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Le cronache degli eroi che salveranno il mondo
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creato il: 23/06/2014
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10 aprile 518
Domenica 5 Marzo 2023
Pristina
«Esci dalla finestra sul retro e và a chiamare gli altri».
Reprimo a stento il senso di vergogna che mi assale nell'udire le parole di Colin. L'unico aspetto positivo della maledizione che si nutre del mio corpo è dato dalla possibilità di aiutare i miei compagni in questi momenti cruciali, quando affrontano avversari che versano in una condizione simile alla mia. Aggrappandomi a questa tenue consolazione sono riuscita ad allontanare l'impulso ricorrente di togliermi la vita, ad accettare le cure di Colin, a seguire Ali in questo lungo viaggio che mi ha portata fino a qui.
Eppure, è sufficiente una sola goccia di quell'orribile sostanza per vanificare tutto, per trasformare il mio cervello in un ammasso pulsante di desideri irrefrenabili, alla stregua della sorte che tocca ad un qualsiasi risvegliato.
La pristina della Mantide, così mi chiamano. Non ho idea di cosa significhi e non mi interessa saperlo. Quando qualcuno si rivolge a me utilizzando quell'espressione di solito scandisce le parole come se si trattasse di chissà quale elogio. Come se non fossi l'innalzato più debole, lento e goffo di tutti quelli che abbiamo incontrato finora, nessuno escluso: talmente inutile da essere un peso persino in queste situazioni, costretta alla fuga da una fiala colma di liquido arancione.
Maledico me stessa e il sangue avvelenato che mi scorre nelle vene mentre attraverso la finestra che mi porterà in salvo, lontana dagli effluvi irresistibili di quella sostanza mefitica. La voglia che ho di bere, di cospargermi di quella roba quando ne avverto l'odore, la presenza, la prossimità, sancisce la distanza che mi separa ormai dalla natura umana. Posso convivere con il ribrezzo che provo ogni volta che mi guardo, con gli sguardi inorriditi di chi mi circonda, con le notti interminabili passate ad ascoltare il respiro delle persone a cui voglio bene, immaginando i loro sogni e chiedendomi se chissà, magari almeno lì, esisto ancora con fattezze diverse da queste... Dèi, quanto mi manca sognare.
I vicoli di Ghaan si aprono davanti ai miei passi veloci, ormai queste contrade le conosco fin troppo bene... grazie ad Ayza. Al pensiero di come mi sono comportata con lei senso di vergogna che provo si fa ancora più intenso: la sorte mi ha fatto conoscere uno spirito affine, una delle poche creature al mondo con cui poter condividere un male che affligge entrambe, e io cosa ho fatto? L'ho allontanata con rabbia, amareggiata perché non voleva darmi l'unica cosa che in quel momento credevo di desiderare, impedendole di onorare le ultime parole di Ali. Non potevi scegliere un successore migliore, amica mia: mi ricorda tantissimo com'eri te. Ho cambiato idea, Ayza: non la voglio più quella roba, voglio che mi aiuti a smettere. E ho bisogno del tuo aiuto adesso, perché Colin e Blanche sono in pericolo e tu sei l'unica che può affrontare quelli che un tempo erano i tuoi compagni.
Il vicolo mi porta sulla strada principale, illuminata da fiaccole e percorsa da piccoli gruppi di persone che si stanno godendo la festa. D'un tratto avverto un rumore dietro di me: mi stanno seguendo. Deve trattarsi dell'innalzato con il bastone: Sami l'Orbo, se ho inteso bene come lo chiamano. Scatto verso la Fortezza in direzione della porta che conduce alla caserma delle guardie, scartando per non investire una giovane coppia che sta venendo via dalla piazza principale. Dove sei, Ayza? Perché non riesco a sentirti?
La presenza ostile che mi segue si fa più vicina. Accelero il passo, ma è tutto inutile: è più veloce di me. Si affianca, mi tira una spallata che non riesco in alcun modo ad evitare, quindi mi spinge con esperienza il bastone tra le gambe, facendomi cadere. Mentre mi schianto al suolo, penso con amarezza che persino un vecchio innalzato come lui è molto più forte, veloce e utile di me. Un attimo dopo mi è addosso: si arrampica sul mio corpo come un gatto, bloccandomi le braccia con le ginocchia e prendendomi il viso con le mani.
