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Adalbert Cossack
 
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15 novembre 518
Giovedì 17 Febbraio 2011

Cattivi maestri (prologo)



15 novembre 518

Di nuovo a Chalard. I picchi delle Falayse costeggiano il lato sinistro della via maestra, celando il sentiero che porta al Monastero di Foucault. Chissà se quella strada si ricorda ancora di me: ci conoscevamo bene qualche anno fa, quando non vedevo l'ora di percorrerla per tornare a Beid... Dai miei fratelli, da mio padre, da Sir Thomas. E' con lui che cavalco oggi, insieme a una trentina di soldati da lui comandati. Ma non è Foucault il monastero a cui siamo diretti: la nostra meta è Noyes, ben più modesto tempio per fama e dimensioni e del quale a dire il vero non conservo un buon ricordo: quel luogo mi ha vista entrare debole e febbricitante, lontana da me stessa come non ero mai stata.

Neanche a farlo apposta, una torre fa capolino dalle colline davanti a noi. La sua sagoma fruga tra i miei ricordi, con la grazia che si addice un ospite indesiderato. La Torre del Tramonto, così la chiamava la mia entusiasta sorella: immagino quante feste, tra quei grossi mattoni... Annoia persino da questa distanza. Mi aspettano lunghe giornate. Ma non temete, Padri di Noyes, non è stata la cortesia ad avermi fatto accettare il vostro invito: la Marca di Beid esaudirà le vostre richieste di sua spontanea volontà. Avete chiesto soldati e risposte e state per ricevere entrambe le cose, con l'augurio che possiate farne buon uso.



17 novembre 518

Secondo giorno a Noyes. Il vento è freddo, il cibo si lascia mangiare. Lenzuola pulite, materassi ridicoli, e il rumore... il rumore è ovunque, come fosse il padrone di casa. Che davvero qualcuno possa studiare, in questo collegio? A saperlo prima avrei chiesto di farmi mettere un letto in biblioteca, l'unico posto dove il silenzio è riuscito a restare sul trono: graziose fanciulle vestite di bianco consultano testi e allenano la mano alla scrittura, lontano dagli schiamazzi dei maschi in cortile. L'istinto meno che assente di mescolarmi a loro si tramuta per forza di cose in ineludibile necessità.

"Rosalie Lambert, incontrarvi è per me un piacere e un onore: ma ancora più grande è la gioia nel vedervi sfogliare il memoriale di Giosìa il Venerabile".

L'anziano sacerdote che disturba sia pure educatamente la mia lettura ha un che di familiare: che sia...

"Voi... siete di Beid, non è vero?"

Annuisce, presentandosi come Padre Camarque. Mi saluta di nuovo, dicendo di conoscermi. Mi racconta la sua vita. Ammetto che le sue storie riescono a suscitare il mio interesse: questo monaco sa parlare bene, sembra essere un tipo interessante. La mia attenzione schizza alle stelle quando si mette a raccontare di mio padre: non gli dò tregua, voglio sapere tutto, lo ascolto per ore. La cosa divertente è che non sa dirmi nulla che io già non sappia: ma sono cose che voglio sentire e risentire ancora, come una bambina con la sua favola preferita. E come una bambina, mentre lo ascolto, penso che questa sera dormirò felice e sognerò qualcosa di meraviglioso.



18 novembre 518

Terzo giorno a Noyes. Il vento freddo è morto, ucciso da una brezza gentile che mi carezza con il suo soffio delicato fino a svegliarmi. Le lenzuola scivolano via come seta, e anche la colazione ha un sapore diverso. I materassi... Quelli sono ancora ridicoli: sognare mio padre dà luogo a miracoli, ma per tramutare queste cotenne di gallo in qualcosa di simile a piume non basterebbe tutta la misericordia di Pyros.
Dopo essermi lavata, pettinata e profumata, decido di dare sollievo alla mia schiena indolenzita: il buonumore mi accompagna mentre percorro il chiostro del collegio, salutando gli uccellini che scendono a dissetarsi nelle piccole pozzanghere riempite dalla pioggia notturna. Oggi sarà il primo giorno di colloquio, in cui mi verrà chiesto di raccontare quello che mi è successo.

