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Solice Kenson
Cronache della Campagna di Caen
Solice Kenson
"Voi avete coraggio e siete molto convincente: ma non appena sarete chiamata a combattere, al primo combattimento che possa realmente definirsi tale, voi morirete. E non parlo di scontri confusi o ingarbugliati, dove nessuno capisce fino in fondo quello che sta facendo o magari ha meno voglia di uccidervi che di portare la pelle a casa. Parlo di uno scontro vero, in cui affronterete una persona con le vostre sole forze. Beh, è giunto il momento che qualcuno che vi vuole bene vi dica che queste forze non basteranno proprio contro nessuno".
creato il: 20/05/2005   messaggi totali: 91   commenti totali: 32
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Scritto il 18/05/2007 · 43 di 91 (mostra altri)
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7 giugno 517
Venerdì 18 Maggio 2007

Convalescenza

I giorni passano lentamente qui a palazzo, scanditi dal rumore della porta della mia stanza che si apre e si chiude diverse volte al giorno. Karl e Ryan vengono a trovarmi molto spesso; nonostante cerchino in tutti i modi di farmi sorridere leggo ancora nei loro volti qualche traccia di paura: mi ricoprono di attenzioni, chiedendo quotidianamente a me e al sacerdote che mi ha preso in cura ogni sorta di informazioni riguardanti il mio recupero e tutte le possibili conseguenze presenti e future della caduta.

Da parte mia, cerco di rassicurarli come posso: il dolore al braccio si affievolisce di giorno in giorno e quello alla testa si è ridotto quanto basta per concedermi di dormire con continuità. I rigurgiti improvvisi che inizialmente avevano preoccupato un pò tutti si sono ridotti fino a svanire, e il sacerdote è ottimista sul mio recupero pressoché completo; a quanto sembra, la frattura che mi sono procurata mi impedirà l'utilizzo del braccio per un paio di mesi, e ce ne vorranno quasi altrettanti per un recupero completo. Era una notizia che mi aspettavo, eppure non ho potuto impedirmi di accoglierla con lacrime di pianto: indipendentemente da ogni mio proposito di migliorare la mia tecnica, gli Dei avevano deciso che la mia spada avrebbe continuato ad essere un peso per i miei compagni. Ma mi sono fatta forza pensando al motivo per cui Kayah mi aveva protetto: se ero ancora in vita era merito suo e dello spirito di Abel, la cui luce mi aveva sottratto alle tenebre. Mai come ora avrei dovuto trattenere la disperazione e concentrarmi sul mio compito, impegnandomi a tornare presto in grado di muovermi e di agire.

In questi giorni successivi al mio risveglio lascio spesso il mio sguardo indugiare sui pochi oggetti che circondano il letto entro cui mi trovo. Non sono bianche ma rosse le rose lasciate da sir Steven sulla soglia della porta della mia camera il giorno prima di partire: in mezzo a loro, come un fiocco di neve, risalta quella che si trovava tra i miei capelli la notte della caduta. Yera mi aveva raccontato di come fosse stato proprio sir Steven a riportarmi al castello: evidentemente mi aveva seguita, poco convinto dell'opportunità della mia passeggiata notturna. Il suo spirito d'iniziativa gli era comunque costato piuttosto caro: stando al racconto di Yera, mio padre era andato su tutte le furie sapendo che il cavaliere di Anthien mi aveva spostato dopo una simile caduta, e il sacerdote di Reyks aveva confermato il rischio e l'avventatezza di quella decisione. "In un solo giorno vi ha regalato una rosa, vi ha inseguita, vi ha vista volare di sotto, vi ha riportata in braccio a palazzo e in tutto questo ha rischiato inavvertitamente di uccidervi! Non è incredibilmente romantico?" aveva commentato Yera al termine del racconto. Era stata lei a conservare la rosa bianca che si trovava tra i miei capelli, e sempre lei l'aveva posta al centro del mazzo: una rosa bianca intrappolata tra molte altre rose. Gli altri oggetti erano un rosario di Kayah, lasciato sempre sulla porta da Peter Gremaud il giorno della sua partenza, e la carta del fante di quadri, che mi osservava dal comodino sul quale era sempre stata, quasi prendendosi gioco di me: i sogni avevano smesso di parlarmi, da quel momento sentivo che avrei dovuto farcela da sola.

Dal giorno in cui mi sono svegliata, mio padre è venuto a trovarmi tre volte. La prima la ricordo appena, confusa com'ero: ricordo di aver provato a parlargli, ma la testa mi doleva al punto da non riuscire a concentrarmi sul senso delle mie parole. Avevo provato a spiegargli i dettagli della mia caduta, ma lui aveva ben presto scosso la testa: "Devi pensare soltanto a riposare", mi aveva detto, interrompendo il disordinato fiume delle mie parole. "Non voglio che tu faccia altro".

La seconda volta avvenne alcuni giorni dopo: oltre a lui c'erano anche sir Thomas, Malaki e Jen, i tre cavalieri di Beid a cui maggiormente mi sentivo legata. La reazione di Malaki quasi mi commosse: era così sollevato alla vista dei miei occhi aperti... Sir Thomas e Jen si mantennero sull'attenti; la loro espressione mi era sufficiente per provare nei loro confronti un profondo senso di gratitudine. Tanto mio padre quanto sir Thomas, quest'ultimo ancora duramente provato dalla ferita alla spalla sostenuta alla vigilia del matrimonio, mi fecero numerose domande sul mio aggressore; alcune di esse mi sorpresero, al punto da farmi venire il dubbio che avessero già catturato un possibile sospettato. Grande fu il mio sgomento quando, manifestando tale interrogativo, mi sentii rispondere che con tutta probabilità doveva essersi trattato del prigioniero di Valamer.

