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Vodan Thorn
Tempi Cupi
Vodan Thorn
Mai fidarsi di un cuoco magro.
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29 giugno 516
Sabato 5 Dicembre 2015

Ardee



Se Colin sapesse come sto messo sarebbe più difficile dargli a bere che voglio portarti a letto. Dina sostiene che è solo questione di tempo: "tutto guarisce, niente perduto": spero sia vero, l'ultima volta che mi ci sono messo faceva così male che per poco non ammazzavo di botte quella poveraccia di... come si chiamava? Lorna, mi pare. Lorna di Feidelm. Neanche se ne sarà accorta, pareva di colpire il sacco da allenamento della Rocca di Tramontana.

"Io non credo alle coincidenze", così mi hai detto poco fa. Neanche io: per questo non penso che la tua squadra sia qui per caso, né che la vostra missione sia diversa dalla nostra. Siete venuti a trattare con le stesse persone che a noi hanno chiesto di uccidere: gente che prospera rubando medicinali ai nostri compagni per venderli a una fiera di paese, ai quali avete chiesto aiuto per recuperare armi o informazioni da usare contro di noi. Sarebbe bello farti andare via con le mani piene e le gambe sane, ma qualcosa mi dice che non finirà così: mi sa che dovrai rinunciare a qualcosa. O magari non tornerai proprio.

Sei mai stata circondata? Sembra di no, a giudicare da come ti sei affrettata a commentare la mia ferita alla schiena. Dovresti sapere che di solito non è chi scappa che prende le sveglie, ma i poveri stronzi che restano a combattere da soli. La vicenda che hai raccontato di aver vissuto a Feith mi suona familiare. La differenza è che a voi è andata meglio: se non altro non siete stati spazzati via. Dovevate essere un bel gruppo, altrimenti non si sarebbero messi a stanarvi con il veleno. Il che ci porta al vero problema, al motivo per cui non riusciremo a farti cambiare idea. Quanta gente hai perso in quell'inferno? Quanto ti rode il culo sapere che molti di loro camminano ancora? Ho vissuto anch'io una cosa del genere. La differenza è che a voi è andata peggio: è probabile che mia madre sia morta tra le fauci di un ciccione dalla pelle scura, ma almeno non ho il dubbio che stia vagando in mezzo alla neve brancolando come una scema.

I miei compagni ti trovano la persona più ragionevole del circondario, ma a giudicare dai devòti ministri della parrocchia che ci ospita mi sembra un complimento modesto. Colin spera che riusciremo a farti aprire gli occhi, io penso che preferirai farteli strappare piuttosto che concedere il beneficio del dubbio... E proverai anche a strapparli a noi. Sven è sveglio, anche lui ha capito subito che qui si rischia di dover far fuori una intera squadra. Entrambi vorrebbero evitare il peggio.

La vedo dura.

Del resto, detto tra noi, sarebbe anche giusto. Severo, ma giusto. Devi ammettere che, risvegliati o no, avete fatto un sacco di cagate. Molte le ha ricordate Bohemond poco fa, altre vengono raccontate alla Rocca di Tramontana nelle notti di pioggia, quando a nessuno va di uscire. Saranno pure discorsi fatti ad arte per imbonire la truppa, ma noi quello siamo: truppa. Ammazzarci a vicenda è il nostro lavoro, togliervi di mezzo significa salvare vite. Sven in fondo lo sa già, a Colin basterà dire che ti faremo qualche domanda sulle porcherie che avete fatto mangiare a quella scrocchiazeppi di Annie.

Guarda il lato positivo, da queste parti coi cadaveri ci sanno fare.

Dormi bene.

Ardee Drachen - Immagine 2
scritto da Vodan , 01:38 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
1 maggio 517
Domenica 14 Giugno 2015

Fear



I sacerdoti di Nuova Lagos detestavano Beltane, per loro era una festa pagana priva di significato. L'Arrivo della Primavera per loro cadeva oltre un mese prima, durante la settimana che iniziava con le notti di Ostara e finiva con il giorno dedicato alla Dea della Natura. Mia madre, che era convinta che tutti i preti del continente venissero da Delos, attribuiva questa diversità di vedute a ragioni legate alla temperatura.

"A marzo a casa loro farà senz'altro fin troppo caldo, ma qui fa ancora un freddo del cazzo". Facile indovinare quale preferisse celebrare tra le due. Come darle torto?

A Elsenor si festeggia otto volte l'anno: Samhain, Imbolc, Beltane e Lughnashad, e poi Yule, Ostara, Litha e Mabon. Le prime quattro corrispondono ai giorni più importanti dell'anno, le altre assai meno. A Beltane si attraversano le fiamme e si diventa uomini, a Ostara accendi una candela e la guardi bruciare insieme a una donna. Durante Beltane si stringono patti e alleanze, durante Ostara al massimo ti scopi la cugina o la migliore amica con la scusa del cero. Questa è grossomodo la differenza e chiunque vivesse nell'Isola lo sapeva bene, con buona pace dei sacerdoti di Nuova Lagos.

Quando ho fatto l'attraversamento del fuoco avevo appena compiuto 18 anni. Ricordo che per impressionare Branna scelsi di uscire camminando lentamente, col risultato che il fumo quasi mi fece svenire dentro la capanna in fiamme. Chissà se qualcuno ci crepa, ogni tanto, dentro quelle capanne del cazzo: probabilmente si, l'Isola è piena di idioti spacconi che non vedono l'ora di danzare sul ciglio del burrone e non pensano che basta mettere un piede in fallo per restarci secchi. Magari la cerimonia serve proprio a questo, a togliere di mezzo chi è troppo scemo per diventare un uomo. O troppo impacciato.

Capanna in fiamme - Immagine

Uomo. Fear, nella lingua dell'Isola. Branna mi spiegò che, tra gli elfi, quella parola assume un significato molto diverso. Paura. Così viene chiamato chi attraversa il fuoco, così viene riconosciuto dal suo Clan. Da quel momento, se lo desidera, gli è concesso recarsi al Lughnashad e sostenere la Prova: ma può anche fregarsene e vivere comunque la sua vita affermandosi come combattente, soldato, avventuriero, pirata, contrabbandiere o qualsiasi altra cosa. Ma un Lupo, quello non potrà mai diventarlo: non fino a quando non sopravviverà alla Prova.

