Il cielo ruggisce sopra le nostre teste, imbrattando di pioggia e bagliori dorati le pietre nere che delineano il perimetro della rocca.
Quante altre volte lo abbiamo sentito urlare così, Ali?
Mi torna alla mente quella sera d'aprile, quando, di ritorno da un pattugliamento lungo le rive opposte del Traunne, un acquazzone torrenziale ci colse di sorpresa. Il cielo, fino a poco prima terso, si oscurò repentinamente, e le prime gocce si trasformarono in una pioggia battente che sembrava volerci schiacciare al suolo.
"Chi arriva ultimo paga da bere a tutti!", gridasti all'improvviso, rompendo il silenzio che ci avvolgeva. Un attimo dopo, Roy, Vasq, Dunc e io ci lanciammo in una corsa sfrenata, incuranti del peso delle armature fradice e delle cascate d'acqua che ci avvolgevano... E tu subito dietro, disposta a tutto pur di non perdere il passo. Ricordo il suono delle risate che si mescolavano al rumore degli stivali sull'erba bagnata, mentre la guerra per un attimo sembrava lontana, quasi irreale. Eri con noi da pochi mesi, ma eri già diventata nostra sorella.
Ma la guerra non si è mai allontanata davvero: è rimasta con noi per tutto questo tempo. Mutando più volte le sue sembianze, come una creatura delle leggende antiche, ma restando sempre molto, molto reale. La guerra degli uomini, dei demoni e degli dèi. Contro i Risvegliati, gli Innalzati e il Signore di Ghaan. Fino a prendersi più volte gioco di noi, trasformando in alleati i nostri più acerrimi avversari e in traditori coloro che pensavamo fossero venuti a combattere al nostro fianco... Strappandoci dal petto un pezzo di anima dopo l'altro, lasciando al loro posto inutili medaglie.
Il ponte esterno è calato. Ora che la guarnigione è ridotta ai minimi ranghi, la sorveglianza del perimetro grava sulle zanne dei Gran Bovari del Tredicesimo Plotone. Per nostra fortuna si tratta di creature che non conoscono il morbo dei personalismi, delle congiure da corridoio e dei mutamenti di casacca che da sempre corrodono il cuore dell’uomo. Per loro, il mondo si divide in ciò che odora di fiducia e ciò che sa di minaccia. Gli amici e i nemici. E noi, per loro, siamo amici. La loro inossidabile fedeltà, sorda a qualsivoglia ambizione o brama di potere, li rende i guardiani più affidabili su cui queste stanche mura possano contare. La loro ignoranza è la loro forza... E, in giorni come questo, anche la nostra.

Marciamo in silenzio lungo il vialetto di selci che conduce all'ingresso principale della Rocca: fianco a fianco, come ai vecchi tempi. Nessuno fa caso a noi, del resto le armature sono ancora quelle, e a quest'ora il cortile di addestramento e il poligono sono praticamente deserti. Ti ho mai detto che questi blocchi di pietra li abbiamo piantati Ram, mio fratello e io? Eravamo una bella squadra, all'epoca. Prima ancora di essere un soldato, Ram era anche un muratore eccezionale. Ne sono passati di soldati sopra a questi sassi, da allora... Eccoci qua, siamo arrivati. Finalmente a casa.
«Garruk! Sei davvero tu?» La voce che mi raggiunge è quella di Cedric Fry, caporale dell'Esercito di Uryen. Cedric è uno dei tanti Fry: fratello, cugino o forse zio di Barney, Thedor, Carl e almeno altri tre o quattro con lo stesso cognome. Tutti caporali, tutti con lo stesso taglio di capelli, la stessa inflessione nella voce, lo stesso modo di stringere la cinghia della corazza. A volte mi chiedo se non siano stati forgiati in serie, come le lance dell'armeria. Gli unici in grado di distinguerli siamo io, la loro madre e Brad, anche se quest'ultimo solo quando si tratta di riscuotere i debiti che hanno contratto con lui. Brad ha una memoria infallibile per i creditori, meno per i volti.
