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Julie Modane - Backround

Julie Modane - ritrattoIl backround di Julie, così come raccontato dal suo amico Stecca.

L'addio al nome

Nella primavera del 507 la Compagnia di Artisti Girovaghi di Mastro Ciliegia si trovava in terra di Amer. Io ero un bambino allora, fifone e imbranato peggio di ora, e tutti mi chiamavano Stecca. Anche adesso, per la verità, continuano a chiamarmi così, ma sono rimasti in pochi a ricordare la ragione di questo soprannome, ed io stesso preferisco non pensarci più.
Ho ricordi vaghi di quel viaggio ad Amer, rammento l'esibizione che tenemmo in un grande teatro affollato e pieno di luci, e soprattutto la pioggia incessante sulla strada, i carri impantanati nel fango, la noia nelle giornate di sosta forzata.
Eravamo diversi ragazzini a viaggiare con la Compagnia, c'era Ragno che era il nostro capo e che sapeva posare la fronte sulle ginocchia senza piegare le gambe, e poi c'erano Will e Bill, due gemelli talmente simili tra loro che nessuno era in grado di distinguerli (ho il sospetto che loro stessi facessero a volte un po' di confusione). L'unica femmina era Irene, di un paio d'anni più grande, talmente bella e odiosa che penso di averle rivolto la parola due tre volte in tanti anni. Per questo quando la Piattola entrò nella nostra compagnia fui contento, perché era talmente piccina e spaventata che non mi trattava male come gli altri, ma diventammo subito amici.
A quell'epoca Julie (cioè la Piattola) faceva da sguattera in una stazione di posta dove restammo bloccati per alcuni giorni a causa della pioggia. Mastro Ciliegia la sentì che cantava in soffitta e volle a tutti i costi comprarla. Il padrone della stazione di posta contrattò, se la voleva tenere, ma alla fine lei venne con noi e a lui rimasero quattro Corone d'oro: un prezzo enorme, commentò Ragno malevolo come sempre, per un esserino così gracile e insignificante. È solo una piattola, aggiunse Irene mentre Mastro Ciliegia la trascinava di peso verso il carro e lei piagnucolava.
"Mi chiamo Julie" mormorò tra le lacrime la bambina, senza alzare gli occhi.
"Julie la Piattola" decise Ragno.

Sette lune nel pozzo

Da quando c'era Ragno, io vivevo nella paura. Era lui l'unico a cui Mastro Ciliegia dava ascolto, se succedeva qualcosa di storto, e bastava una sua parola per farti toccare punizioni terribili. Solo Irene non aveva paura di lui, ma anzi lo trattava da pari a pari e lui sembrava rispettarla. Certo, anche Ragno temeva Senzanaso e Mastro Ciliegia, ma non lo dava a vedere come tutti noi: era il capo incontrastato del gruppo e nessuno si sognava di ribellarsi ai suoi ordini.
Julie rimase qualche giorno silenziosa nel suo cantuccio a guardarci tutti in cagnesco, finché non arrivammo nel primo paese dove la Compagnia si esibiva, e la stessa sera accadde il disastro.
Stavo nel carro accordando il mio liuto, quando Irene entrò rossa in viso e sconvolta come un gatto rabbioso. Teneva tra le mani il suo meraviglioso abito di scena, che adesso era strappato sul corpetto. Ragno le andò incontro per calmarla e lei pestò i piedi e disse che la Piattola le aveva rotto il vestito e l'aveva insultata in modo orribile. Mastro Ciliegia fu informato subito, naturalmente, e sentii poco dopo Will (o Bill) che commentava che la Piattola era stata punita in modo severissimo, con l'ordine di lavorare al servizio di Senzanaso.
Tremai al solo pensiero: Senzanaso era un vecchio orribile. Un Orco gli aveva mangiato il naso, e gli doveva anche aver fatto qualcosa di tremendo alla schiena, perché era gobbo e zoppicava, e gli mancavano i denti tanto che, quando parlava, non poteva fare a meno di sputacchiare a destra e a sinistra. Una volta doveva essere stato un pagliaccio, probabilmente, ma visto che ormai non faceva più ridere nessuno, si occupava dei cavalli e svolgeva tutte le mansioni più spiacevoli della Compagnia.
Quella notte stessa, quando la Piattola tornò nel carro per dormire, stanca morta, era tardi e già io stavo dormendo. Ma Ragno l'aspettò sveglio e la riempì di botte. Anche Irene gli diede una mano tirandole i capelli e graffiandola con le sue unghie da gatta. I gemelli aiutarono come potevano, pur senza metterci troppa cattiveria. E tu, Stecca? Mi vergogno un po' a dirlo, ma non feci proprio niente, ero troppo spaventato.
"Prova a dire una sola parola di questo a Mastro Ciliegia" concluse Ragno quando lei era già rannicchiata a terra tutta pesta, "e ti giuro che sei una Piattola morta"
Solo dopo che Ragno si fu allontanano io ebbi il coraggio di avvicinarmi a lei per assicurarmi che fosse ancora viva. Lei stava immobile, aveva perduto un dente di latte ed a terra c'era tutto sangue, aveva gli occhi sbarrati e sulla guancia una lacrima le disegnava una riga lucida tra gli sgraffi e lo sporco.
"Io ho sette lune in fondo al pozzo" mi disse sottovoce appena riconobbe la mia faccia. Io credetti che fosse impazzita, ma lei insisté. "Me le ha date un figlio dei figli di Krinn. Se sarai mio amico, un giorno ti prometto che te le mostrerò".
Fu così che diventammo amici.