Fino ad ora sono stata trattata nel migliore dei modi: Padre Quart in persona è venuto a ricevermi, ringraziandomi per aver accettato una richiesta così delicata. Nei due giorni che hanno seguito il mio arrivo ho conosciuto Sir Arles, il Comandante dei Paladini, Padre Horace Ashby, il Rettore del Collegio dove si trova la mia stanza, e molte altre personalità importanti di questo monastero. Hanno fatto del loro meglio per mettermi a mio agio, forse temendo che avrei potuto cambiare idea.

Le loro paure non sono del tutto infondate, e vantano radici tanto fresche quanto solide. I toni con cui meno di un mese fa mio padre il Marchese aveva risposto alla lettera inviatagli da padre Quart erano stati, per usare un eufemismo, piuttosto categorici. Egli non avrebbe consentito all'uomo che aveva avuto l'ardire di penetrare nei giardini del Palazzo di Beid di tornare sul suo territorio, tanto meno per porre a sua figlia domande di qualsivoglia tipo; di contro, comunicava il suo rammarico per aver appreso che l'altra sua figlia era stata inviata nientemeno che a Delos, fatto di cui egli non era stato messo a conoscenza.

Il rammarico è un sentimento di amarezza o contrarietà: per una persona normale può essere talvolta simile al rimpianto o al disappunto. Per il Marchese di Beid è qualcosa che può essere considerato simile a un fulmine che colpisce il tronco di una quercia secolare: il lavoro di molti, moltissimi anni che diventa cenere nel giro di pochi istanti. Questo, se lo so io, lo sanno di certo anche Sir Arles, Sir Bruno e Padre Quart. Il primo e il terzo hanno scritto entrambi una lettera di scuse, mentre il secondo è partito da Chalard per non fare più ritorno.

Quando tutto sembrava ormai perduto gli Dei sono scesi a mettere una pezza su questo disastro diplomatico, facendo spuntare dal nulla Lord Albert con tutti i suoi soldati. Alleanze impreviste, un monastero attaccato e a rischio di cadere, forse il primo di una lunga serie. La barba incolta di Lord Albert ha fatto cadere i pochi capelli che erano rimasti ai Padri di Noyes, ma ha anche provocato il loro perdono da parte del Marchese: trenta soldati a Noyes, cento a Foucault, e altri ancora a presidio delle strade e dei passi principali a scongiurare qualsiasi pericolo di attacco. Questa è stata la seconda risposta di Beid, della quale faccio parte anch'io: visto che colui che fu mio compagno di cella non poteva venire a trovarmi, ho convinto mio padre il Marchese a farmi portare da lui.

"Sono la fidanzata di Sir Thomas: chiedo che mi sia concesso l'onore di accompagnarlo in questo incarico".

e ancora:

"Vi prometto che farò del mio meglio per riportare a casa Solice".

ma soprattutto:

"Voi più di tutti sapete cosa mi è capitato in quelle grotte, e potete comprendere il mio desiderio di fare giustizia dei responsabili: se quest'uomo conosce un modo per arrivare a loro, non posso esimermi dall'aiutarlo nella sua ricerca... e dall'apprendere quelle informazioni".

Sono qui perché mio padre il Marchese ha ascoltato le mie argomentazioni, perché ha avuto fiducia in me. Ho aspettato a lungo questa occasione e ora devo sfruttarla al meglio, affinché la mia visita sia fruttuosa: l'uomo con cui sto per recarmi a parlare è già in debito con me, e presto farò in modo che lo sia ancora di più. Scoprirò la verità sulla mia prima madre, sugli individui che mi hanno rapita... e su Amon.
E poi, finalmente, darò corso alla mia vendetta.



18 novembre 518, qualche ora più tardi

Il tramonto spinge il sole verso il basso, nascondendone i raggi dietro alla Torre che ruba il suo nome e tingendo l'aria di tonalità autunnali. Domani chiederò a Padre Quart di accompagnarmi dentro quell'austero edificio: voglio salire fino in cima, guardare la campagna da lassù. Mentre percorro il sentiero di ciottoli che conduce alle stanze del collegio ripenso al mio primo dialogo con Netjerikhet Zauemia Ruinethot... Quanto lo odiavano i genitori per avergli trovato un nome del genere? forse volevano una femmina. A parte questo, non avrei mai immaginato di...

"Quanta fretta! Ti aspetta forse qualcuno?"

Come dicevo ieri, il rumore di questo posto riesce a volte ad essere fastidioso. Qualsiasi governante strilla come se stesse parlando con...