"Non... non ha senso", dissi balbettando. "Non può essere stato lui". Nel giro di pochi istanti ricevetti una serie di spiegazioni a suffragio di tale tesi: Netjerikhet era fuggito da Valamer in circostanze misteriose la stessa notte della mia caduta, per poi essere ritrovato a poca distanza dal castello, in un lago di sangue; alcune guardie del castello erano rimaste uccise, probabilmente - stando a quanto dicevano - da lui stesso o dagli individui responsabili della sua liberazione; inoltre, una o due guardie civiche sostenevano di aver visto un individuo avvolto in un mantello, di altezza e corporatura corrispondente alla sua, nei pressi della torre delle Termiti: una corporatura in tutto e per tutto simile a quella da me descritta pochi istanti prima nel tentativo di visualizzare la stazza del mio aggressore.

Man mano che sentivo quelle gravi parole, il mio cuore si stringeva: sebbene le prove non fossero sufficienti per avere la certezza assoluta non avrebbero fermato la decisione che mio padre avrebbe con tutta probabilità preso. Il prigioniero di Valamer era spacciato.

Nei giorni successivi ho avuto modo di parlare molto con Yera: senza scendere nei dettagli le ho confidato parte delle mie preoccupazioni e tutti i dubbi che avevo sulla colpevolezza del mio presunto assalitore. Mi ci volle un pò per convincerla: "voi siete ancora intontita dalla botta che avete preso, milady: quello vi vuole morto e voi lo volete salvare", mi ripeteva giorno dopo giorno, scuotendo la testa. Tuttavia, alla fine la fiducia che nutriva per me la portò a credere alle mie parole non appena fu completamente persuasa che non erano le conseguenze della caduta a farmi parlare in quel modo. Una analoga sorte la ebbi con mio fratello Ryan: "per quello che vale ti credo", disse al termine di una lunga conversazione, "ma non penso che nostro padre sentirà ragioni: in questi giorni sta succedendo qualcosa di grosso, e in quanto Marchese ha il dovere di fare le scelte necessarie per il bene della marca".

Il senso delle sue parole mi venne spiegato nel corso dei giorni successivi: a seguito dei giorni del matrimonio, reparti scelti dell'esercito di Keib erano stati avvistati in territorio di Beid. Sir Thomas e altri soldati avevano provveduto a scortare le ultime carovane di invitati fino a Chalard, e sebbene non avessero subito attacchi diretti avevano avuto conferma di movimenti misteriosi e apparentemente ostili. A quanto sembrava i nostri "cugini" avevano qualcosa in mente, e questo significava l'impossibilità per mio padre di commettere qualsivoglia errore nei confronti della sua popolazione. Quelle notizie erano tanto gravi quanto paradossali: era stato proprio Netjerikhet a metterci in guardia di quella minaccia, la cui conferma gli sarebbe di lì a poco costata la vita. Quante e quali altre informazioni sarebbero morte con lui? Su Beid, su Keib, su Rosalie...

"il 15 giugno", fu la frase che mio padre pronunciò guardando fuori dalla mia finestra, nel corso della sua terza visita. A lungo lo implorai di recedere da quella data, che di fatto mi impediva di dimostrare con le mie forze la sua innocenza: come avrei potuto inseguire la verità in così poco tempo? Stando al sacerdote presto avrei potuto alzarmi, ma a quel punto non avrei avuto che una manciata di giorni prima dell'esecuzione. Inutilmente lo implorai di darmi ancora tempo: gli chiesi di non macchiarsi le mani di una scelta che non poteva ancora definirsi certa, e che avrebbe potuto soffocare la verità anziché conseguirne gli scopi, ma si dimostrò inamovibile; il suo ruolo di padre e quello di Marchese lo spingevano verso una condotta univoca e coerente che non lasciava alcuna speranza al prigioniero. Rendendomi conto dell'impossibilità di perseguire lo scopo come figlia, fu come Paladina che gli rivolsi l'ultima preghiera: lo implorai di rivolgere il suo cuore agli Dei, accettando il loro consiglio e cogliendo con saggezza ogni possibile segno che i nostri padri avrebbero inviato nel tentativo di preservare dall'oblio la luce della verità. Un barlume di speranza si accese nel mio cuore quando, subito prima di andarsene, acconsentì a questa mia estrema supplica.

Tre giorni sono passati da quella visita: il sacerdote di Reyks mi ha proibito di alzarmi fino al 12, ma non posso ignorare l'urgenza che sento all'interno del mio cuore, il compito a cui so di essere chiamata in questi giorni fondamentali. Ho perso l'uso del braccio, ma non è lì che risiedono le mie capacità: da domani chiederò a Yera e alle mie gambe di sorreggermi fino alla porta del palazzo e poi verso la torre delle Termiti: è lì, nel luogo in cui Kayah e Abel mi hanno salvato dalla morte, che avrà inizio la mia ricerca per riaccendere la fiaccola della verità. Lo devo a Netjerikhet, che si è fidato della mia intelligenza rischiando la vita; lo devo agli amici di Caen; lo devo ad Abel e alla sua stella che mi illumina e protegge nella notte; lo devo a mio padre, che non merita di sacrificare la sua integrità alla ragion di stato; e più di ogni altra cosa, lo devo a Rosalie: se c'è qualcuno che può rivelarmi qualcosa sulla sua ubicazione o sul suo destino, quello è il prigioniero di Valamer, un uomo che ha messo la sua vita nelle mie mani recandomi un unico, eloquente messaggio: una rosa bianca.

Che gli Dei mi aiutino a farlo uscire per la seconda volta da quella prigione, stavolta da uomo libero.


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Scritto il 18/05/2007 · 43 di 91 (mostra altri)
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