Il Borgo dei Pazzi

Finalmente raggiungemmo il Borgo dei Pazzi, che è un posto davvero unico. Si trova nella città di Loran, alle pendici del grande Vulcano, ed è la casa della Confraternita dei Cantori, Musici e Suonatori. Dieci anni fa era un posto diverso da come si presenta adesso, intristito com'è dalla nuova durezza delle guardie, dalla violenza religiosa, dalla paura della peste e della guerra. All'epoca il Borgo dei Pazzi era il posto più simile al paradiso che dei bambini potessero desiderare. C'erano musicisti, vagabondi, gente da ogni posto del Granducato, ad ogni angolo qualcuno suonava, qualcun altro si esibiva, e tutti ridevano e battevano le mani, ballavano per le strade, cantavano senza paura di sembrare ridicoli. Io c'ero già stato, ma Julie era frastornata da tanta confusione, si guardava intorno e non vedeva che tende colorate, baracche piene di cianfrusaglie e gente abbigliata nei modi più strampalati, e per qualche giorno non riuscì a far altro che restare a bocca aperta.
"Non stare sempre così a bocca aperta, bambina, o ti ci farà la casa qualche mosca!" le disse passando una donna dalla pelle scura. Julie chiuse la bocca.
Animali ammaestrati, acrobati, mangiafuoco e chi più ne ha più ne metta, era una fiera costante, una festa di proporzioni esagerate! Avevamo sì da lavorare per Mastro Ciliegia, ma era divertente, Julie diventava sempre più brava a cantare, e io l'accompagnavo con il liuto. A parte le angherie di Ragno e Senzanaso, la nostra vita era molto piacevole. I nostri amici di scorribande nel Borgo erano Nathan e Sophie, due fratelli che venivano dal nord, e Sorcio, un ladruncolo dal cuore d'oro. Una sera, dopo un'abbuffata colossale di ciambelle al miele imbottite di fichi secchi, io e Julie ci sedemmo vicino ad un grosso fuoco, e mentre gli altri cantavano lei mi raccontò dell'unico posto al mondo più bello del Borgo dei Pazzi: un villaggio chiamato Caen.

