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creato il: 03/08/2007   messaggi totali: 84   commenti totali: 80
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13 maggio 518
Giovedì 24 Aprile 2025

Non è mai successo



Piove.

Non è la solita pioggia lieve a cui siamo abituati in questo periodo dell'anno. Questa è una pioggia solenne, violenta, gonfia di elettricità e cattivi presagi. I fulmini lacerano il cielo sopra le torri spezzate della Rocca di Tramontana come artigli divini, e il tuono ruggisce con voce di collera antica.

E non posso fare a meno di pensare all’ironia di tutto questo.

Per mesi abbiamo osservato questo bastione nero ergersi sul versante opposto del Traunne, come un dente marcio incastonato sul limitare del Corno del Tramonto. Tra reclute facevamo scommesse su quante stanze avesse, su quante ricchezze avremmo avuto modo di agguantare qualora fossimo riusciti a oltrepassare quelle mura. «Scordatevelo», ci diceva Acab ogni volta che quei propositi giungevano alle sue orecchie. «Questa guerra può finire in vari modi, ma una cosa è certa: quella fortezza non cadrà». Il tempo gli diede ragione, come sempre. A tre anni e due guerre di distanza mi ritrovo ancora qui, a scrutare il profilo di quei baluardo maledetto... e, ironia delle ironie, l'occasione più concreta di varcare la sua soglia — e coronare il sogno taciuto che io e mia sorella abbiamo covato per anni — me la trovo tra le mani adesso, sotto un cielo che minaccia tuoni e lampi, fianco a fianco di un pugno di soldati di Uryen. Quelli che un tempo, dalla riva opposta del fiume, osservavamo esercitarsi con movenze eleganti e ordini gridati come canti, mentre noi stringevamo i denti nell'ombra, bestemmiando sottovoce per non farci sentire dai caporali. Quelli che avevano gli scudi dipinti e le corazze lucidate, mentre noi contavamo le frecce rimaste come i pidocchi in testa. E oggi... oggi sono loro i miei compagni. Le mie spalle. I miei pari. O forse no. Forse non siamo pari. Sono ancora una soldataccia dell'Armata del Corno, figlia bastarda della disfatta, condannata a marciare sempre un passo dietro alla gloria e alla vittoria. Ma stanotte, sotto la bufera che sta per scatenarsi, nessuna uniforme esiste più. Nessun rango ci proteggerà.

Ed è questo, forse, il paradosso più crudele: ci voleva una follia come il Morbo dei Risvegliati, o il progetto di uno scienziato pazzo che si è messo in testa di sconfiggere la morte a colpi di bambini torturati... per farci combattere fianco a fianco. Non una tregua, non una pace firmata con cera e sigilli, ma un orrore così profondo che ha scavato un buco nelle nostre rivalità, nel quale siamo precipitati tutti insieme.

«E' tempo», dice Kalina, comparsa alle mie spalle come un'ombra che respira. Ogni sillaba le esce con la grazia di un coltello: morbida, letale, inevitabile.

«Ci vediamo dentro», la saluta Bohemond, senza ottenere risposta. La osserviamo allontanarsi, silenziosa come la morte, diretta verso l'ingresso. Se tutto va come pianificato, tra poco Orstein Bach morirà per mano sua. Restiamo a contare i minuti, divorati dall'attesa.

Morna è in disparte, lontana da noi: è lei la responsabile di questo inferno di vento e pioggia. La immagino con gli occhi al cielo, le braccia aperte come a farsi penetrare dai venti, una statua di epoche remote come quelle scolpite nelle mura dei palazzi di Angvard.

Anche Annie, la Pristina della Mantide, non è qui: si trova a qualche centinaio di metri a est con due Risvegliati al guinzaglio. Quando è tornata al campo, poco fa, sembrava portarli a spasso neanche fossero una coppia di cagnolini. Dunque era proprio vero... Acab aveva ragione anche su questo: possono controllarli, li hanno sempre controllati. Avevamo accettato di aiutare Ghaan pensando che fossero vittime degli empi e sacrileghi stratagemmi di Marvin Barun e Logan Treize, e invece sono stati proprio loro, gli Eredi dell'Avamposto, a trasformare quelle abominevoli creature in armi di guerra. Maledetti.

