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7 marzo 516
Sabato 31 Marzo 2012
Il Professore
Avevamo un precettore, a Burglitz, che si faceva chiamare "il Professore".
Era un uomo piuttosto avanti con gli anni, originario di una cittadina non distante da Greyhaven, aveva girato il mondo in lungo e in largo, fino a quando aveva deciso di stabilirsi ad Ammerung. Veniva a casa nostra una volta alla settimana, per dare lezioni a tutti i ragazzi della famiglia.
Arrivava la mattina presto col suo calesse, veniva fatto accomodare e un domestico gli portava sempre qualcosa di caldo da bere, se era inverno, o di fresco durante l'estate.
Noi lo aspettavamo con ansia, curiosità e un po' di timore.
Il Professore era un uomo mite, in fondo, ma ci metteva in suggezione con la sua parlata forbita, il dialetto vagamente esotico, e con il suo piglio aristocratico. Indossava infatti una mantella consumata dagli anni e la sua casacca era stata rivoltata una volta di troppo, ma emanava grande autorevolezza.
Noi, figli e figliastri abituati ad avere un paio di scarpe nuove ad ogni inverno, servitori per casa e più roba da mangiare nel piatto di quanta ce ne entrasse nello stomaco, guardavamo quell'uomo che viveva modestamente del proprio lavoro con rispetto. Sprattutto Enrik ed io pendevamo letteralmente dalle sue labbra.
Mio cugino era sempre il primo a scendere le scale, quando sentivamo il calesse che si avvicinava per la strada. Io lo seguivo di corsa.
Il Professore ci salutava con apparente freddezza, ci invitava a sedere, e subito lo iniziavamo a sommergere di domande. Ricordo che spesso la nostra ingenuità gli faceva scappare un sorriso, ma sempre, sempre trovava il modo di risponderci. Perchè si susseguono le stagioni? Da dove vengono i Nani? Cosa c'è oltre il mare? E sotto le montagne?
In realtà il Professore mi intimidiva da morire: ogni volta che mi si rivolgeva direttamente sentivo il cuore accelerare e mi mancavano le parole per rispondergli. Eppure mi sforzavo di chiedere, di rovesciargli addosso le mie curiosità di bambina. Enrik mi faceva coraggio, a volte era lui a porre, al mio posto, le domande che insieme ci eravamo fatti nei giorni precedenti. Io gli ero grata che mi risparmiasse lo sforzo di prendere personalmente la parola, anche se un po' invidiavo la sua sicurezza, e mi rattristavo.
Il Professore sapeva un sacco di cose, e le sapeva raccontare benissimo. Non imbastiva discorsi fumosi, ma al contrario era evidente il suo impegno nel rivolgersi a dei bambini in modo che questi potessero comprenderlo.
Sono passati tanti anni dalla sua morte, povero Professore, chissà perchè mi è tornato in mente adesso.
Era un uomo piuttosto avanti con gli anni, originario di una cittadina non distante da Greyhaven, aveva girato il mondo in lungo e in largo, fino a quando aveva deciso di stabilirsi ad Ammerung. Veniva a casa nostra una volta alla settimana, per dare lezioni a tutti i ragazzi della famiglia.
Arrivava la mattina presto col suo calesse, veniva fatto accomodare e un domestico gli portava sempre qualcosa di caldo da bere, se era inverno, o di fresco durante l'estate.
Noi lo aspettavamo con ansia, curiosità e un po' di timore.
Il Professore era un uomo mite, in fondo, ma ci metteva in suggezione con la sua parlata forbita, il dialetto vagamente esotico, e con il suo piglio aristocratico. Indossava infatti una mantella consumata dagli anni e la sua casacca era stata rivoltata una volta di troppo, ma emanava grande autorevolezza.
Noi, figli e figliastri abituati ad avere un paio di scarpe nuove ad ogni inverno, servitori per casa e più roba da mangiare nel piatto di quanta ce ne entrasse nello stomaco, guardavamo quell'uomo che viveva modestamente del proprio lavoro con rispetto. Sprattutto Enrik ed io pendevamo letteralmente dalle sue labbra.