I sacerdoti di Nuova Lagos dicevano che la lingua di Elsenor non era che una perversione della lingua degli Elfi. I Clan dell'Isola, inutile dirlo, sostenevano l'esatto contrario. L'unica cosa certa è che le due lingue sono collegate tra loro. Paura, dunque. Di diventare uomini? O forse di dover scegliere se diventare Lupi? Il sergente Greg una volta ci disse che un uomo è tale in virtù delle sue paure: non esiste chi non teme nulla, solo chi non ha visto abbastanza. Per questo ci fanno passare attraverso il fuoco.

In queste ultime settimane ho visto fin troppo. La Prova che a lungo ho voluto disputare e dalla quale fui ingiustamente escluso è venuta a prendermi con la violenza di uno stupratore: prima Tarkhun, poi Taerbeck, infine un lupo gigantesco uscito da chissà dove. Roba da cagarsi sotto per tutta la vita. Eventi che si riassumono in una manciata di parole: un sacco di culo, un sacco di sfiga e un sacco di botte. Date, ma soprattutto prese. Le stesse che risuonarono durante il massacro di Nuova Lagos, poi tra gli alberi dell'isola di Cabal e quindi nei corridoi sporchi e angusti delle vecchie prigioni.

Niente di nuovo, dunque. Mi sforzo di pensarlo mentre osservo una gamba irriconoscibile, masticata fin quasi all'osso. Chissà se ho avuto davvero scelta, se ho agito d'istinto o per senso del dovere. So solo che non ho avuto alcun dubbio a spaccare quella collana, nonostante fosse un trofeo di guerra che mi ero guadagnato. A ben vedere ho distrutto metà delle cose che possiedo e neanche so bene perché l'ho fatto. E' venuto da dentro, come un colpo di tosse. L'unica cosa che ho capito è che qualcuno c'è rimasto davvero male, quindi se non altro ne è valsa la pena.

Guardiamo il lato positivo: mi resta un boccale, segno che l'ultima bevuta deve ancora venire.

Alla tua, chiacchierone... E tante grazie per lo scudo.
scritto da Vodan Thorn , 05:29 | permalink | markup wiki | commenti (3)
 
25 aprile 517
Domenica 7 Giugno 2015

Saoradh



E così alla fine ce l'hai fatta. Hai avuto quello che volevi, lo scontro epico in cui risorgere a nuova vita rinnegando quella non-morte alla quale ti eri improvvidamente condannato.

E dire che ho fatto il possibile per mandartela per storto: sapevo che prima o poi i tuoi fratelli sarebbero venuti a chiedere conto della tua roba. Quel duello a Maben non l'ho certo perso apposta, ma mi ha dato modo di passare per uno scemo qualsiasi che si era imbattuto per caso in qualcosa di molto più grande di lui: magari, chi può dirlo, ha contribuito a velocizzare l'inevitabile. Del resto, a ben vedere, non è una storia troppo diversa dalla realtà.

Ero certo che il pezzo che avevo preparato per il loro arrivo ti avrebbe sorpreso, proprio come quando ti piombai addosso dall'alto in quella lunga notte di Ostara. "Avete ragione, non ho alcun diritto di portare questa roba: riprendetevela pure e tanti saluti". Niente più scontri all'ultimo sangue, duelli o prove di valore: le armi del Kraighar sarebbero tornate a Uthun, in attesa di essere impugnate da un altro formidabile guerriero. Ciascuno per la sua strada, senza rancore. Il sergente Rock avrebbe capito, così come i miei compagni: stiamo combattendo una guerra contro morti risvegliati, non abbiamo tempo per coltivare il nostro e l'altrui ego né per aprire il fianco a nuovi nemici.

Scommetto che non lo avresti visto arrivare, contrariamente a quel singolo pugno che cercai invano di darti quando avevi ancora l'occhio buono.

Invece sei stato tu a sorprendermi: tutto potevo immaginare tranne che fossi riuscito a farti detestare persino dai tuoi compagni, gli stessi che pochi giorni prima avevano unito le loro armi alle tue.

"Vile nella morte come nella vita".

Tale, dunque, è il ricordo che hai lasciato presso i tuoi alleati. Quella frase mi ha spiazzato, lo ammetto. No, di più: ha spazzato via in un lampo tutto quello che avevo pensato di dire e di fare. In quale casino ti eri ficcato, Tharkun? Cacciato e disprezzato persino dal tuo branco. Roba da non credere. E tutto per quella donna, magari. Per cosa ti sei fottuto l'anima, esattamente? Per una stronza con una maschera ancora più ridicola di quelle che indossate a Uthun? Per un vaso da notte con una bambina dentro? Spiegamelo, una di queste notti, perché non riesco a capirlo.

Eppure è proprio quella frase che devi ringraziare più di ogni altra cosa. Un conto è pretendere le armi di un guerriero, ben altro è mancare di rispetto alla sua memoria e, di conseguenza, a chi lo ha combattuto. Ero pronto a cederla, quella catena, non certo a farmela strappare di dosso neanche fosse la sottana di una serva. Fanculo ai buoni propositi, di punto in bianco non desideravo altro che spaccare a Corna di Bisonte quell'elmo ridicolo, a costo di morire nel tentativo. Le parole hanno cominciato a uscire da sole, fermandosi soltanto dopo aver fissato l'appuntamento con la morte che tanto agognavi.

Quello che è successo dopo lo sai. Lui che proclama le sue condizioni: l'impegno, in caso di sconfitta, a far mia l'arma che tu impugnasti fino a diventarne degno. La mia voglia di farlo incazzare, così forte da spingermi a usarla subito al fine di mostrargli quanto grande fosse il suo errore. Il rosso della lama della sua lancia, così simile a quella che quasi mi tolse la vita sull'Isola, ansiosa di tagliarci in due. Ti sento felice. In fondo lo sono anch'io: vendiamo care queste armi, facciamoci fare a pezzi come si deve. Se non altro, mi viene da pensare, neanch'io mi risveglierò. Ci viene chiesto cosa vogliamo in cambio. Come se facesse differenza. Come se io volessi tutto questo, come se tu potessi aspirare a qualcosa di diverso. Mi hai fregato, diavolo di un orbo: le spire della tua catena mi inchiodano a questo ultimo scontro, la morte che ghermisce le mie spalle è pronta ad abbracciare entrambi. I compagni capiranno, le mie sorelle se ne faranno una ragione, Dineartach tirerà una manciata di semi sopra una merda di capra e dirà qualcosa come: "tutto vive, niente perduto". Maledetta. Mi stupisco di ricordare ancora il suo nome completo, dopo mesi e mesi che la chiamo Dina.

