La storia dei fiordi

Discussioni sul GdR in generale e su tutto ciò che altrove è off-topic.

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Annika
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La storia dei fiordi

Messaggioda Annika » 22/12/2004, 11:57

Ecco di nuovo i primi due paragrafi, gli altri li mettero' solo qui! :)

I


Tikki si sporse per raggiungere un fiore oltre il limitare della rupe. La treccia le scivolò davanti al naso e la bambina perse l’equilibrio, ma poggiò la mano a terra e si tenne in ginocchio.
Alzò la testa e si voltò a guardare casa sua, poco distante. Vide il tetto coperto d’erba, la finestra aperta e, attraverso di essa, la mamma che stava preparando da mangiare. Non s’era accorta che lei stava giocando vicino al dirupo, per fortuna, altrimenti l’avrebbe sgridata.
Quel pomeriggio c’era un po’ di foschia, che in basso, sull’acqua, era densa ed impediva di scorgere l’altra sponda del fiordo. Solo la cresta delle montagne emergeva dalla nebbia e si confondeva con le nuvole cariche di pioggia.
Tikki era abituata a quel paesaggio ombroso. La sua casetta si riparava dietro il fianco di un roccione a picco sulle acque del grande fiordo che si spingeva per leghe nell’interno, tra le montagne, i ghiacciai e le foreste: l’Artiglio. Erano isolati dal villaggio, di cui si intravedeva il campanile di legno più in alto, oltre il torrente.
Ma il fiorellino era ancora lì, tra le rocce più giù di quanto il suo braccio arrivasse. Tikki provò ancora a sporgersi ma, per quanto si allungasse, non riusciva che a sfiorarlo con la punta delle dita.
Sbuffò. Si stese pancia a terra. Sentì umido e freddo attraverso la stoffa, però in questo modo il fiore era raggiungibile. Sporse il braccio, e la sua testa bionda adesso si appoggiava sul niente, sulle rocce che scomparivano in basso nella foschia. Un rigagnolo spumeggiava dal lato del roccione. Tikki finalmente raggiunse il fiore e lo colse. Rimase qualche istante così, in questa insolita posizione che le permetteva di guardare un po’ più in là del solito.
C’era qualcosa che si muoveva sull’acqua, appena un’ombra in lontananza. Forse un uccello che planava, o molti uccelli vicini, a giudicare dalle dimensioni. Avanzava molto lentamente.
Tikki si tirò su in ginocchio, reprimendo un’improvvisa vertigine. Il vestitino era un po’ infangato, ma il fiore era così bello che n’era valsa la pena. Sorrise soddisfatta.
« Mamma! » corse verso casa con il fiore in mano, « mamma guarda che bello! È per te! »
Saltellò sui gradini che tenevano la casetta di legno sollevata rispetto al terreno e spalancò la porta. C’era un buon profumo di stufato, e la mamma stava spennando un uccello seduta al tavolo.
« Zitta! Non vuoi mica svegliare tuo fratello? » Poi la guardò meglio, « guarda come hai ridotto il vestito… ti sei rotolata nel fango? »
« Ti ho portato… questo fiore… » Tikki le si avvicinò un po’ avvilita, « non ti piace? »
La mamma sospirò e le rivolse un sorriso, « oh, grazie… è molto bello. Però parla sottovoce, che tuo fratello si è addormentato adesso… »
Tikki ancora teneva in mano il fiore, e si avvicinò a sbirciare nel sacco dove la mamma stava infilando le piume. « Ti posso aiutare? » le chiese, quasi ficcandoci la faccia dentro. Le piume avevano un odore ancora pungente, e facevano pizzicare il naso.
« Metti il fiorellino nella tazza con un po’ d’acqua. »
Tikki ubbidì e, passando vicino al focolare, sbirciò nella pentola che bolliva sul fuoco.
« Tra quanto si mangia? »
« Quando torna tuo padre dal villaggio » rispose lei, « non dovrebbe mancare molto. Hai fame? »
« Sì! Una fame da orso! »
La mamma si alzò in piedi, poggiò l’uccello ormai spiumato sul tavolo e si asciugò le mani col grembiule. Poi sollevò il coperchio della madia e diede alla bambina un cantuccio di pane.
« Tieni questo intanto… ». Si avvicinò alla culletta sospesa dove dormiva il neonato e controllò che non si fosse svegliato. Tikki afferrò il pane con tutte e due le mani sporche, e lo addentò con grande soddisfazione.
« Mangi pane e fango, piccina mia… » le disse sua mamma accarezzandole i capelli.
«Mamma, lo sai che c’era una cosa che camminava sul mare, prima? » le disse Tikki tra un boccone e l’altro, « una cosa grossa e lontana… come un uccello enorme che vola basso basso. »
« Chissà, forse è uno stormo di migratori che vanno via per l’autunno. »
Tikki annuì, diede un altro morso al pane e raccolse le briciole dal tavolo. « Torno a giocare allora? Papà quando viene? »
« Vai tesoro, ti chiamo io quando è pronto. E sta lontana dal ciglio della rupe, mi raccomando. »
« Certo mamma. »
Mentre Tikki correva fuori, sua madre l’accompagnò con lo sguardo. Subito un vagito dalla culletta la distrasse, si avvicinò al maschietto addormentato e lo fece dondolare per qualche istante. Poi tornò a dedicarsi alla cucina.
Non era passato molto tempo, che riconobbe i passi di suo marito che facevano cigolare i gradini di casa. Gli andò incontro sistemandosi i capelli con la mano.
« Dove sta la mia Rose? » disse lui, e lei già gli era tra le braccia. Si baciarono e lui sorrise annusando il buon profumo di stufato. « Ho una fame da orso! » disse, poi posò una mano sul ventre della moglie, « e vedo che anche il guerriero in arrivo cresce a vista d’occhio! »
« Avrà preso da suo padre? » rispose lei. In effetti lui era alto, largo di spalle e con un gran barbone rossiccio che gli nascondeva una cicatrice sullo zigomo. Lui scoppiò in una risata tanto forte da far agitare l’altro piccino nella culla.
« Fa piano! » subito Rose lo azzittì, « non sai quanto c’è voluto per addormentarlo… ». Poi prese le scodelle e le dispose sul tavolo. « È tutto pronto, comunque, possiamo mangiare. »
Lui annuì, e si avvicinò alla finestra. « Chiamo Tikki, allora… »
Guardò fuori e non vide la bimba. C’era il roccione sulla sinistra che riparava dal vento, la betulla con l’altalena attaccata, l’orticello protetto dai teli e, più avanti, la rupe. Oltre si stendeva la nebbia.
« Scusami… » gli disse Rose, spostandolo appena per aprire la madia e prendere il pane da tagliare. Lui si scansò di un passo, e tornò a guardare fuori.
Adesso scorse Tikki, proprio sul ciglio della rupe, che si sbracciava, agitava le mani come per salutare qualcuno. Il vento le muoveva la treccia bionda, e anche la gonnellina.
« Ma cosa…. »
Rose prese con un panno il manico della grossa pentola, ed aiutandosi con una mestola iniziò a distribuire lo stufato nei piatti. Lui sentì lo stomaco che gli brontolava. Ma chi diavolo stava salutando Tikki?
« La piccola sta in piedi sul ciglio » borbottò mentre si avviava alla porta per andarla a chiamare, « ora buscherà qualche scapaccione »
« Sgridala dopo, Ulfrid, ora mangiamo, che si raffredda… »
Lui uscì dalla casetta e subito chiamò: « Tikki! Vieni immediatamente qui! »
La bimba lo sentì, si girò verso di lui e, per nulla intimidita, gli fece cenno di avvicinarsi. « Papà! Ci sono i draghi! » gridò, « vieni a vedere, corri! »
Ulfrid scese i gradini e si avvicinò.
L’altra sponda del fiordo era indistinguibile, celata dalla nebbia fitta. Ma presto vide che qualcosa si muoveva sull’acqua, in basso, una moltitudine di sagome scure.
« Vieni via di lì, Tikki » disse quasi sottovoce.
La bambina era rapita da quelle strane forme nella nebbia. Volti di draghi intagliati nel legno, mostri marini, cigni ombrosi: le prue di molte e molte navi da guerra che avanzavano silenziosamente sulle acque calme del fiordo.
Ulfrid corse da Tikki e l’afferrò per un braccio, strattonandola via. Incurante delle lamentele della bambina, la trascinò in fretta verso casa.
« Rose! » chiamò ancora ai piedi del portico, « Rose prendi il piccolo! »
Lei uscì sulla porta, incuriosita dalle grida. Lui le corse incontro e le sbatté davanti Tikki.
« Mamma… ci sono i draghi… » piagnucolò la bambina. Rose guardò il marito che entrava in casa come una furia. « Porta i bambini al bosco, nascondetevi! » le ordinò.
Spinse da una parte il tavolo apparecchiato, lo stufato volò a terra.
« Ma che stai facendo… »
« Ti ho detto di portare in salvo i bambini, dannazione, ubbidisci! »
Sollevò un’asse del pavimento e tirò fuori un’ascia da battaglia.
Rose mandò un grido, afferrò il piccolino dalla culla e Tikki per un braccio, e cominciò a scendere i gradini. Suo marito uscì un attimo dopo, con l’ascia in una mano ed un corno nell’altra.
« Fatevi sotto, Utumni » mormorò. Poi corse alla rupe, alzò il corno e suonò.

