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11 Aprile 517
Sabato 12 Settembre 2015

Il Picco di Ayles



Eccoci qua, finalmente: tu ed io. Ti ricordi di me? Probabilmente no, sono passati molti, troppi anni. Io sono più vecchio, tu sei rimasto uguale. Io ho cambiato mestiere, compagni e città: tu no. Il tuo compito è sempre lo stesso: sbarrare la strada a chiunque passi per le Montagne della Follia, intrappolando nel labirinto di gole, burroni e mulattiere che ti circonda chiunque cerchi di raggiungere Ghaan.

Il nome che ti hanno dato è fin troppo altisonante per una montagnetta che non arriva a mille metri. Eppure di morti ne hai fatti tanti: un piede in fallo sui sassi di questa mulattiera è più che sufficiente per andare all'altro mondo.

Le luci mi seguono ancora: bene. Ne conto quattro, segno che a quanto pare ci sono cascati. Procedono lentamente, tenendosi a debita distanza: pensano di seguire un gruppo, al quale non intendono concedere il vantaggio della maggiore altezza. Si avvicineranno tra qualche centinaio di metri, subito dopo il primo e unico bivio che offre questo sentiero. A sinistra, verso le falesie dello Shoggoth, oppure dritto, verso il tortuoso camminamento che conduce alla via per Ghaan.

Le fitte al ventre si fanno sentire a intervalli sempre più stretti: l'ho sforzata troppo questa ferita, a breve mi toccherà pagare il conto. In compenso le gambe funzionano ancora bene: un passo dopo l'altro, un metro alla volta. Se solo quel bivio non fosse così maledettamente lontano.

Il vento soffia più forte, qui in alto: lo sento sul viso, freddo e ostile come queste pareti di roccia. Dovrebbe darmi un gran fastidio anche sotto, con quello squarcio che ho sull'armatura, invece non sento nulla: non è un buon segno ma tutto sommato mi fa comodo, significa che il dolore mi darà qualche minuto di tregua. Tra una sferzata e l'altra mi torna in mente mio padre: se conosco questi luoghi è merito suo. Fu lui a mostrarmi il bivio e a raccontarmi la storia sinistra delle falesie dello Shoggoth, il mostro leggendario che fa a pezzi i viandanti che osano avvicinarsi alla sua tana: una leggenda per tenere lontani i curiosi dai crepacci e dalle grotte in cui i Signori di Ghaan erano soliti gettare o rinchiudere i loro nemici. E' una strada infida e tortuosa, specialmente di notte. Curiosamente, anche l'ultima volta che l'ho percorsa - nonché l'unica - ero inseguito dai soldati. Si vede che è destino: l'altra volta ebbi una gran fortuna, stavolta me ne servirà cento volte tanta.

Finalmente raggiungo il bivio. Me lo lascio alle spalle, inerpicandomi per il sentiero che conduce alle falesie: bastano pochi passi e le tre luci che porto con me scompaiono alla vista dei miei inseguitori, inghiottite dallo stretto passaggio che si apre tra le rocce.

Faccio appena in tempo a girare l'angolo che una fitta lancinante mi assale, trascinandomi a terra. Dannazione, penso mentre rantolo tra la polvere: mi resta poco tempo. Ramsey e gli altri dovrebbero essere a buon punto, non mi resta che rubare un'altra manciata di minuti a questi soldati. Mi trascino fino a una roccia e mi costringo nuovamente in piedi. I rumori si avvicinano, hanno accelerato il passo: tra poco saranno qui. Devo pensare in fretta, sfruttando la poca intimità concessa da questo grappolo di rocce. Raccolgo la corda che lega le tre torce che mi sono portato dietro fino ad ora, la roteo sopra la testa e la lancio verso la tana dello Shoggoth con tutta la forza che mi resta: una si spegne, due restano accese a una quarantina di metri. Fino ad ora ci sono cascati, spero che si bevano anche questo. Mi scelgo un buon nascondiglio tra le rocce, sfoderando la spada e il coltellaccio. Venite a prendermi, bastardi: vediamo se vi aspettate una mossa del genere.