Cedric ci guarda con un misto di sorpresa e sollievo. Non so se sia felice di vederci o preoccupato per ciò che la mia presenza potrebbe significare.
Annuisco. «Sono io... È passato un pò di tempo. Ci fai entrare?»
Lo sguardo di Cedric si fa serio, quasi dispiaciuto. «Ho... degli ordini...» balbetta. Al suo fianco, un soldato semplice che non ho mai visto mi scruta con aria sospettosa.
Sospiro, guardando le mura annerite dalla pioggia. «Solo finché non spiove: il tempo di sistemare una cosa e non ci vedrai più.»
«Non posso, Garr... lo sai, sono le consegn-»
Fanculo le consegne: il mio manrovescio lo coglie impreparato, facendogli sbattere violentemente la testa contro l'intercapedine tra il muro e il portone. Il compare apre la bocca giusto in tempo per prendersi un cazzotto sui denti, seguito da un altro. Ecco cosa rischia di succedere quando metti alla porta due novellini: Barun non avrebbe mai commesso questa leggerezza.
Il corridoio centrale è proprio come ce lo ricordavamo, gli osceni lavori in muratura per costruire il cesso personale di Orstein Bach di cui mi hanno parlato i miei compagni non sembrano averlo intaccato. Dalle cucine arriva un profumo avvolgente di broccoli e patate, segno che stasera ci perderemo dell'ottimo stufato.
«Garr! Sei tornato?»
Laurel Marten, soldato scelto. Non esattamente la spada più affilata della rastrelliera, è stato promosso una sola volta in sette anni. Gli faccio cenno di fare silenzio: «E' una sorpresa» , gli sussurriamo all'unisono. Annuisce sgranando gli occhi, quindi si allontana fingendo indifferenza. Neanche il tempo di arrivare alle scale e la nostra fortuna finisce di colpo.
«Ma che cazz... Guardie!» Non so chi sia questo nanetto da giardino ma la sua faccia da cazzo mi dice che si tratta di Tom Weiss, il pappone della corte di sir Gadman. Il pensiero che un simile scarto possa vestire il grado e ricoprire il ruolo che fu di Radom Ruud mi fa ribollire il sangue nelle vene. Con un balzo lo raggiungo e lo spingo contro il muro con l'intento di prenderlo a calci una volta a terra, ma lo sgorbio si dimostra più agile del previsto e riesce a restare in piedi. «Guardie! guardie!» continua a strillare, cercando disperatamente di raggiungere le scale. Ma quali guardie, idiota? Sei tu la guardia! Mi avvento contro di lui, riuscendo ad acciuffarlo per la cintola un attimo prima che possa trovare ricovero dietro le alabarde di due soldati che non ho mai visto.
«Lascialo andare, stronzo!» Intima uno dei due.
Fossi matto. «Levatevi dal cazzo o gli spacco la testa». La mia faccia deve essere spaventosa, perché entrambi arretrano di un passo. Grosso errore: io e Ali li carichiamo col nanetto in braccio, così da evitare che ci piantino le alabarde in pancia. La manovra li coglie impreparati: uno dei due perde l'equilibrio e cade all'indietro, l'altro riesce a prendere spazio ma non può impedirmi di afferrargli la gorbia dell'alabarda. Gliela strappo di mano, quindi lo incalzo lungo la scala fino a piantargli un cazzotto in pieno volto. Il compagno però riesce a rialzarsi e a riprendere posizione, e viene subito affiancato da altri due compagni accorsi sulla scena. Due contro tre. Abbiamo visto ben di peggio, non è cosi? Temo che a questo punto mi toccherà prendere l'ascia, il che non è affatto una buona notizia per il nostro gnometto cagasotto Tom Weiss...