*

Quello stesso giorno, al villaggio di Tuor c’era aria di festa.
Da molti anni Gjlda non aveva visto simili preparativi, da quando, ancora giovane, aveva assistito alle nozze di Astolf il Borgomastro con Irene di Flakkedam. Allora aveva tre figli piccoli, un marito e poteva ricamare anche punti minuscoli senza difficoltà, mentre ora, nonna e vedova, cominciava a vederci troppo male da vicino per eseguire un ricamo. E a sposarsi questa volta era proprio Margrethe, la figlia minore del Borgomastro, una bella ragazza molto somigliante a sua madre.
« Nonna! Che fai qui giù da sola, non vieni a darci una mano? »
La vecchia sorrise e salutò con la mano il bambino. « Mi sto riposando un momento, c’è bisogno d’aiuto? »
« La mamma dice che devi venire per i dolci allo zenzero. Lei non è tanto capace… »
Gjlda, aiutandosi con il bastone, si alzò in piedi. « Dammi il braccio, Tomska, ho paura di scivolare… su, da bravo. »
Il bambino le fu accanto in un salto. Per raggiungere le prime case del villaggio, un po’ più in alto, era necessario oltrepassare il torrente che di lì a qualche passo si tuffava nel fiordo. I sassi erano scivolosi e in pendenza.
« Se la mamma lo sa, che sei venuta qui giù da sola, nonna…. » le disse il bambino con aria un po’ complice, « lei dice che qui è pericoloso per te, che rischi di farti male. »
Lei si appoggiò al braccio del bambino – Tomska aveva otto anni ma era già abbastanza alto – e si avventurò tra le sterpaglie e i sassi lungo il torrente, verso il guado.
« Ma tu non glie lo dirai, non è vero? » disse lei, « e così magari tra tanti dolcetti allo zenzero ce ne sarà qualcuno in più per il mio nipotino silenzioso… »
Tomska rise. « Terrò il segreto, nonna, sta tranquilla! »
Ogni volta che percorreva quel sentiero, Gjlda sentiva di essere ancora viva. Le sue coetanee, le altre vecchie del villaggio, erano ormai sempre chiuse in casa, o al massimo uscivano nella piazzetta a mezzogiorno, nulla più. Temevano il freddo, gli spifferi, l’umidità e la nebbia che nasceva dal mare. Lei invece, più passava il tempo, più sentiva il desiderio di stare all’aperto, di guardare l’acqua nera e le barche alla pesca, le piaceva osservare gli alberi e restare da sola ad ascoltare il rumore del ruscello.
« Forse è segno che sto diventando un po’ rimbambita… » disse quasi tra sé.
« Che dici, nonna? » Tomska spostò alcuni rovi di lato col piede per allargarle il passaggio, « che segno? »
« Niente, niente… »
L’ultimo tratto era in piano, tra alcune case di legno col tetto ricoperto di zolle di terra. Alcune avevano un basamento in pietra, mentre altre posavano su travi rialzati in modo da stare discoste dall’umidità del suolo.
« Aspetta, fermati nonna, hai una foglia tra i capelli »
Lei si passò una mano in testa, e scrollò il capo. « Adesso? Ce l’ho ancora? »
« No, sei perfetta. Su, spicciamoci! »
Più in alto, nella piazzetta di Tuor, c’era parecchia gente. Alcuni uomini stavano mettendo dei festoni tra una casa e l’altra, mentre le donne sistemavano lumini alle finestre per il corteo nuziale.
« Posso accenderne uno? » chiese Tomska, avvicinandosi, « me ne fai accendere almeno uno? »
« È ancora presto, questi servono per il corteo . Oh, ecco che ci sei, Gjlda… ti stavano cercando, di là al forno! »
Gjlda annuì. « Sì, grazie… sto andando proprio lì. »
Passarono davanti al grande fienile addobbato per l’occasione, ma non ci si poteva nemmeno affacciare dentro, due robusti pescatori impedivano l’accesso ai curiosi.
« Stasera sarà lì dentro il ballo » spiegò Tomska a sua nonna, « ma non vogliono che nessuno vada a vedere come l’hanno decorato… però io ho scoperto che ci sono alcune fessure sul retro da cui si vede dentro… lo sai? Ed è tutto pitturato di bianco, alle pareti! È bellissimo! »
La vecchia annuì.
« Anche quando mi sposai io, tantissimi anni fa, festeggiammo in un grande fienile imbiancato… è la tradizione, e c’erano tanti fiori e lanterne colorate… »
« Davvero? E c’era anche l’Interprete? Lo sai che hanno fatto venire un Interprete da Flakkedam, uno importante… dicono che stasera ci sarà un Vaticinio con un capretto, sai? »
Gjlda non lo sapeva.
« Hanno fatto le cose in grande allora. Io pensavo che sarebbe bastata la benedizione dell’Allieva dell’Interprete, quella ragazza, Riss… di solito basta un Allievo. Anche ai miei tempi c’era solo l’Allievo che leggeva il fegato di un uccellino… » sorrise al pensiero, « e lo sai a me cosa disse? Che avrei vissuto tanto da vedere combattere in guerra i miei nipoti! »
Tomska la guardò di sottecchi: « come sarebbe a dire! »
« Sarebbe a dire che puoi prendertela comoda ad imparare a maneggiare le armi… e che non c’è nessuna fretta! » rispose Gjlda, e ridacchiò. Anche il bambino sorrise, la prese per mano e continuarono fino al forno di buon passo.
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Messaggioda Garabombo » 22/12/2004, 14:38

Ma allora sei malvagia!! :badgrin:
Speravo che almeno un altro episodio l'avessi già aggiunto!!!

