I campi del Pelennor

Discussioni sul GdR in generale e su tutto ciò che altrove è off-topic.

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Garabombo
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Messaggioda Garabombo » 11/02/2005, 9:12

E subito dopo ecco l'undicesimo!

XI.
Allora si volse a guardare il sentiero e il monte sopra di lui: due orchetti giacevano immobili colpiti dalle sue frecce, altri due si lamentavano appoggiati contro la scarpata. Il grosso capitano con la scimitarra, ferito ad una spalla, si era ora risollevato, ma imprecava lamentandosi dal dolore. A poca distanza davanti a sé aveva il basso orchetto che aveva appena cercato di caricarlo, sulla sinistra quello protetto dal lungo scudo stava ora avvicinandosi, così come stavano tornando sul sentiero anche i tre a cui era sfuggito. Strappò la freccia dal suo fianco senza difficoltà, era semplicemente incastrata fra le maglie della sua cotta, sentì la ferita bruciare un poco, il dolore sopportabile.
L’orchetto che aveva di fronte era indeciso: questo uomo che si toglieva le frecce dal corpo senza urlare lo impauriva; ma le urla del capitano, che si stava infine levando in piedi, lo incitavano a non indietreggiare. Ma l’uomo si mosse di scatto.
Mithel decise di attaccare subito, poteva avere facilmente la meglio dell’orchetto basso che aveva davanti, ma una volta che si fossero riuniti avrebbe solo potuto scappare. Allora scattò. Con un fendente da destra a sinistra cercò di sorprendere l’orchetto, che con le scimitarre parò facilmente il colpo e contrattaccò con un affondo alla gamba sinistra. Riuscì ad evitarlo a fatica, sentì la lama incidere la stoffa, allora lanciò il pugnale che stringeva nella sinistra contro la faccia dell’orchetto. Non lo colpì con la lama, ma, istintivamente, quello alzò un braccio a proteggersi e chiuse gli occhi; sfruttando il momento lo ferì prima ad un braccio, quindi lo trapassò al ventre. L’orchetto lasciò cadere le scimitarre e strinse la lama fra le sue grinfie, poi cadde a terra, cercando di aggrapparsi al freddo ferro che lo aveva trafitto.
Raccolse nella sinistra una delle lame lasciate cadere dal nemico. Ne scavalcò il corpo e si diresse alla propria sinistra, per fronteggiare subito l’orchetto isolato, prima che gli altri lo raggiungessero; inoltre, nel caso in cui avesse dovuto ritirarsi, voleva allontanare il più possibile gli orchetti dalla città.
Si trovò immediatamente impegnato nel combattimento. Il grosso orco si era lanciato con foga contro di lui ed ora lo incalzava con una spada con la lama a onde. Parò due colpi, con la spada e quindi con la scimitarra, poi si butto con tutta la propria forza contro lo scudo dell’avversario, che resse all’urto, ma che non riuscì a colpirlo. Appoggiandosi al metallo curvo, ruotò verso destra colpendo alla cieca dietro di sé con la scimitarra; sentì il rumore di metallo su metallo: aveva centrato ancora lo scudo. Eppure si sentì più sicuro: ora si trovava a fronteggiare tutti gli avversari; dietro di sé si stendeva il sentiero e, con rapidi passi, avrebbe potuto distanziarli e, magari, sorprenderli nuovamente in una situazione più favorevole.
Ma non poté allontanarsi. L’orchetto lo incalzava con fendenti veloci e l’ampio scudo lo proteggeva da ogni attacco. Vide con la coda dell’occhio un orchetto salire sulla scarpata alla sua sinistra per aggirarlo, mentre gli altri due si stavano per affiancare all’avversario che stava fronteggiando. Avanzò di un passo, la scimitarra levata a smorzare la forza di un fendente nemico; lasciò che le lame scivolassero una sull’altra, mentre, rapido, si avvicinava ancora al corpo del nemico e calando la spada sul braccio destro di questo, riuscì a colpirlo mentre l’orchetto cercava di ritrarlo. Sentì la lama affondare fino all’osso e l’urlo di dolore della creatura mentre colpiva con violenza con la scimitarra all’altezza della sua gola.
Vide una forma scura avvicinarsi dalla sua destra: istintivamente si abbassò, ma sentì un colpo duro sulla spalla e la spada quasi cadde dal braccio dolorante. La vista si annebbiò per il dolore. Senza guardare si butto nella direzione da cui proveniva l’attacco con la lama della scimitarra in avanti. Colpì qualcosa di duro, prima con la lama, che quasi vi si conficcò, poi con il fianco destro. Si sentì cadere, mentre la vista gli si schiariva: si era lanciato con tutta la forza contro lo scudo dell’orchetto con la mazza. La scimitarra conficcata nello scudo e con il corpo appoggiato su di esso lo aveva sbilanciato ed ora gli stava cadendo addosso. Appena toccarono terra rotolò due volte su sé stesso per allontanarsi. Sentì una lama ferirlo ad una gamba, ma si alzò in fretta e tirò un largo fendente, più che altro per allontanare il nemico e prender tempo: la lama non incontrò ostacoli.
Ora si trovava con alle spalle il lungo precipizio della colonna di roccia: alla sua sinistra l’orchetto che cercava di aggirarlo era tornato sul sentiero; davanti a sé lo fronteggiava un orchetto con una corta lama, mentre l’orchetto con la mazza si stava rialzando. Sentiva un battito sordo sulla spalla destra e il braccio si stava lentamente intorpidendo; mosse le dita sull’elsa per sciogliere i muscoli. La ferita al fianco non lo infastidiva, mentre quella alla gamba era più profonda, ma non gli impediva i movimenti: sentiva solo il sangue bagnare la stoffa dei pantaloni e attaccarglieli alla pelle. Gli orchetti feriti non sembravano in grado di riprendere il combattimento: doveva fronteggiare solo i tre ancora in piedi.
[continua...]