«Fermi!», tuona una voce da sopra le scale, che io e Ali non facciamo fatica a riconoscere: è quella del sergente Ivan Reiner, uno dei pochissimi ad aver mantenuto la copertura. Solo adesso ci rendiamo conto che i due soldati accorsi in difesa dei due scagnozzi di Tom Weiss sono due dei suoi uomini, Goze Gozran e Warino Odeschal. Un singolo scambio di sguardi con Ivan è più che sufficiente: ci ha detto culo, Ali... davvero culo.
«Garruk Jagger», esclama Ivan con inflessione solenne, «non so cosa sei venuto a fare, ma da questo momento sei agli arresti con l'accusa di diserzione e crimini contro il Feudo: consegna le armi o saremo costretti a ridurti all'impotenza!». Intorno a noi cala il silenzio: tutti ci guardano, ma nessuno ha il coraggio di intervenire. Alzo lentamente in aria l'ascia, quindi la consegno nelle mani del caporale Gozran.
Ivan intima ai tre soldati che mi fronteggiano di portarmi in cella, per poi far cenno a Tom Weiss di seguirlo su per le scale. «Andiamo a fare rapporto al Comandante», gli dice poi, con tono sufficientemente alto da far sentire anche a me. Molto bene, Ali: adesso sappiamo con certezza che il padrone è in casa.
Gozran e Warino mi si dispongono ai lati, mentre il terzo soldato - l'unico a non essere della partita - si mette dietro di me, puntandomi l'alabarda sulla schiena. Gli altri soldati che erano accorsi a curiosare, persuasi dalla recita del sergente Ivan, si disperdono rapidamente, certi che lo spettacolo sia finito qui. Si sbagliano: non facciamo neanche in tempo a voltare l'angolo del corridoio che porta alle celle che uno schianto tremendo sconquassa le pareti della Rocca, provocando una sorta di terremoto.
«E' soltanto un fulmine», esclama Tom Weiss dalle scale: «tornate alle vostre faccende!». Sorrido: in fondo ha ragione, era soltanto un fulmine: ciò che ignora è l'entità del tuono che lo seguirà.
Non appena giriamo l'angolo Gozran e Warino entrano in azione, colpendo da entrambi i lati il soldato dietro di me. Non appena sento che la punta dell'alabarda perde peso mi giro di scatto e gli assesto due pugni in testa dall'alto: il primo gli fa saltare l'elmetto, il secondo lo manda al tappeto.
«Ah!», esclama Gozran: «il famoso 'colpo del piccione' di Garruk: finalmente lo vedo da vicino!»
Annuisco. «Ringrazia che non lo hai mai visto come lo ha appena visto lui!» Mi fermo un istante a guardarli, lui e Warino: una copertura durata mesi, nel corso della quale avranno dovuto vedere e ingoiare chissà quanta merda, bruciata in un singolo istante... Per non parlare di Ivan. Devo assolutamente mostrarmi degno dell'occasione che mi stanno dando.
Mi riprendo l'ascia, quindi ci dirigiamo nuovamente verso le scale: tutti insieme, coprendoci le spalle come siamo stati addestrati a fare. In questo momento mi sembra davvero di sentire la tua voce, Ali. Cosa avresti detto in questa situazione? «Vediamo di fare in fretta, non voglio certo perdermi quello stufato!» Le parole mi escono da sole, Warino soffoca a fatica una risata.
La concomitanza del temporale e del casino che i miei compagni stanno montando all'Asilo si rivela provvidenziale: i soldati non riescono a capire quello che sta succedendo, cosa che ci consente di riguadagnare le scale senza che nessuno badi a noi. Al primo piano non c'è nessuno, salendo verso il secondo incontriamo un soldato che ci passa di fianco correndo a perdifiato senza neanche guardarci in faccia. Al termine delle scale troviamo ad attenderci il sergente Ivan.
«Tom Weiss è appena andato dal Comandante per informarlo della tua "cattura"», dice sottovoce, indicando il corridoio di fronte a noi. «Se ti sei preso il rischio di venire qui alla Rocca, suppongo che sia arrivato il momento di...»
Annuisco. «E' arrivato. Hai sentito il botto prima, no?»