«La pristina della Mantide», mormora mentre mi scruta con i suoi occhi da pazzo.
Il peso del suo corpo sopra di me è persino più insopportabile di quell'appellativo odioso. Mi sento impotente, come quella notte in cui Mirai mi costrinse a subire le sue angherie: mentre tento invano di divincolarmi dalla morsa del mio aggressore, il mio cervello rivanga sprazzi di ricordi delle turpi violenze subite durante quella abominevole iniziazione.
Villaggio di Holov, 7 agosto 516
«Mirai... ti prego! Dobbiamo andarcene da qui!»
«Annie... anNiE”...
Sembra sorridere, mentre pronuncia il mio nome. Un sorriso che fa rabbrividire.
«Mirai, per l’amore degli Dei! Stanno morendo tutti! Dobbiamo scappare, oppure...»
«oPpUre cOsA?»
Mi guarda e sorride. E’ pazza. E’ completamente andata. Forse la presenza dei Risvegliati l'ha fatta uscire di testa, fatto sta che se restiamo qui... se continua a trattenermi qui... siamo morte. Sento le lacrime che mi scendono sul viso. Non posso farci niente. Ho paura. Non voglio morire.
«nOn mOrirAi».
C... come fa ad aver...
«ti sEnto, AnniE. SeNtO tUtTo quELLo chE pEnsi».
Guardo la sua mano, stretta intorno al mio braccio mentre mi trascina per le vie di Holov sfoggiando una forza che non ha nulla di umano, facendosi largo tra sagome di Risvegliati. Perché non ci attaccano? Non ci guardano neppure. Come è possibile? Non capisco...
Mi trascina lungo le scale, poi verso la sua camera. Sono passati soltanto tre giorni. Sembra incredibile. Mi spinge dentro e mi getta a terra, proprio nel punto in cui l'avevo fatta cadere io.
«Mirai, io... Mi dispiace, non volevo...» Non so cosa dirle, non so cosa vuole che io le dica.
«Annie... anNiE»... tRe giOrni fA. iN quEstO luOgO. hAi intErrOttO quAlcOsa. tE lO ricOrdi?”.
Non rispondo. Potrei solo peggiorare le cose. Che parli, che dica quel che mi deve dire.
«adEssO è il miO tUrnO di rOmpErE quAlcOsa».
Si avvicina. Mi mette le mani addosso. Ma cos...
Ora basta. Basta avere paura, basta assecondare questa pazza furiosa. In fin dei conti gliele ho suonate una volta, posso farlo di nuovo. E' soltanto una donna, in fondo: una donna come me.
Mi colpisce con una violenza tale da farmi cadere a terra. La testa mi fa male, devo... non riesco a pensare. Sento caldo e umido sulla nuca. Mirai si china su di me, sento le sue dita che mi schiudono la bocca, poi... un liquido, caldo e denso, mi cola sulla faccia. Saliva? Muco? Catarro? Non lo so... Lo sento sulle labbra. E' disgustoso, dovrei avere i conati. Perché non mi fa schifo? Perché non mi viene da vomitare?
Il viso di Mirai è strano. Mi ricorda il disegno di un insetto, una mosca forse... o un tafano, un calabr...
Sento il liquido caldo, denso, dentro la bocca.
Ho aperto la bocca? Perché?
Eppure... non mi fa paura. Mi sento calma, tranquilla... rilassata.
Le membra diventano molli, pesanti. Pesantissime. Avverto le mie braccia adagiarsi sul pavimento. La saliva di Mirai insetto mi cola sui capelli, sul viso, sulle spalle. Mi avvolge come un bozzolo, come per proteggermi. Mi entra dentro e mi scalda, mi calma e mi rilassa, rendendomi docile. Sempre di più.
Sempre di più.
Sempre di più.
«QuEstA cOsA ti fArà mALe».
Non mi importa. Annuisco. Sono pronta. Vedo due appendici sottilissime che spuntano... da dove? Non vedo più la sua bocca. Vedo il suo viso che mi sorride, ma vedo altro... sotto il suo viso, dentro al suo viso, dentro di lei.
Simili a delle antenne?
No... Simili a due aghi. Lunghi e sottilissimi.
«MoltO mALe. Ma pOi ti piAcErà».
