Ma non oggi. Ora sono io a sedere su quello scranno, stringendo tra le mani una piccola ciotola d'argento contenente quello che per molti anni è stato il mio piatto preferito: insalata di more. Osservo dall'alto le numerose operazioni che vengono compiute in preparazione dell'evento di questa sera: guardo i molti coltelli affilati, ascolto il lamento sordo delle anatre che vengono uccise soffocate dal loro stesso cibo, spinto con forza giù per la loro gola. Ma non è lì che si sofferma il mio sguardo: la mia attenzione è rivolta sulla superficie di un altro tavolo, sul quale una valorosa combattente è prossima a esalare il suo ultimo respiro. Il rumore dei suoi spasmi sempre più deboli riesce ad attraversare la sala, raggiungendo le mie orecchie malgrado il frastuono di servi e di operai.
Quel suono mi fa tornare alla mente la prima volta che entrai qui dentro: questo stesso giorno di molti anni fa. Ero piccola e impressionabile, non avevo mai visto una cucina così grande e affollata: qui dentro ho visto per la prima e unica volta nella mia vita un'aragosta viva. Certo... viva è una parola grossa: il lungo viaggio che quella povera bestia deve aver fatto da Verriére a qui, rinchiusa in un barile d'acqua salata, aveva di certo strappato via gran parte della forza e della voglia di vivere da quel corpo esanime. Eppure, quella corazza rossa e inanimata che giaceva immobile sul tavolo riuscì comunque a trovare la forza di inarcarsi in un ultimo, disperato singulto di vita: e lo fece davanti ai miei occhi, con un violento e rumoroso scatto che ebbe luogo non appena venni a trovarmi a non più di venti centimetri da lei.
Ricordo ogni istante di quello spavento: il pianto, le lacrime, la mia seconda madre che mi strinse forte per consolarmi. Rammento quanto mi sentii ferita accorgendomi che tutti intorno a me lottavano per non ridere, divertiti per lo spettacolo imprevisto che era stato loro inaspettatamente offerto. Più tardi, quella sera stessa, chiesi e ottenni di mangiare parte di quell'aragosta. Quel giorno, l'insalata di more ha smesso di essere il mio piatto preferito.
Molti anni sono passati da quel giorno: quella corazza impenetrabile e quelle chele sottili non riescono più a provocarmi il medesimo terrore. Eppure, oggi come allora, sento le lacrime affollarsi intorno ai miei occhi, minacciando di buttarsi di sotto come giovani suicide a cui non importa assolutamente niente. Le lascio fare, senza interrogarmi troppo sulla loro origine: che siano di gioia per quello che verrà, oppure di nostalgia per quello che non è più.
Oggi compio diciannove anni. "Un giorno sacro", mi dicono tutti da sempre. A Beid non si festeggia la festa di Dytros, si festeggia il compleanno di Rosalie Lambert. In alto i calici, dunque... e che sia la prima di molte feste.