E poi lo scontro. Il tuo maglio affamato che morde ad ogni colpo, spinto dalla mia mano; la mia voce che accompagna gli insperati successi, dal suono così simile alla tua; la lancia che dovrebbe tagliarmi il braccio e che invece fende l'aria, per colpa o merito di una tua decisione. Per un istante vedo il mondo come lo vedi tu: il mio avversario ne scorge il riflesso dentro ai miei occhi e decide di cedere il passo. "Questo scontro è tuo". Terzo duello in un mese. A Krandamer morirebbero d'invidia.

"Porta quelle armi con fierezza, poiché ti appartengono". E io che avevo in mente di lasciarle in questa palude.

A Elsenor si dice che non puoi sconfiggere un demone senza conoscere il suo nome. Chiedo a Corna di Bisonte di dirmi il vostro: Taerbeck e Tarkhun. Finalmente.

Mi hai fregato, Tarkhun. Avevi deciso da tempo di andartene da Uthun ed io esaudirò questo tuo desiderio, ora che mi sono assicurato che nessuno possa mai ricordarti come un vile. Ma è l'ultima volta. Questa vittoria mi dà il diritto di lasciare voi Kraighar sul posto, di non essere risucchiato ulteriormente dalla vostra visione del mondo. E' questa la ricompensa che chiedo, penso di essermela guadagnata. Ho vinto, ho avuto fortuna: ma ho dato anche a ciascuno di voi la possibilità di recuperare i vostri soldi. Adesso è arrivato il momento di alzarsi dal tavolo: ho voglia di tornare a Uryen, riempire il mio boccale di birra decente, rivedere le mie sorelle, prendere a testate Dina. Maestro di me stesso, nel bene e nel male. Voi non seguitemi, io non tornerò.

Ah, ancora una cosa...

Kraighar (immagine)

Ma vostra madre lo sa che vi vestite così?
scritto da Vodan Thorn , 00:39 | permalink | markup wiki | commenti (7)
 
17 aprile 517
Domenica 3 Maggio 2015

An deuchainn



A volte non puoi vincere, eppure alla fine vinci: altre volte sei certo di non poter perdere, eppure finisce che perdi. Il sogno parlava chiaro: vedevo, sentivo e ruggivo come un lupo, travalicando i limiti di ciò che può vedere e sentire qualsiasi essere umano. E' evidente che se avessi combattuto a quel modo sarebbe finita in modo diverso: i miei artigli avrebbero lacerato le carni nude del mio avversario, non certo l'armatura che ho avuto cura di rimediargli. Due colpi a segno, uno per mano: la spada e la daga. Sangue, vittoria, morte.

Non è quello che ho sempre voluto?

Il punto è che non ero io, quello: eri tu. Continui a parlarmi anche da morto, nonostante i nostri sforzi per non farti risvegliare. Fatica inutile, direbbero ad Elsenor: Armhann neartail maireannach. I grandi guerrieri sono immortali. Quando la corda che li tiene attaccati alla vita viene recisa, per loro si aprono i cancelli del regno delle Ombre.

Sorpreso? Immagino di no, visto che sei stato tu stesso a mettermi in guardia. Ricordo bene le parole che pronunciasti nel Varco: ora vedi il mondo come lo vedo io. Non ti riferivi certo alle pile di teschi o al cielo solcato da ali spettrali: era di me che parlavi, dei miei occhi, della ferocia istintiva entro cui mi avevi costretto per sopravvivere. L'allievo testardo e il maestro paziente. Sei stato di parola, nell'unico idioma con cui alle ombre è concesso rivolgersi ai vivi. I tuoi occhi, il tuo istinto, il tuo ruggito: questo è ciò che mi hai mostrato. Quel modo di vedere, di sentire il mondo, è alla mia portata: basta allungare la mano. La scelta è soltanto mia.

Non è quello che ho sempre voluto?

Sei in grado di ascoltare i miei pensieri. Sapevi ciò che sarebbe accaduto a Maben, quello che sarei andato a fare: Il duello che avevo lasciato indietro e che aspettava entrambi. Avresti voluto vedere l'istinto e la sete di sangue del Faul-Warg dipinto sullo scudo che un tempo ti apparteneva e che io ho raccolto quando eri già morto. E' in quel momento che hai pensato di avere una possibilità? Spingermi di sotto. Vedere con i miei occhi. Combattere ancora. Vivere di nuovo.


Lupo che ulula alla luna (Immagine)

Mi stai ascoltando anche ora? Come io ascolto te? Spero di si, perché in caso contrario mi priveresti del gusto di dirti che avevi ragione. Sono così testardo da non avere alcuna intenzione di diventare un lupo per compiacere te o chiunque altro. Neppure se è quello che ho sempre desiderato.

E dire che la mia intenzione iniziale era quella di ucciderlo, quel povero bastardo, attribuendogli le colpe di quanto compiuto dai suoi e tuoi compagni d'arme contro le donne e i bambini dell'abitato di Dieck. In parte perché sarebbe stato giusto, in parte perché dopo tutti quei Risvegliati sento il bisogno di dare una morte che togliesse anche una vita. La verità è che mi prudono le mani e la colpa è anche tua, perché pur di sottrarti alla mia spada hai preferito ficcarti nell'occhio il primo coltello che ti è capitato a tiro. O pensi davvero di avermi dato a bere la storia che ti ha ammazzato Tico Pock?

Focáil leat.

Mi stai ascoltando, adesso? Spero di si. Come io ascolto te, del resto. Ho sentito ciò che cercavi in quel duello. Sapevi che quel disgraziato voleva diventare un Lupo e che gli avrei offerto l'occasione giusta: pregustavi uno scontro epico e sanguinoso, una prova di forza da cui sarebbe uscito il guerriero in cui poterti reincarnare. Non solo: volevi anche viverla in prima persona attraverso i miei occhi, magari perché pensavi che avrei vinto io.

Mi stai ascoltando ancora? Credo di si, come io ho ascoltato te. Ho avvertito la tua frustrazione quando ho trasformato lo scontro tra lupi all'ultimo sangue che tanto agognavi in un confronto controllato tra poveri diavoli che mangiano e bevono insieme: in un gioco, come avresti odiato definirlo tu. Il mio scopo non era toglierti un erede, ma sottrartene due. Lo hai sentito, vero? Io l'ho sentito. Ho visto la tua insofferenza incarnarsi nell'arma che un tempo fu tua, bloccare il colpo che mi avrebbe concesso la vittoria e quindi rifiutarsi di deflettere la risposta. Eri certo che la prospettiva di una sconfitta davanti ai miei compagni mi avrebbe fatto cambiare idea, che il lupo che è in me mi avrebbe spinto a continuare fino all'ultimo, spingendo la morte che ghermisce le mie spalle ad esigere per l'ennesima volta il suo tributo.