Il villaggio chiamato Caen

"È un villaggio stregato" esordì Julie mentre io mi leccavo il miele dalle dita, "un villaggio capace di svanire in un sogno, e di comparire solamente se si ricorda la formula magica. Io sono l'unica figlia di una principessa della grande foresta del Miestwode, che un giorno incontrò un cacciatore e se ne innamorò. Prese le sembianze di una cerva bellissima per avvicinarsi a lui, e naturalmente lui non ebbe il coraggio di ucciderla, ma la portò a casa con sé perché non poteva allontanarsene. E qui, il settimo giorno, lei si rivelò come una donna, e decisero di sposarsi"
Io sentendo una storia simile un po' la prendevo in giro, perché non esistono principesse dei boschi capaci di trasformarsi in cerve, ma Piattola continuò senza curarsi di me.
"Io ero soltanto una bambina piccola piccola, ma molti Orchi avevano sentito parlare di me e volevano ad ogni costo rapirmi per portarmi in sposa al loro Re Abramark Secondo, il figlio di quel terribile Re Abramark a cui il Nano Brandimartello spaccò la testa in due. Allora gli Spiriti del Miestwode decisero di chiamare due grandi eroi a difendermi, e questi due eroi si chiamano Eric e Loic, due fratelli nati nello stesso giorno, forti e coraggiosi. Furono loro a proteggermi dalle ombre del Vecchio Mulino, una torre stregata appena fuori il nostro villaggio, che un tempo era un posto di vedetta degli Orchi e dove ancora si nasconde un mostro che intesse ragnatele di nebbia nella speranza di catturarmi"
"Addirittura! E perché tutti vogliono catturare proprio te?"
"Perché ero la figlia della Principessa, che domande!" rispose Julie come se fosse la cosa più semplice del mondo.
"E allora perché sei andata via da quel villaggio fatato?"
Il viso di Julie si rabbuiò per un istante, ma subito lei tornò a guardarmi.
"Alla fine gli Orchi hanno conquistato il mio villaggio" disse a bassa voce, "e se non fosse stato per i miei due eroi, io stessa sarei stata catturata. Gli orchi sono venuti mascherati da cavalieri, guidati da un cavaliere bianco e bello che però portava sulla bandiera lo stesso stemma che si nasconde nelle caverne e negli anfratti più oscuri delle montagne. Io, che ero solo una bambina, mi lasciai ingannare dal loro travestimento, ma Eric e Loic no, loro scoprirono subito il trucco e mi fecero nascondere. Assieme a loro c'erano dei Campioni delle Fate, che avevano le sembianze di bambini ma che aiutavano Eric e Loic nella guerra contro i mostri, e anche loro si sparpagliarono tutti nel villaggio per difenderlo. Ma poi..."
"Poi?" chiesi io, perché mi stavo appassionando e Julie sembrava si fosse bloccata, avesse perso il filo del discorso, "poi che accadde?"
"Poi Nonno Stratos morì, io lo vidi che era già morto, e tu sai che quando uno muore non torna mai più, allora capii che l'incantesimo si stava spezzando e non sarebbe più volato nessun aquilone nel Grande Prato..."
Io non capivo, guardavo quel faccino malinconico e proprio non capivo che cosa c'entrassero ora gli aquiloni o chi fosse questo Nonno Stratos. Ma lei sembrava tanto assorta che non ebbi il coraggio di fare domande. Julie rimase qualche momento a fissare il fuoco, poi guardò verso di me e si sforzò di sorridermi.
"Per fortuna Loic, che era con me in quel momento, mi disse di fuggire, così io scappai per la campagna e gli Orchi non riuscirono a trovarmi"

Il Palio Enorme

Lo chiamano il Grande Palio delle Gilde e dei Clan, ma non è un palio grande, è un palio addirittura enorme. Questo fu ciò che pensammo io e gli altri quando per la prima volta, dopo alcuni anni di esibizioni nel Borgo dei Pazzi e sulle piazze dei dintorni, Mastro Ciliegia acconsentì a portarci tutti lì. Quanto lo desideravamo, e che eccitazione all'idea di raggiungere Krandamer!
Era il 511, un paio di anni prima che la pestilenza e poi tutti i guai successivi facessero svanire per sempre quell'aura magica dal Grande Palio di Krandamer. Era al massimo del suo splendore, nobili da ogni città del Granducato, e anche dal lontano Impero di Delos, venivano coi loro seguiti variopinti a sfidarsi nelle piazze di Krandamer. Ancora le strade erano sicure e tutti erano ben felici di viaggiare e spostarsi.
Inizialmente ero un po' arrabbiato con Julie, perché lei e Nathan si erano baciati durante una gita solitaria sulle pendici del Vulcano, poco prima di partire. Mi aveva raccontato tutto lei stessa quando, dopo una notte di agitazione (e Mastro Ciliegia nervoso è uno spettacolo terribile), in cui Julie non si trovava da nessuna parte, ricomparve all'alba scarruffata e assonnata al Borgo dei Pazzi. Ero un ragazzino imbranato e ingenuo, ed avevo le idee molto confuse su certi argomenti, ma capivo benissimo che il fatto che lei e Nathan avessero trascorso la notte da soli chissà dove sul Vulcano non era una buona cosa.
"Te lo giuro sul martello di Brandimartello! Non è successo nient'altro!"
Nient'altro! Come se ciò mi facesse stare meglio. Il pensiero di questo ‘altro' mi tormentava. Il pensiero che Julie, che aveva tredici anni (uno più di me), si baciasse con qualcuno (per di più con Nathan, che aveva sedici anni e raccontava di avere avuto ‘sul serio' già due ragazze) era inaccettabile. E più lei cercava di tranquillizzarmi che non era successo nient'altro, più il pensiero di quest'‘altro' mi faceva stare male.
Una volta raggiunta la capitale, naturalmente, tutti questi pensieri furono spazzati via dallo splendore del Grande Palio. Gli sbandieratori di Nemir erano eccezionali, i duellanti avevano armature e stemmi di tutti i colori, la giostra faceva fermare il cuore dall'emozione.
Lo spettacolo della Compagnia di Mastro Ciliegia fu un successo, e quando ci mettemmo di nuovo in viaggio per Loran avevano raccolto parecchi soldi. Naturalmente io, Piattola e gli altri ragazzi, di tanta ricchezza, non vedevamo che poche monete di rame, ma lostesso partecipavamo del buon umore di tutti e dell'abbondanza di vivande e buon vino. Persino il vecchio Senzanaso sembrava più bonario, dopo aver bevuto un bel fiasco di vino di Amer.
Sulla via del ritorno ci fermammo in un villaggio, Mastro Ciliegia si allontanò per un paio di giorni e al suo ritorno aveva con sé una ragazzina della mia età, May.
Tra Julie e May fu amicizia immediata. A me May piaceva troppo perché io potessi farci amicizia, ero esageratamente intimidito e solo attraverso la mia confidenza con Julie riuscii, piano piano, ad avvicinarmi un po' a lei. May era orfana ed i suoi zii, poveri e già con molte bocche da sfamare, l'avevano venduta a Mastro Ciliegia.