Salud
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Messaggioda Garabombo » 14/02/2005, 11:02

Ecco che il combattimento continua... certo che tre capitoli interi per un combattimento... forse è troppo? Ditemi voi! :)

XII.
Allora parlò: “la vostra morte vi sta guardando. Voltatevi e fuggite!”
Parlava a bassa voce, ansimando per la fatica. Ma le parole suonarono cupe e lente e fermarono l’avanzare dell’orchetto alla sua sinistra. Non attese altro. Si lanciò contro quello che si stava rialzando, lo colpì con un calcio sullo scudo levato per difendersi, aprendogli la guardia, ma l’altro orchetto lo attaccò sul fianco e dovette parare con difficoltà utilizzando la scimitarra. La corta spada dell’avversario scivolò sul ferro fino alla guardia, poi l’orchetto si lanciò col suo peso per farlo cadere, urtandolo con lo scudo sul petto. Mentre cadeva Mithel allargò il braccio sinistro, per allontanare la corta spada, ancora a contatto con la sua scimitarra, da sé. L’orchetto gli franò addosso. Ne sentì il peso sopra lo scudo che lo bloccava; con il pomolo della spada colpì più violentemente che poté sulla nuca del nemico, prima che riuscisse a appoggiarsi per rialzarsi. Questo lo stordì un poco, così poté colpirlo sulle gambe, sempre con la spada, e riuscì a scrollarselo di dosso.
Si rialzò a fatica, la stanchezza cominciava a rallentarlo. Prima di essere completamente in piedi dovette parare con la spada un colpo di mazza che quasi gliela strappò di mano; ma l’altro si era scoperto nell’ansia di attaccarlo e poté ferirlo sotto l’ascella destra con un veloce affondo di scimitarra. Allora caricò il colpo e abbatté la lama della spada sull’elmo dell’orchetto.
Girando lo sguardo sul breve pianoro in cui correva il sentiero vide solo corpi a terra. L’ultimo orchetto illeso stava scappando verso occidente. Si lanciò all’inseguimento con un urlo strozzato, sforzare ancora di più il suo corpo dolorante era una sofferenza enorme. Ma fu comunque veloce, e l’orchetto era terrorizzato e continuava a voltarsi indietro per guardalo, inciampando e non riuscendo a correre velocemente. Gli fu addosso in pochi passi: quello si voltò disperato e cercò di colpirlo con un fendente dall’alto in basso. Si ritrasse, ma la lama, per fortuna impugnata maldestramente e quindi con poca potenza, lo colpì alla testa sopra l’occhio sinistro. Vide nero, ma tirò un fendente con la spada all’altezza della testa dell’orchetto, impiegando tutte le forze rimaste. Sentì la lama conficcarsi, poi la spada gli sfuggì di mano e le gambe si piegarono da sole. Cadde in ginocchio, appoggiandosi alla scimitarra infissa nel terreno, mentre con la mano destra si stringeva la fronte. Sentì il sangue scorrere fra le dita, il dolore sordo salire dalla spalla e battergli in testa, ma lentamente la mente si schiarì.
Si rialzò guardando da dietro un velo di nebbie. Ma riusciva a stare in piedi e lentamente sentiva tornare le forze. L’orchetto era steso davanti a lui, la spada profondamente incastrata nell’elmo. Dietro di sé sentì i lamenti degli orchetti feriti; estrasse la spada e si voltò a guardare il campo di battaglia. Uno degli orchetti che aveva ferito con l’arco era ora immobile, probabilmente morto; l’altro si contorceva , la freccia profondamente infilzata nel fianco sinistro, a metà costato. Si avvicinò all’orchetto ferito alle gambe che stava ora alzandosi a fatica. Stringeva la spada convulsamente e guardava a destra e a sinistra con nervosismo. Mithel avanzò di qualche passo e l’orchetto, con un urlo disperato, si volse cercando la fuga, ma la gamba ferita non reggeva il suo peso e la sua corsa divenne un goffo zoppicare verso il dirupo. Gli fu addosso e lo afferrò per la lunga peluria che usciva da sotto l’elmo, rovesciandolo all’indietro. Lo buttò a terra e lo immobilizzò con un ginocchio, mentre levava alto la spada, la punta rivolta verso il basso pronta a colpire. Lo guardò negli occhi rossi di terrore, l’orchetto guaiva e si lamentava; immaginò i corpi dei suoi compagni uccisi, straziati e spezzati come aveva visto tante volte dalla crudeltà degli orchetti. Lo uccise con la scimitarra, quindi la gettò lontano.
Andò a cercare il pugnale che aveva lanciato, lo trovò e lo raccolse, poi si arrampicò a fatica sulla scarpata, dove si era nascosto a tendere l’agguato, per recuperare anche l’arco. Lo mise a tracolla e, sceso nuovamente sul sentiero, si incamminò verso oriente, verso la città.
Alle sue spalle i lamenti si fecero sempre più deboli.
[Continua...]

