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26 febbraio 516
Lunedì 20 Febbraio 2012
il frutteto abbandonato
Non riesco a dormire, fatico anche a tenere la penna in mano.
Il braccio mi fa male. Fa male davvero, di un dolore diverso da ogni altro dolore mai provato in vita mia.
Padre Engelhaft mi ha ripetuto varie volte, nel corso del ritorno alla fattoria di Trent, che avrei dovuto essere più prudente, e che devo ringraziare gli Dei per non aver riportato ferite più gravi. Ha ragione, lo so, e per essere una persona riflessiva devo dire che ho agito fin troppo d'istinto: non mi ero mai trovata in una situazione di vita o di morte, è stato incredibile. Il tempo scorre più lentamente, hai la percezione di ogni movimento, i sensi sono acuiti e persino la luce appare più abbagliante.
E' stato pericoloso ma è andata relativamente bene, e adesso mi rimane una fasciatura bianca macchiata di sangue e la consapevolezza di aver vissuto un'esperienza.
Il braccio fa male ma non ho ancora voglia di coricarmi. La verità è che ho il timore di cosa potrò sognare, stanotte.
Inutile negarlo, ho avuto paura, una paura violenta che mi ha stretto il cuore come in un crampo. Ma non nel momento dell'azione, non tanto mentre la lama della lancia mi trafiggeva il braccio. Lì era dolore, stupore, incredulità. La paura vera l'ho provata poco dopo, quando quel guerriero mi ha detto: "Arrenditi, getta l'arma... inginocchiati".
Inginocchiati.
Mi sono inginocchiata nella neve, ho sentito il freddo attraverso il cuoio dei miei calzoni, un senso di umido che mi ha sfiorato la pelle. Poi l'ho guardato, dal basso verso l'alto. Grande, imponente, armato di lancia, subito affiancato dai suoi due compagni, quelli che avevo colpito con le mie frecce.
L'ho guardato mentre mi osservava, ho studiato il percorso dei suoi occhi che esaminavano il mio viso, mentre l'ira lasciava il posto ad un sorriso trionfante. Riprendeva fiato e mi teneva sotto scacco. Ed io non riuscivo a pensare ad altro se non alle fronde innevate del frutteto alle mie spalle.
Non riuscivo a pensare ad altro che alle foglie e ai poveri frutti stentati. Al cielo ancora gonfio di neve, al vento gelido, ai tuoni in lontananza, e ad una primavera che ancora tarda ad arrivare.
Se succederà... mentre succederà, io guarderò quelle fronde che lottano contro il gelo e l'incuria. Riuscirò a credere che ci sia ancora speranza per questa terra? E per me?
Anche... anche quella volta il mio pensiero era rapito da dettagli apparentemente insignificanti. Mentre accadeva, io osservavo i minuscoli fori che qualche tarlo laborioso aveva scavato nel legno. Cercavo di riconoscervi un disegno, un ordine, qualcosa di simile ad una simmetria.
Una simmetria che non esiste.
Se c'è speranza per questa terra, giace nascosta sotto la neve. Sotto la stessa neve in cui affondano le mie ginocchia umiliate.
"Adesso alzati, seguici". Ricaccia indietro la fantasia spaventata, spedisci i fantasmi negli angoli bui a cui appartengono.
Prova a dormire, e non sognare niente.
Il braccio mi fa male. Fa male davvero, di un dolore diverso da ogni altro dolore mai provato in vita mia.
Padre Engelhaft mi ha ripetuto varie volte, nel corso del ritorno alla fattoria di Trent, che avrei dovuto essere più prudente, e che devo ringraziare gli Dei per non aver riportato ferite più gravi. Ha ragione, lo so, e per essere una persona riflessiva devo dire che ho agito fin troppo d'istinto: non mi ero mai trovata in una situazione di vita o di morte, è stato incredibile. Il tempo scorre più lentamente, hai la percezione di ogni movimento, i sensi sono acuiti e persino la luce appare più abbagliante.
E' stato pericoloso ma è andata relativamente bene, e adesso mi rimane una fasciatura bianca macchiata di sangue e la consapevolezza di aver vissuto un'esperienza.
Il braccio fa male ma non ho ancora voglia di coricarmi. La verità è che ho il timore di cosa potrò sognare, stanotte.
Inutile negarlo, ho avuto paura, una paura violenta che mi ha stretto il cuore come in un crampo. Ma non nel momento dell'azione, non tanto mentre la lama della lancia mi trafiggeva il braccio. Lì era dolore, stupore, incredulità. La paura vera l'ho provata poco dopo, quando quel guerriero mi ha detto: "Arrenditi, getta l'arma... inginocchiati".
Inginocchiati.
Mi sono inginocchiata nella neve, ho sentito il freddo attraverso il cuoio dei miei calzoni, un senso di umido che mi ha sfiorato la pelle. Poi l'ho guardato, dal basso verso l'alto. Grande, imponente, armato di lancia, subito affiancato dai suoi due compagni, quelli che avevo colpito con le mie frecce.
L'ho guardato mentre mi osservava, ho studiato il percorso dei suoi occhi che esaminavano il mio viso, mentre l'ira lasciava il posto ad un sorriso trionfante. Riprendeva fiato e mi teneva sotto scacco. Ed io non riuscivo a pensare ad altro se non alle fronde innevate del frutteto alle mie spalle.
Non riuscivo a pensare ad altro che alle foglie e ai poveri frutti stentati. Al cielo ancora gonfio di neve, al vento gelido, ai tuoni in lontananza, e ad una primavera che ancora tarda ad arrivare.
Se succederà... mentre succederà, io guarderò quelle fronde che lottano contro il gelo e l'incuria. Riuscirò a credere che ci sia ancora speranza per questa terra? E per me?
Anche... anche quella volta il mio pensiero era rapito da dettagli apparentemente insignificanti. Mentre accadeva, io osservavo i minuscoli fori che qualche tarlo laborioso aveva scavato nel legno. Cercavo di riconoscervi un disegno, un ordine, qualcosa di simile ad una simmetria.
Una simmetria che non esiste.
Se c'è speranza per questa terra, giace nascosta sotto la neve. Sotto la stessa neve in cui affondano le mie ginocchia umiliate.
"Adesso alzati, seguici". Ricaccia indietro la fantasia spaventata, spedisci i fantasmi negli angoli bui a cui appartengono.
Prova a dormire, e non sognare niente.