Gli abiti verdi coi campanellini

Fu poco dopo l'arrivo di May nella Compagnia che un giorno Sorcio rimediò un bel pezzo di stoffa verde e la regalò alle due amiche perché si potessero fare dei vestiti uguali. Si fecero aiutare da Madama Grande nella confezione e dopo qualche settimana furono pronte. Julie e May si assomigliavano parecchio, Julie castana e May bruna di capelli, ma alte più o meno uguali, entrambe sottili e molto graziose. Coi due vestiti verdi, ornati di campanellini, sembravano proprio due sorelle.
Io col liuto le avrei accompagnate nello spettacolo, mentre loro avrebbero cantato uno dei pezzi preferiti di Piattola, ovvero: "la scure e il martello dei due grandi eroi", una ballata che narrava le mirabolanti avventure dei leggendari Loic ed Eric contro gli Orchi.
I preparativi fervevano ed eravamo eccitatissimi, ma il giorno dello spettacolo tutto andò storto. Prima gli abiti furono ritrovati sporchi di fango, poi qualcuno dalla folla, mentre le due ragazze si esibivano, iniziò a tirare ortaggi guasti e a fischiare, ed infine si affacciarono persino le guardie a causa di qualcuno che aveva iniziato a gridare "al ladro! al ladro!" tra la folla (e Sorcio aveva invece garantito che non ci sarebbero stati borseggiatori).
Lo spettacolo fu interrotto, il palco rovesciato dalla folla, e Julie e May ebbero rovinata la festa. Non si capì mai chi avesse architettato tutta questo, ma certamente Ragno sembrava molto soddisfatto, il giorno dopo.
"Ehi, Piattola" continuava a chiamarla così, "come è andato lo spettacolo ieri sera?"

Un preludio all'addio

L'anno seguente Mastro Ciliegia decise di cedere Irene ad un'altra compagnia. Subito ci parve un'ottima notizia, anche se con il passare dei giorni venimmo a sapere che il nuovo padrone della ragazza non sarebbe stato il capo di una compagnia di attori.
"È bella ma non sa fare molto, me la porto a Greyhaven dove saprò trarne il meglio" aveva detto il losco figuro che era venuto a prendersela. Mastro Ciliegia, con una bella manciata di monete d'oro in mano, non aveva trovato niente da obiettare. Ragno però era disperato. Non faceva che contorcersi le mani e mormorare bestemmie.
Era l'ultima sera di Irene, quando per la prima volta Julie vide Ragno piangere, mentre diceva addio all'amica. I due credevano che lei dormisse, in quel carro illuminato solo da una candela, ma lei vedeva benissimo i loro occhi affranti, le mani allacciate in un'ultima stretta, e infine il bacio con cui si separarono per sempre. Julie era rimasta talmente scossa dalla scena che per estorcergliela dovetti faticare molto, mentre lei di solito non è proprio capace di tenere la bocca chiusa.
"Toccherà anche a me forse... un giorno..." così mi disse, e mi fece raggelare il sangue.
Andata via Irene, Ragno si chiuse nel silenzio, e diventò ancora più scontroso. Will e Bill erano gli unici che continuavano a stare con lui, forse perché anche loro erano così strani e vivevano in un mondo tutto loro.
Col passare del tempo Ragno cominciò a cacciarsi sempre più spesso nei guai. Per ben due volte Mastro Ciliegia dovette andarselo a riprendere in città, oltre le mura del Borgo, mentre il ragazzo si trovava alla gogna o dalle guardie per aver combinato qualche malefatta. Si ubriacava, faceva a botte, se la spassava con donne di malaffare. Ma Mastro Ciliegia non era disposto a sopportare per molto un simile comportamento. Se non bastava riempirlo di botte, minacciarlo e punirlo, e non c'era altro modo di far tornare Ragno disciplinato, per quanto fosse un peccato perdere un bravo contorsionista come lui, non c'era scelta: bisognava mandarlo via. E così fu.