"Sto parlando con te. Sei sorda, forse?"

Mi volto in direzione della mia inattesa interlocutrice: è una delle graziose fanciulle della biblioteca, e sembra avere più o meno la mia età.

"Allora sei muta, oltre che sorda..."

La maleducazione è un malanno fastidioso: parte dalle campagne, ma basta perderla di vista un attimo e la ritrovi nelle città, nei castelli... ovunque. Questo collegio, apprendo amaramente mentre mi accingo a rispondere, mostra di non essere immune a tale infausto contagio.

"Scusate, ma non credo di conoscervi: di grazia, a che titolo avete intenzione di prendere il mio tempo?"

Sorride. "Sei stronza come pensavo, Rosalie. Stronza e altezzosa."

Oh Dei, e adesso questa chi è? La osservo, certa di non averla mai vista prima d'ora. Mora, occhi scuri... un serpentello a forma di treccia che scende da un lato del viso. Vuoto totale. La osservo per alcuni secondi: mi guarda fissa e mi riempie di insulti, mentre sorride. Stronza, e sorride. Stronza e altezzosa, e sorride. Stronza, altezzosa, arrogante, assassina... Assassina? Rifletto. Ecco la scorciatoia che mi porta sulla buona strada. Tra un insulto e l'altro comincio a riconoscere l'accento. D'improvviso, sono io a sorridere.

"Interessante: e così fanno studiare anche voi in questo collegio. Magari è l’occasione per imparare come si ricostruiscono le case…"

La cugina arde di di odio e rancore: parla di mio padre e dei miei fratelli, colpevoli di averle ucciso i familiari. Alzo le spalle. e allora? non sei l'unica orfana di guerra. Potrei parlarti anch'io di mio padre e di come è stato ucciso, o di tanti altri genitori morti con e senza la spada in pugno. Servirebbe forse a qualcosa? Non sei disposta ad ascoltermi, proprio come io non intendo ascoltare te. Quello che vorresti fare, invece, è saltarmi addosso qui nel cortile. Eppure, vedo che ti trattieni. Come mai?

Alle galline non insegnano l’autocontrollo. A dispetto delle sue maniere da contadina manesca, questa ragazza non è una popolana. Quando le chiedo il nome risponde a improperi, segno che dev’essere insignificante. Il nome di suo padre, forse? seguono altri insulti: insignificante pure lui. Un Dominus forse, o magari un cavaliere. Perché sto sprecando il mio tempo con te, gallinella di Keib? Che siano i Padri di Noyes a farti da fattore. Riprendo il mio passo, ignorandola. Poi arriva la sfida, soffice come un guanto, sulla nuca.

“Dormi bene, stanotte".

Mi allontano senza voltarmi, soffocando il giullare impazzito che ride a squarciagola dentro di me. Dormi bene anche tu, cuginetta, sappiamo entrambe che ti manca il coraggio per fare alcunché.

Rosalie Lambert - Immagine 4
scritto da Rosalie Lambert , 20:08 | permalink | markup wiki | commenti (1)
 
7 novembre 518
Giovedì 27 Gennaio 2011

Caccia notturna.

Corte Fabris, signoria di Ratel, Baronia di Laon.


