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Solice Kenson
Cronache della Campagna di Caen
Solice Kenson
"Voi avete coraggio e siete molto convincente: ma non appena sarete chiamata a combattere, al primo combattimento che possa realmente definirsi tale, voi morirete. E non parlo di scontri confusi o ingarbugliati, dove nessuno capisce fino in fondo quello che sta facendo o magari ha meno voglia di uccidervi che di portare la pelle a casa. Parlo di uno scontro vero, in cui affronterete una persona con le vostre sole forze. Beh, è giunto il momento che qualcuno che vi vuole bene vi dica che queste forze non basteranno proprio contro nessuno".
creato il: 20/05/2005   messaggi totali: 91   commenti totali: 32
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Scritto il 09/05/2007 · 42 di 91 (mostra altri)
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27 maggio 517
Mercoledì 9 Maggio 2007

9 giorni


...Una catena d'oro con un anello che scompare in un buco del muro. Una stanza buia, con le pareti ricoperte di sangue. Sangue rosso, sangue recente, i cui schizzi ricoprono le pareti incrostate di sangue scuro, quasi nero. Sangue di anni, forse decenni. Sangue in polvere, polvere di sangue. Soltanto la torcia nella mia mano illumina quella nuda pietra bagnata di vita scarlatta e impregnata di morte scura, i cui solchi impressi in epoche remote parlavano una lingua a me sconosciuta. Una lingua fatta di immagini e disegni, impossibile da decifrare o da interpretare.



"Arrivano! Arrivano!" L'urlo si diffuse potente lungo le pareti di pietra del castello; mancavano pochi minuti al completamento della ricerca, ma lo sguardo del Maestro non tradiva alcun dubbio o esitazione: il conclave avrebbe continuato in silenzio la sua opera fino al termine del periodo necessario. Le parole furono pronunciate una dopo l'altra con fermezza e precisione, ma neanche la voce altisonante del Maestro poteva coprire il suono del portone schiantato e i passi che cominciavano a invadere le scale che avrebbero condotto alla nostra sala. Mi guardai intorno, per quel poco che potevo: non avrei rotto la mia concentrazione in un giorno così importante. Quei soldati erano qui per portare via il nostro Maestro, avrebbero per sempre privato i nostri occhi della luce necessaria per comprendere quello che ci circonda: la luce della conoscenza, la luce della vita, la luce della fede: la luce degli Dei. Guardai i miei compagni, intenti a sostenere il Maestro in quello che sarebbe stato il suo ultimo incantesimo da uomo libero: nel giro di pochi minuti saremmo rimasti tutti ciechi, e le prigioni di Clerval avrebbero costretto per sempre alla solitudine e alla sofferenza l'uomo che noi tutti avevamo giurato di accompagnare lungo il suo cammino. Abbassai lo sguardo, osservando la carta che avevo tra le mani: un fante di quadri, il seme simbolo della nobiltà. Una nobiltà che non mi apparteneva più dal giorno in cui abbandonai la mia terra natale per venire ad Amilanta, abbracciando una ricerca che presto non sarebbe più esistita, spazzata via dall'ignoranza e dalla paura nei confronti di qualcosa che non si conosce...



...Mi fa male il braccio; lo tocco, e mi fa ancora più male. Non sono ferita, ma capisco che non potrò muoverlo. Se voglio tirare quell'anello dovrò farlo con il sinistro. Mi guardo intorno... non ci sono porte. Da dove sono entrata? Guardo in alto e capisco...



...Lo schianto simultaneo delle pesanti porte di legno che chiudevano gli accessi alla sala delle Convocazioni mise a dura prova la mia concentrazione: i soldati entrarono nella sala, splendenti nelle loro armature nere. Il simbolo del nostro nemico, il signore della guerra, sventolava sui loro vessilli, e decine di grifoni ci osservavano protendendosi dagli scudi e dalle armature. Il Maestro alzò le mani al cielo; gli invasori lo scambiarono per una resa, ma era piuttosto il segno che il nostro lavoro si era compiuto: da quel momento in poi la misteriosa ricerca che il nostro Maestro ci aveva chiesto di officiare prima della sua cattura era nelle mani del Tempo, il cui svolgersi avrebbe presto rivelato il successo o l'insuccesso dei nostri sforzi.