Niente da fare. Se è questo che vuoi, dovrai impegnarti di più.

O forse hai semplicemente voluto farmi vedere chi comanda: nel qual caso penso che non mancheranno altre occasioni, visto che non ho alcuna intenzione di rinunciare a quell'arma. A te la scelta se uccidermi nell'inutile tentativo di impormi le tue regole o goderti lo spettacolo accettando le mie.

Il duello l'ho perso, magari però ho passato la prova.
scritto da Vodan Thorn , 04:14 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
1 Aprile 517
Venerdì 10 Aprile 2015

Ride bene chi ride ultimo



Fatti coraggio, Ian.

Ascolta le parole del prete e vai incontro al tuo destino.

Fatti anche furbo, perdi i sensi prima che il dolore diventi insopportabile e lascia che qualche lama misericordiosa recida la corda che ti lega a questa vita.

In fondo anche per te c'è un bicchiere mezzo pieno: sarai sepolto come un eroe anche se, diciamocelo pure, eri una mezza sega.

Immagino che, potendo scegliere, avresti preferito l'altra metà.

Ma a quanto pare gli Dei ti hanno sorriso, come sta dicendo Engelhaft... se davvero è così che funziona spero che non decidano di sorridere anche a me: ho intenzione di sopravviverti quanto basta, anche solo per non dare soddisfazione a questo buco maleodorante che ci sta facendo sputare sangue da giorni.

Fai buon viaggio, Ian: ci pensiamo noi ad andare avanti.

Porteremo a termine questo sporco lavoro, costi quel che costi.

Giusto il tempo di rimetterci in piedi.

E di carbonizzare quella stanza e quell'orcio di letame.

Sperando che agli Dei non venga voglia di farsi un'altra risata.

La Resistance - Immagine
scritto da Vodan Thorn , 02:50 | permalink | markup wiki | commenti (1)
 
21 marzo 517
Giovedì 22 Gennaio 2015

Nel Varco



"Ora vedi il mondo come lo vedo io".

Lo scenario che si para di fronte ai miei occhi non ha nulla del mondo che conosco. Non il cielo, privo di sole e stelle. Non la terra, arida di vita e svuotata di ogni calore. Rocce appuntite delimitano l'angusta prigione che ci rinchiude, stagliandosi contro una volta cinerea frantumata in miriadi di schegge violacee. Tra l'una e l'altra, come sinistri spettatori celati dai pilastri di un tempio, giacciono i resti e le orbite vuote di guerrieri senza nome né età. Questo posto fa rimpiangere persino l'isola di Cabal.

"E' qui che voglio darti la prova che sei venuto a cercare".

La sicurezza con cui parla tradisce un barlume di emozione. Vuole uccidermi o mettermi alla prova? Entrambe le cose. Mi chiedo se abbia ghermito Inga con l'intento di incitare la mia furia. Incomodo inutile, eroe: avrai la battaglia che brami.

Di nuovo provo a batterlo sul campo che meno si aspetta, quello della velocità: per un istante interminabile la mia lama danza con la sua catena tornata a nuova vita, poi riesce ad averne la meglio. Sorte assai migliore incontra il suo scudo, privando il mio assalto di ogni velleità.

Ho tempo per un secondo colpo: di nuovo la muraglia mi sovrasta, stavolta l'impatto è fragoroso. Sento il mio corpo lento, debole, lontano: una imbarcazione in balia di una tempesta. L'ondata poderosa del suo scudo mi travolge scagliandomi all'indietro, verso i teschi di tanti avversari migliori di me. Non posso colpirlo. Non se questo è il meglio che so fare. L'assalto che segue non mi lascia il tempo di pensare, né lo scudo ha modo di coprire la gamba esposta. Il ferro vermiglio del maglio batte con violenza la mia armatura. Non sento dolore, né provo alcuna paura. Non posso colpirlo. Il primo sangue è suo.

Lo scudo deflette un altro colpo. Non è ancora finita. Non sono stato masticato e sputato da un'isola piena di Risvegliati per venire a gonfiare questi mucchi di ossa. Cerco di guadagnare il terreno che mi serve per sferrare un nuovo assalto in velocità. Impossibile, almeno per ora. Non posso colpirlo. Non importa. C'è ancora tempo.

Il Kraighar parla di nuovo. Mi chiede se rimpiango di non aver approfittato delle occasioni che ho avuto. La soddisfazione che cerca non uscirà dalla mia bocca, non insieme al sangue che mi sta facendo sputare. "Mai", rispondo. Mormora qualcosa su un allievo testardo e un maestro paziente: la mia mente registra le sue parole ma si rifiuta di dar loro ascolto, intenta com'è a leggere la traiettoria del maglio che torna a sollevarsi. Non posso colpirlo. Non posso prendere anche questo colpo. Non....

Di nuovo la catena irride il mio scudo, avvolgendosi ad esso come un serpente. Il maglio mi raggiunge alla bocca dello stomaco, spingendomi indietro. Non respiro. L'armatura mi risparmia conseguenze ulteriori. gli occhi si inchiodano a quella spira di anelli, la mente torna al ricordo di quando era in pezzi. A quanto sarebbe stato semplice colpirlo in quel singolo istante. Mai, ripeto a me stesso. Neanche per un momento. I deliri onirici di Colin acquistano improvvisamente un senso, sovrapponendosi ai miei pensieri: "non mi piacciono le scorciatoie: le cose me le voglio guadagnare". Ecco cosa stava farfugliando: altro che dimensioni del seno.

Il maglio torna a mulinare, ma stavolta è diverso: non sono io il prigioniero, sei tu ad essere rinchiuso con me in questo Sabbath. Brandisci quanto vuoi quella palla di ferro, non avrai il privilegio di colpirmi un'altra volta. Mi assicurerò che tu muoia con l'arma in pugno e nel pieno delle forze, dopo aver fatto sfoggio di tutto il tuo potere. Questa notte arderai come il Re dell'Inverno, svanirai come i ceri delle veglie di Ostara.

Rift (Varco) - Immagine
scritto da Vodan Thorn , 14:23 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
18 marzo 517
Martedì 30 Dicembre 2014

An Saighdear



La prima volta che incontrai Eòran e Cathàl non ero ancora un soldato.