Ciao e buen camino!
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Messaggioda Garabombo » 15/02/2005, 14:23

Nuovo capitoletto... incredibile a dirsi, ma si va verso la conclusione! :D

XIII.
Proseguì lungo il sentiero che da quello spiazzo sopra la colonna di rocce saliva ancora, ma più lentamente, dolce, in mezzo ai radi boschi che coprivano la ripida parete meridionale del Mindolluin. Camminava lento, ora, e stanco, senza più l’urgenza e la tensione che lo avevano guidato lungo la salita, fino al combattimento con gli orchetti. La contusione alla spalla pulsava bassa e sorda, riprendendo il battito pesante dei suoi passi e quello doloroso della ferita alla testa.
Il sentiero continuò a seguire il versante della montagna per quasi mezzo miglio, avvicinandosi alla città. In basso, a più di cinquecento piedi di distanza sotto di lui, vedeva ora le trincee infuocate che circondavano le mura meridionali, le lunghe lingue di fuoco che tagliavano la pianura. Le grida e le urla di comando, i tonfi delle artiglierie contro le mura e le costruzioni all’interno della cerchia difensiva. Tutto suonava ottuso alle suo orecchie.
Le pendici del monte lentamente piegavano verso settentrione, e presto poté vedere la città nella sua interezza. Si trovava ora al di sopra della seconda cerchia di mura, e vedeva la devastazione causata all’interno dall’attacco: alcuni incendi spezzavano il buio della città.
Si trovò quindi a camminare quasi su di una parete verticale, il sentiero diventato stretto pochi palmi, fra radi arbusti e qualche raro albero aggrappato alle rocce. Serpeggiò tra massi e lastre di granito, a un centinaio passi di distanza dal confine delle mura esterne. Dovette arrampicarsi per qualche metro, aggrappandosi alla roccia per cinque o sei braccia, fino a trovarsi su di una stretta cornice che, quasi orizzontale, si dirigeva verso il punto dove la terza cerchia di mura si univa alla parete rocciosa. La percorse con attenzione. Lo stordimento, che lo aveva assalito dopo il combattimento, lento svaniva nella gioia di sentirsi finalmente al sicuro.
L’oscurità si era tramutata in un perpetuo crepuscolo e senza difficoltà si accostò al poderoso muro che difendeva la città. In quel punto una stretta scalinata saliva, risalendo il pendio, verso una porta in ferro ricavata proprio là dove la pietra della fortificazione si univa alla roccia della montagna. Appoggiò il palmo aperto della mano sul freddo metallo, poi la fronte, quasi a raffreddare il cupo battere che sentiva nelle tempie.
D’improvviso il gelo del metallo sembrò conquistargli tutto il corpo: le braccia, le gambe, persino il cuore sentirono l’ondata di freddo intenso in un brivido prolungato. Sentì un fragore lontano, come di ferro schiantato da ferro possente e poi silenzio su tutta la pianura. Trattenne il fiato, tanto respirare era diventato difficile: l’aria si era fatta pesante e ferma.
Poi la tensione nell’aria si sciolse, il suo cuore riprese a battere regolare, ma un’angoscia profonda gli attanagliò la gola: “Aprite!” Urlò, battendo il pugno sulla superficie fredda. Udì l’eco di corni possenti rincorrersi nella piana.
“Aprite! Sono Mithel degli Arcieri dell’Ithilien! Aprite! Fatemi entrare!” Urlava, mentre con affanno estraeva la spada dal fodero e cominciava a battere con l’elsa sulla robusta porta. L’ansia gli chiudeva la gola, qualcosa era successo, qualcosa di terribile, giù, alla prima cerchia di mura; forse il nemico era penetrato nella fortezza! Doveva entrare subito!
Smise di battere ed urlare e, rimessa la spada nel fodero, guardò la parete rocciosa alla sua sinistra e cominciò a scalarla. Per raggiungere il parapetto era necessario superare un dislivello di quasi cinque braccia. La roccia non presentava appigli evidenti, ma, aiutandosi anche con la parete della fortificazione, riuscì ad aggrapparsi alla sommità del muro e a issarsi tra due merlature. Saltò sul camminamento e vide due guardie della città correre verso la guardiola sotto di lui. Contemporaneamente quelli lo notarono: “Chi è là? Fermo!” Urlarono, mentre imbracciavano le armi.
Mithel si alzò ritto e mostrò il palmo della mano in avanti: “Sono Mithel, arciere della compagnia di Sire Faramir, rientro ora dal Pelennor” e fece un passo verso le scale che portavano al livello del terreno.
“Fermo dove sei!” gli intimò una guardia, brandendo la lunga lancia verso di lui “Sire Faramir e gli ultimi arcieri sono tornati ieri, come hai fatto ad attraversare i campi invasi?”
Ma l’altra guardia rinfoderò la spada: Tranquillo Bragas, lo riconosco.” Gli disse , abbassandogli la punta della lancia, “ha prestato servizio con mio fratello minore.”
[continua...]

Oramai siamo alla fine... fatemi sapere le vostre impressioni... ma soprattutto giudizi, migliorie, commenti sarcastici! ;)

Alla prossima!
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Messaggioda Annika » 15/02/2005, 20:30

Wow.... ho finalmente letto con la debita attenzione tutto il racconto fin qui... mamma mia... ho tremato al pensiero che il poveraccio (oltre che arciere, anche spadaccino formidabile) tirasse le cuoia nello scontro con gli orchetti... è un sollievo sapere che è riuscito a entrare nelle mura.
Adesso attendo con trepidazione l'agognato finale! :)

Anna
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Messaggioda Garabombo » 16/02/2005, 8:37

Eh... sì... non sono riuscito a resistere alla tentazione di farne un semi-eroe... ma d'altra parte serve nella compagnia dell'Ithilien, ha combattuto con orchi e altri nemici per anni... qualcosina sa fare anche lui, nonostante sia principalmente un arciere!! Forse ho esagerato? :?