Sento che dovrei avere paura, invece sono contenta, soddisfatta. Appagata. Bramo le attenzioni di quei due aghi che mi scrutano, agitando la punta come antenne di un insetto. Li osservo mentre si avvicinano al mio ventre, lenti e leggeri. E lei è... bellissima.
«Non toccarmi!»
Il mio aggressore si ritrae, più per paura del mio grido che non per effetto della flebile spinta che lo accompagnava. Ha cercato di sollevarmi l'armatura, voleva guardarmi le cicatrici. Porco schifoso.
«Stai tranquilla, Annie: non voglio farti del male».
"Non chiamarmi con il mio nome! Non osare rivolgermi la parola». Ali o Ayza avrebbero apostrofato questo farabutto con piglio minaccioso e aria di sfida: a me invece la voce esce rotta dai singhiozzi, mentre le ultime immagini delle brutalità di Mirai tornano a rintanarsi negli oscuri meandri della mia memoria.
«Tu... Sei la cosa più bella che io abbia mai visto. Un'opera d'arte. Avevano ragione a dire che eri meravigliosa... magnifica: la migliore di tutti noi».
Noi? Continuo a fremere di rabbia: i morbosi vaneggiamenti di questo vecchio dissennato mi riportano alla mente l'ennesimo ricordo ripugnante, la lettera che mi scrisse William prima di impazzire... o forse dopo che era già impazzito. Non esiste nessun "noi". Metto la mano sull'elsa della spada. Non so perché mi stia dicendo queste cose e non mi interessa, ma non gli consentirò di umiliarmi ulteriormente.
Il mio gesto non passa inosservato. «Non voglio farti del male. Voglio solo dirti una cosa... Una cosa importante».
Scuoto la testa. «Non mi importa nulla di ciò che vuoi dirmi: risparmia il fiato». Sguaino Ametista e subito il ricordo di Ali mi pervade, infondendomi coraggio. Avverto dei rumori provenienti dalla caserma: qualcuno deve aver sentito il mio grido. Meglio così, adesso questo vecchio idiota sarà costretto a tagliare corto.
«Non prendere quella sostanza: tu non sei come noi... non ne hai bisogno. Puoi sopravvivere anche senza, perché la tua comunione... la tua simbiosi... è perfetta. Assolutamente perfetta. Tu sei perfetta, Annie».
Ci vuole un bel coraggio a consigliarmi di non prendere quella roba dopo aver provato a tirarmela addosso, sono sul punto di replicare. Ma subito mi fermo: le farneticazioni di questa feccia non sono degne di essere ascoltate o commentate. «Non capisco quello che dici e non mi interessa niente», rispondo invece, volgendo la punta di Ametista nella sua direzione. «Affrontami o vattene: a te la scelta».
«Manuel aveva ragione», mormora piano, continuando a fissarmi con l'unica orbita che gli rimane. «C'è speranza, dopo tutto».
«Ancora cazzate». La voce di Ali risuona squillante nella mia testa. «Non ascoltarlo, vuole solo incasinarti il cervello. Tagliamogli la testa, così si zittisce una volta per tutte». Sorrido. Vuoi vedere la pristina della Mantide in azione, vecchio? Eccoti servito.
Con un balzo gli sono addosso: il colpo che sferro è veloce e preciso, ma lui lo evita con facilità. Insisto, cercando di metterlo con le spalle al muro, ma non riesco ad impedirgli di mantenere una distanza sufficiente a eludere i miei colpi. Ametista continua a fendere l'aria, mentre la sorte mi sbatte in faccia per l'ennesima volta l'amara consapevolezza di non essere all'altezza di questi abomini: Ayza, Kzar, Sami l'Orbo, Laèl il Muto, e tutta la stramaledetta stirpe dei miei consimili. Di tutta l'immonda progenie nata dal sangue di demoni renitenti a morire io sono la più anemica, come ogni scontro non tarda a dimostrare, malgrado settimane di estenuanti allenamenti, fatiche e discussioni insieme a chi mi aveva giurato che potevo farcela. E' forse questo il significato del termine con cui si ostinano a definirmi? Scarsa? Debole?
«Maledetto!» urlo all'indirizzo del mio avversario, mentre tento invano di impedire che continui a farsi beffe della punta e la lama di una spada che non sono all'altezza di brandire. Sia maledetto lui e tutti quelli come lui... compresa me. «Stronzate, Ani», ruggisce Ali da dentro la spada che fu sua: «tu sei una dei nostri. Lo sei sempre stata e sempre lo sarai. Adesso piantala di frignare e fammi vedere cosa hai imparato. Più veloce. Più veloce... Più veloce!»