Vicino a me, Kailah sta respirando piano, misurata, come se ogni respiro fosse l’ultimo. Sven la osserva con la solita espressione torva. Engelhaft sta in ginocchio, farfugliando parole sacre che si mescolano al rumore della pioggia: un'ultima preghiera prima di entrare in azione. Bohemond guarda in alto, verso i fulmini. Colin non sembra nervoso: fruga nella sua borsa, come per accertarsi di non aver dimenticato nulla. Chissà se pensa ai rischi che sta correndo Annie, nella pur auspicabile ipotesi in cui due o tre Pupilli abbocchino alle sue esche. Garruk aspetta impassibile, l'ascia serrata nella morsa delle sue enormi mani. Non sono soldati comuni, questo è certo: c'è in loro una fierezza che non si può ignorare. In mezzo a queste lame temprate dal fuoco, mi sento come il nodo di una corda troppo tesa. Sotto l'armatura e i voti da combattente volontario dell'Armata del Corno sento il gelo della sorte cingermi la schiena: anche nella migliore delle ipotesi, non torneremo tutti. Nella peggiore, non tornerà nessuno.

Il temporale monta, grondando nel cielo come un presagio. All'improvviso, le nubi si squarciano, esplodendo in un boato che scuote l'aria: un fulmine impietoso fa breccia sulle guglie della Rocca, proprio sopra al portone d'ingresso dell'Asilo. E' il momento.

«Compagne, compagni, è stato un onore», esclama Garruk, gettandosi per primo nella tempesta che adesso infuria dinanzi a noi. Quell'uomo ha fatto a pezzi troppi volti amici perché io possa dimenticarlo... eppure in questo momento non riesco a mettere a fuoco neanche una goccia del sangue di cui si è macchiato. Vedo solo un soldato che cammina senza voltarsi verso morte certa, e che per questo merita rispetto.

Ci muoviamo anche noi, puntando all'Asilo. Il nostro piano è semplice: avanzare protetti dalla tempesta, aspettare che un secondo fulmine crei un'apertura sul muro di quella che Colin ha chiamato "Sala dell'Analisi", e poi entrare. Ciò che accadrà dopo non lo sa nessuno ma grosso modo si tratta di raccogliere prove, distruggere sostanze pericolose e ammazzare il personale, ovvero le guardie e i topi di biblioteca. Solo loro, però: chiunque arrivi a difendere l'Asilo da fuori deve continuare a respirare, innalzati compresi. Se tutto andrà bene, Kalina farà fuori lo scienziato pazzo e ci aiuterà a varcare la porta sigillata all'ultimo piano, che di certo conterrà le schifezze peggiori. E se invece dovesse andare male... Beh, ho ancora tre giri di arcolaio da potermi giocare.

Posso concederti il potere di riavvolgere il tempo fino a TRE volte. Tutto ciò che dovrai fare sarà pensarlo, e le trame dell'evento che vorrai evitare si riavvolgeranno del tempo necessario per consentirti di evitarlo. Mi farai uscire?

Lo so, avrei dovuto rispondere diversamente: alla prova dei fatti non mi sono mostrata poi così diversa dallo scienziato pazzo e dai ricercatori di Ghaan. In un mirabile scherzo del fato, proprio mentre il mio cervello si arrovella sul criptico patto col diavolo che mi è stato proposto su quel ponte sospeso sul nulla dove Morna ci ha trascinati, la scritta sulla cancellata dell'Asilo emerge dall'acquazzone, palesandosi di fronte a noi: EXITUS ACTA PROBAT. Che poi, a quanto ci spiegava Kalina, non è che un modo più pomposo di declamare una delle massime preferite dell'Armata del Corno: "se la birra è buona, nessuno chiede con che acqua l'hai fatta". Questi siamo.

«Di là», ci fa segno Colin, l'unico che ha una vaga idea di dove andare. Avanziamo quasi alla cieca, i passi ovattati dal fango e dal ruggito costante della tempesta. L'acqua mi penetra ovunque, infiltrandosi tra le placche dell'armatura come dita gelide. Mi chiedo come se la cavino gli Innalzati in mezzo a tutto questo casino: magari anche i loro sensi aumentati vacillano sotto la furia degli elementi... Speriamo di scoprirlo il più tardi possibile.

Il cielo ruggisce come una bestia ferita, e per un istante ogni suono viene inghiottito da un silenzio sospeso: poi, immediatamente dopo, il fulmine colpisce la parete di pietra di fronte a noi con la forza del giudizio di una divinità incazzata a morte. Una lama di luce che lacera l'aria con uno stridio sovrannaturale e si abbatte contro il fianco dell'Asilo con forza e precisione spaventosa. Il fragore è talmente violento che sento le ossa vibrare, mentre schegge roventi si alzano nel cielo come pioggia rovesciata, vomitando un fiotto di luce accecante a pochi passi da noi.