«Va bene. Appena Weiss esce lo togliamo di mezzo, poi pensiamo al comand-»
Scuoto la testa. «Negativo: devo farlo da solo.»
«Perché?»
«Perché il botto lo ha sentito pure lui, e purtroppo non è un coglione. Il soldato che è corso giù un attimo fa sta per dare l'allarme generale, e appena lo farà avremo bisogno di qualcuno che impedisca ai soldati di dare man forte all'Asilo... o quantomeno rallentare le operazioni». Non faccio neanche in tempo a finire di parlare che il campanaccio della sala strategica al primo piano comincia a suonare energicamente le note dell'adunata generale di emergenza.
«Andate», intimo a Ivan. Lui esita.
«Non è una richiesta», aggiungo: «è un ordine.»
«D'accordo: prendi almeno Gozran e Warino...»
«No, serviranno a te. Questo posto trabocca di scagnozzi di Scherer che proveranno a difendere l'Asilo: dovete impedire che accada... con ogni mezzo necessario».
Ivan non è un idiota, non ci mette molto a capire che ho ragione. Non serve neppure che gli spieghi gli altri motivi per cui non voglio nessuno tra i piedi. Primo: finché non avremo le prove, è bene far passare alla storia quello che succederà tra poco come l'operato di un singolo disertore e non come l'esito di un'operazione pianificata e condotta da un manipolo di infiltrati; non possiamo permetterci una seconda Congiura dei Compari. Secondo: questo piano a breve si riempirà di ufficiali di comando ansiosi di fare rapporto al Comandante; l'udienza che suo malgrado sta per concedermi sarà un viaggio di sola andata.
«Andiamo», esclama Ivan ai suoi. «Buona sorte», aggiunge poi rivolgendosi a me. «Buona sorte, sergente maggiore», ripetono Gozran e Warino prima di seguirlo giù per le scale.
Ci siamo, Ali: un ultimo sforzo e scriveremo finalmente la parola fine a questa brutta storia. I nostri stivali risuonano all'unisono sul pavimento di pietra mentre percorriamo la distanza che ci separa dall'ingresso della sala che un tempo apparteneva a Barun. Ogni passo è un ricordo che riaffiora: le strategie pianificate, le risate condivise, le tensioni prima delle battaglie. Quante volte abbiamo attraversato questo corridoio, a ogni ora del giorno e della notte...
A metà strada dalla nostra meta la porta di fronte a noi si apre, rivelando la faccia di cazzo di Tom Weiss accompagnata da un soldato con il grado di ufficiale che però non ho mai visto... Il che può significare soltanto che si tratta di uno dei famigerati "soldati del comando". Non sono necessarie parole, sia Weiss che lo sconosciuto comprendono immediatamente la situazione. Due contro due, Ali... fianco a fianco, come ai vecchi tempi.
L'unico vantaggio che ho rispetto a loro è avere l'arma già pronta in mano: fossi matto se me lo lascio scappare. Non conosco le abilità dello sconosciuto ma se lo hanno fatto ufficiale un minimo di competenza ce l'avrà, quindi lascio che la mia ascia sibili verso Tom Weiss nella speranza che la sua rapidità sia commisurata alla statura. Una scommessa che non tarda a rivelarsi vinta: la lama lambisce l'elsa della spada che avrebbe voluto sfoderare, tranciandogli di netto metà della mano destra. Le sue grida stridule mi strappano un sorriso compiaciuto, munito del quale rivolgo la mia attenzione all'ufficiale del comando.
Lo sconosciuto si rivela essere di ben altra stoffa: sfortunatamente per lui, quando un uomo con la spada incontra un uomo con un'ascia, l'uomo con la spada meglio avrebbe fatto a portare anche uno scudo... Cosa che lui, fortunatamente per me, non ha avuto il tempo di fare. Dopo cinque o sei scambi interlocutori riesco finalmente a portare a segno un colpo, che basta e avanza per porre termine allo scontro. E' il turno del nanetto. Mi volto per fronteggiarlo, ma... sparito. Non lo vedo più.