No, scherzo, meglio così... un po' al giorno, così non ci assuefiamo (cosa ho scritto? Assuefare... assuefaggiamo?? Boh?)...

Però attendo un altro brano in fretta!!

Salud
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Messaggioda Annika » 22/12/2004, 14:49

Eccolo! :)

*

Riss lo preoccupava. Sedeva davanti al camino con l’abito sacerdotale già indosso e si rosicchiava le unghie a sangue. Non aveva mangiato nulla dal giorno prima e, dalle occhiaie che aveva sul viso, suo fratello Rodmon temeva non avesse nemmeno dormito.
Le si avvicinò e sedette sullo sgabello accanto a lei. Riss non distolse gli occhi dal fuoco.
« Ti va un po’ di latte? » le chiese.
Riss rimase qualche istante immobile, poi si girò verso di lui con aria interrogativa.
« Scusa? Che dici? »
« Ti va un po’ di latte? » ripeté Rodmon.
« Ah. » Riss tornò a guardare il fuoco. « No, grazie. »
Casa loro era semplice, spoglia, piuttosto distante dalle altre del villaggio: l’aveva voluta così loro padre Zorghe, un pescatore che proprio non voleva sentire, da casa, il rumore del mare. Né il rumore delle altre persone, evidentemente.
Rodmon aprì la bocca, ma non gli veniva niente da dire. Certe volte gli sembrava che tra lui e sua sorella si fosse aperto un altro Artiglio, e che fosse possibile soltanto guardarsi da lontano, da una sponda all’altra del fiordo.
« C’è… qualcosa che non va? » provò Rodmon, « Sei preoccupata per stasera? »
Riss scosse il capo. La treccia rossa si animò per un attimo sulla sua schiena, poi tornò immobile. « Non particolarmente. Non dovrò fare quasi niente, io. »
« Capisco… ed avresti preferito essere tu a compiere il Vaticinio? »
« Io sono soltanto un’Allieva, Rod. È naturale che alle nozze di una persona importante come Margrethe chiamino un Interprete da fuori. »
« D’accordo, non ti arrabbiare… »
« Io non sono arrabbiata. »
Rodmon tacque. Riss tornò a fissare il fuoco, tesa, e ricominciò a straziarsi le dita.
La porta della casetta si spalancò. Entrò un uomo grosso, con il viso segnato dalle intemperie e lo sguardo duro, con i pochi capelli in testa di un rosso bruciato.
« Ancora qui Riss? Ti stanno cercando. »
« Io sono pronta, padre. Ma è presto ancora per andare a preparare il Vaticinio. »
Zorghe la raggiunse e scostò Rodmon con la sua sola presenza incombente. « Non sei tu a decidere quando e come. Astolf ti vuole adesso, e tu non lo devi far aspettare. »
Riss non si mosse e continuò a fissare il fuoco. « Astolf può essere il signore di questo villaggio, ma non ha alcuna autorità sugli Dei. Il Vaticinio si preparerà secondo le tradizioni. »
« Ma allora sei stupida! » Zorghe afferrò la ragazza per il braccio, costringendola ad alzarsi in piedi. « Tu andrai adesso dal Borgomastro e seguirai tutte le sue istruzioni, mi sono spiegato? C’è anche l’Interprete, è già arrivato. Aspettano solo te. »
Riss provò a liberarsi, ma lui la strattonò più forte.
« O adesso vuoi dare lezioni pure all’Interprete? » le urlò Zorghe, « stupida presuntuosa. »
Un ciocco di legno nel caminetto scivolò lateralmente, liberando scintille. Riss si voltò a guardarlo.
« Vado, » disse poi, « vado subito. »
Zorghe le lasciò andare il braccio con una spinta, poi si girò verso Rodmon. « E tu che fai lì imbambolato? La legna non si taglia da sola, muoviti, va a lavorare. »
Rodmon annuì e si avviò alla porta. Riss quasi lo urtò per uscire per prima all’aperto.
« Se credono che farò la serva di Astolf si sbagliano » sibilò la ragazza prima di allontanarsi. Rodmon rimase sulla soglia finché non fu scomparsa dietro gli alberi, poi raccolse l’ascia ed andò a far legna.

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Messaggioda Garabombo » 23/12/2004, 14:41

La trama si fa sempre più arzigogolata! Ma noi sappiamo che presto questa bucolica città è in pericolo... la tensione sale!!! :o :shock:
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Messaggioda Annika » 28/12/2004, 10:34

Ancora un personaggio nuovo nella vicenda, poi prometto che la smetto di presentarli, almeno per qualche paragrafo! :)