La tensione dell'attesa ha un effetto benefico sul dolore al ventre... o forse è soltanto che quell'enorme grumo nerastro e maleodorante seminascosto dall'armatura non è più in grado di sentire alcunché. Chi se ne frega. Mi sono divertito abbastanza, adesso è giunto il momento di andarsene col botto. E se riuscirò a portarmi dietro un paio di soldati, tanto meglio.

Eccoli che arrivano, in armi e armature. Non vi sarà facile combattere in questi spazi angusti conciati a quel modo. Trattengo il respiro, la mia mancanza di mobilità mi costringe ad aspettare di essere quasi in mezzo a loro. Non ancora. Non ancora...

Adesso.

La punta della spada si fa largo tra le rocce, scavando un solco nella schiena del mio obiettivo. Sorpresa. Non ho né tempo né spazio sufficienti a ritirarla a me quindi la lascio tra le scapole della mia prima vittima, avventandomi col coltellaccio sul compagno più vicino: la punta scivola sull'armatura senza penetrarla. Dannazione. le gambe mi cedono, ma le braccia fanno in tempo ad avvinghiarglisi alla vita: lo spingo a terra a sua volta. Mentre rotoliamo di lato, tra le rocce appuntite, lo colpisco più volte col coltello con la forza della disperazione: quando ci fermiamo mi accorgo di essere pieno del suo sangue appiccicoso, segno che dovrebbe essere morto. Fuori due. Sento il mio corpo rialzarsi di scatto e muoversi da solo, sospinto dall'istinto di combattimento maturato in anni e anni di battaglie come questa. Il dolore è improvvisamente sopportabile, le gambe ci sono ancora: stringo il coltello con entrambe le mani, puntando la lama verso i miei inseguitori: fatevi sotto, penso senza dire una parola, osservandoli mentre mi guardano sbigottiti. Pensavate di essere i cacciatori, invece siete le prede. Quattro contro uno: ho fatto di peggio.

Un momento dopo agisco, sfruttando l'attimo che impiegano a sguainare la spada. Il soldato su cui mi avvento è il chiacchierone della torre, quel Victor che si dava le arie da capo: vediamo quanto vali quando non ci sono quattro piani di distanza tra te e un soldato di Uryen. Inizialmente la fortuna mi arride, il coltellaccio oltrepassa lo scudo e si pianta sulla sua spalla: osservo i tre quarti di luna riflessa sulla lama e penso che Kayah e Dytros sono con me, questa notte, proprio come andava dicendo Bohemond al momento di salutarci giù a valle. Poi il suo scudo mi colpisce con violenza, catapultandomi indietro a pochi passi dal baratro: sento le rocce piantarsi nella schiena, togliendomi il respiro. Ho poche speranze, così ridotto.

"Cercate i suoi amici mentre lo ammazzo: fate attenzione, guardate dietro ogni roccia!". Imbecille che non sei altro, non hai ancora capito che ti abbiamo fregato. Davvero sono arrivato fin qui per morire appeso alla spada di un cretino del genere? Non sia mai detto. Lo osservo con attenzione mentre compie i due passi che lo separano da me, pensando a come fare per allungare ancora un pò il brodo. Avanza con cautela, il maledetto: sa che potrei provare a buttarlo di sotto e non ha alcuna intenzione di rischiare. La mano destra brancola da sola alla ricerca di qualcosa e all'improvviso si chiude su una roccia: un colpo di reni e sono ancora in piedi, il dolore non è che un ricordo. La spada di Victor mi sfiora la spalla mentre la mia roccia gli sbatte violentemente sull'elmo, portandoglielo via. Colpisco ancora, sullo stesso punto ma stavolta senza elmo: poi ancora, ancora e ancora, fino a sentire il crac. Victor si accascia al suolo, morto stecchito.

Ma è l'ultima vita che prenderò: i suoi soldati mi circondano con le armi ormai sguainate, chiudendomi ogni via di fuga e spingendomi inesorabilmente verso il crepaccio. Non ho più armi a disposizione: la pietra non sta meglio della testa di Victor, il coltellaccio chissà dove diavolo è rimbalzato.

Fanculo. Non è ancora finita.