«Ali, cosa ne è di Tom Weiss?»
«Non ne ho idea... a parte le tre dita lì per terra!»
Bah, sarà tornato a frignare da Gadman Scherer: meglio fare in fretta, tra poco questo piano si riempirà di soldati che non apprezzeranno affatto il nostro operato. Al fine di non commettere lo stesso errore dell'ufficiale del comando ci premuniamo di raccogliere uno scudo, comodamente offerto da una rastrelliera poco distante, quindi ci accingiamo a proseguire.
Raggiungiamo e oltrepassiamo la porta della sala delle attese, che è anche l'anticamera della Sala del Comandante. Ricordi l'ultima volta che siamo stati qui, Ali? E' stato subito prima di prendere il largo verso Ghaan insieme all'esercito di Lady Yara... Abbiamo tenuto compagnia al messo di Feith incaricato di portarci la lettera in cui il Conte Bianco ci ordinava di interrompere la guerra seduta stante. Ma Barun aveva mangiato la foglia e lo ha tenuto fermo qui per quasi tre giorni interi, impedendogli persino di andare in bagno, mentre organizzava la nostra spedizione... Ah, non ne nascono più di comandanti così! Se penso a chi siede al suo posto adesso... Beh, ancora per poco, spero.
«Puoi entrare, Garruk: ti concedo udienza.»

La voce di Gadman Scherer è ancora più fastidiosa di quanto ricordassi: una sega arrugginita che stride sulla pietra. Ma è quando oltrepasso la porta che il mio disgusto aumenta a dismisura, raggiungendo vette che non toccava dal giorno in cui mi dissero che Ceyen si era fidanzata con Greg Lorne. Come diavolo s'è permesso questo damerino di conciare in questo modo la stanza di Barun? Arazzi, drappeggi, cuscini... Cosa avresti detto qui, Ali? Provo a formulare mentalmente qualche battuta sulla somiglianza tra questo ridicolo gineceo e le Case della Gioia, ma non sono bravo come te.
Poi mi accorgo che oltre a lui e a quel verme nano di Tom Weiss c'è anche una donna e però allora no, quando è troppo è troppo, portarsi le mignotte nella Stanza del Comandante non...
«Aspetta», mi interrompe Ali: «quella tipa la conosciamo!» Ha ragione: è... come si chiama... Robyn qualcosa. E se non ricordo male anche lei è sulla lista degli stronzoni: ci sono tutti e tre. Sfortuna per loro, fortuna per me.
Gadman, spada in una mano e scudo nell'altra, sembra avere tutta l'intenzione di vendere cara la pelle. Al suo fianco, Tom Weiss imbraccia goffamente una balestra tutta sporca di sangue che, con sette dita in tutto, deve essere stato piuttosto complesso e doloroso caricare. Robyn Qualcosa è disarmata e non sembra intenzionata a prendere parte allo scontro... Saggia decisione.

«Questi due scopano», sentenzia Ali con un sogghigno: «lo sai, vero?»
«Non uscirai mai vivo da qui», mi apostrofa Gadman Scemo: «lo sai, vero?»
Annuisco sia ad Ali che a lui. «Neanche voi», rispondo poi, spostando lo sguardo sul gruppetto. «Nessuno di voi». Sto per contravvenire a uno dei divieti che mi sono sempre imposto: uccidere una donna disarmata. Ma è sulla lista degli stronzoni, e quella vale ben più dei miei principi. Bando alle ciance, che il tempo è poco e le teste da rompere sono parecchie.
Gadman è un guerriero esperto, un cavaliere. Si capisce da come muove i piedi, da come tiene il peso basso, come se danzasse. Ma io non sono venuto a ballare, non è quello il mio stile: io spacco, frantumo, faccio casino.