*

Seduto sul molo con le gambe che penzolavano sopra il pelo dell’acqua, Larso sbocconcellava una patata bollita nell’attesa che lo venissero a chiamare. La marea era bassa ma stava crescendo in fretta, e le alghe smorte attaccate ai pali si gonfiavano e riprendevano vita. Anche le barche si lasciavano cullare dallo sciabordio delle acque.
Aveva lavorato tutto il giorno a sistemare il fienile per la festa di nozze, e adesso si godeva il suo meritato riposo. Un riposo poco confortevole purtroppo, a causa di una martellata che si era tirata su un dito. Già l’unghia cominciava a farsi nera alla radice, e pulsava maledettamente.
« Hei Larso che fai? Interpreti il volo delle Pulcinelle? »
Larso non si voltò nemmeno, riconoscendo la voce di Drokko. « Sono uccelli delle tempeste… »
« Si vabbè, con questa nebbia…. secondo me sono Pulcinelle. Sei tu che non ci capisci niente. E insomma che fai? Ti dai al Vaticinio? »
« Che vuoi Drokko? Sono stanco, lasciami in pace. »
« È tua madre che ti sta cercando, non io. Dice che ti devi preparare per la festa. »
« Drokko… per favore… »
« Come, non vuoi essere bello, stasera? » insisté Drokko sempre più canzonatorio, « eppure ci sarà anche da ballare, e così farai fare a Claes brutta figura! Povera ragazza… »
« Che c’entra Claes, dai… »
« Per chi mi prendi, santarellino? Eh? »
Larso sbuffò e tirò su le gambe, ormai umide di acqua di mare, mentre Drokko ridacchiava e gli tirava i capelli spettinati, peggiorando la situazione. Di tutti i ragazzi di Tuor, Larso era l’unico ad averli così neri e ricci, e li portava d’abitudine piuttosto lunghi. Sua madre lo chiamava “il cesto d’insalata”, ed era quasi un complimento.
« Dove stanno? »
« A casa della vecchia Hessen, sono lì a prepararsi. » Drokko scrutò l’amico da testa a piedi, mentre questi si rialzava. « Rassegnati ad una solenne strigliata, ti tocca di sicuro. »
Accanto a Drokko, Larso percorse tutto il molo fino ad arrivare alle prime case, quindi oltrepassò la bottega del tessitore, le quattro betulle davanti alla casa del fabbro, svoltò sul viottolo verso la collina e vide sulla sinistra il grande fienile dove iniziavano ad accendersi le lanterne. C’era già parecchia gente che rideva e chiacchierava, facce di Flakkedam e di lì, e soprattutto un mare di bimbetti elettrizzati. La casa della vecchia Hessen era poco più avanti.
« Larso! » Si sentì chiamare già dal porticato, « dove ti eri cacciato, accidenti a te! »
« Ciao mamma » si avvicinò lui rallentando appena il passo. Drokko agitò la mano: « l’ho trovato signora, io ora vado, eh? »
« Grazie, caro, va pure. Quanto a te, Larso… » e lo scrutò da capo a piedi, « quanto a te, è ora che tu ti dia una bella ripulita. »
« Bella rr..ipulita! » le fece eco Heikko, affacciandosi dalla porta con il suo solito sorriso ebete, «Larsso, rr…ipulita! »
Larso rivolse un’occhiata in tralice a suo fratello Heikko ed entrò nella casa della vecchia Hessen. L’aria puzzava di bucato e di sudore, c’erano troppe persone ammassate in uno spazio piccolo. C’era la vecchia padrona di casa, che sistemava gli orli degli abiti di un paio donne, sua madre e sua zia alle prese con i loro capelli, ed un paio di bambini.
La tinozza era dietro un grande paravento e da lì provenivano chiacchiere e risate, lui lo raggiunse e si spogliò. C’era Peter nella tinozza e suo fratello Klaus che si stava asciugando.
« Fammi posto, ciccione »
« Ha parlato l’uccellino! »
Peter uscì grondante dalla tinozza e scosse i capelli schizzando dappertutto. Klaus si scostò di un passo, mentre Larso si immergeva nell’acqua.
« È ancora tiepida » commentò socchiudendo gli occhi.
« Lo credo bene » sghignazzò Peter, « ci ho pisciato ora dentro… »
« Cosa? » Larso si tirò su di scatto, « sei un maiale! »
Peter fece il verso del porco e lo accompagnò con un paio di gesti osceni, mentre Klaus si sbellicava dalle risate. Era veramente grassoccio Peter, rosa pallido e bagnato, coi capelli color stoppa attaccati al viso e gli occhi piccini, e la sua imitazione del maiale era formidabile. Larso sospirò ed uscì dalla tinozza.
« Che cosa state combinando lì dietro? » arrivò la voce di sua madre, seguita dal solito eco di Heikko, « cosssa diettrooo, cossa combinnando? »
« Chiedi a tuo fratello se vuole farsi un bagno anche lui… » mormorò Peter ancora canzonatorio, « capace che lui se la beve di gusto, l’acqua della tinozza! »
« Va al diavolo Peter, lascia stare mio fratello. »
« Oh, guai a chi glie lo tocca, il suo fratellone scemo! »
« Ti ho detto di non mettere in mezzo Heikko. » Larso si stava davvero arrabbiando.
Klaus si appoggiò al paravento per allontanarsi un passo da loro, e come sempre cercò di mettere pace. « Dai Peter, diglielo che non ci hai fatto niente, lì dentro… »
« E invece sì » insisté Peter, « ce l’ho fatta eccome! Una gran bella pisciata! Dai, lavati Larso, che aspetti? Non vuoi essere bello profumato per la festa? »
« Laaaavaatiii Laarso, iiisciaaata feeesta! » ribadì Heikko.
Larso sospirò e strappò di mano il panno con cui Klaus si stava asciugando. « Ecco fatto il bagno, e tanti saluti. »
Si passò il pettine tra i capelli annodati, e subito gli si impicciò.
« Ti serve una mano a tirarlo fuori da quei rovi? » gli chiese Peter, e sghignazzando allungò una mano verso i capelli di Larso per tirarglieli.
« Lasciami stare, grassone! »
« Dammi quel pettine, per te è sprecato! Altro che pettine ti serve! Un rastrello! »
Larso scattò indietro per sottrarsi alla mole di Peter che cercava di prendergli il pettine, ed arretrando finì contro la tinozza. « Dammelo, dammelo! » gridò di nuovo Peter, e con una mano gli spinse il petto all’indietro. Larso scivolò sul legno bagnato del pavimento, urtò la tinozza con le gambe e ci finì dentro, schizzando dappertutto. Ma anche il paravento finì a terra, fece un gran tonfo e tutti si voltarono a guardare la scena.
« Larso! » sbraitò sua madre, mentre le altre donne si scambiavano occhiate e risatine. « Non comportarti come un cretino, esci dall’acqua e vestiti. Siamo in ritardo. »
« creeetinnoooo, veshitiiii, itardoooo… »

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Messaggioda Garabombo » 28/12/2004, 12:01

Larso è quello in cui mi ci ritrovo di più!

Ma ora arriveranno queste navi nella nebbia?? ... sto diventando impaziente! :x

Ciao
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Messaggioda Annika » 03/01/2005, 15:16

Ritorniamo alla piccola Tikki...