"Jean-Antoine DeFlay!", tuonò quello che sembrava il più alto tra gli ufficiali in grado. "In nome di sua maestà il Signore della Guerra io, Stearn Versére, sono qui per punire la tua eresia e i tuoi rituali sacrileghi e contrari ai dettami della Chiesa".

"Non vedo inquisitori tra voi", rispose con calma il Maestro. "E non vedo neanche sacerdoti. Il signore della Guerra possiede dunque l'autorità per.."

"Fate silenzio!", lo interruppe bruscamente l'ufficiale. "Non permetterò alla vostra bocca velenosa e infida di pronunciare un'altra parola". Cosi' dicendo fece un cenno ai suoi uomini. Guardai con tristezza i miei compagni, incontrando i loro sguardi affranti. Noi tutti confidavamo che il Maestro non sarebbe stato giustiziato, ma con l'accusa di eresia avrebbe comunque trascorso il resto della sua vita nelle segrete di Clerval.

Poi accadde, come in un lampo: di fronte allo sgomento di tutti noi, Stearn Versére sguainò la sua spada. "Non permetterò a una carogna come voi di respirare ancora". Con quelle parole vibrò un colpo improvviso, trafiggendo in un lampo il torace del Maestro.

Quella scena ci fece ghiacciare il sangue delle vere: incapaci di muoverci, guardammo il comandante dell'esercito di Keib estrarre la spada dal corpo del Maestro, anticipando un fiotto di sangue caldo e rosso. Cadde in ginocchio, subito prima che un secondo colpo si abbattesse su di lui: con orrore assistemmo al tremendo spettacolo della sua testa, ormai separata dal corpo, rotolare al centro della sala delle Convocazioni.

Guardai Versére negli occhi, sperando di leggervi anche il minimo accenno di pazzia: il mio cuore quasi si fermò nel petto quando mi accorsi della sua calma, segno del controllo che ancora esercitava sulle sue azioni. Fu in quel momento che capii che nessuno di noi avrebbe lasciato quella sala.

"Uccideteli tutti", ordinò il comandante. Così dicendo avanzò verso Mathr, sferrando un colpo rivolto verso la sua faccia: un secondo dopo il corpo senza vita del mio amico cadde in terra, a pochi metri da me. Arretrammo verso il centro della sala, circondati dai soldati nell'atto di sguainare le loro armi: molti di loro erano spaventati, ma il timore che nutrivano nei nostri confronti non era meno pericoloso dell'odio provato da Versére. Accadde tutto molto in fretta: il Maestro ci aveva proibito di utilizzare i nostri poteri contro altri esseri umani, ma in molti disubbidirono, spaventati a loro volta dalla paura di morire. Io non fui tra questi: accettai il mio inevitabile destino, stringendo in mano l'ultimo ricordo lasciatomi dall'uomo i cui insegnamenti mi ero impegnato a seguire: il fante di quadri. Morivo senza lasciare eredi, ma la mia famiglia non si sarebbe estinta... e giurai a me stesso che, in un modo o nell'altro, sarei riuscito a raccontare questa storia.


"Noooooooooooooooooooooooooooooooo!"

Mi svegliai di soprassalto, urlando a perdifiato: calde lacrime scendevano dai miei occhi, mentre rivivevo gli ultimi istanti di vita dell'uomo di cui avevo appena visto la morte. I miei occhi erano ancora velati dalle mura scure di quel castello, dal sangue che si infiltrava lungo le pietre che pavimentavano la sala delle Convocazioni... Poi vidi due occhi verdi, anch'essi in lacrime, che mi guardavano con stupore e con gioia.