Scatto in avanti. Lui blocca subito, scudo alzato. Buon per lui: l’ascia avrebbe preso di netto la clavicola. Sente la forza e indietreggia. Dietro di lui Tom sussulta, il rumore del colpo gli fa quasi perdere l’equilibrio. Robyn, mostrando più coraggio di lui, raggiunge una credenza e prova a mettersi in mano un portacandele.
«Combatti come un cinghiale», ringhia Gadman. La sua voce mi graffia i timpani. Lo interrompo con un colpo di scudo dritto in faccia. Per un attimo il rumore mi sembra quello giusto: osso e metallo. Poi capisco che è arretrato in tempo, sono riuscito giusto a frantumargli la fibbia del mantello.
E' il suo turno. Mi tocca ammettere che si muove in modo maledettamente rapido: affonda la spada verso il mio fianco, una finta e poi un colpo vero, basso. Riesco a deviarlo, ma sento comunque il ferro sfiorarmi le costole. Veloce, troppo veloce. Gli pianto una spallata che ci allontana entrambi, ma gli lascia il tempo di rimettersi in guardia.
In quel momento Tom prova a tirare. La balestra sputa male, sbilenca, ma è troppo vicina per mancarmi del tutto. Il dardo si conficca nella spalla destra, appena sotto l'osso. Bravo verme, hai compiuto il tuo dovere di tirapiedi. Adesso vediamo come ricarichi con la mano e mezzo che ti ritrovi.
Carico Gadman di nuovo. Questa volta lui para, sì, ma indietreggia troppo. Lo seguo come un’ombra con i denti. L’ascia trova il suo scudo e lo scheggia. Il suono del legno che cede mi fa sentire bene, addolcendo il dolore che comincia a sprigionarsi dalla spalla. Le mani sudano sotto i guanti, il cuore mi batte nel petto come un tamburo di guerra.
Lui parla ancora: «non ce la farete mai», mormora digrignando i denti. Lo sento berciare qualcosa sui soldati che stanno per arrivare, sui pupilli che ci faranno il culo a strisce, che non ne usciremo mai vivi: non ha capito che non me ne frega nulla. L'unica cosa che mi interessa è la sua gola, a un certo punto la vedo scoperta per un attimo e calo il colpo. Non abbastanza veloce, ahimé: lui si sposta, mi prende al braccio, lo stesso della spalla. Fa male.
«Sei lento, Garruk: un tempo eri forte, ora sei soltanto un vecchio stanco che non vale più niente. Pronto per il congedo, come Barun».
Eh no. Questa non la dovevi dire. Mi scaglio su di lui come una furia, costringendolo ad arretrare ancora. Ma la sua guardia è troppo salda, troppo ben addestrata per cedere a questo tipo di assalti: blocca e devia ogni singolo colpo, respirando il ritmo del duello come se ci fosse nato dentro. Mi duole ammetterlo, ma è davvero bravo. Un gran cazzo di cavaliere veterano. C'è solo un modo per aver ragione di questa categoria di combattenti, ed è quello di sfruttare l'unica cosa che i tanti anni di addestramento e battaglie tra suoi pari non gli hanno mai insegnato: l'umiltà.
Aspetto l'occasione propizia, quindi alzo l'ascia sopra la testa per sferrare un colpo dall'alto. Ma la sua arma è più veloce e non tarda ad approfittarsene: la vedo arrivare con un affondo preciso, educato, impossibile da parare. La lama mi prende in pieno, al ventre, spingendomi dentro acciaio e rabbia. Sento la sua voce stridula esultare: è convinto di avermi. Sollevo ancora l'ascia, ruotandola verso l’alto come se volessi aprirgli la testa, e lui, finalmente, solleva istintivamente quel cazzo di scudo.
Ed è allora che lo colpisco davvero. Con la testa. Un colpo secco, brutale, dritto al centro del petto. Lo sento scricchiolare, lo sterno che cede come un ramo secco sotto il piede. Gadman vacilla, boccheggia. Gli manca l’aria. Adesso non sghignazzi più, eh? Prova ad arretrare, ed è in quel momento che l'orgoglio da cavaliere lo tradisce, impedendogli di mollare la spada. Quella lama è ancora nel mio fianco e lo tiene lì, inchiodato a me come le carcasse del porto di Uryen ai loro pali.