La morte nera

Il Grande Palio delle Gilde e dei Clan del 513 iniziò con pessimi auspici. Tempo stagnante, caldo afoso, la campagna era bruciata dal sole e cielo era giallo, e non azzurro.
Sul carro Julie si faceva aria con un ventaglio, mentre io non riuscivo a suonare perché avevo le mani troppo sudate e scivolose. May sospirava e sperava di vedere un giovane nobile amerita, mentre Julie era innamorata persa di uno sbandieratore che l'anno prima aveva lasciato cadere a terra una bandiera. Ma subito, appena arrivati, capimmo che qualcosa non andava.
Krandamer accolse la carovana di Mastro Ciliegia senza nessuna traccia di allegria. Le bandiere c'erano, e anche un po' di gente più del solito, ma l'atmosfera era cupa, c'era poca confusione e molte case avevano porte e finestre sprangate. Si mormorava della pestilenza, ma sempre a bassa voce, quasi con la paura che dirlo apertamente fosse di per sé contagioso. "Già alla scorsa grande pestilenza del 507, sei anni fa, molti pavidi si sono ritirati per paura del contagio. Tuttavia il Grande Palio delle Gilde e dei Clan si è tenuto come sempre, come da oltre un secolo a questa parte, come da sempre nella nostra tradizione. Che davvero il cuore dei combattenti si sia fatto così fragile da non riuscire a venire ad incrociare le armi a Krandamer, per paura di un morbo inventato dalla superstizione degli ignoranti?"
Il Clan dei Corvi Neri fu l'ultimo a ritirarsi.
I giochi durarono per una quindicina di giorni, mentre i partecipanti diminuivano, alcuni perché preferivano prudentemente ritirarsi, altri per ragioni di salute. Gli spettacoli di piazza erano senza pubblico, e anche qualcuno degli attori cominciò a sentirsi male, e non solo per suggestione.
Era la peste, e lasciò molte vittime nella terra di Krandamer. Alla fine l'evidenza ebbe il sopravvento sull'ostinazione degli ultimi fanatici: il Palio era finito, era ora che tutti tornassero a casa e pregassero Reyks di proteggerli dal contagio.
Insieme al Palio vedemmo finire un'epoca, l'epoca della libertà e dell'allegria, l'epoca del Borgo dei Pazzi, delle giostre e dei tornei, della pace e della sicurezza. Da allora, poco a poco, l'intero Ducato cambiò faccia, e noi che vivevamo dell'allegria altrui cominciammo a sentire il peso di questa nuova tristezza.