*

Tikki cercava di farsi salire una formica sul dito. La formica però girava intorno alla mano, faceva per avventurarsi, ma ci ripensava ogni volta e tornava giù. China a terra tra i cespugli, Tikki si voltò a cercare con lo sguardo la mamma, che era acquattata con il fratellino lì accanto.
« Ma a casa quando ci torniamo? » le chiese per la centesima volta.
« Presto tesoro, abbi pazienza ancora un pochino. »
« Io mi sono stufata però, e poi ho una fame da orso. Abbiamo saltato il pranzo… »
« Su forza, resisti ancora un po’ »
La bambina non rispose e raccolse un rametto da terra. Con quello ricominciò a giocare con la formica.
Era già buio tra gli alberi, ed iniziava a fare freddo. Tikki aveva creduto che il papà sarebbe tornato presto a dire che potevano uscire dal bosco e andare a casa, ma invece non era tornato e non si era fatto vedere proprio nessuno. Poi c’era la mamma, e anche lei era strana: quando il piccolo s’era messo a strillare, a un certo punto, era quasi morta di paura: aveva fatto più confusione lei per calmarlo, che non il fratellino.
« Vieni formichina, vieni… »
Eccola, finalmente la formica si arrampicò sul rametto. Tikki lo alzò e lo avvicinò al dito, inseguendola mentre faceva su e giù. Era così presa che non si accorse subito del puzzo di bruciato, finché non le venne da tossire.
« Fa piano… » le fece cenno sua madre, di nuovo agitata. Tikki rinunciò a capire e inghiottì tanta saliva per smettere di tossire. Nel mentre però la formica era di nuovo riuscita a scomparire.
« Dove accidenti ti sei nascosta? » si guardò intorno, a terra, sul rametto, ma della formica nessuna traccia.
In fondo, tra i primi alberi, le parve di vedere qualcuno che avanzava.
« È papà! » disse, e si alzò per andargli incontro.
« Ferma! »
La voce della mamma era terribile, e Tikki si girò a guardarla. Le fece un cenno interrogativo, ma ora la mamma sembrava davvero atterrita. « Resta immobile e nascosta Tikki », le sussurrò tra i denti, « non muoverti per nessuna ragione. »
« Ma se è papà non ci trova… »
« Non ti preoccupare, tesoro, sta zitta. »
I movimenti al limitare del bosco si fecero più vicini. Erano almeno tre uomini, vide Tikki attraverso le foglie, e nessuno di loro era il suo papà.
Sentì un singhiozzo e per un attimo pensò che il piccolo si fosse svegliato, ma poi vide che era la mamma che piangeva.
« Che succede mamma, che hai? »
Lei non rispose ma fece cenno di no col capo, di stare in silenzio. Tikki però cominciava ad avere paura. I tre uomini stavano parlando tra loro senza preoccuparsi di far piano, ma non si capiva niente di quello che dicevano, era come una filastrocca senza significato. E perché papà non era tornato?
Tikki li vedeva ora abbastanza bene, nonostante il buio. Erano grossi come suo padre, forse anche di più, e portavano tutti e tre i capelli lunghi. Stavano a torso nudo, ma avevano addosso qualcosa che luccicava e dei disegni strani sulla pelle. Sulla schiena avevano legate delle armi.
Uno di loro iniziò a ridere, e per un attimo le sembrò addirittura simpatico. Poi però si accorse che stava guardando proprio nella loro direzione, verso il cespuglio dove era nascosta la mamma. Anche gli altri due risero, poi quello che aveva incominciato si avvicinò ancora di qualche passo.
Trattenne il fiato e l’uomo le passò vicino senza vederla. Poi un altro, che era rimasto indietro, lo chiamò con un nome simile a Ulg, e lui si fermò.
Ulg, o come si chiamava, si voltò verso il compagno. Tikki, che gli era proprio sotto, notò le strane piume che il guerriero teneva legate tra i capelli, la spada tutta sporca, i disegni che aveva sul petto e sulle braccia. Rimasero immobili per un tempo interminabile, poi la bambina avvertì un vago formicolio sul polso: era la formica, ecco dove s’era nascosta!
Ulg gridò qualcosa molto forte e scoppiò di nuovo a ridere, e i suoi compagni gli tennero dietro. Uno dei due picchiò con il manico dell’ascia su uno scudo che aveva al braccio.
Dal cespuglio accanto al suo, Tikki si accorse che il fratellino s’era svegliato, con tutto quel fracasso, e stava iniziando a piagnucolare.
Ulg lo sentì immediatamente dopo. Smise di ridere e scattò in avanti.
Tikki vide sua mamma con il bambino che si alzava dal cespuglio per scappare via. Il piccolo strillò più forte. Tikki invece rimase impietrita: non pensava che sua mamma potesse correre così veloce, soprattutto ora che aveva un altro fratellino nella pancia!
I tre rincorsero la mamma per un breve tratto di bosco, rallentati dalla loro mole e dal peso delle armi. Tikki li seguì con lo sguardo, ma presto furono nascosti dal buio e dalle foglie.
A un tratto sentì un grido, e riconobbe la voce di sua madre. Il fratellino continuava a strillare. Si erano fermati adesso, l’avevano raggiunta.
Devo rimanere ferma immobile come mi ha detto la mamma, si disse Tikki. Ma quando la sentì che piangeva e implorava le si strinse il cuore, e decise di andare a vedere.
Sgattaiolò tra un cespuglio e l’altro e, anche se faceva un po’ di rumore, si sentiva coperta da tutto il vociare più avanti.
Il bosco era piuttosto rado in quel punto, i tre uomini e la mamma erano finiti in un piccolo prato, proprio dove di solito Tikki veniva a raccogliere i lamponi.
I lamponi… con il papà.
La mamma stava a terra e piangeva piano. I tre invece ridacchiavano e tenevano tutti la spada in mano, tranne uno, quello che aveva battuto prima l’ascia sullo scudo. In questo momento, invece dell’ascia, reggeva il fratellino, che ancora strillava.
Disse qualcosa e gli altri si misero ai suoi lati. Poi tirò in aria il bambino e gli altri lo trafissero al volo con la spada.
Ulg, lo colpì ad un braccio, l’altro in piena pancia. Il bimbo gorgogliò qualcosa e poi rimase in silenzio, mentre la mamma ricominciava a gridare.
Liberata la spada dal corpo del neonato, quello che l’aveva trafitto alla pancia disse qualcosa, soddisfatto, e gli altri due si complimentarono battendogli pacche sulle spalle. Poi si voltarono verso la mamma. Ulg l’afferrò per i capelli, costringendola ad alzarsi, lei provò a fare resistenza, ma non aveva più forza in corpo.
Allegramente, i tre guerrieri la trascinarono di peso via dal bosco, lasciando lì il cadavere del bambino. Tikki non sapeva se era tutto vero, oppure soltanto un brutto sogno.

*
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Messaggioda Garabombo » 03/01/2005, 15:41

Sigh... lo sapevo che sarebbe finita così! :(

... le navi nella nebbia sono arrivate...
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Messaggioda Annika » 07/01/2005, 9:46

Per farmi perdonare del ritardo, stavolta ecco due paragrafi! :)

Anna

*

La vecchia Gjlda sedeva su una panca e beveva sidro di pere. Aveva un gran sorriso stampato sulla faccia e batteva col piede il tempo della canzone che i musici stavano suonando su una pedana in fondo alla sala.
Il fienile, dipinto di bianco per l’occasione, era caldo ed affollato, pieno di lanterne e di fiori. Gli uomini più anziani sedevano al tavolo, bevevano e giocavano a dadi, quelli più giovani danzavano con le fanciulle vestite a festa, mentre i ragazzini scorrazzavano da un angolo all’altro del padiglione, ridendo e rimpinzandosi di dolcetti al miele. C’era Tomska con i suoi amichetti che stava raccontando storielle divertenti e prendeva in giro le ragazze che ballavano.
Da ragazza anche Gjlda aveva amato ballare e, se non fosse stato troppo ridicolo per una vecchia come lei, anche quella sera le sarebbe piaciuto unirsi alle danze. La musica era buona, come raramente capitava in un villaggio così lontano dalle strade importanti, e i suonatori che il Borgomastro aveva chiamato provenivano nientemeno che dalla città di Flakkedam.
Forse hanno fatto il viaggio insieme all’Interprete, si disse Gjlda, ma subito ci ripensò: non le sembrava troppo probabile che un Interprete si unisse al carrozzone di artisti!
Diede un’occhiata al piccolo altare sacrificale che era stato allestito dall’altro lato del fienile, ancora pulito, e le parve di scorgere l’Allieva Riss dietro alla tenda. Si stava preparando al Vaticinio.
Una ragazza poco più che adolescente che sceglie la vita dell’Interprete era sempre un mistero incomprensibile per Gjlda: con tutte le cose da fare in una vita, sposarsi, avere dei figli… perché mai scegliere una vita di sacrificio? La Vocazione, così la chiamavano… ma per Gjlda era e restava qualcosa di assurdo.
I suonatori attaccarono una ballata che ricordava a Gjlda di quando era ragazza, ed alla vecchia scappò un sospiro. Poi udì che qualcuno accanto a lei sospirava ancora più malinconicamente. Incuriosita, lanciò un’occhiata da quella parte e riconobbe Claes, la figlia del carpentiere. Stava seduta su uno sgabellino da sola, invece di ballare, e sembrava davvero di cattivo umore.
Era una bella ragazza, alta e robusta, con i capelli raccolti in due grosse trecce sul capo e le guance rosse come mele. Si vedeva che si era impegnata molto per apparire graziosa quella sera, anche se l’espressione corrucciata del suo viso sciupava un po’ l’insieme.
Gjlda provò a seguire lo sguardo di Claes, che si volgeva spesso a fissare il tavolo dei dolciumi ed un gruppetto di ragazzi lì intorno. Chissà chi tra loro è il fortunato … si chiese la vecchia, ma era impossibile capirlo, e così tornò a sorseggiare il suo sidro di mele e a battere il tempo della musica col piede.