Per alcuni istanti la breccia è soltanto fumo, polvere e ombre danzanti. Poi il vento spazza via quel velo, mostrandoci i contorni anneriti di una ferita scavata nelle carni della fortezza più inviolata delle Lande.

«Che spettacolo», esclama Kailah, visibilmente impressionata da questa formidabile manifestazione di potere magico.

Pochi istanti dopo, siamo dentro. Nella stanza ci sono due persone che capiscono rapidamente di essere di troppo. Sven ne zittisce uno, io e Bohemond ci avventiamo sull'altro che riesce a cacciare un urlo prima di crepare.

«Con questi si poteva, giusto?» chiede Sven per scrupolo, a cose ormai fatte: «sono CHIARAMENTE vestiti da studiosi».

«Alchimisti», conferma Colin, suscitando un sospiro di sollievo generale. Il tempo di raccogliere alcune prove e siamo pronti a proseguire.

La stanza successiva, quella da cui erano arrivate le guardie, secondo Colin contiene parecchie cose da distruggere. Quando entriamo non c'è anima viva, i ricercatori hanno fatto in tempo a fuggire. Mentre Colin inizia la sua opera, Bohemond, Sven ed Engelhaft si posizionano a presidio delle due aperture, preparandosi a ciò che inevitabilmente accade di lì a poco: tre guardie fanno il loro ingresso con le armi in pugno, tutte dall'apertura presidiata da Sven. La prima, grande e grossa, riesce a sorprenderlo con una mossa rischiosa, facendolo arretrare e consentendo l'accesso alle altre due. Una la affronta Bohemond, l'altra la prendiamo io ed Engelhaft. Armi lunghe. Mentre scambiamo i primi colpi, non riesco a non pensare al fatto che, se la sorte dovesse voltarmi le spalle, potrei morire con i tre giri di arcolaio ancora in canna. Sarebbe davvero uno spreco, specie considerando il prezzo che ho pagato - che ho messo in conto al Continente - per concedermi questa opportunità. «Se la cavano», esclama Sven, subendo un colpo fortunatamente innocuo... e ha ragione. Io vengo ferita al braccio, Bohemond evita per miracolo un colpo diretto al volto: poi la ruota gira, Sven colpisce il suo avversario alle gambe e di lì a poco riusciamo ad avere la meglio.

«Anche questi mi confermate che...» domanda Sven, trovando rapida conferma da Colin. E sono quattro.

Prove raccolte e materiali distrutti, è ora di muoversi. Torniamo nella sala da cui siamo entrati e da lì tagliamo per il corridoio, che diventa teatro di un altro scontro. Riusciamo ad avere la meglio, ma non a impedire che la porta che dà alla Sala Centrale, dove si trovano le scale, venga chiusa a chiave. Sembra robusta, quindi provo a scassinarla: tempo perso, visto che gli stronzi ci hanno spezzato la chiave dentro. Alla fine riusciamo a sfondarla ma perdiamo un sacco di tempo, e quando riusciamo a entrare troviamo quattro guardie pronte a riceverci, armate fino ai denti.

«Nessuno di loro ha le insegne di Uryen», fa notare Colin... il che è ovviamente un'ottima notizia, perché non c'è tempo per trattenere i colpi. Ma dobbiamo far presto, prima che possano arrivare rinforzi dalla Rocca. Il combattimento è cruento e coinvolge tutti. Ben presto imbarchiamo i primi danni seri: Bohemond resta ferito a un braccio, Kailah a una gamba, Colin al ventre. Engelhaft, con una torsione secca del bastone, colpisce alla tempia l'aggressore di Colin, salvandogli la vita e spegnendo la minaccia in un colpo solo. Alla fine i nostri avversari hanno la peggio, ma proprio quando lo scontro si conclude a nostro favore accade qualcosa che ci impedisce di festeggiare.



È probabile che ci abbiano visti combattere. Uno dalla sommità delle scale, l’altro da qualche fenditura nel muro. Forse potevano intervenire prima, in soccorso dei loro uomini... ma non l'hanno fatto. Si sono limitati a osservarci, come falchi appollaiati sul bordo di un dirupo, aspettando il momento migliore per colpire. Hanno studiato le nostre armi, le nostre distanze, la fatica che i fendenti scambiati ci hanno cucito addosso. E poi, come un colpo di vento improvviso che schianta un albero già provato dall'inverno, sono piombati su di noi.