Testimonianza di Ernst Whale, contadino


Sono arrivati nel cuore della notte. Io e mia moglie stavamo dormendo, quando abiamo sentito forti grida che provenivano dalla casa accanto. Ho detto a Adelaide di restare a letto, mi sono alzato ed ho aperto la finestra per capire che stava succedendo.
Davanti, nell'aia, non c'era nessuno ed era buio pesto. Ma con la finestra aperta si sentivano meglio le grida dei vicini, che chiamavano aiuto, invocavano pietà.
"Ernst! Che sta succedendo!" mi ha chiesto Adelaide, saltando giù dal letto, "che cosa..."
"Chiuditi in cantina coi bambini", le ho ordinato. "Io vado a vedere".
Infilo gli zoccoli e la mantella, scendo le scale, mentre sento di sopra i passi trafelati di mia moglie che sveglia i piccoli, li infagotta in fretta, tranquillizzandoli a bassa voce. Rivolgo una silenziosa preghiera a Pyros, che ci protegga, poi prendo l'attizzatoio dal caminetto e mi avvicino alla porta di casa.
Da fuori le grida dei vicini continuano.
Spingo piano le imposte della finestra di cucina per dare un'occhiata all'aia, che è ancora deserta. Poi mi avvicino alla porta di casa e la apro.
E' una notte fredda e dall'odore di brina capisco che l'alba non è lontana.
La porta accanto alla mia è spalancata, da dentro scorgo della luce.
Noi siamo povera gente, nessuno qui chiude a chiave la porta, nessuno ha soldi da buttare per una serratura, e nessuno ha in casa niente di prezioso che valga la pena rubare.
Ma proprio mentre faccio questo pensiero, riconosco le grida di Clarisse, la figlia adolescente dei miei vicini. Un fiore delicato, un piccolo tesoro.
La prima a correre fuori dalla casa è una donna. La riconosco più dalla voce che dalla figura, che è infagottata in un mantello e in un'armatura. "Io vado al fienile!" sta dicendo lei, mentre avanza con una spada in mano ed una torcia nell'altra mano, "voi muovetevi subito ai cavalli!"
Mi passa accanto, non si accorge di me, provo a colpirla con l'attizzatoio.
Sbatto su qualcosa di duro, lei non sembra ferita. Si gira verso di me e mi punta la spada. "Sparisci, se non vuoi morire" mi dice. Serissima.
"Chi siete..." provo a domandare. Lei avanza di un passo nella mia direzione, costringendomi ad arretrare. "Sono Martha. Ora inizia a correre... e ringrazia che non ho tempo da perdere".
Che avrei dovuto fare? Sono un padre di famiglia, ho delle responsabilità verso i miei figli, verso mia moglie... senza di me loro sarebbero perduti.
Ho iniziato ad arretrare lentamente, sempre stringendo in mano l'attizzatoio.
Lei, Martha, avanza verso il fienile, all'altro lato dell'aia. Subito dietro di lei esce dalla porta un uomo armato, che mi rivolge un'occhiata arcigna. E immediatamente dopo ne esce un altro, con tra le braccia un grosso fagotto che si muove debolmente.
"Fermatevi..." provo a dire, ma la voce mi muore in gola. L'ultimo che esce dalla casa è il più grosso della banda, armato di mazza e con una faccia patibolare. Fa alcuni passi verso di me, mi vede incespicare all'indietro e scoppia a ridere.
Succede tutto velocemente. Martha dà fuoco al fienile, gli altri corrono verso le betulle in fondo all'aia, dove avevano lasciato dei cavalli. E si danno tutti alla fuga.
Aspetto qualche istante, ansimando. Poi mi faccio coraggio ed entro in casa di Georg, il mio vicino. Tutto tace.
"Georg..." provo a chiamare. "Sono io, Ernst..."
La casa è buia, si intravede solo un chiarore irregolare che proviene dalla cucina, che sta sul retro. Mi inoltro di qualche metro e sento odore di fumo. "Georg!" chiamo ancora, stavolta a voce alta. Entro in cucina. Una tovaglia sta bruciando, ed illumina le sagome sinistre di tre persone riverse a terra. Riconosco il mio amico, sua moglie e il figlio maggiore, un ragazzo di quindici anni. Stanno a terra, in una pozza di sangue.
"Oh, Dei..." mormoro, mi chino su di loro, nessuno respira. L'aria stessa si sta facendo più fumosa, tanto che ricordo finalmente di avere ancora in mano l'attizzatoio: prendo con la sua punta la tovaglia in fiamme, spingendola nel caminetto spento, prima che provochi un incendio.
"Il fienile..." mormoro amaramente. Per il fienile c'è poco da fare... eppure qualcosa bisogna fare.... Sono l'unico uomo della corte, ormai, e solo Pyros sa come potrò placare le fiamme.
Ai pozzi, al torrente, mobilitare gli uomini delle corti vicine.... ma proprio mentre sto per uscire da casa mi sento chiamare da una vocina debole. "Ernst... sei tu?"
Mi si gela il sangue nelle vene. E' il piccolo Gabriel, il più piccolo dei figli di Georg, un bambino di cinque anni. Lo vedo uscire tremante dal sottoscala, con i piedi scalzi e la camicia da notte indosso.
"Non guardare!" gli ordino.
"Sono... tutti morti, vero?" chiede lui.
Sospiro. "Vieni, ti porto a casa mia, Adelaide ti scalda un po' di latte".
"Tutti..." mormora lui, e mi segue a testa bassa.