Mio cugino era sempre il primo a scendere le scale, quando sentivamo il calesse che si avvicinava per la strada. Io lo seguivo di corsa.
Il Professore ci salutava con apparente freddezza, ci invitava a sedere, e subito lo iniziavamo a sommergere di domande. Ricordo che spesso la nostra ingenuità gli faceva scappare un sorriso, ma sempre, sempre trovava il modo di risponderci. Perchè si susseguono le stagioni? Da dove vengono i Nani? Cosa c'è oltre il mare? E sotto le montagne?
In realtà il Professore mi intimidiva da morire: ogni volta che mi si rivolgeva direttamente sentivo il cuore accelerare e mi mancavano le parole per rispondergli. Eppure mi sforzavo di chiedere, di rovesciargli addosso le mie curiosità di bambina. Enrik mi faceva coraggio, a volte era lui a porre, al mio posto, le domande che insieme ci eravamo fatti nei giorni precedenti. Io gli ero grata che mi risparmiasse lo sforzo di prendere personalmente la parola, anche se un po' invidiavo la sua sicurezza, e mi rattristavo.
Il Professore sapeva un sacco di cose, e le sapeva raccontare benissimo. Non imbastiva discorsi fumosi, ma al contrario era evidente il suo impegno nel rivolgersi a dei bambini in modo che questi potessero comprenderlo.
Sono passati tanti anni dalla sua morte, povero Professore, chissà perchè mi è tornato in mente adesso.
5 marzo 516
Lunedì 26 Marzo 2012
Il Bosco fuori dal Tempo
Del racconto di Cynthia mi ha colpito la descrizione del laghetto sacro alla popolazione primitiva che viveva nel Bosco dei Mirtilli fino a qualche mese fa.
La metamorfosi di quelle acque, un tempo limpide e adesso torbide e infestate dagli insetti, sembra una metafora del tempo che passa, e calpesta tutto ciò che di antico e incontaminato continuava a nascondersi lontano dagli occhi della civiltà.
Il Corno del Tramonto è uno strano posto. L'antichità, qui, è relativamente recente, i Kahnast sono stati sconfitti solo un paio di secoli orsono. E' tutto così poco popolato, le vie di comunicazione sono quelle che sono, la terra è ostile all'uomo. Esistono ancora dei luoghi nascosti dove il tempo sembra essersi fermato.
E' per questa ragione che sono un po' indecisa.
Da un lato tendo a ritenere che questa "Bestia dei Mirtilli" (qualsiasi cosa sia) non costituisca un problema così urgente per le popolazioni circostanti. Sono convinta infatti che non possa uscire dal suo rifugio, dal bosco che l'ha generata e protetta fino ad ora. E' forte finchè resta nella sua isola di antichità, non può uscire alla luce del sole. Quindi basta non entrare nel Bosco dei Mirtilli, e nessuno corre pericolo.
Tuttavia io vorrei che fosse un'altra la "Storia" ad avanzare nelle terre prigioniere del passato. Non dovrebbe essere un mostro, una creatura delle ombre, a sterminare le popolazioni selvagge e antiche. Dovremmo essere noi, forti della luce della ragione e della benedizione degli Dei, a entrare in quel bosco e portare la civiltà.
Il mio sogno è di vedere un giorno il Corno del Tramonto davvero civilizzato. Mi piace immaginare fattorie, strade, città.
Ora come ora la contaminazione più grave e urgente è costituita dai nemici Nordri, barbari sanguinari portatori di una cultura incivile e selvaggia. Sono loro il nemico numero uno.
Tuttavia questa creatura della tenebra, velenosa come uno sciame di insetti che ti contaminano dall'interno e mettono radici nel caldo della nostra pelle, va sconfitta. Bisogna liberare il Bosco dei Mirtilli dal suo mostro, bonificarlo. Anche a costo di abbattere uno per uno ogni singolo albero, spazzare via il suo nascondiglio e le ombre che gli danno rifugio.
