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- Engelhaft Todenehmer -
 
Il fondo del barile
Micol Semeyr
 
creato il: 07/04/2007   messaggi totali: 36   commenti totali: 30
148877 visite dal 31/07/2007 (ultima visita il 28/03/2024, 17:20)
agosto 516
Martedì 27 Agosto 2013

"L'iniziazione richiede fiducia, come un salto nel buio. Il dolore incarna il passaggio, devi imparare a viverlo in ogni sua sfumatura. A conoscerlo. Non deve farti paura"
Annuisco, anche se un lieve tremito della palpebra rivela il nervosismo che provo, mentre mi stendo sulle assi di legno del laboratorio.
"Hai paura?" mi chiede lui.
"Sì"
Sorride. "E' normale, sei umana. Sei... ancora umana. Non preoccuparti se sei spaventata: tutti siamo spaventati, la prima volta".
La prima volta.
"D'accordo. Sono pronta"
Lui mi dà le spalle, sento l'odore della cera che si scioglie poco a poco.
"Cerca di non gridare, d'accordo? Per due ragioni. La prima è che... li innervosisci, e non mi piace quando sono nervosi. La seconda è più importante. Se gridi, il dolore diventerà incomprensibile, sarà molto più difficile per te viverlo nel modo giusto"
"Ci provo..."
"No, non è un discorso di provare", si volta verso di me. "Non possiamo permetterci di andare per tentativi, lo sai. Non c'è il tempo, anche volessimo, non abbiamo il tempo di procedere con dolcezza. Oggi o mai più. Per questo concentrati e cerca di non gridare. Sarà una cosa piuttosto lenta, così avrai modo di abituarti poco a poco al dolore"
Deglutisco. La paura sembra crescere, invece che diminuire.
"Siamo d'accordo?" chiede nuovamente. "Se vuoi ripensarci questo è il momento per farlo"
"No, procediamo".
"Molto bene, brava".
Torna a dedicarsi al suo fuoco, alla cera, ai preparativi di ciò che mi attende. Guardo il soffitto cercando di trovare in me il coraggio. Sono sempre stata coraggiosa, non voglio deluderlo e non voglio deludere me stessa. Ce la devo fare.
Il soffitto del laboratorio è scuro, annerito dalle torce e molto vecchio. E' un soffitto a volta con al centro il gancio di un lampadario ormai perduto. Probabilmente le irregolarità del colore, simili a macchie, sono ciò che resta di un antico affresco.
Le pareti sono spoglie e la sala è fredda, troppo grande per i due tavoli da lavoro, lo scaffale disordinato e il braciere. Un tempo doveva essere un ambiente di rappresentanza, un salone per i banchetti. Il caminetto in disuso, enorme, alla mia sinistra, evoca immagini di grandi arrosti, profumi e voci animate.
Chissà quali remoti signori banchettavano in questa sala, in un posto così freddo e isolato. Ma forse a quei tempi qui non c'era così freddo.
Muovo piano le dita, accarezzando il legno del tavolo su cui sono distesa. E' vecchio. Sarà così vecchio? Avranno banchettato qui sopra? Proprio dove ora attendo, stesa e inerme, di provare il dolore più grande?
Non sono legata.
"Se fuggi, se ti agiti o provi a allontanarti, vuol dire che non sei all'altezza", mi ha spiegato lui tranquillamente. "Non c'è niente di obbligato e nessun aiuto. Nessun alibi morale per te, nessuna deresponsabilizzazione. Sei libera in ogni istante di lasciar perdere e di andartene. Devi volerlo tu, pienamente, consapevolmente".
Sembra facile, ma adesso sentirmi costretta ai polsi e alle caviglie mi darebbe una certa sicurezza. E invece sono libera.
Il castello è quieto, ma popolato da fruscii sommessi. Una corte di morti popola queste stanze, ed io non credo di essere realmente libera. Mi lascerebbe andare? Se veramente mi alzassi, nascondessi la veste bianca con un mantello, indossassi gli stivali e prendessi le scale per tornarmene a casa... lui me lo permetterebbe?
Che razza di pensieri. Indegni di chi si prepara a intraprendere una strada così importante.