Com'è che dicevamo, neanche un anno fa? Guardia in alto, guarda in alto. Sollevo gli occhi al cielo, rischiarato dalla luce di Kayah e di Pyros, e contemplo l'unica via d'uscita che mi resta. Non c'è un attimo da perdere. Devo agire adesso, prima che mi chiudano l'ultimo metro o che il dolore torni con gli interessi. Accenno un passo verso i soldati, che istintivamente sollevano gli scudi, quindi mi volto verso il crepaccio... e salto.

Saranno due metri, forse tre. Non sarebbe neppure troppo difficile, se non fossi già praticamente morto. Sbatto violentemente sulla parete di roccia, mentre le mani cercano freneticamente la radice e il cespuglio visti pochi istanti prima. Quando li trovo, capisco che gli Dei sono con me. I soldati cominciano ad urlarmi contro, a cercare qualcosa da tirarmi o con cui potermi colpire. Inizio lentamente ad arrampicarmi, tirando con le braccia e aiutandomi col resto per quanto ancora posso: la buona notizia è che il dolore non è che un ricordo lontano, la cattiva è che non sento più le gambe: riesco soltanto ad avvertire che si muovono da sole, memori dei ricordi di una vita trascorsa tra le montagne, quel tanto che basta per agevolarmi la salita.

Continuo a tirarmi su, arrampicandomi lungo la parete del picco di Ayles: verso il cielo, verso la luna. I soldati lanciano rocce, mi urlano contro, recuperano frettolosamente un arco con cui provano a colpirmi dal basso... Niente da fare, è troppo tardi: non mi avrete, né vivo né morto. Tornerete a mani vuote, trasportando il corpo del vostro comandante.

La mia salita prosegue: un appiglio dopo l'altro, un metro alla volta. Il vento si fa più intenso, le voci dei miei inseguitori mi sembrano sempre più lontane, finché a un certo punto non le sento più: intorno a me restano soltanto il cielo, le stelle e il rumore del vento. Il dolore al ventre continua a graziarmi, consentendomi di andare avanti. Perdo anche la cognizione del tempo: la salita mi sembra durare una, forse due ore. A un tratto raggiungo quella che sembra una sella e impiego le ultime forze che mi restano per trascinarmici sopra. Crollo sulla schiena, impossibilitato a muovere un altro muscolo.

Non so se è la cima del picco di Ayles, ma sicuramente sono parecchio in alto. Non ho la forza di godermi il panorama. Peccato, perché dev'essere notevole. Il dolore sta lentamente tornando ma non mi dà fastidio, così come il vento freddo che mi circonda. A dirla tutta mi sento piuttosto bene, specie se penso ai miei compagni, che ormai saranno in salvo insieme allo Scudo, e ai soldati di Ghaan che si accingono a tornare dal loro Signore con un pugno di mosche in mano.

Ce l'abbiamo fatta, cazzo: o almeno lo spero. Poi mi viene in mente che da qui si dovrebbe poter vedere anche l'approdo. Mentre mi sforzo di girarmi mi accorgo che muovere il collo è improvvisamente diventato piuttosto complicato. Ma la fatica è ampiamente ripagata dallo spettacolo che si presenta ai miei occhi: che io sia dannato se quei due puntini gialli che stanno abbandonando la costa non sono le luci dell'albero della Disperata.

Ram, Ali, Roy, Garruk, Vasq, Bohemond e Brian, tornate a Uryen con lo Scudo e fate in modo di vincere questa guerra. Per me è arrivato il momento di prendere una licenza. Ci vediamo dall'altra parte.

Costringo la mano destra a slacciare il corno di Ghaan dalla cintola, quindi lo porto alle labbra: il tempo di raccogliere il fiato necessario e lancio il segnale pattuito. Non è servito quando eravate a terra, valga come saluto ora che siete in mare. Spendo un ultimo istante per contemplare lo spettacolo che mi circonda, mentre il suono del corno echeggia lungo la valle: le onde, le montagne e forse persino i fuochi di qualche avamposto all'orizzonte. Poi lo sguardo va in alto, perdendosi nel cielo terso e pieno di stelle lontane.