La metamorfosi di quelle acque, un tempo limpide e adesso torbide e infestate dagli insetti, sembra una metafora del tempo che passa, e calpesta tutto ciò che di antico e incontaminato continuava a nascondersi lontano dagli occhi della civiltà.
Il Corno del Tramonto è uno strano posto. L'antichità, qui, è relativamente recente, i Kahnast sono stati sconfitti solo un paio di secoli orsono. E' tutto così poco popolato, le vie di comunicazione sono quelle che sono, la terra è ostile all'uomo. Esistono ancora dei luoghi nascosti dove il tempo sembra essersi fermato.
E' per questa ragione che sono un po' indecisa.
Da un lato tendo a ritenere che questa "Bestia dei Mirtilli" (qualsiasi cosa sia) non costituisca un problema così urgente per le popolazioni circostanti. Sono convinta infatti che non possa uscire dal suo rifugio, dal bosco che l'ha generata e protetta fino ad ora. E' forte finchè resta nella sua isola di antichità, non può uscire alla luce del sole. Quindi basta non entrare nel Bosco dei Mirtilli, e nessuno corre pericolo.
Tuttavia io vorrei che fosse un'altra la "Storia" ad avanzare nelle terre prigioniere del passato. Non dovrebbe essere un mostro, una creatura delle ombre, a sterminare le popolazioni selvagge e antiche. Dovremmo essere noi, forti della luce della ragione e della benedizione degli Dei, a entrare in quel bosco e portare la civiltà.
Il mio sogno è di vedere un giorno il Corno del Tramonto davvero civilizzato. Mi piace immaginare fattorie, strade, città.
Ora come ora la contaminazione più grave e urgente è costituita dai nemici Nordri, barbari sanguinari portatori di una cultura incivile e selvaggia. Sono loro il nemico numero uno.
Tuttavia questa creatura della tenebra, velenosa come uno sciame di insetti che ti contaminano dall'interno e mettono radici nel caldo della nostra pelle, va sconfitta. Bisogna liberare il Bosco dei Mirtilli dal suo mostro, bonificarlo. Anche a costo di abbattere uno per uno ogni singolo albero, spazzare via il suo nascondiglio e le ombre che gli danno rifugio.
28 febbraio 516
Giovedì 1 Marzo 2012
battaglia alla Chela...
Da piccola non ascoltavo volentieri le storie di guerra che raccontava lo zio Karol. Le trovavo noiose, ripetitive, farcite di una retorica piuttosto insipida.
I miei fratelli si appassionavano e inscenavano le più gloriose battaglie nei loro giochi, mentre io stavo lì, un po' annoiata, solo perchè fuori pioveva e non c'era niente di più interessante da fare.
Se lo Zio Karol mi vedesse ora, stesa mezza morta su un pagliericcio di fortuna accanto alle macchine da assedio, chissà cosa penserebbe. Se sapesse come ci sono finita, mi chiedo se sarebbe fiero di me o se piuttosto si vergognerebbe dei tanti discorsi esaltati e astratti con cui per anni e anni ha rimpinzato la fantasia di figli e nipoti.
Da un lato, certo, è immensamente stupido rischiare di morire per un vessillo del tutto estraneo. Dall'altro però un po' lo capisco, lo zio Karol. Esiste qualcosa di glorioso, di esaltante, nel comportarsi in maniera così avventata. Fingere che quel vessillo sia il "nostro" vessillo, decidere di volerci credere, di sentirsi, per un attimo, rappresentati da un pezzo di stoffa.
La bandiera non conta niente, fino a quando non rischi di morire per recuperarla. In quel momento, di colpo, diventa importantissima. Ed è per questo che ho consumato le mie ultime energie per darle vita, magicamente. L'ultima scintilla incantata del mio vessillo di guerra.
In verità c'è dell'altro, e non sarei onesta se fingessi di non dargli peso.
La bandiera di Uryen è il vessillo del Margravio. Forse, se sapesse, mio padre si renderebbe conto di quanto sia stata profonda l'ingiustizia che mi ha imposto quando mi ha obbligata a compiacere il suo ospite.