E poi, a un tratto, tutto intorno a me rallenta. Un fendente fortunato raggiunge il corpo del mio avversario, costringendolo a parare con il bastone. Un altro lambisce la spalla, squarciandogli il saio. Ametista diventa più leggera colpo dopo colpo, fino a diventare un'estensione naturale del mio braccio: anche Sami l'Orbo se ne accorge, l'interesse maniacale che traboccava dal suo occhio buono lascia il posto a uno sguardo carico di stupore, paura, eccitazione. Volevi vedere le mie ferite, vecchio? Io invece voglio fartene di nuove. Ametista segue i miei pensieri ed è lesta a manifestarli, eludendo una guardia improvvisamente manchevole e conficcandosi nello sterno della sua preda.
la forza del colpo scaglia all'indietro il mio avversario, gettandolo a terra. La ferita è profonda, le fragili vesti che indossa non gli hanno offerto alcuna protezione: eppure, dal solco che adesso gli divide il costato non esce una singola goccia di sangue. Le vestigia di Vaalafor che scorrono nelle mie vene mi spronano a proseguire l'assalto. Eliminalo, Annie. Uccidi questa creatura inferiore prima che si rialzi: è tempo di dimostrare a tutti quanto vali, quello che sei. Divora la tua preda.
Ma io non sono così: Colin, Ali e gli altri mi hanno insegnato a non essere quel genere di mostro. Non oggi, né domani, né mai. Rivolgo la punta di Ametista verso Sami l'Orbo. «Sei in arresto», esclamo senza perderlo di vista. Immediatamente dopo la porta alle mie spalle si apre, rivelando la presenza di tre soldati di Angvard.
L'innalzato si rialza lentamente, aiutandosi con il suo bastone: «Che controllo, che equilibrio magnifico.... Manuel aveva ragione», farfuglia ancora una volta, attonito. «Sei perfetta. Abbiamo un futuro».
«Sei in arresto», gli ripeto, incurante delle sue parole: ma sappiamo entrambi che non avrò modo di dare seguito a tale affermazione. Per impedire a questo disgraziato di dileguarsi gli sarei dovuta saltare addosso quando era a terra, per poi staccargli la testa dal corpo: se avessi compiuto questa scelta, i soldati di Angvard che si stanno avvicinando con circospezione sarebbero stati testimoni della mia furia.
«Non prendere quella roba», mi dice ancora. «Non ne hai alcun bisogno. Trova un supporto, un amico, un compagno: aggrappati a lui. Vivi. Ama. Fallo anche per noi». Mentre parla si tocca la ferita che gli ho provocato e mi mostra la mano, nella quale non scorgo che qualche grumo di sangue rappreso.
Vorrebbe dirmi altre cose ma non c'è tempo, i soldati ormai gli sono addosso. Con un balzo si mette fuori dalla portata delle torce, nascosto ai loro sguardi ma non al mio. Da lì mi rivolge una specie di inchino, prima di darmi le spalle e scomparire nell'oscurità. Stanotte non tornerà più. Meglio così, uno in meno. I soldati di Angvard mi circondano, chiedendomi come sto. Dico loro che non c'è tempo da perdere, la casa dell'erborista è stata attaccata, dobbiamo andare di corsa: dobbiamo salvare Colin e Blanche. C'è un altro Innalzato, Laèl il Muto, ma non mi fa paura: adesso so che posso affrontarlo.
Poi, dalle stesse tenebre che avevano inghiottito Sami l'Orbo, giunge un odore, un battito familiare. Tiro un sospiro di sollievo: siano ringraziati gli Dei, almeno lui è salvo. Abbasso gli occhi a osservare il mio riflesso nella lama di Ametista, un attimo prima di riporla nel fodero: «grazie», le dico di cuore. «Grazie per aver sempre creduto in me».
«Di nulla, zia», mi risponde: «lo sai che adoro le feste. Eri tu quella che non ci voleva venire...».
Annuisco. «Perché non sapevo ballare...».
«...E fai ancora schifo, diciamocelo! Ma stai migliorando in fretta. Adesso non farti trovare con gli occhi lucidi, però: abbiamo una paladina da salvare, ricordi?»