Vagavo come uno stupido per la Dorcha, la selva che circonda una buona metà di Nuova Lagos: un cieco con una fiaccola in mano, disperso tra i meandri di quelle - dicono - quaranta sfumature di verde di alberi e piante che esistono solo lì. Il sole era calato da un pezzo, così come la speranza di ritrovare la strada per la città. Non restava che trovarmi un riparo per la notte, sperando di non stuzzicare l'appetito di qualche bestia. Speranza vana. Ricordo ancora bene quel ringhio, il mio sguardo che saltava da un cespuglio all'altro fino a trovarlo, intento a fissare la sua cena. Il manto grigio e nero come le ombre della notte, gli occhi bianchi del riflesso della luna: An Faol.

Lupo Nero - Immagine

Ricordo la sensazione che provai osservandolo uscire dalla boscaglia e avanzare verso di me: i denti aguzzi, l'attesa del dolore che avrei provato di lì a poco quando si sarebbero conficcati dentro le mie carni. Fu quella sensazione che mi spinse ad agire. Le gambe in avanti, il braccio levato in aria a brandire la fiaccola, il rumore della fiamma che avvampava e crepitava sul legno. D'un tratto smisi di essere appetibile e, di lì a poco, mi ritrovai nuovamente solo. O almeno, così credevo.

"Giè treun, balach!".

Il tempo di girarmi e li vidi, a pochi metri da una grotta che non avevo minimamente notato. Due giovani elsenoriti, entrambi con un coltello alla cintura e una lancia a dir poco primitiva. In seguito imparai il significato delle parole che mi avevano urlato: "hai fegato, ragazzo!". Quello fu il nostro primo incontro, il giorno in cui mi guadagnai il loro rispetto. Nella grotta conobbi anche Nevin, cugino di Cathàl, e Branna, sorella di Eòran. Quattro giovani guerrieri del Clan del Lago, avanscoperta di un gruppo più ampio attivo presso i confini di Nuova Lagos il cui nome era Dìolain Loch: i Figli del Lago. Quel giorno decisi che sarei diventato un guerriero anch'io.

I Dìolan Loch divennero amici, fratelli di sangue e compagni d'armi. Frequentarli non fu facile, specie dopo il mio ingresso nella guarnigione di Nuova Lagos: il Clan del Lago era nostro alleato ma in pochi si fidavano realmente della lealtà dei suoi guerrieri... A ragione, visto quello che accadde dopo. Io, che li conoscevo meglio, la pensavo diversamente. O magari fu proprio colpa del fatto che li conoscevo troppo. Al tempo stesso non fui mai uno di loro, malgrado la storia malata con Branna e nonostante i disegni comuni impressi per sempre sulle nostre carni.

"Choigear air Choigrich", così mi chiamò Eòran quando gli chiesi perché non avrei potuto prendere parte al Lughnasadh: Straniero tra stranieri. Ero nato sull'isola giusta, ma dalla parte sbagliata del muro.

Quella stessa notte lui e Cathàl partirono verso il loro duello con i figli di Baal: una prova estrema di coraggio che avrebbe garantito loro il Saigh e lo status di guerrieri adulti. Fu l'ultima volta che lo vidi: le lacrime di Branna mi raccontarono la sua fine qualche settimana dopo. Mi disse che Cathàl era sopravvissuto alla prova, ma che non sarei più stato in grado di riconoscerlo: l'esperienza lo aveva cambiato dentro e fuori.

Compresi il reale significato di quelle parole soltanto molto tempo dopo, quando il Saigh di Cathàl mi trapassò la schiena, lasciandomi sul posto a osservare i Clan del Nord che correvano verso Nuova Lagos come un branco di iene affamate.

Massacro di Nuova Lagos - Immagine

Oggi ho avuto modo di combattere quel duello che anni fa mi fu precluso, secondo le stesse regole seguite dai miei fratelli di sangue. E' buffo: in fondo non ci ho mai creduto davvero a queste stronzate del sangue e dei legami. Loro mi stavano simpatici e tutto, ma se mi feci quel tatuaggio fu soprattutto per Branna: lei ci teneva, io ci tenevo a farmi lei. La Nagath incappucciata, la Dea della Morte... Roba da matti. Per poco non mi cacciarono dalla Guarnigione, a mia madre a momenti venne un infarto. E invece fu amore a prima vista, una veste d'inchiostro nero che da quel giorno mi protegge più di qualsiasi armatura.


Tatuaggio dei Dìolan Loch - Immagine


Chissà se esiste ancora qualche Dìolan Loch in vita o se ai miei fratelli di sangue tocca contorcersi nella tomba al pensiero che l'ultima Nagath ancora in piedi si trascini sulle spalle di un "Choigear air Choigrich". Datti pace, Eòran. E anche tu, Cathàl, nel caso in cui l'avessi seguito: non mi ritengo certo un Figlio del Lago. Ma un soldato si. Mi sono scagliato a viso aperto contro un avversario invincibile e ho dato il meglio di me, combattendo come se fosse l'ultima volta. Non potevo colpirlo, ma ho letto ogni sua mossa: non potevo vincere, ma ho distrutto ogni sua arma. Non potevo batterlo, ma l'ho costretto a cedere il passo. Non potevo ucciderlo, ma ho colpito a morte la sua sicurezza. Ho tenuto fede a tutte le stronzate che avevo promesso di compiere e che voi mi avete impedito di mantenere.

Oggi, tra i frammenti di quella daga, ho raccolto il mio Saigh.

Levo alla vostra il boccale che ho strappato ai nuovi amici che vi siete scelti: con questa bevuta mi libero di voi e dei vostri fantasmi. Sono un soldato, niente di più e niente di meno, mentre voi non siete altro che un morto e un traditore.