*

Claes era seduta da sola di fianco alla pedana ed ascoltava i musici. Indossava un abito che aveva cucito per l’occasione, col petto ricamato di fiori verdi e ocra, e si era profumata il collo con nettare di rosa. Eppure Larso ancora non le aveva chiesto di ballare. Stava lì, in piedi vicino al tavolo, a chiacchierare coi suoi amici e a mangiare dolci. Nemmeno l’aveva guardata, in tutta la serata.
La ragazza sbuffò, poi vide la sposa che ballava, e si sentì ancora più di cattivo umore.
Quando già la serata più nera della sua vita stava raggiungendo il culmine, si accorse che qualcuno le aveva posato una mano sulla spalla, si girò.
« Ehi Claes, hai voglia di ballare? »
Era Ulrich, il fratello maggiore della sposa.
La ragazza esitò, lui se ne accorse e sorrise: « aspetti qualcun altro? »
Claes scosse il capo. « Balliamo, d’accordo. »
Ulrich le prese la mano e l’accompagnò tra gli altri al centro della sala. Era più alto di lei, anche più alto di Larso, notò Claes distrattamente, mentre il ragazzo le posava una mano sul fianco. Nonostante il volto magro ed il naso aguzzo, in fondo era di bell’aspetto. Sapeva anche ballare.
« Ti stai divertendo? » le domandò lui poco dopo.
« Molto, sì, ti ringrazio. È una bella festa. E tua sorella è bellissima oggi », aggiunse educatamente.
Ulrich annuì.
« Anche tu non scherzi comunque » rispose dopo qualche momento di silenzio, « sei molto graziosa. »
Claes arrossì e non si rese conto che era arrivato il momento, nel ballo, in cui bisognava sistemarsi su due file, una di fronte all’altra, e sciogliere le coppie. Perse per un attimo il ritmo della canzone e da un’occhiata capì che Ulrich se n’era accorto, e ne era divertito. Stizzita, si sforzò di far finta di nulla. Era tutta colpa di Larso, che non l’aveva invitata a ballare. Ed eccolo lì a mangiare dolcetti come un ragazzino, del tutto disinteressato alla musica e a lei.
« È il momento degli Auspici » le disse Ulrich quando i musici ebbero finito di suonare, « andiamo più avanti a vedere da vicino. »
La prese per mano e la guidò facendosi largo tra la gente accalcata nel mezzo della sala. Passando davanti a Larso, Claes gli rivolse un’occhiataccia.
Intanto nella sala era sceso il silenzio.
Il Sommo Interprete, coi paramenti scuri ed il copricapo rituale, avanzò dal fondo della sala a passi lenti, seguito dai suoi due Assistenti che portavano un capretto. Riss lo teneva per il collo mentre l’altro ragazzino, più piccolo d’età, gli camminava dietro e teneva in mano il pugnale di ossidiana.
Claes si trovò molto avanti, in modo da assistere al Sacrificio senza bisogno di alzarsi in punta di piedi. Sentì che Ulrich continuava a tenerla per mano, ma con finta naturalezza Claes si liberò. Avvertì un’occhiata delusa del ragazzo, ma la ignorò.
L’Interprete e i suoi due Assistenti si fermarono al centro della sala, proprio davanti agli sposi, e il Sommo Interprete intonò la litania nuziale. Alcuni, soprattutto tra i vecchi presenti, gli andarono dietro con trasporto.
Larso, dove sei brutto stupido? Si guardò intorno Claes, perché non sei qui vicino a me, almeno in questo momento? Sentì che le stavano salendo le lacrime agli occhi. Lacrime di stizza, di frustrazione. Intorno a lei molti si tenevano per mano, e lei sarebbe voluta sprofondare per la rabbia.
Finalmente la litania finì.
Nel silenzio assoluto l’Assistente più giovane passò il pugnale al Sommo Interprete, mentre Riss teneva sollevato il muso del capretto, dolcemente ma con fermezza. La lama scura si immerse nel collo dell’animale, che si dimenò per un momento, e subito il sangue prese a fiottare.
A terra, in pochi momenti, si formò una pozza di colore rosso scuro.
Claes sentì qualcosa che le sfiorava il braccio e si scansò.
« Dei dell’Uomo e della Donna, mostrateci la strada che questi sposi dovranno seguire, indicateci il loro percorso e santificate il futuro che li attende » cantilenò il Sommo Interprete.
Claes sussultò perchè qualcuno le aveva posato una mano sulla spalla. Si voltò e dietro di lei c’era Larso, il quale le rivolse un sorriso un po’ tirato. Colse anche l’espressione scura di Ulrich, lì vicino, ed arrossì per l’imbarazzo.
Nel mentre il capretto, con un rantolo soffocato, smise di agonizzare e Riss lo depose a terra, con l’aiuto del ragazzino più piccolo. Quando il Sommo Interprete le porse il pugnale, Riss si inchinò e l’affondò nel ventre del capretto, per estrarne il fegato. Le sue mani esperte esposero velocemente le interiora dell’animale, e senza esitazione affondò il braccio sinistro fin quasi al gomito tra la carne ancora palpitante, mentre con la mano destra faceva leva per allontanare i budelli sguscianti. Tirò fuori il fegato e lo pose delicatamente sul piatto argentato, ricoperto di sottili linee ed iscrizioni, che l’assistente più giovane le porgeva.
Quella era una parte del Sacrificio che Claes aveva sempre trovato spaventosa e insieme più emozionante. Adesso che aveva Larso vicino – stupido, perché è arrivato soltanto adesso? Perché non mi ha invitata a ballare, se erano queste le sue intenzioni? – ebbe il desiderio di dargli un calcio, poi le venne da sorridere e gli si appoggiò un po’ contro. Sentì che il ragazzo si irrigidiva – Non posso crederci che la sua sia soltanto timidezza… – e si intenerì.
Già il Sommo Interprete si era sistemato alle spalle dell’altare per il vaticinio, e nella sala si percepiva la trepidazione dell’attesa. Claes colse lo sguardo irrequieto di Astolf il Borgomastro, subito dissimulato da un sorriso ed un accenno di brindisi. L’adepto più giovane raccolse il pugnale di ossidiana e lo depose sull’altare, mentre Riss, con il piatto contenente il fegato del capretto, avanzava lentamente verso il Sommo Interprete.
La ragazza era sporca di sangue ma sembrava non accorgersene. Il suo incedere era solenne e teneva lo sguardo rivolto al pezzo di carne scura e sanguinante che trasportava. Arrivò all’altare, si inchinò e lo depose davanti al suo Maestro, che fece un cenno di approvazione.
Nel silenzio più assoluto il Sommo Interprete si concentrò e fissò lo sguardo sul fegato del capretto. Aiutandosi con la punta di ossidiana disegnò due linee che si intersecavano, quindi altri segni subito riassorbiti dalla superficie porosa del fegato. Qualcosa gli attraversò per un attimo il volto, una ruga sulla fronte che subito si distese. Posò il pugnale, levò le mani verso l’alto e con voce possente disse: « Grazie, Dei tutti, grazie per il lieto segno che ci mandate in questo giorno di festa! »
Il silenzio della sala si rilassò, alcuni mandarono risatine liete, e i due giovani sposi si scambiarono un’occhiata rasserenata.
Anche Claes sorrise, e istintivamente si voltò a guardare Larso. Aveva voglia di unirsi con lui all’atmosfera generale di contentezza, ma poi notò che il ragazzo sembrava turbato, e guardava fisso l’Allieva. Anche Claes adesso seguì il suo sguardo, fino ad incrociare proprio quello di Riss, gelido e atterrito. Si sentì rabbrividire.
« Gli Dei ci promettono grande felicità per questa unione, » continuò il Sommo Interprete con voce sempre più sicura, « leggo nella volta celeste di questo sacrificio la benevolenza degli Dei del Fato, Vanth e Charun, e promesse di molti figli da parte degli Spiriti delle Lasa, qui nel mezzogiorno dell’Arco. »
« Datti da fare, Kold! » sghignazzò qualcuno dal fondo della sala rivolto allo sposo, subito seguito da un’eco di battute e risate. Ma l’Interprete non aveva ancora finito, e con un’occhiata riguadagnò il silenzio.
« Leggo anche, nell’Est del sacrificio, una benevolenza ed una prosperità più grande. Il quinto arco rappresenta la vita della comunità, e questo segno vuol dire che i villaggi che oggi uniscono le loro famiglie ne trarranno grandi benefici per gli anni futuri! »
Le grida di entusiasmo e i brindisi presero finalmente il sopravvento, ed esplosero allegri in tutta la grande sala illuminata.

