settimane. Il suo racconto mi travolse come un fiume in piena, gettandomi in uno sconforto profondo e senza via d'uscita: la mia gola si chiuse in una oscura morsa di oppressione. Le sensazioni provate oltre un mese prima, in occasione della mia prima conversazione con il prigioniero di Valamer, tornarono con violenza a farsi sentire: ma stavolta non era un racconto in terza persona, ora le parole venivano direttamente dalla vittima di tali assurde, insensate e atroci sofferenze e torture. Sentivo il suo forte bisogno di sfogarsi, di riversare tra le quattro mura che ci ospitavano la sua terribile esperienza, e lottai con tutta me stessa per resistere alla tentazione di alzarmi e stringerla forte, asciugando le sue lacrime e tappandole la bocca con la mano, impedendole di ricordare.

Fu lei ad abbracciarmi, al termine del suo racconto: si rotolò sul letto, travolgendomi e nascondendo la faccia tra la mia spalla e i cuscini. In quel momento, gli Dei soli sanno quanto avrei voluto consolarla, darle la forza di reagire a quella sensazione di vuoto e di impotenza che la attanagliava: avrei voluto ricordarle che era finita, che l'avrei aiutata a dimenticare quella terribile esperienza. Chiedo perdono a Pyros se non mi riuscì di dire nulla: mi limitai a stringerla più forte che potevo, piangendo con lei: come potevo donarle una forza che io stessa non possedevo, vinta com'ero dalla crudeltà di quei racconti? Restai in silenzio, singhiozzando con lei, pregando gli Dei di donarle attraverso la fede il coraggio che io non ero in grado di trasmetterle.

"Devo cambiare queste fasciature", mi disse asciugandosi le lacrime, quando riuscimmo a rimetterci in piedi: tanto il letto quanto parte dei miei abiti erano macchiati del sangue che ancora fuoriusciva dai morsi che mi aveva mostrato.

"Non preoccuparti", le dissi. "Ora mi occuperò io di te. Provvederò a lavare le ferite, a medicarti e a cambiarti queste bende fino a quando non ti sentirai pronta a parlarne con qualcuno".

Rosalie annuì: le fasciai nuovamente la spalla, i fianchi e la gamba, per poi aiutarla a rivestirsi. Il braccio rotto mi costringeva a operare con movimenti lenti e goffi che, con mia grande gioia, riuscirono persino a farla ridere. "Che buffa che sei, piccoletta", mi disse. Piccoletta: un soprannome che mi portava alla mente vecchi ricordi risalenti a quando eravamo entrambe a Focault, che aveva smesso di utilizzare soltanto quando un giovane sacerdote le aveva fatto notare che, crescendo, ero diventata di alcuni centimetri più alta di lei. "Cosa c'entra? Resta comunque più piccola in termini di età" aveva comunque commentato, senza voler sentire ragioni e suscitando le risate mie e di Valerie.

Valerie: il suo ricordo anticipò soltanto di poche ore la triste rivelazione del suo tragico destino. Calde lacrime tornarono a rigare i nostri volti mentre ricordavamo i momenti passati insieme a quella che entrambe consideravamo la nostra migliore amica. Non ci fermammo neppure con l'arrivo della sera: Rosalie non aveva intenzione di cenare o di recarsi alla funzione del vespro: decisi di restare con lei. Restammo per ore a parlare di Valerie e di Focault, del viaggio da Rigel a Beid: senza neppure rendercene conto, tirammo avanti fino a notte inoltrata. "Posso dormire qui?" mi chiese: annuii. "Vedrai che domani andrà meglio", le dissi, augurandomi che fosse la verità.

L'indomani ebbi finalmente modo di rivdere i miei amici di Caen: fortunatamente, sembravano tutti in ottima salute. Julie mi accolse con un caloroso abbraccio: ero così contenta di rivederla che per un attimo mi dimenticai di non poter usare il braccio destro, che avvampò non appena lo mossi costringendomi a soffocare un grido mordendomi le labbra: mi avrebbero vista debilitata e inutile, ma se non altro non avrei piagnucolato di fronte a loro.