Si, me lo ricordo. Sarà fatto, tenente: puoi contarci.
Reprimo a stento il senso di vergogna che mi assale nell'udire le parole di Colin. L'unico aspetto positivo della maledizione che si nutre del mio corpo è dato dalla possibilità di aiutare i miei compagni in questi momenti cruciali, quando affrontano avversari che versano in una condizione simile alla mia. Aggrappandomi a questa tenue consolazione sono riuscita ad allontanare l'impulso ricorrente di togliermi la vita, ad accettare le cure di Colin, a seguire Ali in questo lungo viaggio che mi ha portata fino a qui.
Eppure, è sufficiente una sola goccia di quell'orribile sostanza per vanificare tutto, per trasformare il mio cervello in un ammasso pulsante di desideri irrefrenabili, alla stregua della sorte che tocca ad un qualsiasi risvegliato.
La pristina della Mantide, così mi chiamano. Non ho idea di cosa significhi e non mi interessa saperlo. Quando qualcuno si rivolge a me utilizzando quell'espressione di solito scandisce le parole come se si trattasse di chissà quale elogio. Come se non fossi l'innalzato più debole, lento e goffo di tutti quelli che abbiamo incontrato finora, nessuno escluso: talmente inutile da essere un peso persino in queste situazioni, costretta alla fuga da una fiala colma di liquido arancione.
Maledico me stessa e il sangue avvelenato che mi scorre nelle vene mentre attraverso la finestra che mi porterà in salvo, lontana dagli effluvi irresistibili di quella sostanza mefitica. La voglia che ho di bere, di cospargermi di quella roba quando ne avverto l'odore, la presenza, la prossimità, sancisce la distanza che mi separa ormai dalla natura umana. Posso convivere con il ribrezzo che provo ogni volta che mi guardo, con gli sguardi inorriditi di chi mi circonda, con le notti interminabili passate ad ascoltare il respiro delle persone a cui voglio bene, immaginando i loro sogni e chiedendomi se chissà, magari almeno lì, esisto ancora con fattezze diverse da queste... Dèi, quanto mi manca sognare.
I vicoli di Ghaan si aprono davanti ai miei passi veloci, ormai queste contrade le conosco fin troppo bene... grazie ad Ayza. Al pensiero di come mi sono comportata con lei senso di vergogna che provo si fa ancora più intenso: la sorte mi ha fatto conoscere uno spirito affine, una delle poche creature al mondo con cui poter condividere un male che affligge entrambe, e io cosa ho fatto? L'ho allontanata con rabbia, amareggiata perché non voleva darmi l'unica cosa che in quel momento credevo di desiderare, impedendole di onorare le ultime parole di Ali. Non potevi scegliere un successore migliore, amica mia: mi ricorda tantissimo com'eri te. Ho cambiato idea, Ayza: non la voglio più quella roba, voglio che mi aiuti a smettere. E ho bisogno del tuo aiuto adesso, perché Colin e Blanche sono in pericolo e tu sei l'unica che può affrontare quelli che un tempo erano i tuoi compagni.
Il vicolo mi porta sulla strada principale, illuminata da fiaccole e percorsa da piccoli gruppi di persone che si stanno godendo la festa. D'un tratto avverto un rumore dietro di me: mi stanno seguendo. Deve trattarsi dell'innalzato con il bastone: Sami l'Orbo, se ho inteso bene come lo chiamano. Scatto verso la Fortezza in direzione della porta che conduce alla caserma delle guardie, scartando per non investire una giovane coppia che sta venendo via dalla piazza principale. Dove sei, Ayza? Perché non riesco a sentirti?
La presenza ostile che mi segue si fa più vicina. Accelero il passo, ma è tutto inutile: è più veloce di me. Si affianca, mi tira una spallata che non riesco in alcun modo ad evitare, quindi mi spinge con esperienza il bastone tra le gambe, facendomi cadere. Mentre mi schianto al suolo, penso con amarezza che persino un vecchio innalzato come lui è molto più forte, veloce e utile di me. Un attimo dopo mi è addosso: si arrampica sul mio corpo come un gatto, bloccandomi le braccia con le ginocchia e prendendomi il viso con le mani.
«La pristina della Mantide», mormora mentre mi scruta con i suoi occhi da pazzo.