Duncan Vindel - Immagine
scritto da Duncan Vindel , 05:29 | permalink | markup wiki | commenti (1)
 
11 Aprile 517
Giovedì 3 Settembre 2015

Stella Polare



La Disperata ondeggia vistosamente, opponendo la prua alle onde e allontanandosi dalla costa frastagliata dell'altopiano. Distinguo appena la sagoma delle Montagne della Follia e so che anche loro ci osservano: posso sentirne la rabbia, lo sguardo vendicativo della bestia ferita che vede le prede sfuggire alle sue grinfie. Ce l'abbiamo fatta, Dunc: abbiamo vinto noi, dimostrando chi siamo e cosa sappiamo fare. Per l'ennesima volta questa terra martoriata ha rivolto al cielo il suo grido di dolore e noi abbiamo risposto con le nostre armi, sudore, sangue. Soldati di Treize, soldati di Uryen, piccole stelle brillanti in un cielo immerso nell'oscurità. Singolarmente contiamo poco, eppure senza di noi nessuno potrebbe vedere nulla. Nessuno è insostituibile, ma la luce che sprigioniamo quando siamo insieme è abbagliante.

Mi costringo a pensarlo. Poi mi guardo intorno e non vedo niente. Sarà il vento sabbioso che mi fa lacrimare gli occhi, o questo mare nero che ci circonderà fino a casa. Com'è che dicevamo, appena un anno fa? Guardia in alto, guarda in alto. Eppure nessuna delle milioni di stelle disperse nel cielo mi sembra lontanamente luminosa come quella che si è spenta stanotte.

Ci mancherai, Dunc. La tua luce, la tua capacità di trovare la strada giusta in ogni situazione. Non esiste angolo in questo feudo che non mi facesse sentire a casa quando eri tu a segnare il cammino. E' grazie a te che ce l'abbiamo fatta, oggi come tante volte in passato.

La nostra Stella Polare.

Vorrei riuscire ad illudermi, a pensare che non posso saperlo con certezza... Ma niente di quello che ho visto nei tuoi occhi al momento di dirci addio può darmi questa speranza: non ti farai mai prendere vivo, ne sono certa. Non tutti i miei compagni di viaggio ti conoscevano, molti di loro non sono in grado di valutare quello che abbiamo perso: io si. Dovrei convincermi che questa vittoria, questo scudo spezzato valgano più di te? Fatica sprecata: non lo penserò mai. Ma la guerra ci ha insegnato che esistono momenti e situazioni in cui l'acqua vale più dell'oro, il ponte più dei soldati che lo attraversano, lo stendardo più del braccio che lo porta. E' così che funziona, giusto o sbagliato che sia: quando non riesci più a fartene una ragione vuol dire che è il momento di riconsegnare le armi. Sfioro con la mano l'elsa di Ametista. Non pensarci neppure. La stringo forte, fino a che non sento il freddo del ferro svanire sotto le mie dita.

Vasq guarda in basso, verso i flutti del mare: nessuno meglio di lui è in grado di comprendere l'entità di ciò che abbiamo perso. Si conoscevano da una vita, prima ancora di entrare nell'esercito. A breve toccherà a lui guidarci per montagne folli e paludi malsane, altopiani piovosi e deserti di neve: posti che nessuno di noi ha mai visto e il cui nome è sufficiente a incutere timore. Avventure formidabili, esperienze terribili e prove dolorose che dovremo imparare ad affrontare senza di te.

Garruk non riesce a staccare gli occhi dallo scudo. "Secondo te luccica?" Mi chiede a un certo punto. No, non luccica affatto: brilla soltanto della luce riflessa di decine, migliaia di stelle. Annuisce, poi si volge verso Brian. "Tutto questo casino per uno specchio", gli borbotta contro: "...ed è pure rotto!" Ascolto le parole del suo interlocutore mentre prova a farlo ragionare, spiegandogli l'importanza di un simile artefatto. Fatica inutile, paladino: lo sa perfettamente. Per questo è così incazzato.