Elsa di Daga - Immagine
scritto da Vodan Thorn , 01:48 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
16 marzo 517
Giovedì 11 Dicembre 2014

L'ultima volta buona



La prima cosa che ho imparato sono state le parolacce. Dun do Bheal, chiudi quella latrina. Díul mó bhad, succhiamelo. Téigh trasna ort féin, vai a farti fottere. Go stróice an diabhal, possano i vermi divorarti i reni. Focáil leat, vaffanculo. E così via, giorno dopo giorno ad ascoltare e ripetere le imprecazioni degli abitanti che popolavano lo sclàbcham, il campo di lavoro di Nuova Lagos dove ci mandavano a controllare che tutto funzionasse a dovere. Il primo Ongelkamp che abbia mai visto, destinato ai prigionieri di guerra e a coloro che si opponevano alla volontà del Reggente. Sclàbhaìocht Suaràch, recitava il cartello posto all'ingresso. "Lavoro per la Pace" secondo i nostri sergenti, "Lavora come Schiavo" per come si ostinavano a leggerlo gli Elsenoriti. In seguito capii che avevano ragione - o torto - entrambi, colpa dei molti significati attribuibili a quella parola, Suaràch: la pace di chi è impotente, miserabile, finito. La quiete a cui è costretto chi non ha più una casa. La pace della morte.

La seconda cosa che ho imparato sono state le invocazioni. Ad Elsenor le Ombre non si pregano, ci sono e basta. Is cuma liom sa diabhal, come recita un vecchio scaith: alle Ombre non frega un cazzo. Non sanno che farsene di sacerdoti che vanno in giro o di fedeli che si radunano in un posto per ringraziare di essere vivi. La religiosità di Ilsanora è semplice, evocativa, immediata: quando devi coltivare la terra invochi l'aiuto di Parthan; se devi combattere invochi la forza di Lùg; se vuoi procreare invochi la benevolenza di Daanan; così fino a quando non arriva il momento di morire, a quel punto non ti resta che levare il boccale e offrire la tua ultima bevuta alla vecchia signora.



Riempio l'unico oggetto che possiedo, strappato alle mani dei Nordri: mi torna in mente quel marinaio che pochi giorni fa, a Feidelm, mi fece capire a gesti che ne aveva uno uguale. La vecchia signora non è nuova a questa mia piccola tradizione: ne abbiamo celebrate tante, di ultime volte, dal giorno in cui la porto sulle spalle. Chissà se questa sarà l'ultima volta buona.

La terza cosa che ho imparato sono state le leggende. "Questo è abbastanza veloce per te?" Le immagini degli spostamenti innaturali del Kraighar scorrono nuovamente davanti ai miei occhi. Ripenso alle storie che circolavano tra l'esercito di Nuova Lagos su alcuni guerrieri di Ilsanora nelle cui vene, secondo i pochi fortunati che sopravvivevano ai loro assalti, scorreva ancora il sangue di Balor. Anche loro difendevano il proprio territorio dalla "stirpe di Greyhaven". Eòran e Cathal del Clan del Lago mi spiegarono che molti di loro facevano parte dei Faolchliàth, il Clan dei Lupi. Mi dissero anche che erano da sempre i loro acerrimi nemici. Fino a quando non si allearono per spazzarci via.

Chissà se muoversi a quel modo lo stanca. Chissà se è l'unica cosa da cui doversi guardare. Chissà se dalle parti di Trent stanno tutti bene. Chissà se Inga è fidanzata.

Troppe domande per un boccale che di risposte non ne ha neppure una.

Alla tua, vecchia signora: is cuma liom sa diabhal!


scritto da Vodan Thorn , 18:03 | permalink | markup wiki | commenti (1)
 
16 marzo 517
Venerdì 21 Novembre 2014

Sette Sette Sette



Chissà se erano già lì ad aspettarci o se arrivarono con la marea, magari fiutando il nostro sangue. Quello che dissero a me e agli altri feriti che erano rimasti sulla barca fu soltanto che non eravamo più soli. Due naufraghi, un uomo e una donna, sulla spiaggia nord dell'isola. Probabilmente isolani di qualche clan del nord, pensarono gli esploratori improvvisati che li avevano individuati, a giudicare dal fatto che non parlavano una parola di Greyhaven: talmente incazzati da mordere e graffiare come fossero bestie chiunque gli capitasse a tiro.

"La donna l'abbiamo stesa con un remo. L'uomo era molto forte, non voleva andare giù: gli abbiamo dovuto fracassare la testa".

Il capitano era morto durante lo schianto, il che faceva di Flint Rogar, sottotenente di vascello, il più alto in grado. Flint commise l'errore di voler andare a interrogare la donna: tornò bestemmiando con un morso sulla caviglia, vantandosi di aver decapitato la puttana. La sua gioia si spense di lì a poco, nel giro di poche ore era moribondo insieme agli esploratori. Li seppellirono sulla spiaggia, a pochi metri dal rottame della nave. Il comando passò a un certo Lester, un vecchio sergente che si muoveva a fatica per via di un piede rotto. Io stesso non potevo muovermi granché per via della ferita alla schiena: ricordo che faceva un freddo pazzesco appena ti allontanavi di un metro da quei falò enormi che Flint aveva ordinato di accendere poco prima di morire e che fecero da cornice a quello strano funerale.

Risvegliato Marinaio - Immagine

Flint era un tipo pragmatico. Si ripresentò quella notte stessa, addentando alla gola il poveraccio che aveva il compito ravvivare i fuochi. Lester e altri quattro presero le poche armi che avevamo e fecero quello che andava fatto. Poi fu la volta degli esploratori, che per fortuna si presentarono quando i fuochi erano ancora accesi e tutti avevano già il ferro sguainato. A quel punto si rese necessario cercare di capire cosa stava succedendo. Un certo Jonah saltò su a dire che eravamo finiti sull'isola perduta della Morrigan, dove secondo la leggenda i morti tornavano in vita.

Qualcun altro, tra cui Lester, cercò di fargli notare che saremmo dovuti essere da tutt'altra parte, ma nessuno di noi era un marinaio provetto e dopo i due giorni di tempesta che c'eravamo fatti non era facile tenere il punto. Alla fine passò la storia dell'isola maledetta. Per nostra fortuna Lester ordinò di bruciare i cadaveri prima di dormire: è molto probabile che senza quella mossa saremmo morti tutti quella notte stessa.

Falò di notte - Immagine

La mattina seguente Jonah e altri due mozzi rimasti feriti durante gli scontri non c'erano più. Le loro tracce puntavano verso il centro dell'isola, probabilmente si erano resi conto di essere spacciati e non volevano finire arrosto. Questa inattesa defezione ci lasciò con pochissime persone in grado di muoversi. Di acqua ne avevamo, quella parte di stiva si era miracolosamente salvata: in compenso, tutto il cibo che trasportavamo era stato divorato dai flutti. Eravamo troppi e troppo malmessi per digiunare: di lì a poco avremmo dovuto inventarci qualcosa, nell'attesa che un vascello riuscisse a vedere quei dannati fuochi finché eravamo in grado di tenerli accesi. Passarono tre o quattro giorni in cui restammo lì, svuotando le borracce delle loro ultime gocce e giocando con un mazzo di carte che eravamo riusciti a recuperare nei pressi della nave. Ricordo ancora il piatto che riuscii a fare a Lester con un tris di sette contro i suoi due assi. Con tutte le carte che mancavano quei tre sette erano pressoché imbattibili.