Il primo dei Pupilli cade addosso a Bohemond, gettandosi dalle scale con grazia e velocità implacabili. E' una ragazza. Si lancia verso lo scontro senza esitazioni, come se la paura fosse qualcosa che le hanno estirpato insieme all’infanzia. Il corpo sottile si piega con eleganza innaturale, le braccia aperte come ali. Ciocche di capelli biondi, fradici e incollati alla fronte, le scivolano sugli occhi, nascondendo gran parte di un viso smunto e scavato. Un tempo, prima che il sangue che le scorre nelle vene la rendesse un'ombra spettrale, doveva essere bellissima: lo si intuisce nelle linee, nel taglio delicato della bocca, nella simmetria crudele delle guance spigolose. I suoi occhi sono spenti, vuoti, due pezzi di vetro immersi nell'acqua stagnante. E mentre si abbatte su di noi, capisco con un brivido che non sono la rabbia o l'odio nei nostri confronti a muoverla, ma la muta obbedienza a un volere che non conosciamo.

Il paladino non ha modo di opporre lo scudo e viene colpito una, due, tre volte: i colpi investono la corazza come gocce di pioggia, aprendo squarci vermigli sul torace e sul ventre. Engelhaft è lesto a prendere il suo posto, ma anche lui non può farcela da solo. Sven vorrebbe aiutarlo, ma un secondo Pupillo piomba su di lui con la rapidità di una vipera: un ragazzo, biondo anche lui, ma con tratti più duri e affilati - e un lampo di ghiaccio negli occhi. Anche lui, come la sua compagna, non emette un suono né tradisce alcuna emozione: due gemelli cresciuti nell’ombra, speculari nella ferocia e nell’innaturale controllo dei loro corpi.

Sven riesce a parare il primo colpo. Il ragazzo non pesa quanto lui, non ha la forza di un uomo temprato dal campo, ma ogni movimento è preciso, studiato, efficiente. Non spreca un solo gesto, non arretra, non sbaglia. E soprattutto: non si stanca. Con l'arma in pugno Sven è probabilmente il più forte di tutti noi, è la prima volta che lo vedo in difficoltà. Il giovane Innalzato non lo sovrasta con la forza né con la tecnica, ma con una fredda e implacabile regolarità. Sven prova a schivare un fendente basso e risponde con un affondo mirato alla gola: il Pupillo lo anticipa, scarta di lato, quindi rotea su sé stesso e lo colpisce alla spalla con una violenza che fa scricchiolare l’armatura. Sven vacilla. Morde un’imprecazione, poi arretra, cercando spazio. Mi affianco a lui mentre Colin, benché ferito, prova a dare una mano ad Engelhaft, ma sappiamo entrambi che si tratta di un tentativo velleitario: non siamo all'altezza di queste creature.

Sven viene ferito alla gamba, quindi trafitto da un terribile affondo al ventre che lo costringe ad abbandonare l'arma e accasciarsi al suolo. Di lì a poco è la volta di Engelhaft, raggiunto da un altro colpo mortale. Infine, tocca a me: non riesco neppure a vedere la lama, sento solo il dolore lancinante e il calore del sangue che comincia ad abbandonarmi mentre le gambe mi costringono ad accasciarmi al suolo.

«Arrendetevi», esclama la ragazza: «gettate le armi e sdraiatevi a terra». Di fronte a lei Bohemond si sforza di riprendere fiato, sanguinando copiosamente.

«Sei Freya, vero?» le chiede Kailah. L'innalzata la scruta con i suoi occhi inespressivi. «Non siamo qui per farvi del male. Siamo amici di Vodan... Tuo fratello. Lo conosciamo, abbiamo combattuto insieme. Siamo venuti qui per voi, per liberarvi da questa maledizione. Non sei sola. Lui non avrebbe voluto... che finisse così».

"Freya" non risponde subito: il volto resta immobile, contratto in quella maschera di pietra scavata dalla sofferenza, ma nei suoi occhi, qualcosa si incrina. Un battito, una minuscola crepa nel gelo. Poi parla, con una voce che non è più quella di una bambina né ancora quella di una donna, ma un’eco spezzata, come se le parole le si staccassero dalle labbra a fatica.

«Vodan è morto. Ed è morta anche Freya.»

