Cerca nel Sito

NomeKeywordsDescrizioneSezioniVoci correlate

Forum di Myst

 
« Blasfemo! Ti condanno in nome dell'inquisizione ad una morte lenta!! »
- Engelhaft Todenehmer -
 
Kailah Morstan
diario di viaggio
Kailah Morstan
 
creato il: 13/01/2012   messaggi totali: 84   commenti totali: 91
278516 visite dal 13/01/2012 (ultima visita il 25/04/2024, 22:27)
Scritto il 03/01/2014 · 33 di 84 (mostra altri)
« Precedente · Successivo »
2 ottobre 516
Venerdì 3 Gennaio 2014

Lavorare sulla paura



Dobbiamo lavorare sulla paura.
Dove è iniziata, dove si nasconde. Da quale buco oscuro dell'anima sortisce ad artigliarci la mente, impedendoci di ragionare con chiarezza.

In tutte le fiabe c'è una matrigna cattiva. Sorrisi negati, piccole ingiustizie e cattiverie. Ci sono torti che non possono essere riparati, ferite impercettibili che tornano a riaprirsi saltuariamente.

Ma la paura è precedente. Nasce prima di ogni dolore, è qualcosa di simile ad un presentimento. La paura è una porta socchiusa da cui spira un vento freddo, colpi di tosse, l'odore della malattia.

Avevo sei anni quando è morta mia madre.
Se voglio lavorare sulla paura, se voglio capire la paura e imparare a gestirla, è da lì che devo partire.

Nessuno spiega le cose ad una bambina di sei anni, deve capirle da sola. I silenzi nella casa, le espressioni corrucciate, l'atmosfera sospesa: è tutto misterioso e ha bisogno di interpretazione.
Fu Okton a sbattermi la verità in faccia. "La mamma sta morendo, non capisci?" mi gridò in piedi vicino al caminetto acceso. Ricordo i suoi pugni stretti, la voce che si incrina, il silenzio subito dopo. Ricordo il crepitare delle fiamme, il loro sinistro divampare.

Fa più paura ciò che si conosce oppure l'ignoto?

Non lo so. So solo che dopo le parole di mio fratello scappai via, mi intrufolai nella stanza vietata, accanto al letto di morte di mia madre e la costrinsi a svegliarsi.
La "costrinsi", davvero.
Presi una sua mano e ingenuamente provai a scaldarla con la mia energia interiore. L'illusione straziante di vedere i suoi occhi che si aprivano, l'illusione che il mio ineffabile potere la potesse guarire, ancora mi soffoca il cuore.
Per un momento io ci ho creduto. Forse... forse la magia, quell'assurda presenza dentro di me, avrebbe potuto restituirle la vita.

Ma fu solo un barlume, un istante. Lei faticosamente mise a fuoco lo sguardo su di me, mi rivolse un sorriso straziante e sussurrò parole che non ho il coraggio di riscrivere.

Ricordo mio padre che entra nella stanza, mi sorprende al capezzale della malata e mi trascina via brutalmente. Ricordo le mie grida, la mano pallida di mia madre che sfugge dalla mia e ricade sul letto.
Ricordo di essermi dimenata, di avere lottato, ricordo lo stanzino buio in cui fui rinchiusa. I pugni contro la porta, il pianto e una solitudine tutta nuova.
Era per proteggermi dal pericolo di contagio? Non glie l'ho mai più chiesto, non ne ho avuto il coraggio. Non so neanche quale fosse la sua malattia, che cosa sia stato a portarsela via.



La paura lascia tracce indelebili, ed insegna a difendersi dal dolore diventando più freddi.
Lavorare sulla paura non significa diventarne immuni.
Per quanto la paura possa a volte rappresentare un pericolo essa stessa, è comunque un bene che esista, che rimanga, che ci mantenga umani.

Le persone senza paura sono prigioniere di un eterno presente, gaudente e disperato.
Qui ad Angvaard sono tanti che vivono come se avessero già oltrepassato il confine tra la vita e la morte, e fossero in uno spazio senza tempo, ormai successivo alla vita come la conoscevano. Non gli importa più nulla, se non di cogliere qualche fugace momento di sollievo dal continuo dolore.
Non hanno più nulla da perdere, nessuno da perdere. Famiglia, affetti, una casa, delle prospettive per il futuro. Tutto gli è stato strappato, restano solo una manciata di attimi.

Chi invece ha ancora qualcosa, o qualcuno, ci si aggrappa con disperazione. Ed ha paura, tantissima paura, che tutto finisca presto, che tutto finisca male.

Io mi difendo dalla paura cercando di limitare i miei orizzonti a "domani", "dopodomani". A vivere senza futuro, senza passato.
Provo a immaginarmi come una semplice pedina di un meccanismo più grande. Sacrificabile, ma che può essere utile. Uno dei tanti bastoncini di legno che pianti nel terreno soffice della sponda del fiume per giocare ad incanalarne la corrente. E che presto o tardi la corrente porterà via.

L'aridità non mi è estranea. Io sono arida, lo sono sempre stata.
Difficilmente voglio bene a qualcuno, difficilmente mi affeziono davvero.
Qui il mio difetto è un piccolo dono, una piccola difesa dal dolore di veder morire tutti, uno dopo l'altro, in attesa del mio turno.

La morte di Boar mi ha fatto male, e anche quando ho visto Bohemond spegnersi ho faticato a ricacciare indietro le lacrime. Ma sono eccezioni. Convivo con la morte, parlo continuamente con persone che il giorno seguente potrebbero morire, siedo a tavola con loro, ci chiacchiero e ci scherzo. Ma sto bene attenta a non affezionarmi troppo.

L'abitudine alla paura ci può rendere aridi o gaudenti, euforici o esageratamente distaccati.
Chissà, forse Annie è così di poche parole per questo, perchè ha già perduto troppe persone care, perchè ha esaurito tutte le lacrime e non vuole versarne altre, mai più.

Dust ha un incantesimo che "lavora sulle paure".
Ho paure semplici, immediate. La puzza di cadavere, i gemiti dei Risvegliati, i loro fluidi velenosi e contaminanti. Ho paura del buio, del dolore. Della morte.

Ringrazio gli Dei di non avere nessuno da proteggere.
Non qui, non ora.
Mai, forse. Mai.


scritto da Kailah , 15:21 | permalink | markup wiki | commenti (0)
Scritto il 03/01/2014 · 33 di 84 (mostra altri)
« Precedente · Successivo »