Sette bello

Il ritorno di Jonah e degli altri ci prese di sorpresa. Non potevamo immaginare che avessero più fame di noi. Per farla breve, tolti i morti e i feriti che si ammalarono di lì a poco, restammo in otto: Lester, Tom, Mark, Danny ed io, tutti con qualche acciacco piccolo o grande legato agli scontri a Nuova Lagos o ai postumi del naufragio, più altri tre sopravvissuti in gravi condizioni che probabilmente non ce l'avrebbero mai fatta. E neanche una donna, ovviamente.

A quel punto pensavamo di aver capito come funzionava, grosso modo: la malattia, la testa da rompere, i corpi da bruciare e tutto il resto. Non ci restava altro da fare che prendere qualcosa di commestibile da alcuni alberi da frutto che erano stati avvistati al centro dell'isola e poi barricarci nella parte di stiva della nave che aveva retto all'urto contro gli scogli. Andammo tutti, sospinti dalla sete e da qualche bastone da passeggio rimediato e utilizzato a mò di stampella.

Quello che non sapevamo è che ce n'erano altri: ci colsero di sorpresa, tra gli alberi, mentre stavamo ancora riempiendo le bisacce. Erano lenti e tremendamente goffi: il problema è che noi lo eravamo ancora di più. Ricordo con orrore l'immagine di Lester che fuggiva tra gli alberi, costretto da quel piede rotto a gattonare come un bambino: e ricordo anche le sue urla disperate quando alfine lo raggiunsero e se lo mangiarono vivo a pochi metri da noi.

Risvegliati tra gli alberi

Mark e Tom erano fratelli: soldati come me, avevamo fatto l'addestramento insieme. Il primo aveva un braccio rotto e qualche livido ma le gambe ancora buone: fece del suo meglio per distrarre i due che ci seguivano, ma non riuscì a tornare con noi alla nave. Si risparmiò lo spettacolo atroce che ci attendeva lì: uno di loro, che ci aveva evidentemente preceduto, era intento a pasteggiare con gli intestini di uno dei moribondi mentre gli altri due urlavano terrorizzati a pochi metri dalla scena.

Tom, Danny ed io riuscimmo in qualche modo ad averne la meglio, a portar dentro il poco cibo che avevamo recuperato e quindi a barricare la stiva. Restammo lì per giorni: avevamo acqua e coperte a sufficienza, e la stiva era grande al punto da consentirci persino di accendere un piccolo fuoco per scaldarci. Ogni ipotesi di accendere i fuochi esterni era ovviamente tramontata: non ci avrebbe trovato nessuno, restava solo da stabilire se saremmo morti di fame o per placare la fame delle bestie che ci aspettavano appena fuori, grattando senza sosta sul pesante scheletro di legno del vascello distrutto.

Grat. Grat. Grat.

Ricordo il volto devastato di Tom, la consapevolezza di entrambi che uno di loro era Mark. Deboli come eravamo, non potevamo neppure correre il rischio di aprire uno spiraglio e dargli la pace che meritava.

Naufragio

Quando Danny cominciò a sentirsi male ci prese un colpo. Pensammo subito all'acqua, il che avrebbe voluto dire che eravamo tutti fregati. Poi capimmo che i risvegliati non c'entravano, era la gamba che gli era andata in cancrena. Morì nel giro di un paio di giorni, rinunciando stoicamente a lavarsi la ferita.

"Almeno voi ce la farete", disse in preda alla febbre. "Ah, e se per caso la fame diventasse troppa... io non mi offendo".

Io e Tom la prendemmo molto meno a ridere di quanto probabilmente lo stesso Danny aveva previsto. Non fu una cosa facile, né mi aspetto che possa capirla chiunque non venga a trovarsi in una simile situazione. Uno dei due moribondi superstiti si rifiutò categoricamente di prendere parte alla cosa: era un nobiluomo lui, non si sarebbe mai abbassato a tanto: piuttosto la morte. L'altro, un certo Wurst, non se lo fece dire due volte: a vederlo mangiare pareva quasi un risvegliato... o forse stava talmente male che neanche si rendeva conto di quello che passava il convento. La voracità non fu sufficiente a salvarlo. Quando arrivò il momento di cucinare anche lui, anche il nobilotto si arrese all'idea e cominciò a sedersi a tavola.

Passarono altri giorni. Le piogge di dicembre portarono altra acqua ma resero anche molto più difficile accendere il fuoco. li freddo era atroce, specialmente di notte. Forse fu per quello che Tom cominciò lentamente a impazzire. A un certo punto cominciò a manifestare la volontà di uscire, giustificandola in vari modi: voleva vedere Mark, assicurarsi che fosse realmente morto; voleva prendere altro cibo, migliore di quello che avevamo; poi cominciò a dire che l'acqua faceva uno strano odore, e che se avessimo continuato a berla ci saremmo infettati anche noi. Feci del mio meglio per dissuaderlo, ma non ci fu nulla da fare. Lo aiutai a uscire, poi richiusi. Lo circondarono a pochi metri dalla nave: chiese a gran voce di tornare dentro, ma ormai era troppo tardi. Mentre lo sentivo morire, mi toccò pure sorbirmi la predica del nobilotto.

"Ma che fai? Lo lasci morire? Non era tuo amico? Che razza di persona sei?"

Mi è sempre rimasto il dubbio se a dare fiato a quelle parole fosse la sua innata stronzaggine o l'amara consapevolezza che di lì a poco saremmo rimasti soltanto io, lui e la fame.

Passarono molti altri giorni. A un certo punto i rumori sparirono, lasciandomi solo con il freddo, le piogge e la fame. Quando Quorton Kraven trovò il relitto della ''Vittoria'' l'isola era deserta: io ero l'unico superstite, barricato dentro una nave circondata dai resti carbonizzati, spolpati o disossati di quelli che un tempo erano stati miei amici, commilitoni e compagni di viaggio.

"Non devi pensarci, ragazzo", mi disse Quorton mentre i suoi uomini mi trasportavano di peso sulla ''Disperata. "Quel che importa è che sei sopravvissuto. Hai fatto quel che hai fatto e non sta certo a me biasimarti".