Alzo l’ascia, quindi la calo con forza. La prima volta colpisco lo scudo, la seconda pure: alla terza glielo spacco in due e trovo la carne. Lo sento urlare: abbandona la spada, ma è troppo tardi. Il quarto colpo lo raggiunge alla schiena, schiantandolo in terra. Sento le urla di Robyn, il gracidìo di Tom Weiss che invoca aiuto, il rumore di passi pesanti in rapido avvicinamento. Poi vedo una figura minuta varcare la soglia con una velocità impressionante e capisco che non c'è più tempo.
«Getta l'arma», mi dice. «Arrenditi, e ti dò la mia parola che avrai un giusto processo». Dietro di lui, di lì a poco, fanno capolino cinque o sei soldati armati fino ai denti.
Sorrido, scuotendo la testa. Credo di conoscerlo, è un ragazzino di Nuova Lagos che per un certo periodo ha vissuto nell'Ongelkamp di Uryen. Te lo ricordi, Ali? L'ultima volta che lo abbiamo visto non riusciva a dire una parola senza balbettare, adesso parla come un paladino in missione. Credo che di nome faccia Seth. Gadman Scemo cerca di approfittare della situazione per rimettersi in piedi, ma ha capito male: lo stringo saldamente a me, sforzandomi di ignorare il pensiero del suo sangue che si mescola col mio. Siamo messi male tutti e due.
«Sei ferito», insiste lui. «Siete entrambi feriti. Se getti l'arma, possiamo...»
«Risparmiamoci questo discorso», lo interrompo. «Veniamo al sodo: pensi di riuscire a disarmarmi prima che la mia ascia possa aprire la gola a questo stronzo rantolante?»
«Non credo, no», risponde lui. «Ma se lo farai, poi dovrò ucciderti...» Dal tono in cui lo ha detto penso che ci abbia riconosciuto anche lui: sbaglio, Ali, o una volta gli abbiamo portato da mangiare la nostra cena? Era proprio uno stufato di broccoli e patate, se non ricordo male.
Lo guardo, consapevole del fatto che tra poco gli darò un dispiacere. «Una volta un'amica mi ha detto che quelli... come voi... riescono a capire se qualcuno dice o meno la verità dal battito del cuore: è vero?» Trattengo a stento un attacco di tosse che gli regalerebbe una preziosa opportunità di saltarmi addosso: parlare con una spada conficcata tra le costole non è proprio il massimo.
«No. O almeno, io non so proprio farlo».
E' simpatico e umile, questo pupillo innalzato... Tutto il contrario di Gadman Scemo. Spero che sia il Re dei pupilli... Non mi dispiacerebbe essere ammazzato da un Re. «Peccato... ti avrei detto che... che questo stronzo vi ha fottuti... ci ha fottuti tutti... e che merita di morire. E magari, chissà... mi avresti... creduto...»
«Ti credo. Però adesso getta la spada». I soldati dietro di lui sono pronti a scattare. Robyn Qualcosa trattiene il fiato, speranzosa, torturando il portacandele che ancora stringe nelle mani. Tom Weiss sta venendo medicato nelle retrovie. Il pensiero che sopravviveranno entrambi mi infastidisce assai... E mi sa che, dopo tutto, non ci mangeremo neanche quello stufato. Non mi resta che consolarmi con l'unico piatto che ancora mi rimane a portata.
Le forze mi stanno abbandonando: devo provarci adesso, finché esiste ancora la possibilità che la mia ascia sia davvero più veloce di lui. Due palmi contro circa cinque passi. Non sono mai stato bravo con i calcoli, ma a occhio dovrei farcela.
Che dici, Ali? Ci proviamo?
«E me lo chiedi? Andiamocene col botto, Garr!»
Speravo lo dicessi.