"Lady Solice! LADY SOLICEEEE!" Yera mi si buttò addosso, abbracciandomi fino a togliermi il fiato. Istintivamente cercai di reggere l'impatto sollevando il braccio, ma appena un istante dopo fui invasa da una fitta di dolore. Incapace di trattenermi urlai ancora, abbandonandomi inerme sul letto.

"Oh... Mi... mi dispiace tanto! Io... sono una stupida! Vi ho fatto male, non volevo!" Yera si affrettò a sciogliere l'abbraccio, alzandosi in piedi. Le sorrisi: "non mi hai fatto alcun male", le dissi: "credo di avere un braccio rotto", aggiunsi poi, osservando la fasciatura che assicurava al mio corpo l'arto ancora fortemente indolenzito. Cercai di ricordare qualcosa, qualsiasi cosa... Ma non ci riuscii. Avevo un fortissimo mal di testa.

Yera si era alzata. "Devo correre a dirlo a sua signoria il Marchese!", disse trafelata. "E anche a lord Ryan! Erano così preoccupati... Abbiamo pianto così tanto... E devo anche dirlo a mastro Reahr, e al venerabile Ridde... e a Sir Malaki, e a..."

"Aspetta un attimo, Yera", la interruppi. "Non... ricordo nulla. Cosa mi è successo? Quanto ho dormito?"

La mia ancella mi guardò con occhi sgranati: "dormito?" mi disse. "Voi... non avete idea... di quanto siamo stati preoccupati..." La guardai, mentre ricominciava a piangere. Il suo pianto mi commosse: quelle lacrime erano per me.

Abbassai lo sguardo, guardandomi intorno: a quanto sembrava, ero rimasta svenuta per un lungo periodo di tempo. Due, forse tre giorni. Qualsiasi cosa mi fosse capitata, non la ricordavo. Man mano che il mio corpo riprendeva coscienza, dolori e formicolii cominciavano a invadermi da ogni parte. Mormorai una preghiera agli Dei, poi sollevai il lenzuolo e mi osservai. A quanto pareva non avevo ferite evidenti, ma solo qualche fasciatura: in testa, a una caviglia, a un ginocchio e al braccio: ques'ultimo era quasi certamente rotto. non doveva essere stato un combattimento quanto piuttosto una caduta, forse da cavallo.

I minuti successivi furono piuttosto veloci, e la mia scarsa capacità di concentrarmi su quanto accadeva intorno a me non mi aiutò: la mia stanza si riempì di facce amiche. Mio fratello fu il primo ad arrivare, di corsa, seguito a poca distanza dalla sua splendida moglie. "Lady Amy", dissi, cercando invano di inchinarmi dal letto: in quell'occasione constatai che anche la schiena mi doleva.

"Non ti sforzare", disse mio fratello: anche lui aveva le lacrime agli occhi: lacrime di gioia, certo, ma anche di sollievo. Un brivido mi percorreva lungo la pelle: era stata una caduta così grave da temere per la mia vita... o c'era dell'altro?

"Ryan", dissi, sforzandomi di parlare ancora. La voce mi usciva a fatica, con affanno. "Cosa..."

"Non parlare", mi interruppe, costringendomi gentilmente a rimettermi in posizione supina. "Devi solo pensare a riposarti, ora: avremo tutto il tempo per parlare quando starai meglio, d'accordo?"

Annuii, incapace di parlare ancora. Man mano che i secondi passavano la mia testa si faceva sempre più pesante, e gli occhi faticavano a stare ancora aperti: l'ultima cosa che ricordo è la faccia di mio padre. I suoi occhi non stavano piangendo e non accennò alcuna espressione, ma la sua gioia divenne tangibile quando, prima di perdere nuovamente i sensi, lo vidi parlare con il venerabile Ridde, sacerdote di Reyks; e fu proprio al dio della misericordia che la mia coscienza dedicò il suo ultimo istante: qualsiasi cosa mi fosse successa, ero sopravvissuta.
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Scritto il 09/05/2007 · 42 di 91 (mostra altri)
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