Le sette lune escono dal pozzo

Tornati a Loran, riprendemmo la vita di sempre. C'erano stati alcuni contagi e noi stessi, che eravamo stati a Krandamer, eravamo visti con sospetto da chi ci temeva portatori della malattia.
Dopo qualche settimana, con l'arrivo delle prime piogge, Sorcio si presentò nella tenda di Julie, con il viso pallido tanto da sembrare verde.
"Hanno arrestato Ragno" disse sottovoce, "sembra che lo impiccheranno! Hanno scoperto che ha rubato nella casa di un signore, in città. L'hanno catturato... e lui dice che non ha più i soldi rubati, non li ha più e che quindi non può restituirli..."
"E adesso?"
"Adesso o li restituisce entro domani, oppure lo porteranno alla guardia del Conte per farlo ammazzare! Povero Ragno... non mi è mai stato simpatico, è vero, ma finire impiccato..."
"E quanto deve restituire?" chiesi.
"Sette monete d'oro" rispose Sorcio. "Non una di meno".
Subito ci mobilitammo per racimolare la spropositata somma di denaro che gli avrebbe potuto salvare la vita. Mastro Ciliegia ci rispose che aveva fatto fin troppo per aiutare Ragno, e che aveva infine trovato quel che si meritava. Sophie e Nathan ci diedero un po' di soldi e anche Sorcio racimolò qualche spicciolo per la causa. Ma indubbiamente non era abbastanza. Mentre facevamo, sconsolati, il conto di quanto avevamo raccolto, qualcosa si illuminò d'improvviso negli occhi di Julie. Corse alla sua tenda e ne tornò dopo qualche momento con lo sguardo trionfante. In mano stringeva sette monete d'oro. Quelle sette monete d'oro salvarono la vita di Ragno, che fu liberato e si dileguò in fretta, ed accesero una curiosità disperata in me e negli altri, su come avesse fatto Julie a procurarsele.
"Sono state forgiate dai Grandi Nani" rispose la Piattola, orgogliosa. "Molti anni fa, quando fuggii dal mio villaggio nel timore di essere acciuffata dagli Orchi, mi nascosi nella campagna per molti giorni, fino a quando la fame mi spinse all'orto di una fattoria isolata. Qui rubai una mela rossa da mettere sotto i denti" e dicendo questo Julie scambiò un'occhiata complice con Sorcio, "ma i contadini mi trovarono e mi dissero che adesso che avevo rubato da loro ero indebitata e sarei dovuta restare lì finché non avessi saldato il mio debito. Rimasi lì per alcuni mesi, e loro mi trattavano male, e dalle loro ombre accanto al caminetto scoprii il segreto che non erano persone, ma bensì minotauri con le corna invisibili (se non nell'ombra davanti al fuoco). Lei fingeva di chiamarsi Molly, lui Gustaf. In realtà non sono nomi da mostri, quindi è chiaro che stavano mentendo. Comunque sia, un giorno decisi di fuggire"
Si fermò, guardandoci curiosa delle nostre reazioni. Io ero impaziente di arrivare alle monete d'oro e lei se ne accorse, così continuò il racconto.
"Visto che Loic ed Eric mi avevano sempre detto che nelle cose importanti bisogna essere bene organizzati, io mi preparai attentamente alla fuga, conservando poco a poco delle provviste per non morire di fame nella campagna. Poi scappai dalla finestra, col mio sacco di cibo e di coperte, e vagai per giorni nella pianura"
"Sì", la interruppe May, "ma le monete d'oro?"
"Ora ci arrivo. La campagna attorno a Caen cambia faccia con il passare delle stagioni, così non riuscii a ritrovare la strada di casa. Non sapevo se il villaggio fosse stato risucchiato dalla foresta, o tornato nel mondo delle fate. Vagai per qualche giorno fino ad arrivare ad una strada. E qui un Nano si fermò a darmi un passaggio. Era un Nano discendente da Krinn, il Grande Padre dei Nani, e mi condusse fino alla prima stazione di posta. Il suo nome era Abner-Kas, veniva dal Kieblach e mi mostrò che la mia fiducia nei Nani era ben riposta."
"Una volta alla stazione di posta, io volli restare lì per non allontanarmi ancora da Caen, e chiesi se c'era qualcuno che mi potesse riportare a casa. Il proprietario si offrì di farlo e Abner-Kas lo pagò anche per questo servizio. Ma poi, visto che non si fidava di lui (ed aveva ragione, visto che poi mi tenne come sguattera!), venne in segreto da me e mi mise in mano queste monete. ‘Che Ilmarinen ti protegga, bambina, e ti doni ingegno sufficiente a cavartela nelle difficoltà!'. Da allora le ho conservate gelosamente, chiedendomi per quale scopo il Nano me le avesse date. E finalmente adesso l'ho scoperto!"