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Messaggioda Garabombo » 09/02/2005, 17:49

Anche qua si attende morte... :evil:

AUUUUU!!!!! I lupi della steppa milanese attendono qua fuori... e io attendo il proseguio!!!

ANNA!!!

... ciao! :P
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Messaggioda Annika » 17/02/2005, 11:01

Eccolo!

Ritorniamo alla povera Tikki: vi eravate dimenticati di lei? :)

*

Il bosco era più buio adesso che era rimasta da sola, e le si stringevano addosso rami aguzzi come gli artigli dei mostri, nelle fiabe.
Tikki si avvicinò al fratellino, titubante. Il piccolo era steso prono a terra, sporco di una fanghiglia nera. Era immobile e silenzioso, più simile ad un bambolotto che ad un bimbo vero, con un braccio tutto storto, quasi staccato dal corpicino.
« Ehi… » mormorò Tikki, « cosa ti hanno fatto? »
Il fratellino mandava il cattivo odore di quando se l’era fatta addosso e c’era bisogno di cambiargli le fasce.
Tikki guardò nella direzione dove quei tre uomini avevano trascinato via la mamma, ma già non si vedevano più. « Mamma! » chiamò con quanto fiato aveva in gola, « mamma vieni qui! »
Visto che nessuno le rispondeva, tornò a chinarsi sul fratellino, e provò a girarlo. Era tiepido e aveva il viso tutto infangato. Un occhio era aperto e l’altro chiuso, nella bocca c’era terra e sangue.
« Poverino… » mormorò Tikki cercando di ripulirgli il viso con l’orlo della sua vestina. Aveva la pancia tutta aperta e si intravedeva della roba rossa e lucida dentro.
« Adesso ti porto a casa e lì papà metterà tutto a posto come prima » gli disse mentre lo prendeva in braccio. « Vedrai » aggiunse per farsi coraggio, « si sistemerà tutto. »
Tikki era abituata a reggere il fratellino, ma stavolta era tutto diverso. La testa gli scivolava all’indietro, e poi gli colava fango e quella roba simile a sangue dalla pancia, ed era viscido. Faceva anche un po’ paura.
La bambina si incamminò verso casa. Intorno a lei sentiva i rumori del bosco, e ad ogni passo aveva la sensazione che Ulf e gli altri due che avevano portato via la mamma potessero ritornare e prendere anche lei… o forse ad infilzarla come avevano fatto con il fratellino. Ricacciò indietro il pensiero e camminò più svelta.
Un fruscio improvviso la fece saltare e il fratellino le scivolò a terra. Erano uccelli notturni, vide subito, e riprese fiato. Si chinò per raccogliere il bimbo, che era finito a faccia sotto tra le foglie. Era immobile, sembrava veramente morto.
« Su, vieni qui, non piangere… » gli disse, ma in cuor suo desiderava tantissimo di sentirlo strillare un po’. Invece restava zitto e immobile. Lo strinse al petto, anche se la puzza di bisognini era sempre più forte. « A casa la mamma ti pulisce » cercò di consolarlo e di non pensare a quanto aveva strillato la mamma mentre quei tre uomini la trascinavano via.
Raggiunto il limitare del bosco, finalmente iniziò a scorgere delle luci in lontananza. Erano al villaggio, a valle, e una luce più fioca si vedeva anche provenire dalla sua casa isolata. Le venne voglia di correre subito a casa, ma una ventata la fece tossire. C’era odore di bruciato.
Guardò meglio, rallentando il passo. Il villaggio stava bruciando, i tetti delle case sembravano delle torce enormi, e anche la grande chiesa di legno era tutta avvolta dal fuoco. Nella direzione di casa sua lo spettacolo era più triste ancora: non c’era più una casa, ma solo brace rossastra che si stava spegnendo poco a poco.
« Mamma… papà… » mormorò Tikki, « e adesso? »
Strinse più forte il fratellino e sentì che qualcosa sgusciava fuori dal buco sul pancino. Ebbe un moto di repulsione e inghiottì qualche lacrima.
« Devo andare a vedere che sta succedendo » disse al piccolo, « ma non voglio farmi vedere da nessuno. Tu resta qui nascosto » aggiunse mentre lo posava a terra vicino ad un cespuglio, « resta fermo e in silenzio, nessuno ti scoprirà… e poi io torno e ti porto in salvo. »
Si allontanò di un paio di passi e si voltò verso il bambino. Si vedeva troppo, così raccolse delle foglie e lo nascose un po’, lasciandogli libero il viso.
« Mi raccomando, » gli disse di nuovo, « non avere paura! »
Dopodichè corse verso il villaggio in fiamme.