Quorton Kraven - Immagine

La notizia fece comunque il giro di Lagos. Venne fuori che il nobilotto era un personaggio piuttosto importante. Alla storia dei risvegliati non credette nessuno, anche perché non ne fu trovata traccia: prevalse la spiegazione più ovvia, avvalorata dagli inequivocabili resti che la stessa ''Disperata'' riportò a Lagos. Un rapido processo e poi la prigione.

Con tutto quel tempo a disposizione seguire l'ordine del capitano Kraven fu pressoché impossibile. I ricordi di quell'esperienza mi hanno tenuto compagnia a lungo e ancora oggi mi aiutano a capire a cosa servono l'arco e la spada che impugno.

C'è chi, come Annie Volvert, ce l'ha con i risvegliati perché hanno divorato la sua famiglia; c'è chi, come Padre Engelhaft, li considera delle abiezioni immonde da estirpare; c'è chi, come Kailah e Kelly, si sforza di combatterli per liberare una terra che sente di dover difendere; o chi, come Inga, non nasconde l'intenzione di portare altrove il suo bel culo prima che sia troppo tardi.

Per me è più che altro una questione personale, un favore che devo ad alcuni vecchi amici come il sergente Lester, Tom e Mark... i quali tra l'altro - per quanto ne so - sono ancora in giro. Se così fosse, spero che prima o poi capiti l'occasione di poterli salutare.

scritto da Vodan Thorn , 04:41 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
30 novembre 516
Martedì 13 Maggio 2014

An Roinn Athas



Chi pensa che la galera aumenti la nostalgia di certe cose non è mai stato alle Vecchie Prigioni: quando ti prendono a calci nelle palle per un anno intero ti passano un sacco di fantasie. Groombor mi precede di qualche passo col sorriso di chi non ha di questi problemi. Si è trovato a gioire spesso in queste case, durante la guerra: mi parla di Mira, di Greta, di una certa Luna che è morta di febbre l’inverno passato. E’ una buona forchetta, Groombor, uno che non lesina i complimenti al cuoco. Le parole migliori, neanche a dirlo, le spende all’indirizzo di Kalina. La descrizione, che non risparmia alcun dettaglio, mi fa venire in mente Dina: un’altra panterona della stirpe dei Daanai, di quelle capaci di suscitare una feroce repulsione o fantasie malate. O entrambe.

“Se vuoi lei”, mi dice, “ti dovrai sbilanciare un pò. E’ finito il tempo in cui lo faceva per divertimento, adesso chiede regali o favori costosi”.

Alzo le spalle. “Non dirmi che vuoi proprio lei”. Certo che si. E se mi chiede un regalo costoso la riempio di botte: Dina non l’ho toccata perché aveva già ricevuto la sua dose di legnate, Kalina non sarà altrettanto fortunata.

Il Porto di Uryen ci accoglie nel suo abbraccio di cadaveri impiccati e impalati. Il Tenente Kain ci guida indenni attraverso la feccia locale, poi ci congeda: “le case sono lì... vabbé, lo sapete. Andate pure, a pagare ci penso io”. Groombor non se lo fa dire due volte, precipitando se stesso verso un gruppo di baracche fatiscenti disposte ai lati di una strada buia. Una scritta sul muro attira la mia attenzione. An Roinn Athas: le Case della Gioia. Più in basso ce ne sono altre nella lingua di Greyhaven: Continuano, le anime morte. Sorge rinnovata alba. Mira la lontananza. Altre ancora, non più leggibili, si intravedono appena.

“Benvenuti!” esclama una bionda sporgendosi da un balcone. “Cercate qualcuno?”

Groombor non se lo fa ripetere, nel giro di pochi secondi sparisce seguendo le indicazioni per una certa Mira di Ostfold.

Mira la lontananza.

“E tu? Hai qualche preferenza?” Ce l’ha con me. Non sarebbe neanche male, se non fosse per quella cicatrice.

Solo una, esclamo. Kalina. Scuote la testa. “Kalina non fa per te. Se non hai un’altro nome, posso consigliarti qualcosa io”.

Non voglio consigli, voglio Kalina. La bionda scoppia a ridere: “Chi troppo vuole...”, poi sparisce.

La strada sprofonda nel silenzio. Raggiungo la prima porta, la apro: una rampa di scale, un corridoio, altre porte. Aria di mare, conchiglie alle pareti. Salgo ancora: la bionda parlava da qui. Scorgo i suoi capelli mentre mi passa davanti, scomparendo dietro a una tenda. Dall’altro lato giungono voci, respiri, qualche risata. Provo a seguirla, ma non sono altrettanto delicato: la tenda si scioglie cadendomi addosso. Avverto odori esotici, olii profumati, incenso: questa tenda ne ha viste di cose. Me la scrollo di dosso mentre la bionda ride di gusto e quando finisco scopro che non è da sola: la panterona mi osserva con aria divertita. Ha un viso familiare.

“Sembri impaziente”, mi dice. “Vieni da molto lontano?”

Non più di te. D’un tratto la riconosco. La figlia di Sophie Lanzegh, la donna ripudiata dal marito e maledetta da Ilmatar. Nostra madre ci mandava a portar loro da mangiare dopo il tramonto, di nascosto. La ricordo triste, spaventata e denutrita. Non potrebbe essere più diversa da allora. Dopo la morte della madre si trasferì da un parente per qualche tempo, fino alla notte in cui scappò. Balder si era affezionato a lei: una volta disse che prima o poi l'avrebbe sposata. Ora lui è morto e lei è una puttana. Quanti anni sono passati? Sette, forse otto. Sembra una vita fa.

Sorge rinnovata alba.

“Non devi rispondere per forza”, aggiunge.

Non penso mi abbia riconosciuto. Meglio così. Guardarla mi mette a disagio. Fa un passo avanti. Dire che mi è passata la voglia non renderebbe l’idea. Abbandono il drappo su una sedia, mi giro ed esco. La bionda mi segue, fa per trattenermi ma manca la presa. “Te l’avevo detto”, esclama mentre mi allontano: “non fa per te”.

Torno fuori, sulla strada. Di Groombor nessuna traccia. A ovest il sole comincia a tramontare, mentre un alito di vento scuote i corpi appesi alla quercia degli impiccati.

Continuano, le anime morte.

Che giornata di merda.

Kalya Niadh - Immagine 3
scritto da Vodan Thorn , 03:35 | permalink | markup wiki | commenti (0)
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