Okkei.
E allora si comincia. Tanto non è molto lungo, quindi mi permetto di incollarlo quaggiù senza ulteriori discussioni...
La musica sorse lenta e quasi coperta dal frusciare delle foglie nel vento.
Stupito, sentì la melodia aumentare in forza, e la sua dolcezza definirsi al di sopra dello stormire del bosco. Parve che una cascata fosse nata dall'erba e, piano e cheta, narrasse la propria vita in crescita.
Quando la voce iniziò a cantare, fu rapito dal mistero di quelle note, incantesimo di un nascosto angolo di foresta dove aveva deciso di rifugiarsi. Vide farfalle volare in multicolori archi e l'aria riempirsi di semi profumati. Da una terra lontana si alzò una fragile gemma, che maturò e diede radici, poi uno stelo sottile e foglie verdi ancora tenere nell'età. Vide giungere tempi cupi e forte vento, ma essa crebbe e si irrobustì, fino a maturare in grandezza e bellezza. La voce cantava serena e cristallina di amore, e di guerre che cercavano di piegarlo; ma quella voce cantava della futilità di un tale affannarsi.
Qualcuno chiamò dal bosco e la musica svanì. Il canto si interruppe e sembrò che un fuoco fosse stato spento in una giornata di tormenta.
Era questo il primo ricordo che aveva degli Elfi, ed uno dei pochi ricordi della sua infanzia. Ricordava le domande che fece al padre e le risposte vaghe che sentì. Un popolo strano, possente e terribile in guerra, ma capace di incantare per la bellezza dei visi quando in pace. Gente silenziosa e schiva, difficile da incontrare e restia a parlare di sè. Sembrava fosse capace di comparire dove volesse, quasi si muovesse senza rumore anche nel bosco più intricato. Così li descrisse suo padre, ma ne aveva timore e non parlò più di loro.
Poi, quando i suoi ricordi ancora erano confusi, comparve un altro uomo, più alto e meno loquace del genitore, che lo condusse lontano da una gonna color lavanda a cui si aggrappava. E cominciò a nascondersi. Non che non l'avesse mai fatto prima: i suoi fratelli maggiori a volte lo cercavano. Ma quell'uomo gli insegnò a sparire nel silenzio più assoluto, così fra gli alberi come in mezzo alla folla. Lo istruì su come correre in silenzio, come entrare in una casa e uscirne con un involto sul petto senza svegliarne gli abitanti. Gli tolse la paura dello stare da solo abbandonato nella notte; ma lui non aveva paura perché suo padre gli aveva narrato che la gente dalla bella voce amava la notte. Non è possibile temere ciò che si ama. Così imparò a dominare l'oscurità, a restare in ascolto per ore, riconoscendo movimenti e intenzioni da un rumore soffuso.
Ora era notte e, come raramente nella sua vita gli era capitato, si sentiva al sicuro. Aveva acceso un fuoco e, seduto al suo calore, l'uomo guardava il suo passato nelle fiamme. Si alzò, prese arco e spada dall'albero cui erano appoggiati e li stese per terra vicino al fuoco. Toltosi il mantello, fece un giaciglio: vi si stese sopra. Rialzandosi, frugò sotto di esso e tolse alcuni sassi. Prese la bisaccia da sotto l'albero e ne estrasse un pacco, lo pose a capo del mantello e sedette nuovamente. Osservò le fiamme basse e decise: spostò avanti un sasso del cerchio che conteneva il fuoco; soddisfatto svolse il panno dell'involto e lo mise accanto a sè. Prese il pugnale che teneva sul fianco e, chinandosi sul panno, tagliò con attenzione una grossa fetta del pane e staccò un pezzo del formaggio che vi erano contenuti. Diede un morso al pane e cominciò a masticare, accennando una lieve melodia. Alzò lo sguardo al cielo che, limpido e lucente di stelle, ancora si mostrava rosso ad occidente. Si allungò sul mantello e trasse dalla bisaccia una fiasca: l'aprì e bevve un sorso del vino fragrante che essa conteneva.
Mangiò con calma; ora facendo fondere un pezzo di formaggio infilzato alla punta di una freccia, ora stendendosi a guardare la danza eterna delle stelle. Quando ebbe finito lasciò che il fuoco si spegnesse, sdraiandosi e avvolgendosi nel tessuto pesante che era il suo letto.
L'ultima brace fu consumata: la notte era quasi giunta a metà del suo percorso. Si alzò, bevve un ultimo sorso dalla fiasca, allungò braccia e gambe per sciogliere le membra e sedette. Si tolse i morbidi stivali di cuoio e si alzò in piedi.
Avanzò silenzioso lungo un percorso di un tempo lontano, quando, ancora bambino, aveva deciso di fuggire dal mondo. Scostava i rami con calma e il suo avanzare tranquillo era il fruscio del vento. La luna, sorta da poco sopra le cime degli alberi più alti, colorava il bosco di argento e nero. Il terreno cominciava a declinare: si fermò appoggiato a un tronco di faggio, su cui pose una mano, poi il fianco. Attese.
La musica sorse lenta e quasi coperta dal frusciare delle foglie nel vento.
Un po' fantasy-nordico, nonostante io dovessi essere il difensore della fiaba mediterranea, ma questo è quanto avevo a disposizione... il primo colpo è stato tirato... temo la risposta!
michele