Ecco qua il seguito... è il penultimo capitolo!!! HO FINITO LA STORIA PROPRIO IERI SERA!!!! :D

XIV.
Scese le scale e raccontò brevemente come si fosse salvato. Le due guardie gli dissero che doveva essere un favorito degli dei. Non seppe dar loro torto.
Quindi chiese qual era la situazione nella città. Gli dissero che l’assedio era duro, ma le fortificazioni resistevano. Il morale era però basso, ogni volta che un Nazgùl sorvolava la città erano in molti ad abbandonare le armi e a gettarsi a terra. Pochi attimi prima tutti avevano sentito quella sensazione di gelo in maniera più intensa e terrificante. E così loro due avevano abbandonato il loro posto di controllo lungo quel tratto di mura per affacciarsi sui terrazzi che davano verso la grande porta d’ingresso. Temevano di vedere il nemico avanzare nelle vie cittadine, ma invece udirono squilli di trombe e corni a richiamo e l’apprensione scomparve dai loro cuori. E così erano tornati alla guardiola, incontrandolo.
Li salutò in fretta, era ansioso di proseguire verso le Case di Guarigione. Ora l’aria che respirava era colma di presagi, di cambiamenti; lontano, sui campi del Pelennor, si stava combattendo una grande battaglia.
Ma i suoi passi non lo condussero verso le cerchie inferiori. Al contrario salì, attraversando strade e vicoli quasi deserti; i suoi piedi calcavano il marmo dei lastricati sicuri, nonostante la stanchezza che oramai lo avvolgeva. Raggiunse le porte meridionali delle Case di Guarigione e dovette fermarsi appoggiato alla parete laterale del portone. Il suo cuore batteva nuovamente nelle tempie i suoi colpi lenti, e la fretta quasi lo aveva fatto correre durante il lungo salire verso le Case; ora sentiva anche la fitta alla gamba ferita.
Le porte erano chiuse.
Bussò, prima un colpo leggero, poi altri colpi più decisi. Attese qualche minuto, quindi sentì una voce che si avvicinava da dietro il legno intarsiato del portone: “Chi è? Chi è a quest’ora?” Riconobbe la guaritrice più anziana.
“Mithel!” rispose, “sono Mithel, cerco Kimras!”.
“Oh! Per i Valar” sentì gridare, poi la porta si aprì sul viso sorpreso della donna, che lo guardò da capo a piedi prima di continuare con voce preoccupata: “Ma cosa ti è successo? Non sei rientrato prima che chiudessero i cancelli! E sei ferito!” Lo afferrò per un braccio e lo condusse all’interno.
“Vieni, viene con me. Non puoi farti vedere da Kimras in questo stato!”
Mithel si fermò e mise una mano sulla spalla della donna, fissandola negli occhi: “Sta bene?” Domandò, “E’ qui?”
La donna gli prese la mano e lo guardò a sua volta dritto negli occhi: “Certo che è qui! E dove dovrebbe essere? Sta dormendo nella sua camera, è ancora mattina presto, sai?”