Le pendici del Vulcano

Non ho mai capito che cosa attirasse Julie sulle pendici del Vulcano. Ci andava spesso, nell'inverno del 513, trascinando me, May o gli altri, o persino da sola. Anche quando pioveva o c'era brutto tempo lei spesso e volentieri trovava la scusa per sgattaiolare tra le rocce nere e deserte, e lo faceva talmente di frequente che alcuni avevano iniziato a chiamarla Lapillo. È anche vero che già a quei tempi al Borgo dei Pazzi l'atmosfera stava cambiando e c'erano meno occasioni per divertirsi: i fanatici religiosi, che poi ho saputo hanno scatenato grandi tumulti per tutto il Ducato, non perdevano occasione di rendere la vita difficile a noi artisti di strada.
Ma era Julie che stava cambiando in fretta, sia d'aspetto che di carattere. Molte volte, quando lei e May parlavano, non riuscivo più a seguirle e mi sentivo escluso.
Era nei primi mesi del 514 quando seppi che Julie si era innamorata (o almeno così diceva lei) di un giovane del Clan del Vulcano. Chiunque sa benissimo che tra noi musicisti e i forgiatori dell'Antico Clan non corre buon sangue. Loro ci disprezzano e per anni non hanno fatto altro che mandare rimostranze al Conte di Loran lamentando che ci dava troppo spazio. Dopo la grande pestilenza il loro peso politico aumentò ancora, e si fecero sempre più tracotanti ed irascibili. Bastava avere un pizzico di sale in zucca per capire che era meglio star loro alla larga, ma notoriamente Piattola ne è sempre stata sprovvista, di sale in zucca. Quando poi io le chiedevo notizie di questo suo fantomatico ammiratore, lei rispondeva coi suoi deliri immaginari.
"Si chiama Marc e da bambino fu cresciuto dai Nani del Kieblach, che lo invitarono alla Grande Forgia per insegnargli la loro arte..."
Come sempre la Piattola romanzava le storie, ma in quel periodo io ero molto meno propenso ad ascoltare le sue fantasticherie. Grande Forgia, Nani del Kieblach, Figli di Krinn e Orchi feroci: il solito ritornello di Julie mi risultava insopportabile. Io vedevo soltanto un'amica che stava perdendo la testa, e non c'erano eroi immaginari che potessero addolcire la realtà. Litigammo, finché qualche mese dopo, grazie a May, riuscii a capire perché improvvisamente Julie si era fatta triste: il figlio di un pezzo grosso dell'Antico Clan del Vulcano non poteva divertirsi in compagnia di una vagabonda come lei e così, quando la cosa venne scoperta, Marc fu spedito dal padre a studiare a Krandamer. E tanti saluti ai due innamoratini.

La Compagnia si scioglie

Avevamo un vecchio gatto, al Borgo dei Pazzi, che si chiamava Cirillo. Era un bel gattone grigio dal pelo morbido. Quando morì, nell'estate del 514, Julie ci rimase malissimo, nemmeno fosse morta una persona cara.
In quel periodo non c'era granché da esibirsi, il Grande Palio di Krandamer stava ripartendo a stento e secondo Mastro Ciliegia non valeva neppure la pena di andarci; così decise di sciogliere la Compagnia. Io, i gemelli e un altro paio di attori restammo al Borgo dei Pazzi e fummo ceduti per pochi soldi alla Compagnia di Madama Grande, ma da Julie e May il padrone sperava di ricavare di più e le volle vendere ad un trafficone della Capitale: due graziose ragazze sui sedici anni hanno un certo valore, in alcuni brutti ambienti.
Quando riconoscemmo al Borgo dei Pazzi il carretto del losco figuro con cui era partita Irene un paio d'anni prima, capimmo quale destino fosse riservato alle mie due amiche. Ma Julie e May non avevano intenzione a lasciarsi portare via senza combattere.
Non starò qui a raccontare tutti gli stratagemmi escogitati insieme anche a Sorcio e Nathan. May, più prudente, riuscì a rimediare infine un nascondiglio, e al momento cruciale non si fece trovare. Julie invece, che ingenuamente aveva provato a ‘riscattare' la libertà sua e dell'amica raccogliendo del denaro, fu afferrata di peso e trascinata a forza sul carretto, e portata via.
L'ultima volta che vidi Mastro Ciliegia, stava contando le monete che aveva guadagnato vendendo la mia amica, e mai come in quel momento avrei voluto essere un grande guerriero come Eric e Loic, per ucciderlo e poterla liberare. Ma io sono soltanto un musicista grassottello e imbranato, Stecca il suonatore. Al più avrei potuto spaccargli il liuto in testa, ma avrei risolto ben poco.
Mastro Ciliegia lasciò il Borgo dei Pazzi nel settembre del 514. May uscì dal nascondiglio che Stecca le aveva rimediato, uno scantinato dove aveva trascorso diversi giorni, e tornò con noi; fu presa nella Compagnia della Madama Grande e nei mesi che seguirono il nostro legame ci portò lentamente all'intimità che oggi condividiamo.
Di Julie però nessuna notizia.