Nel corso della giornata parlai a lungo con ognuno di loro, apprendendo moltissime informazioni sul rompicapo che avevo cercato di decifrare e che, a quanto ebbi modo di capire, coinvolgeva non soltanto me ma tutti quanti noi: seppi di quanto avessero temuto per la mia sorte e dei pericoli affrontati per correre da me ad avvisarmi, ad aiutarmi o a salvarmi. Tale spirito di sacrificio mi colpì molto, riempiendomi di gratitudine: sapevo che si trattava di persone eccezionali, ma mai avrei immaginato di essere tanto importante per tutti loro.

Il commento di Loic sul palazzo di mio padre mi fece tornare il sorriso: "Aho, c'hai sempre tenuto all'oscuro ma sei na gran signora... anvedi sto palazzo!" furono le sue parole. Caro Loic, spero tanto che continuerai a vedere in me la stessa paladina che incontrasti a Chalard, quando trascinavo a fatica uno scudo alto e ingombrante.

Guelfo mi salutò appena, sollevando quasi subito lo sguardo dietro le mie spalle: per un attimo pensai che qualcuno dei suoi misteriosi poteri gli consentisse di scorgere qualcosa, ma mi resi presto conto che era Yera ad attirare la sua attenzione, inducendomi a pensare che forse il suo volto potesse aver destato in lui ricordi sepolti: ma quando, qualche ora dopo, chiesi a Yera se per caso si fossero già conosciuti in precedenza, lei scosse la testa con un sorriso: "certo che a volte siete proprio testona", mi disse ridacchiando.

Eric era di poche parole, schivo e riservato come sempre, e anche Quixote si trattenne dal parlare. Quanto a Desiree mi raccontò della sua esperienza incredibile, sollevando questioni che mi ripromisi di approfondire non appena possibile.

Poco dopo feci la conoscenza di Bernard e Lucius, i due paladini di Pyros che avevano ricevuto la missione di riaccompagnare Rosalie a Beid: il primo, più grande di diversi anni, mi fece alcune domande sui sacerdoti che avevano seguito il mio percorso di iniziazione e sulla caserma o monastero dove avevo prestato servizio: mi chiese anche se avessi già ricevuto l'investitura formale, e quando sentì la mia risposta affermativa mi sembrò sollevato. Il secondo mi fece una sola domanda, che mi sembrò ancora più strana: "te lo metti l'elmo?". Anche qui dissi la verità, sperando che fosse ciò che volevano sentire: in ogni caso, ebbi cura di ringraziarli sentitamente.

Durante questi ultimi giorni i miei amici non hanno perso tempo: gli elementi in loro possesso consentono di trarre importanti conclusioni sulla vicenda in corso, e sfruttando la libertà di movimento concessa da mio padre in cambio del recupero di Rosalie stanno battendo in lungo e in largo il territorio di Beid alla ricerca di indizi importanti, che se recuperati riusciranno a indicarci la strada da percorrere per risolvere questo mistero antico di secoli. Da parte mia cerco di aiutarli come posso, cercando di guadagnare tempo: fortunatamente il ritorno di Rosalie mi ha consentito di ricordare a mio padre la sua promessa, accogliendo il segnale divino e ritardando l'inevitabile esecuzione di Netjerikhet. Dopo due lunghi colloqui sono riuscita a rinviare la data a fine mese: prezioso è stato anche l'aiuto di sir Thomas, che sembra sinceramente convinto della possibile innocenza del prigioniero e che più volte ho sentito discutere con mio padre nel cuore della notte.

Oggi, 16 maggio, sono in procinto di recarmi per la terza volta al cospetto di mio padre, e per la prima volta il favore che devo ottenere non è per Netjerikhet o per i miei amici, ma per me stessa: devo chiedergli di vincere le sue remore, a consentire alle mie gambe di tornare a reggersi da sole per condurmi lungo la strada che gli Dei mi chiamano a seguire. E se non avrà intenzione di concedere questo privilegio a sua figlia, gli chiederò di rispettare il volere di una paladina.

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Scritto il 25/05/2007 · 44 di 91 (mostra altri)
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