Lo aveva condotto, nel frattempo, in una stanza dal basso soffitto, appena all’interno del cancello, sulla destra. Un basso letto era appoggiato ad una parete, mentre un tavolo in legno massiccio e due corte panche occupavano il centro della stanza. Lo fece sedere e quindi scomparve dietro un tendaggio che copriva il passaggio verso un altro ambiente. “Siamo stati tutti così disperati quando il Capitano è tornato e tu non c’eri. Lei ha pianto molto,” sentiva la voce provenire da oltre la tenda, oltre al rumore di acqua versata e a un rovistare di stoffe, “anche se non credeva che tu fossi morto. Ma è molto pallida ora, e, anche se non ha voluto rinunciare al suo lavoro qui alle Case di Cura, nel suo stato avrebbe dovuto riposare!”
Era nel frattempo tornata nella camera e, fra una parola e l’altra, aveva cominciato a pulirgli la ferita che aveva sulla fronte con un panno bagnato: “E tu? Come mai arrivi solo adesso? Sei stato nascosto in giro per la Città per farla spaventare? E questa ferita? Come hai fatto a procurartela?”
“No,” rispose “sono caduto da cavallo mentre rientravamo…” non poté finire la frase che lei lo interruppe.
“Ecco fatto! Non sei mai stato un bravo cavaliere! Vieni dai monti Bianchi, te lo diceva sempre tua madre! Ti avranno raccolto in qualche casa e ti sarai svegliato solo ora!” Quasi la donna gli urlava nelle orecchie, tanto era eccitata dal parlare, e la sua voce alta penetrava come una lama nella sua testa; ma era contento di questo dolore, lo faceva sentire vivo.
“E dire che lei ti ha aspettato sveglia quasi tutta la notte, guardando a oriente dai balconi del giardino! E’ per questo che è ancora a letto, è rientrata con gli occhi arrossati che quasi non si reggeva in piedi!”
Mithel sorrise sotto le ruvide cure della donna; sorrise al pensiero di Kimras a letto, al sicuro. E sorrise per sé stesso, perché era riuscito a tornare per stare assieme a lei. La battaglia alle porte della città era come svanita dai suoi pensieri, lontana, come la lontana sponda di un mare nebbioso.
“AHI!” Gridò a un tratto. La mano della donna era stata meno delicata che in precedenza e la ferita gli aveva fatto male.
“E’ così!?” lo rimproverò “lei soffre e tu ridi?”
“No, no!” rise ancor di più, “Sono solo contento di essere tornato e di poter essere curato dalla tua mano leggera, Ioreth!”
Allora lei si fermò a guardarlo, poi gli diede una sberla sulla spalla contusa. Mithel si piegò sul lato colpito con un gemito di dolore. La donna mise le mani sui fianchi e sbuffò: “Bene! Allora sei davvero caduto da cavallo! Che grande affare ha fatto quella ragazza a sposarti! Così bella, ne avrebbe trovati cento!” Lo guardò curiosa, da più vicino “Cosa ci sarà in te di così interessante?” Ma a dispetto delle parole che diceva un sorriso inaspettato comparve sul suo volto.
[continua...]