Il nuovo ordine del Corno del Tramonto non passa solo per i letti sfatti dei figli viziosi di qualche Burgravio. Il nuovo ordine del Corno del Tramonto passa per i campi di battaglia, per le brughiere sferzate dal vento e dalla neve, per i combattimenti e le ribellioni da sedare.
Sbaglia mio padre quando ritiene che io possa essere utile al nuovo ordine soltanto come strumento per arruffianarsi i potenti. Io voglio che questa terra trovi la sua strada, sono disposta a rischiare molto affinchè questo accada, ma non sono più disposta a mettere sul piatto della bilancia la mia dignità.
Certo... adesso ho paura, il dolore alla tempia è micidiale e solo gli Dei sanno quanto ci vorrà prima che io mi riprenda. Eppure se ripenso a come mi sentivo dopo aver ubbidito a mio padre, se ricordo l'umiliazione e la ripugnanza e l'assurda situazione a cui mi costrinse, sto persino meglio adesso.
Sono tutta rotta, ma nel cuore mi sento salda. E tra le due cicatrici, quella alla tempia si rimarginerà per prima, più a fondo, e non dovrò vergognarmi davanti a nessuno, quando mi chiederanno come me la sono fatta.
I miei fratelli si appassionavano e inscenavano le più gloriose battaglie nei loro giochi, mentre io stavo lì, un po' annoiata, solo perchè fuori pioveva e non c'era niente di più interessante da fare.
Se lo Zio Karol mi vedesse ora, stesa mezza morta su un pagliericcio di fortuna accanto alle macchine da assedio, chissà cosa penserebbe. Se sapesse come ci sono finita, mi chiedo se sarebbe fiero di me o se piuttosto si vergognerebbe dei tanti discorsi esaltati e astratti con cui per anni e anni ha rimpinzato la fantasia di figli e nipoti.
Da un lato, certo, è immensamente stupido rischiare di morire per un vessillo del tutto estraneo. Dall'altro però un po' lo capisco, lo zio Karol. Esiste qualcosa di glorioso, di esaltante, nel comportarsi in maniera così avventata. Fingere che quel vessillo sia il "nostro" vessillo, decidere di volerci credere, di sentirsi, per un attimo, rappresentati da un pezzo di stoffa.
La bandiera non conta niente, fino a quando non rischi di morire per recuperarla. In quel momento, di colpo, diventa importantissima. Ed è per questo che ho consumato le mie ultime energie per darle vita, magicamente. L'ultima scintilla incantata del mio vessillo di guerra.
In verità c'è dell'altro, e non sarei onesta se fingessi di non dargli peso.
La bandiera di Uryen è il vessillo del Margravio. Forse, se sapesse, mio padre si renderebbe conto di quanto sia stata profonda l'ingiustizia che mi ha imposto quando mi ha obbligata a compiacere il suo ospite.
Il nuovo ordine del Corno del Tramonto non passa solo per i letti sfatti dei figli viziosi di qualche Burgravio. Il nuovo ordine del Corno del Tramonto passa per i campi di battaglia, per le brughiere sferzate dal vento e dalla neve, per i combattimenti e le ribellioni da sedare.
Sbaglia mio padre quando ritiene che io possa essere utile al nuovo ordine soltanto come strumento per arruffianarsi i potenti. Io voglio che questa terra trovi la sua strada, sono disposta a rischiare molto affinchè questo accada, ma non sono più disposta a mettere sul piatto della bilancia la mia dignità.
Certo... adesso ho paura, il dolore alla tempia è micidiale e solo gli Dei sanno quanto ci vorrà prima che io mi riprenda. Eppure se ripenso a come mi sentivo dopo aver ubbidito a mio padre, se ricordo l'umiliazione e la ripugnanza e l'assurda situazione a cui mi costrinse, sto persino meglio adesso.
Sono tutta rotta, ma nel cuore mi sento salda. E tra le due cicatrici, quella alla tempia si rimarginerà per prima, più a fondo, e non dovrò vergognarmi davanti a nessuno, quando mi chiederanno come me la sono fatta.