La pioggia sembra rallentare per un istante. Kailah resta immobile, scossa.

Bohemond, invece, decide che non c’è più nulla da dire. Si lancia avanti, sollevando la spada con le ultime forze che gli restano, in un ultimo, disperato assalto.

Freya non si volta, non si sposta, non urla. Con un movimento secco, preciso, si abbassa, rotea la spada sulla testa e sferra un colpo che non ha niente di umano. La lama, coperta di sangue, risale a tracciare un arco che fende l'aria in mezzo a noi: subito dopo, il corpo di Bohemond crolla a terra in una pozza rossastra.

«Arrendetevi», ripete Freya con voce ferma, meccanica, priva di emozione: «gettate le armi e sdraiatevi a terra».

Kailah tenta nuovamente di dire qualcosa, ma l'altro Innalzato la interrompe. «Basta parlare», esclama puntandole la spada al volto. «Fate come dice, o morirete qui e ora». Parole di circostanza, un rito vuoto che prelude all'inevitabile esecuzione che ci attenderebbe qualora dovessimo scegliere la resa. Ma che alternativa abbiamo, sconfitti e moribondi come siamo? L'unica speranza è che Morna, oltre al temporale, possa calare qualche altro asso. Ma anche quell'illusione ci viene strappata dal petto nel momento in cui il portone dell'Asilo si apre, rivelando le sagome di Alfiere e Regina. E tra di loro, trasportato come un trofeo spezzato, il corpo esanime di Morna, la testa reclinata in avanti, i capelli grondanti pioggia e sangue.

«Ben fatto», commenta il Pupillo che ha affrontato e sconfitto Sven con un cenno di approvazione. Regina alza lo sguardo verso di noi, la pioggia che le scivola lungo il volto come lacrime che non può più versare. Non parla. Non ne ha bisogno. I suoi occhi incrociano i miei, e in quello sguardo, per un istante, c’è qualcosa di... umano. Di stanco. Di dispiaciuto. Mi dispiace, sembra dire. Mi dispiace, ma è finita.

Kailah crolla in ginocchio. Colin le sussurra qualcosa, ma la sua voce è inghiottita dall'ennesimo rombo di un tuono. Engelhaft, coperto di sangue ma ancora vivo, osserva immobile la scena, lo sguardo perso sul cadavere di Morna, come in attesa di un ultimo bagliore salvifico. Ma il fuoco della maga si è spento, a differenza del temporale che ancora infuria a pochi passi da noi. E in quel frastuono comprendo che la nostra parte è finita: nessun fulmine ci salverà, nessun incanto ribalterà l'esito funesto della nostra spedizione.

I due Innalzati artefici della nostra disfatta si voltano nuovamente verso di noi, scrutandoci uno a uno come per capire il da farsi: per Sven, Bohemond, Engelhaft e me non c'è speranza, agli altri forse toccherà marcire qualche giorno in prigione prima dell'inevitabile... L'inspiegabile senso dell'onore di cui sono dotati non sembra renderli propensi a risolverla qui e ora, in fretta e in modo indolore. Magari cambieranno idea quando si accorgeranno che lo scienziato pazzo è crepato, nella speranza che almeno Kalina sia riuscita a svolgere il suo compito.

Dovrei farlo adesso, finché sono ancora cosciente: da un momento all'altro rischio di perdere i sensi. Eppure, qualcosa dentro di me mi spinge ad aspettare. Non ancora. Ripenso ancora una volta alla formula che ho accettato: Tutto ciò che dovrai fare sarà pensarlo, e le trame dell'evento che vorrai evitare si riavvolgeranno del tempo necessario per consentirti di evitarlo. Per consentirmi di evitarlo. Come posso impedire a questa disfatta di ripetersi? Ho bisogno di informazioni, devo...

«Notizie sulla Pristina della Mantide?» chiede il Pupillo.

Regina scuote la testa. «E' andata come avevi previsto: ha ucciso Fante ed è scappata: Cavaliere la sta seguendo, ma gli abbiamo detto di non ingaggiarla. Noi... abbiamo preferito... far fuori la maga». C'è una punta di incertezza nelle sue parole, come se non fosse sicura.

«Avete fatto bene: adesso però andategli dietro. Ricordate che Orstein la vuole viva». Poi torna a rivolgere la sua attenzione verso di noi.