Testimonianza di Samuel Horton, soldato

Quei bastardi hanno fatto l'errore più grande della loro vita, questo è poco ma sicuro.
Hanno sconfinato.
Lo sapevamo già che c'erano questi banditi, criminali sanguinari capeggiati da una donna, e che da qualche settimana non facevano altro che tormentare Navon, Luceen, quei posti lì. E non è che ci volesse un genio a capirlo, il problema era proprio legato a chissà che trascorsi tra questa banditessa, Martha, e Sir Andrè. D'altronde lo sanno tutti che è un donnaiolo, chissà che sarà successo tra di loro, per suscitare una simile voglia di vendetta.
Mah, fatti loro, dico io. Fatti loro e di quei poveracci villici di Sir Andrè, che come sempre ci vanno di mezzo... e comunque peggio per loro.
Ma stavolta Martha e i suoi complici hanno sconfinato. Attaccando Corte Fabris sono entrati nel territorio della Signoria di Ratel, e qui a Ratel non si scherza.
Magari, ironia della sorte, nemmeno se ne sono resi conto di avere sconfinato... ma al mio Dominus non interessa. Come non gli interessa se a capeggiare la banda è un bandito, una banditessa, un orco o un adoratore degli Dei oscuri. Si dice che in passato ne abbia fronteggiati a dozzine... chissà se è vero, ma potrebbe anche essere.
Ho portato io stesso la notizia al Castello, ed ho avuto l'onore di parlare con il Dominus in persona. Era tarda mattina, lui sedeva sul molo ai piedi delle mura, insieme a un paio dei suoi figli, ed insegnava loro a pescare.
Quando mi ha visto si è alzato, allontanandosi dai bambini per non farli sentire. Gli ho raccontato dell'assalto alla corte, del rapimento della ragazzina e dell'assassinio di quel contadino, della moglie e del figlio maggiore. Il Dominus ha ascoltato tutto con attenzione, adombrandosi poco a poco.
"Non possono passarla liscia", ha detto poi, quasi con rimpianto. "Stanotte li andiamo a stanare". Poi si è rivolto ai due ragazzini, ordinando loro di rientrare nel castello.
"Partiamo al tramonto, portami cinque tuoi compagni dei migliori. E che non abbiano paura dei cani".
Sento un brivido per la schiena. Il Dominus vuole utilizzare nella caccia i tremendi cani di sua moglie, Lady Dorothy. Che Harkel ci aiuti.
Poco prima del tramonto io e cinque dei miei compagni siamo davanti alle porte del Castello. Si sente l'abbaiare di molti cani.
Appena il sole è calato dietro l'orizzonte, le porte si aprono e Sir Porter esce dal castello, attorniato da una mezza dozzina di grossi segugi. Indossa una vecchia corazza di piastre sul tronco, braccia e gambe sono coperte da cuoio rinforzato. Non ha con sè lo scudo, ma soltanto due daghe alla cintura. Eppure sembra incredibilmente a suo agio con un simile equipaggiamento.
Trae da una sacca un vestito, lo fa annusare i cani e quelli iniziano a guardarsi intorno, poi tutti insieme prendono una direzione e iniziano a correre verso il bosco. Li seguiamo.
Sir Porter cammina insieme a noi, a piedi, e a un tratto è costretto a fermarsi a riprendere fiato. "Sono un po' arrugginito", commenta con un mezzo sorriso, "come le mie daghe".
I cani, quasi potessero intuire la volontà del Dominus, rallentano il passo, anche se continuano a muoversi senza esitare nella stessa direzione, verso sud, lungo il fianco di una collina.
Raggiungiamo il crinale quando il cielo è ormai scuro, e le prime stelle iniziano a brillare tra le nuvole.
La zona boscosa che divide Ratel da Navon è ampia e fitta, attraversata da pochi sentieri. Offre infiniti ottimi rifugi a dei fuggiaschi, e senza un valido aiuto cercare Martha e i suoi compari sarebbe come trovare un ago in un pagliaio.
Ma per fortuna noi abbiamo un aiuto, un aiuto spaventoso e quasi sovrannaturale: i cani di Lady Dorothy non conoscono esitazione, e appena raggiunto il crinale iniziano la discesa muovendo lungo il percorso meno intuitivo, il più scoperto e diretto verso Sud.
Poco a poco i cani iniziano a manifestare un'eccitazione crescente, sembra che la preda sia vicina. Sir Porter ci fa cenno di tenerci pronti, avanziamo di buon passo verso il nemico con le armi in pugno.