Il peso del suo corpo sopra di me è persino più insopportabile di quell'appellativo odioso. Mi sento impotente, come quella notte in cui Mirai mi costrinse a subire le sue angherie: mentre tento invano di divincolarmi dalla morsa del mio aggressore, il mio cervello rivanga sprazzi di ricordi delle turpi violenze subite durante quella abominevole iniziazione.
Villaggio di Holov, 7 agosto 516
«Mirai... ti prego! Dobbiamo andarcene da qui!»
«Annie... anNiE”...
Sembra sorridere, mentre pronuncia il mio nome. Un sorriso che fa rabbrividire.
«Mirai, per l’amore degli Dei! Stanno morendo tutti! Dobbiamo scappare, oppure...»
«oPpUre cOsA?»
Mi guarda e sorride. E’ pazza. E’ completamente andata. Forse la presenza dei Risvegliati l'ha fatta uscire di testa, fatto sta che se restiamo qui... se continua a trattenermi qui... siamo morte. Sento le lacrime che mi scendono sul viso. Non posso farci niente. Ho paura. Non voglio morire.
«nOn mOrirAi».
C... come fa ad aver...
«ti sEnto, AnniE. SeNtO tUtTo quELLo chE pEnsi».
Guardo la sua mano, stretta intorno al mio braccio mentre mi trascina per le vie di Holov sfoggiando una forza che non ha nulla di umano, facendosi largo tra sagome di Risvegliati. Perché non ci attaccano? Non ci guardano neppure. Come è possibile? Non capisco...
Mi trascina lungo le scale, poi verso la sua camera. Sono passati soltanto tre giorni. Sembra incredibile. Mi spinge dentro e mi getta a terra, proprio nel punto in cui l'avevo fatta cadere io.
«Mirai, io... Mi dispiace, non volevo...» Non so cosa dirle, non so cosa vuole che io le dica.
«Annie... anNiE»... tRe giOrni fA. iN quEstO luOgO. hAi intErrOttO quAlcOsa. tE lO ricOrdi?”.
Non rispondo. Potrei solo peggiorare le cose. Che parli, che dica quel che mi deve dire.
«adEssO è il miO tUrnO di rOmpErE quAlcOsa».
Si avvicina. Mi mette le mani addosso. Ma cos...
Ora basta. Basta avere paura, basta assecondare questa pazza furiosa. In fin dei conti gliele ho suonate una volta, posso farlo di nuovo. E' soltanto una donna, in fondo: una donna come me.
Mi colpisce con una violenza tale da farmi cadere a terra. La testa mi fa male, devo... non riesco a pensare. Sento caldo e umido sulla nuca. Mirai si china su di me, sento le sue dita che mi schiudono la bocca, poi... un liquido, caldo e denso, mi cola sulla faccia. Saliva? Muco? Catarro? Non lo so... Lo sento sulle labbra. E' disgustoso, dovrei avere i conati. Perché non mi fa schifo? Perché non mi viene da vomitare?
Il viso di Mirai è strano. Mi ricorda il disegno di un insetto, una mosca forse... o un tafano, un calabr...
Sento il liquido caldo, denso, dentro la bocca.
Ho aperto la bocca? Perché?
Eppure... non mi fa paura. Mi sento calma, tranquilla... rilassata.
Le membra diventano molli, pesanti. Pesantissime. Avverto le mie braccia adagiarsi sul pavimento. La saliva di Mirai insetto mi cola sui capelli, sul viso, sulle spalle. Mi avvolge come un bozzolo, come per proteggermi. Mi entra dentro e mi scalda, mi calma e mi rilassa, rendendomi docile. Sempre di più.
Sempre di più.
Sempre di più.
«QuEstA cOsA ti fArà mALe».
Non mi importa. Annuisco. Sono pronta. Vedo due appendici sottilissime che spuntano... da dove? Non vedo più la sua bocca. Vedo il suo viso che mi sorride, ma vedo altro... sotto il suo viso, dentro al suo viso, dentro di lei.
Simili a delle antenne?
No... Simili a due aghi. Lunghi e sottilissimi.
«MoltO mALe. Ma pOi ti piAcErà».
Sento che dovrei avere paura, invece sono contenta, soddisfatta. Appagata. Bramo le attenzioni di quei due aghi che mi scrutano, agitando la punta come antenne di un insetto. Li osservo mentre si avvicinano al mio ventre, lenti e leggeri. E lei è... bellissima.