Sorrido, sforzandomi di ignorare il dolore. Hai capito, Annie... Ne ha persino fatto fuori uno. Non mi sorprende che lo scienziato pazzo la voglia viva. Il dolore si fa sempre più intenso. Il pupillo mi guarda e comprende che è arrivato il momento di concedermi un ultimo, definitivo atto di pietà. Lo osservo mentre si avvicina, alzando la spada ancora lorda del sangue di Sven.

Non posso attendere oltre: mi dispiace, giovanotto, ma mi tocca declinare l'invito. Magari... la prossima volta.

E poi urlo quelle parole maledette, sperando con tutto il cuore che non si tratti soltanto di una gigantesca presa per il culo.



Kristen Valak - Immagine 01
scritto da Kristen Valak , 18:29 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
14 maggio 518
Giovedì 15 Ottobre 2009

Risposta.

Mia spiritosa benefattrice,
siate pur certa la fiamma che arde nel mio cuore è dono di Pyros, come l'occhio di Kayah è il brillante che orna la mia collana.
Mia, sì. Perchè se questa vostra strana e pietosa lettera ha come scopo quello di reclamare indietro il dono che mi faceste, beh... avete consumato inutilmente dell'inchiostro.
"Ricorda sempre quello che sei". QUale condanna peggiore, quale insulto peggiore potevate immaginare per una donna come me, dalle origini tanto umili? Eppure sono orgogliosa di dimostrarvi che no, non solo non ricordo quello che sono, ma che non sussiste più alcun legame con la mia misera vita passata. La mia collana è stata la fonte del mio coraggio, grazie ad essa ho ricordato non "chi sono", ma "chi sarei potuta essere". E lo sono diventato realmente.
Non capisco quanto siete seria, nella vostra lettera. Non capisco di cosa vi scusiate, non capisco cosa vi affligga.
Non ho bisogno di aiuto nè di protezione, so badare a me stessa, so bastare a me stessa.
E non sono mai stata tanto fiera di me.
Solice. Ecco finalmente il vostro nome, un nome che non ho mai sentito. Realmente mi incuriosite. Perchè un simile dono? Perchè adesso una lettera tanto incomprensibile?
Chi siete, Solice, cosa vi muove?
Dopotutto mi piacerebbe scoprirlo.
scritto da Lynn , 21:57 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
15 maggio 518
Sabato 19 Settembre 2009

Un'esperienza.

Strane persone.
Lady Nina mi aveva avvisata, d'altronde, che sarebbe stata un'esperienza. Per le cose che abbiamo fatto, effettivamente avventurose, ma soprattutto perchè ho avuto modo di conoscere più da vicino degli "avventurieri". Beh, se prima avessi avuto dei dubbi, ora so che la loro non è una vita che fa per me.
Le ragazze sono simpatiche.
Desiree specialmente è una persona cordiale, alla mano, molto gentile. E' stata la prima a parlarmi, e mi ha dato l'impressione di rendersi conto dell'originalità dei suoi compagni. Sicuramente è la più normale tra tutti quanti, l'unica con cui penso che potrei, con un po' di tempo, diventare amica.
Solice anche è gentile e disponibile, ma il fatto di essere una paladina me la fa sentire più distante, più lontana dal modo semplice di vedere le cose che ho io, che ha la gente qualunque.
Ma devo dire sono i ragazzi quelli più curiosi, che più mi hanno messa in difficoltà.
Loic ed Elias, specialmente.
Molto legati, molto amici, ma con una strana attitudine non paritetica, come se Elias considerasse Loic una sorta di guida spirituale, o qualcosa del genere. Tant'è che ha cambiato atteggiamento verso di me a un certo punto, inizialmente era molto cortese, garbato (a parte un po' goffo quando mi è cascato addosso nella galleria), e poi, dopo aver visto l'attitudine di sufficienza con cui mi trattava il "signor Loic", ha iniziato a sua volta a essere spocchioso nei miei confronti.
Eric è un tipo taciturno e burlone, sembra sempre un po' distaccato dagli altri, come se sapesse sempre qualcosa che gli altri ignorano, e fondamentalmente glie ne importasse comunque poco. Con me è sempre stato gentile, anche se poco socievole.
Guelfo... strano, forse quello che mi ha messo più paura. Apparentemente piuttosto cordiale, anche se sempre con una certa vena derisoria, di colpo ha scatti di collera spropositati, fa minacce molto gravi (non a me direttamente, per fortuna), e insomma sembra uscire dai gangheri con enorme facilità. Da come parla, sembra essere uno studioso di arti occulte, forse uno stregone. E uno stregone iracondo e impulsivo è un tipo di persona che mette davvero inquietudine! Io credo che gli siano capitate molte disavventure, solo così si spiega una simile attitudine verso il mondo...
E infine... Youri.
Beh, bel tipo. Silenziosissimo, chiuso e molto più grande di età degli altri, a volte mi è sembrato che parlassero di lui come del loro "capo". Beh, io immaginavo che un capo fosse il rompiscatole principale di un gruppo, quello che decide, parla, dice, ordina e così via. Invece raramente ho visto una persona discreta e taciturna come lui. Poche parole, ma sempre presente e attento. Secondo me dietro quello sguardo schivo nasconde un passato davvero interessante. Peccato che non me lo racconterà mai.
Adesso sto qui a Adison Hill, in ansia per la mia signora e i miei compaesani. Ma ho fiducia in Sir Hector, e anche in quella strana combriccola di avventurieri con cui sono arrivata fin qui.
Prego Dytros che il bene trionfi... e sono orgogliosa di aver dato il mio piccolo contributo.