Nella tela del Ragno

Eravamo in viaggio dalle parti di Stolberg nella primavera del 515 quando Julie spuntò fuori dal nulla. Assisté al nostro spettacolo mischiata al pubblico e poi ci venne incontro festante. Baci, abbracci, era impazzita di gioia per il fatto di ritrovarci. E davanti ad una bella fetta di torta, in locanda, ci raccontò l'accaduto.
"Ti ricordi, Stecca, quando ti dicevo che il Re degli Orchi Re Abramark Secondo voleva ad ogni costo farmi rapire? Ebbene: Mastro Gobren, quel brutto infingardo al quale Mastro Ciliegia mi vendette, era certamente uno dei suoi seguaci. Ci mettemmo in viaggio. Lungo la strada facemmo sosta in un villaggio, e qui, chiusa dentro il carro prigioniera, io cantai, e gridai, e invocai i miei due angeli custodi, Eric e Loic, e gli altri Spiriti Buoni del Miestwode."
Ci risiamo, pensai io mentre Julie parlava, non si riesce mai a farsi raccontare una storia con un capo e una coda, da lei. Si finisce sempre tra mostri e spiriti, e non si capisce niente.... Ma ero troppo contento di rivederla e non mi sarei lamentato per niente al mondo. Julie mi guardò e sorrise, come se mi avesse letto nella mente, e riprese a raccontare. "Ebbene, l'indomani ripartimmo. Con noi adesso c'era un'altra ragazza, Myriam, un'orfanella. A metà giornata di viaggio sentimmo che il carro veniva fermato bruscamente. Poi grida, strepiti, e un forte puzzo di bruciato. ‘Aiuto!' gridammo noi nel carro, e subito qualcuno ci venne ad aprire. Era un bandito, magro, coi capelli rossi. Il suo viso era coperto da un fazzoletto. Saltò sul carro, mentre i suoi compagni stavano assaltando la carovana e uccidevano Mastro Gobren. Il bandito ci sciolse le corde a cui eravamo legate con il suo coltello, senza dire nulla. Intorno si sentivano le grida del combattimento e già il fuoco stava bruciando tutto. Myriam scappò via a rotta di collo, ma mentre io pure stavo per fare lo stesso lui mi trattenne per il braccio.
"Buona fortuna, Piattola", mi disse. E mi mise in mano le briglie di un cavallo.
Scappai con il cavallo che mi aveva regalato Ragno, ma decisi di lasciar passare un po' di tempo prima di tornare a Loran. Così vagai per un po' di tempo da sola, cantando e suonando nelle locande e tra le stazioni di posta. Il cavallo di Ragno era ben equipaggiato, c'era anche un po' di denaro nella tasca della sella, e così me la sono cavata abbastanza bene. A fine inverno poi mi sono beccata un malanno e sono rimasta per più di un mese ospite di una famiglia molto gentile, e ora mi sono ripromessa di tornare a Caen, dopo tanti anni"

Di nuovo a casa

Julie si unì alla Compagnia di Madama Grande per qualche mese, ed insieme girammo per le terre dell'estremo ovest di Krandamer. I disordini di natura religiosa si erano placati, e l'influenza amerita si faceva sentire nelle piazze e nelle strade dove si potevano fare buoni affari. Così l'estate rimanemmo da quelle parti, e decidemmo di trascorrere l'inverno a Stolberg.
Verso la fine di dicembre Madama Grande si ammalò e morì, lasciando la sua Compagnia allo sbando. Tutti le volevamo bene, era una padrona ben diversa da Mastro Ciliegia, sempre gentile e allegra. Alla sua morte gran parte dei suoi attori decisero di tornare a Loran, dove avrebbero ricostituito una nuova Compagnia.
Io e May abbiamo invece deciso di tenerci fuori, per il momento, e di accompagnare Julie in terra di Amer, alla ricerca della favolosa Caen. Anche Will e Bill hanno scelto di seguirci, insieme ad alcuni degli altri, Jasmine e suo padre il Mangiafoco, ed un paio di pagliacci. E così, all'inizio di primavera di quest'anno, il 516, abbiamo passato il confine a Nemir e siamo entrati nel Ducato di Amer. Dopo molte ricerche abbiamo scoperto dove fosse Caen e ci siamo diretti ad Anthien e oltre, a nord, verso foresta di Miestwode. Però abbiamo sentito le voci di un grande festeggiamento a Laon e così abbiamo deciso di correre qui e prendervi parte.
Julie era arrivata ormai talmente tanto vicina a casa che ha preferito andare per conto suo, per poi raggiungerci qui a Laon appena possibile.
Creata il 10/05/2007 da Annika (2242 voci inserite). Ultima modifica il 17/12/2007.
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