«Non toccarmi!»
Il mio aggressore si ritrae, più per paura del mio grido che non per effetto della flebile spinta che lo accompagnava. Ha cercato di sollevarmi l'armatura, voleva guardarmi le cicatrici. Porco schifoso.
«Stai tranquilla, Annie: non voglio farti del male».
"Non chiamarmi con il mio nome! Non osare rivolgermi la parola». Ali o Ayza avrebbero apostrofato questo farabutto con piglio minaccioso e aria di sfida: a me invece la voce esce rotta dai singhiozzi, mentre le ultime immagini delle brutalità di Mirai tornano a rintanarsi negli oscuri meandri della mia memoria.
«Tu... Sei la cosa più bella che io abbia mai visto. Un'opera d'arte. Avevano ragione a dire che eri meravigliosa... magnifica: la migliore di tutti noi».
Noi? Continuo a fremere di rabbia: i morbosi vaneggiamenti di questo vecchio dissennato mi riportano alla mente l'ennesimo ricordo ripugnante, la lettera che mi scrisse William prima di impazzire... o forse dopo che era già impazzito. Non esiste nessun "noi". Metto la mano sull'elsa della spada. Non so perché mi stia dicendo queste cose e non mi interessa, ma non gli consentirò di umiliarmi ulteriormente.
Il mio gesto non passa inosservato. «Non voglio farti del male. Voglio solo dirti una cosa... Una cosa importante».
Scuoto la testa. «Non mi importa nulla di ciò che vuoi dirmi: risparmia il fiato». Sguaino Ametista e subito il ricordo di Ali mi pervade, infondendomi coraggio. Avverto dei rumori provenienti dalla caserma: qualcuno deve aver sentito il mio grido. Meglio così, adesso questo vecchio idiota sarà costretto a tagliare corto.
«Non prendere quella sostanza: tu non sei come noi... non ne hai bisogno. Puoi sopravvivere anche senza, perché la tua comunione... la tua simbiosi... è perfetta. Assolutamente perfetta. Tu sei perfetta, Annie».
Ci vuole un bel coraggio a consigliarmi di non prendere quella roba dopo aver provato a tirarmela addosso, sono sul punto di replicare. Ma subito mi fermo: le farneticazioni di questa feccia non sono degne di essere ascoltate o commentate. «Non capisco quello che dici e non mi interessa niente», rispondo invece, volgendo la punta di Ametista nella sua direzione. «Affrontami o vattene: a te la scelta».
«Manuel aveva ragione», mormora piano, continuando a fissarmi con l'unica orbita che gli rimane. «C'è speranza, dopo tutto».
«Ancora cazzate». La voce di Ali risuona squillante nella mia testa. «Non ascoltarlo, vuole solo incasinarti il cervello. Tagliamogli la testa, così si zittisce una volta per tutte». Sorrido. Vuoi vedere la pristina della Mantide in azione, vecchio? Eccoti servito.
Con un balzo gli sono addosso: il colpo che sferro è veloce e preciso, ma lui lo evita con facilità. Insisto, cercando di metterlo con le spalle al muro, ma non riesco ad impedirgli di mantenere una distanza sufficiente a eludere i miei colpi. Ametista continua a fendere l'aria, mentre la sorte mi sbatte in faccia per l'ennesima volta l'amara consapevolezza di non essere all'altezza di questi abomini: Ayza, Kzar, Sami l'Orbo, Laèl il Muto, e tutta la stramaledetta stirpe dei miei consimili. Di tutta l'immonda progenie nata dal sangue di demoni renitenti a morire io sono la più anemica, come ogni scontro non tarda a dimostrare, malgrado settimane di estenuanti allenamenti, fatiche e discussioni insieme a chi mi aveva giurato che potevo farcela. E' forse questo il significato del termine con cui si ostinano a definirmi? Scarsa? Debole?
«Maledetto!» urlo all'indirizzo del mio avversario, mentre tento invano di impedire che continui a farsi beffe della punta e la lama di una spada che non sono all'altezza di brandire. Sia maledetto lui e tutti quelli come lui... compresa me. «Stronzate, Ani», ruggisce Ali da dentro la spada che fu sua: «tu sei una dei nostri. Lo sei sempre stata e sempre lo sarai. Adesso piantala di frignare e fammi vedere cosa hai imparato. Più veloce. Più veloce... Più veloce!»