scritto da Claire , 02:25 | permalink | markup wiki | commenti (4)
 
14 maggio 518
Venerdì 10 Luglio 2009

Aspettando l'alba.

L'infelicità assume di notte una colorazione diversa. E' come se rilucesse nel buio, ricoprendo la stanza e il lento scorrere del tempo di una patina bluastra e luminescente, fredda. Si insinua tra le coperte, simile ad un'onda lenta di marea, raggiunge il cuore e si ferma lì, a pesare.
La sento su di me, questa mano fredda che stringe appena la gola, e non ho la forza di ricacciarla indietro. Mi abbandono invece ai ricordi, lasciando che continuino a ferirmi.

Quante volte le mani di Derek mi hanno cinto il collo? Calde e ruvide, coi calli provocati dalle briglie strette per ore e ore ogni giorno.
Allora pensavo fosse soltanto un corriere della Posta Granducale, il migliore, il più rapido e generoso. Ignoravo la sua seconda vita, la "Rosa Bianca", e tanto più ignoravo forse la sua terza vita, il Tradimento.

Ho scoperto più cose su di lui morto di quante non ne immaginassi finchè era in vita. Credevo di conoscere l'uomo che amavo, ma a volte adesso non riesco più a separare i nostri ricordi più belli dal viso incomprensibile dello sconosciuto che ha preso il suo posto.

Derek.
Fingevi anche in quella notte in cui mi hai salvata dal rimorso e dallo strazio eterno? La notte in cui mi hai ridato speranza e vita, in cui hai rimediato al più spaventoso errore che io potessi commettere?
Eri tu o era soltanto una tua maschera l'uomo che galoppava nella tormenta con quel bambino moribondo tra le braccia? Eri tu. Eri tu, Derek... o veramente sono cieca, veramente potrei strapparmi questo cuore e non cambierebbe nulla, perchè è un cuore incapace di distinguere il bene dal male.

L'infelicità consiste nel vedere con chiarezza i propri limiti.
Ed io li vedo, adesso. Riconosco la paura, la debolezza, la contraddittorietà dei miei desideri.
Sei morto, Derek? Sei vivo e traditore? Se tu tornassi da me... sarei disposta a perdonare?

Ieri, mentre cercavo di contattare i ragazzi di Chalard, sono passata alla Stazione di Posta. Ho rivisto il piccolo Josh, mi è venuto incontro tutto sorridente, e l'ho abbracciato. L'ho rivisto per un istante com'era quella notte, bianco, devastato dal vomito, minuscolo tra le tue braccia. Talmente stremato da non avere più nemmeno la forza di piangere. E adesso ha quattro anni, è forte e grassottello, con gli occhi pieni di vita.

Non ci credo, Derek. Non sei un traditore. Ma non riesco nemmeno ad accettare il pensiero che tu possa essere morto, e mi attacco a tutto, anche alle più orribili delle illusioni, pur di avere la speranza di rivederti ancora.

I ragazzi venuti da Chalard sono nei guai, e vorrei tanto riuscire ad avvertirli. Ma come fare? Alla stazione di posta non si sono fatti vivi, nè io posso tornare al Gatto Nero e farmi vedere insieme a loro. Devo trovare un modo... un modo per aiutarli. Non posso deludere anche loro.


scritto da Gailyn , 11:25 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
3 maggio 518
Lunedì 22 Giugno 2009

.. tardi!