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Messaggioda Garabombo » 01/03/2005, 9:44

Annika... stai languendo, ultimamente! Ci lasci col fiato sospeso... qua si preannuncia steminio ed abominio! :x

Attendiamo fiduciosi che qualcuno si sia salvato!! :|
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Messaggioda Annika » 16/03/2005, 13:19

Si prosegue, sia pure molto lentamente!
Da brava nipote di marinai quale sono, prometto che sarò più veloce nei prossimi tempi! :)

*

Veloce… veloce… più veloce… dannazione, non vedo niente, ma lo sento dietro di me, sta guadagnando terreno! Non ce la faccio! Dei, aiutatemi!
Correva tra l’erica e i cardi che gli graffiavano le gambe, e il cuore impazzito con il suo martellare copriva ogni altro rumore. Era tutto buio, tutto soffocato dalla nebbia, tutto deserto. L’aria fredda gli aveva lacerato la gola e sentiva il sapore del sangue in bocca.
Non ce la faccio, devo prendere fiato, sto scoppiando.
Si fermò un momento e le gambe per poco non gli cedettero. Sputò a terra, respirò. Silenzio. Attorno a lui era tutto silenzio. Trattenne il fiato, in ascolto, ogni nervo del suo corpo teso a scappare ancora. Ma c’era soltanto silenzio attorno a lui, ed il delicato sciabordio delle onde in lontananza.
Forse mi ha perso, si disse mentre un tepore di speranza gli si diffondeva nel petto, forse è così grosso che non riesce a starmi dietro, e ha rinunciato… Dei, fate che sia così… fate che abbia lasciato perdere… non voglio più vedere la sua ascia dentata sporca di sangue, le zanne del Drago… non voglio più vedere il suo occhio cieco e quel viso senza espressione… non voglio morire, ho paura…
Un fruscio tra le foglie, non lontano, lo fece trasalire. Rimase immobile ancora un momento.
No, l’ho sognato… forse è il vento…
Ma non c’era vento, quella notte, c’era soltanto una nebbia immobile che puzzava di morte.
Dei, vi prego… di nuovo quel fruscio. Socchiuse gli occhi per esplorare l’oscurità ovattata che lo circondava. Nulla, troppo buio per vedere. Solo nebbia. E quell’odore.
Una miriade di scintille gli esplosero improvvisamente davanti agli occhi, mentre l’acciaio gli attraversava la carne del braccio. Gridò, ma dalla sua bocca uscì solo un gemito soffocato.
Anche nella nebbia riesce a vedermi, benché guercio… ed io… è come se fossi cieco!
Avvertì il lieve spostamento d’aria dell’arma che viene sollevata in alto, si gettò a terra per schivare un altro colpo. Nel freddo della nebbia sentiva il sangue caldo scivolargli fuori dal braccio e colargli fino alla mano.
Se mi fermo sono morto… ma non posso! Devo parlare! Devo dire che cosa sta succedendo! Non posso morire adesso!
Rotolò per un braccio o più, sfruttando un imprevisto pendio naturale, fino a scivolare tra i cardi. I passi pesanti del suo inseguitore, adesso così vicini, si mossero tranquillamente per raggiungerlo. Si sollevò in ginocchio, mentre le spine gli strappavano lembi di pelle e di vestiti, posò le mani a terra per tirarsi su, ed in quel momento il colpo lo raggiunse alla schiena. Espulse tutta l’aria che aveva nel petto, e cadde di faccia nella terra. Sentì qualcosa che si spezzava, un occhio che sembrava scoppiare emettendo un suono umido, ed un dolore definitivo tra le scapole, mortale.
È finita… Dei, accoglietemi…

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Messaggioda Annika » 16/03/2005, 13:20

*

Astolf si alzò in piedi sorridente, con un boccale colmo in mano, e lo levò in alto.
« Brindo a questa unione fortunata! Brindo a Margrethe e a Kold, e brindo al villaggio di Tuor, che siano sempre tutti felici! Così come gli Dei ci dicono! Evviva! »
« Evviva! » Fecero eco molte voci, « Evviva gli sposi, evviva la nostra buona sorte! »
Larso partecipava ai brindisi distrattamente, con Claes che gli si strusciava vicino con la spalla e che sorrideva rossa in viso; vedeva tutti divertiti e allegri, vedeva gli sposi che finalmente in un tripudio di “Evviva” si scambiavano un bacio davanti al Sommo Interprete, e sua madre e suo padre, dall’altra parte della sala, che si baciavano anche loro come molti altri. Forse era l’occasione giusta per baciare Claes, pensò, anche se gli occhi torvi di Ulrich addosso non gli piacevano per niente.
Era il momento più lieto della festa, e anche lui avrebbe voluto parteciparne.
Ma quasi senza accorgersene, tornò a guardare il viso impietrito di Riss, e la sensazione di disagio lo assalì di nuovo.
« Non... non è vero… » mormorò la fanciulla ad un tratto tra i denti, livida per la tensione. Riss sembrava una fune tesa all’inverosimile, sul punto di spezzarsi. « Non è vero! » gridò improvvisamente con forza. « Non c’era scritto questo nel sacrificio! È una menzogna! »
Alcuni la sentirono subito e si voltarono a guardarla, mentre altri, distratti, non le fecero caso. Ma Riss tremava e continuava a gridare: « Non è vero! È una menzogna! L’Interprete ha mentito! »
« Nooo veeerooo, mnsoooognaaaa! » le fece eco Heikko col suo vocione ed un sorriso inconsapevole sul viso barbuto, e allora Larso vide Rodmon che scattava di corsa verso la sorella, per farla tacere. Ma il Sommo Interprete fu più veloce. Afferrò la ragazza per un braccio e la schiaffeggiò. Riss rimase immobile ancora a bocca aperta per qualche attimo, poi scoppiò in lacrime.
Le risate e l’allegria della sala si erano spezzate, e tutti guardavano perplessi la scena davanti all’altare. Riss chinò il capo e si allontanò svelta, mentre il Sommo Interprete ordinava all’altro assistente di accendere il fuoco per bruciare il fegato esaminato.
« E ora un po’ di musica, balliamo! » gridò allegramente Astolf, rivolgendo un cenno imperativo ai tre suonatori sul palco. Loro subito intonarono un rumoroso salterello, con cui coprire i commenti inquieti dei partecipanti al banchetto.
« Ma che le è preso? » domandò Claes a bassa voce, « è impazzita ad uscirsene così? »
Larso si strinse nelle spalle. Era impazzita probabilmente, impazzita e anche di brutto. Eppure non aveva mai visto Riss così viva e sicura di sé, e non riusciva a togliersi di dosso quel senso di paura e di freddo. Ebbe voglia di chiedersi che cosa avesse letto nel sacrificio, ma preferì non porsi una simile domanda ed invitò Claes a ballare.

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