E poi, a un tratto, tutto intorno a me rallenta. Un fendente fortunato raggiunge il corpo del mio avversario, costringendolo a parare con il bastone. Un altro lambisce la spalla, squarciandogli il saio. Ametista diventa più leggera colpo dopo colpo, fino a diventare un'estensione naturale del mio braccio: anche Sami l'Orbo se ne accorge, l'interesse maniacale che traboccava dal suo occhio buono lascia il posto a uno sguardo carico di stupore, paura, eccitazione. Volevi vedere le mie ferite, vecchio? Io invece voglio fartene di nuove. Ametista segue i miei pensieri ed è lesta a manifestarli, eludendo una guardia improvvisamente manchevole e conficcandosi nello sterno della sua preda.
la forza del colpo scaglia all'indietro il mio avversario, gettandolo a terra. La ferita è profonda, le fragili vesti che indossa non gli hanno offerto alcuna protezione: eppure, dal solco che adesso gli divide il costato non esce una singola goccia di sangue. Le vestigia di Vaalafor che scorrono nelle mie vene mi spronano a proseguire l'assalto. Eliminalo, Annie. Uccidi questa creatura inferiore prima che si rialzi: è tempo di dimostrare a tutti quanto vali, quello che sei. Divora la tua preda.
Ma io non sono così: Colin, Ali e gli altri mi hanno insegnato a non essere quel genere di mostro. Non oggi, né domani, né mai. Rivolgo la punta di Ametista verso Sami l'Orbo. «Sei in arresto», esclamo senza perderlo di vista. Immediatamente dopo la porta alle mie spalle si apre, rivelando la presenza di tre soldati di Angvard.
L'innalzato si rialza lentamente, aiutandosi con il suo bastone: «Che controllo, che equilibrio magnifico.... Manuel aveva ragione», farfuglia ancora una volta, attonito. «Sei perfetta. Abbiamo un futuro».
«Sei in arresto», gli ripeto, incurante delle sue parole: ma sappiamo entrambi che non avrò modo di dare seguito a tale affermazione. Per impedire a questo disgraziato di dileguarsi gli sarei dovuta saltare addosso quando era a terra, per poi staccargli la testa dal corpo: se avessi compiuto questa scelta, i soldati di Angvard che si stanno avvicinando con circospezione sarebbero stati testimoni della mia furia.
«Non prendere quella roba», mi dice ancora. «Non ne hai alcun bisogno. Trova un supporto, un amico, un compagno: aggrappati a lui. Vivi. Ama. Fallo anche per noi». Mentre parla si tocca la ferita che gli ho provocato e mi mostra la mano, nella quale non scorgo che qualche grumo di sangue rappreso.
Vorrebbe dirmi altre cose ma non c'è tempo, i soldati ormai gli sono addosso. Con un balzo si mette fuori dalla portata delle torce, nascosto ai loro sguardi ma non al mio. Da lì mi rivolge una specie di inchino, prima di darmi le spalle e scomparire nell'oscurità. Stanotte non tornerà più. Meglio così, uno in meno. I soldati di Angvard mi circondano, chiedendomi come sto. Dico loro che non c'è tempo da perdere, la casa dell'erborista è stata attaccata, dobbiamo andare di corsa: dobbiamo salvare Colin e Blanche. C'è un altro Innalzato, Laèl il Muto, ma non mi fa paura: adesso so che posso affrontarlo.
Poi, dalle stesse tenebre che avevano inghiottito Sami l'Orbo, giunge un odore, un battito familiare. Tiro un sospiro di sollievo: siano ringraziati gli Dei, almeno lui è salvo. Abbasso gli occhi a osservare il mio riflesso nella lama di Ametista, un attimo prima di riporla nel fodero: «grazie», le dico di cuore. «Grazie per aver sempre creduto in me».
«Di nulla, zia», mi risponde: «lo sai che adoro le feste. Eri tu quella che non ci voleva venire...».
Annuisco. «Perché non sapevo ballare...».
«...E fai ancora schifo, diciamocelo! Ma stai migliorando in fretta. Adesso non farti trovare con gli occhi lucidi, però: abbiamo una paladina da salvare, ricordi?»
Si, me lo ricordo. Sarà fatto, tenente: puoi contarci.