:bday: EVVIVA!!! Non credevo di farcela... col prossimo post finisce!!! :( Però un po' sono triste...
Ultima modifica di Garabombo il 17/02/2005, 13:32, modificato 1 volta in totale.
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Messaggioda Annika » 17/02/2005, 10:59

Hehehe.... puoi essere eroe quanto ti pare, ma davanti alla burbera vecchietta ritorni un regazzino! :)

Splendido, e adesso aspettiamo il sospirato incontro con l'innamorata! Yeah!!!!! :love3:

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Messaggioda Garabombo » 17/02/2005, 13:31

Eh... l'incontro con l'innamorata... mi vergogno un po' a scriverlo!!! :| E così è cortino... finisce proprio d'un botto...

... ma ecco qua!!

XV.
Rimasero un momento a fissarsi, poi lei riprese a medicarlo. Gli pulì il sangue dal volto, quindi anche la ferita, con acqua ed erbe medicinali, e infine gli fasciò la testa con bende di lino bianco.
“Ecco fatto, questo per farti smettere di macchiare il pavimento con il tuo sangue!” gli disse, “Poi, quando ti sarai un po’ ripulito, ti medicherò meglio!”
In quel momento sentirono una voce cristallina chiamare da fuori la stanza: “Ioreth! Ioreth! E’ tardi e non mi hai svegliata! Bisogna accudire la Signora e il Capi…”
Una ragazza con i capelli mori raccolti sulla nuca era entrata nella stanza e, guardando le persone all’interno, si era fermata di colpo. Gli occhi chiari risplendevano anche nella fioca luce di quel ambiente, ora spalancati dallo stupore. Le labbra, dapprima aperte per la sorpresa, si chiusero lentamente, per poi curvarsi in un sorriso di gioia. Piegò la testa di lato, stringendosi le braccia sul ventre gonfio, quasi ridendo.
Mithel si era nel frattempo alzato. Fece un passo verso la ragazza, il cuore in tumulto, ma senza sentire più nessun dolore.
“Ciao” le disse sorridendo, “Sono tornato.”
[Fine.]

Ecco... pochissime righe... dovrei farlo più lungo???

Quasi quasi pensavo di continuare a scrivere la storia di questa coppietta... ma vedremo... anche perché non ci sono poi molte cose da aggiungere... le ha già scritte tutte lui, ma magari... gli anni dopo la fine della guerra... boh!

Ciao e un abbraccio a chi ha letto! ;)
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Messaggioda Annika » 17/02/2005, 13:53

“Sono tornato.”


Beh, che dire? Un modo autorevole per concludere una storia tolkeniana! :)
Mi piace che finisca così in modo "sobrio", senza scene sdolcinate: è più dolce così, in sospeso, con la penna dello scrittore che si ferma con discrezione un passo indietro, senza andare a disturbare la felicità dei protagonisti! :)
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Messaggioda Garabombo » 01/03/2005, 9:43

Ed è anche un implicito omaggio a Tolkien stesso... Sam infatti chiude così il Signore degli Anelli, tornando da Rosie... ;)

CIAO!
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