Devo concentrarmi sul dolore, sulle sensazioni, su quello che lui ha chiamato ripetutamente il "piacere della sofferenza".
Mi ha spiegato che il modo migliore per sopportare il dolore, e anzi per iniziare poco a poco ad apprezzarlo, consiste nel controllare il respiro. Inizio sin d'ora a inspirare lentamente, espirare, inspirare ancora...
"Molto bene, ci siamo".
Eccolo.
Indossa la Maschera, adesso, bianca con due rivoli rossi che scivolano dalle fessure degli occhi, simili a lacrime di sangue. Ci siamo.
Ha uno specchio in mano, lo rivolge al mio viso.
"Guardati ancora una volta", ordina. Ubbidisco, mentre un peso si forma sul mio petto, un nodo di angoscia e di paura. Il mio viso, il mio bel viso sta per essere sacrificato. Un altro rinascerà dalla cera e dal dolore, nuovo, incorruttibile.
Sono un bruco che si trasforma in una farfalla.
Ancora un istante, un attimo soltanto, poi lui allontana lo specchio. Cerco di fissare nel ricordo il mio volto.
"Sarebbe deperito comunque", mi dico. "Pochi anni ed ogni traccia di bellezza sarebbe comunque svanita dal mio viso".
Ma ciò non mi è di alcun conforto. Ho paura, vorrei fuggire da qui. Ho...
"AAaaahhh!"
Il dolore mi assale all'improvviso, non riesco a trattenere un lamento. La cera rovente mi scivola sulla guancia, brucia. Ed è solo una goccia o poco più. Solo l'inizio. Ed è già terribile.
Ingoio le lacrime, respiro.
Lentamente, lui aspetta paziente. Mi calmo, trattengo il fiato, espiro poco a poco. Devo sciogliere il nodo dal mio cuore, devo rilassare i muscoli delle mani, aprire i pugni. Non devo stringere i pugni.
Lui aspetta ancora, poi alza il contenitore in cui ha sciolto la cera e me la fa scivolare sullo zigomo. Trattengo il fiato e poi inspiro. Il dolore è acuto, lancinante, eppure è ridotto ad un piccolo tratto di pelle. Mi concentro sulla pelle che si sta trasformando, sulla sensazione di calore, cerco di mandar via ogni paura.
Non è il dolore, è la paura a fare male.
La paura delle conseguenze, della trasformazione, del dolore futuro. E' la paura a riempire gli occhi di pianto e a far tremare.
Il dolore è soltanto dolore, è circoscritto, è sensibilità che si risveglia e che rivela i segreti della nostra carne.
Lui aspetta qualche istante, mi osserva. Poi, impercettibilmente, annuisce.
La cera bollente scivola sul mio viso, sul collo, si indurisce sul mento e tra le pieghe della pelle. Brucia sulle prime, presto si raffredda e lascia un profumo morbido e perfetto.
"Brava", mormora lui d'un tratto. "Abbiamo quasi finito".
"Di già?" vorrei rispondere. Ma devo abituarmi alla nuova sensibilità di questo mio viso di cera, più lento, più silenzioso.
Lui lascia scivolare l'ultima cera rimasta sul mio viso, poi con le mani inizia ad accarezzarmi e a modellare i nuovi lineamenti che mi accompagneranno d'ora in poi. Il dolore è quasi piacevole, come è piacevole lasciarsi plasmare da mani esperte e senza misericordia.
"Soltanto chi è morto non sa provare dolore", dice lui contemplando il suo capolavoro. "Chi è morto nell'animo, spento e quieto, pensa di avere trovato una forma di saggezza e di distaccata felicità, ma è soltanto un cadavere che non puzza ancora. Chi è morto nel corpo può perdere un braccio, una gamba, e neanche se ne accorge. E' il dolore a mantenerci in vita. Il dolore interiore, l'inquietudine, ci danno la misura della nostra energia, della vitalità che ci è rimasta. Il dolore fisico risveglia i nervi, irrora di sangue i tessuti, dona palpito vitale e piacere"
Annuisco. So che è vero, lo sento sulla mia stessa pelle. Il dolore è forte, ma è come se tutto il mio corpo si fosse risvegliato.
"Benvenuta, sorella minore"
scritto da ... , 17:04 | permalink | markup wiki | commenti (3)