Testimonianza di Josh "Manigrosse" Kayafils, bandito

E' stato un attacco improvviso e velocissimo.
Ci sono piombati addosso prima i cani, circondandoci da ogni parte. Poi gli uomini, cinque o sei in tutto, capeggiati da un vecchio combattente armato di due daghe che poi, con sorpresa, ho scoperto essere il Dominus di Ratel.
Abbiamo avuto il tempo di prendere le armi prima che ci arrivassero addosso, Martha ci ha gridato di resistere e di mandarli all'inferno, Robert ne ha steso uno con un colpo fortunato alla gola.
Ma ben presto ho capito che era persa.
Caduto il soldato, su Robert si è scagliato quel vecchio demonio, con due daghe ed un'agilità sorprendente per la sua età. L'ha colpito ripetutamente, fino a lasciarlo a terra rantolante.
Io ho subito gettato la spada gridando "mi arrendo! mi arrendo!" mentre quella pazza di Martha corre verso la ragazzina, le punta la spada sotto la gola urlando ai nostri assalitori di andarsene, altrimenti l'avrebbe sgozzata.
Ho colto un attimo di esitazione nei loro sguardi, ma poi il vecchio senza tanti complimenti fa due passi verso Martha. "Non peggiorare la tua situazione, è già abbastanza brutta".
"Avvicinati e l'ammazzo!" insiste lei, ormai come impazzita.
"Lascia la ragazzina e getta la spada"
"Mai!"
Accade contemporaneamente: lui trafigge Martha, mentre Martha colpisce alla gola la ragazzina.
Il resto è storia. Sia Martha che la ragazzina sono sopravvissute, l'una è stata portata come me prigioniera al castello di Sir Porter, l'altra rispedita a casa sua. O a quel che ne è rimasto.
Lungo la via del ritorno, il soldato che mi aveva in consegna aveva voglia di parlare.
"La cosa che mi piacerebbe sapere" mi dice mentre avanziamo per il bosco al lento passo dei feriti, "è se avevate capito sì o no di aver sconfinato nel territorio di Ratel"
Scuoto il capo. "Non sono di queste parti", rispondo.
"Eh... è stato un grosso errore, credimi. Il nostro Dominus è una persona tranquilla, ma non gli si possono fare sgarri, altrimenti si paga amaramente".
Non ho niente da dire, in effetti pagheremo amaramente, penso tra me. Ma il soldato insiste con le sue domande.
"E come mai stavate facendo guerra a Navon? Era un problema personale tra la vostra capobanda e il Dominus?"
Mi stringo nelle spalle. "So che si conoscevano, sì. Non conosco però i loro trascorsi".
"Ehh... quel Sir Navon, lo dicono tutti che era un donnaiolo... sembrava avesse messo la testa a posto, ultimamente, ma poi con tutto quel che gli è capitato..."
POvero me, mi è toccata una comare come sorvegliante, invece di un soldato.
"Non lo so", rispondo tentando di chiudere in fretta. "Non ne ho idea nè mi è mai importato qualcosa".
"Ah... ma della ragazzina sì, te n'è importato eccome, eh?"
Lo sapevo, lo sapevo che era lì che sarebbe andato a parare. E questa sua morbosa curiosità non lo rende poi così migliore di me, questo bastardo.
"Vuoi sapere se l'ho stuprata anche io?" gli domando.
Lui esita, si volta a guardarla, a guardare quella poveretta che avanza zoppicando al fianco del Dominus, avvolta in un mantello non suo. Poi annuisce.
"L'hai fatto?"
"Sì, l'ho fatto. E se non la smetti di fare domande, toccherà presto anche a tua sorella", rispondo tranquillo.
"Eh?", il soldato trasale: "non ti permettere a dire mai più una cosa simile!"
Non dico più nulla.
Tutto questo è già abbastanza penoso.
La nostra grande fuga, iniziata a Spandel qualche mese fa, si conclude qui, nelle prigioni del castello di Ratel.
scritto da Annika , 14:19 | permalink | markup wiki | commenti (2)
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