Al galoppo raggiungo la tenuta Dillon, nei pressi di Flavigny.
L'aria è limpida, le colline tutto intorno ricoperte da vigneti e ulivi in fiore. E' l'essenza stessa della primavera, la vedo intorno a me e la sento dentro di me, che ribolle piena di promesse. Percorro il sentiero che attraversa la tenuta, supero una strana faglia nel terreno, oltrepasso un piccolo villaggio.
Ed ecco il Palazzo, poco oltre, severo e tanto solenne da farmi battere forte il cuore. Mi sento terribilmente piccolo mentre busso al portone, una semplice guardia civica che osa... no, non posso nemmeno pensarci.
Viene ad aprirmi un domestico, un signore anziano.
"Perdonatemi, il mio nome è Peoh Blood e vengo da Laon. Sono qui per fare visita a Lady Desiree..."
L'uomo mi guarda incuriosito, esita qualche istante e poi risponde: "Milady è partita da pochi giorni, messere"
"Partita? E per dove?" non riesco a nascondere la profonda costernazione che si abbatte su di me. Ma come, parlava nella sua lettera di un periodo di quiete, di tranquillità nella sua tenuta...
"Non ne sono al corrente, e comunque milady non mi autorizza a dare indicazioni sui suoi viaggi. Spiacente".
Sbaglio o noto un sorriso di compiacimento in questo servitore? Sta forse ridendo sotto i baffi? Ride di me? E' contento della mia delusione?
"Sono un amico di Lady Desiree, e sono certo che lei mi direbbe do..."
"Non sono stato avvisato della vostra visita, messere. Quindi vi prego di non insistere".
"C'è suo fratello, Messer Guelfo?"
Il servitore sorride e scuote il capo. "Spiacente, è assente anche lui".
"E nessun modo per contattarli?"
"Beh, se proprio volete potete lasciare a me un messaggio, e quando torneranno glie lo consegnerò", mi risponde. Nei suoi occhietti leggo curiosità e indiscrezione, sono certo che qualsiasi cosa affidassi alle sue mani sarebbe da lui letto e sbeffeggiato.
"Non importa. Ditemi il vostro nome, comunque. Così quando avrò finalmente l'occasione di parlare con Lady Desiree potrò dirle quanto siate stato ligio alla consegna di non rivelare a nessuno la sua destinazione".
Coglie la minaccia? Non lo so, ma mi guarda con chiaro astio mentre risponde: "Sono Mastro Pepper, e dite ciò che preferite a Milady, quando avrete occasione di incontrarla. Cosa che non accadrà oggi... nè tanto presto, presumo!"
Chiudi gli occhi, Peoh, fa un bel respiro, non rispondere a queste insolenze....
Mi volto e torno in sella, reprimendo a fatica la rabbia. Servitore ignorante e maleducato.
Percorro i primi metri allontanandomi da Palazzo Dillon, mentre lascio lentamente sbollire il fastidio e la frustrazione. Dove sei andata, Desiree? Così poco è durata la tua tregua, il tuo breve riposo tra viaggi e avventure? Sei di nuovo in pericolo, chissà dove e chissà con chi, ed io non so come contattarti!
Maledico l'incarico che mi ha tenuto fuori città due settimane, impedendomi di ricevere prima la tua lettera. Se soltanto fossi arrivato qualche giorno prima....
... se fossi arrivato qualche giorno prima... cosa?
Oggi l'ho potuto vedere coi miei occhi: apparteniamo a classi sociali diverse, tu sei una Signora, possiedi grandi terre, tuo fratello è un Dominus insignito dal Barone. E io cosa sono? Una Guardia civica, figlio del popolo, senza beni nè grandi ricchezze. L'unica mia speranza è continuare a farmi valere, e sempre più salire di ruolo nella Guardia. Ratel ha fiducia in me e sempre più mi assegna incarichi di responsabilità, in fondo non devo disperare.
Non sarò mai un Signore, ma posso col mio impegno diventare qualcuno, e lo farò per te, Desiree, perchè tu possa non vergognarti di me, vergognarti di un simile corteggiatore.
Riuscirò mai a ritrovarti? A convincerti della sincerità dei miei sentimenti?
Prego tanto che sia così, perchè non faccio che pensare a te, e voglio con ogni forza stare al tuo fianco.
scritto da Peoh Blood , 12:15 | permalink | markup wiki | commenti (1)
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