Roy è in piedi, le mani serrate sul parapetto del ponte di prua. E' il terzo comandante che perde in meno di due anni. Ogni tanto guarda nella mia direzione: credo che si sia fatto un'idea di dove io abbia già visto Joad Kempf, colui che a Ghaan chiamavano l'uomo senza volto, e che stia cercando di capire se ho voglia di parlarne. Non molta, in verità: quando saremo ad Angvard sarò costretta a ricordare, adesso ho voglia di pensare a Dunc, ai mesi trascorsi insieme, a quando era ancora con noi.

Brian e Bohemond conversano animatamente, cercando di dare un significato alla lista di nomi che hanno trovato. Sono entrambi pieni di ferite che non avevano prima di scivolare nel vuoto: Joad Kempf li ha quasi fatti a pezzi, ma loro non si sono arresi e alla fine lo hanno sconfitto. Una vittoria che testimonia un coraggio e una determinazione degna dei soldati migliori. E' anche per questo che hai scelto di restare lì, non è vero Dunc? Sapevi che ci avresti lasciato in buona compagnia. Il Terzo, il Ventesimo, il Trentaquattresimo... I numeri per te contavano poco, tu hai sempre guardato i soldati.

La porta della cambusa si apre rumorosamente. Ramsey sale sul ponte con una piccola botte sottobraccio. "Ho scelto la qualità, perlomeno rispetto al poco che offre la stiva di questa nave". Poi fa cenno ai presenti di avvicinarsi, con l'aria di chi butterà di sotto chiunque si rifiuti di bere. Garruk, Roy, Vasq, Brian, Bohemond... dopo pochi istanti arrivano anche Jarod, Quorthon e Astor. Ramsey chiede notizie di Arman, la ragazza risponde mostrando le mani rosse di sangue: "è un bel salto e gli resta poca rincorsa: stanotte vedremo".

Il vino viene versato in un silenzio rotto soltanto dai flutti del mare.

Garruk è il primo a parlare. "Al caporale Marcus Herrberg", esclama levando al cielo il suo boccale: ne beve più di metà, poi getta il resto verso il mare scuro. "Un coglione presuntuoso, fatemelo dire: neanche ha messo piede a terra che ha cominciato a biascicare stronzate sul Terzo per nascondere la cagarella: non siete più quelli di una volta, siete rimasti in pochi... Magari se avesse guardato i nemici anziché i compagni non sarebbe stato sommerso da tutto quel piscio bollente. Ma nonostante fosse un povero bastardo era un nostro compagno e meritava di tornare a casa: cosa che non farà, perché ha dato la vita per noi. Quindi... Grazie, Marcus: alla tua!".

"Grazie Marcus, alla tua": alcuni lo ripetono, altri si limitano a pensarlo. Tutti beviamo. Poi è il turno di Vasq. "Al soldato scelto Simon Eslan. Per averci segnalato l'arrivo dei rinforzi della torre e per aver ferito Joad Kempf. Grazie Simon, alla tua".

Il mare beve ancora, così come noi. Ram riempie i boccali, poi si avvicina al parapetto: lo sguardo di tutti si posa su di lui. "Al Caporal Maggiore Duncan Vindel, che ci ha condotti fino alle porte di Gretel e poi è riuscito nell'impresa di riportarci a casa. Chi lo conosce non ha bisogno di sentire storie, gli altri non le capirebbero. Torna presto Dunc, nel frattempo... alla tua!".

Per un lungo istante gli occhi di tutti seguono il volo del boccale del tenente che, scagliato oltre il ponte con forza ultraterrena, attraversa il cielo lasciando dietro di sé una scia luminosa d'argento, oro e vino.

Finalmente, vedo le stelle.

Ragazza che guarda le stelle - Immagine
scritto da Ali Shark , 03:52 | permalink | markup wiki | commenti (1)
 
20 maggio 517
Sabato 4 Luglio 2015

Gli Angeli di Greyhaven



Ilmatar, Regina dei venti e degli uragani, nata nella tempesta, figlia della Dea. Protettrice dei cacciatori e dei combattenti, guardiana degli umili e dei giusti, madre degli orfani, sorella di chiunque sia rimasto solo. E' a te che stanotte rivolgo le mie preghiere, rompendo un silenzio che dura da mesi. Lo faccio per ringraziarti di non esserti arresa, per aver continuato ad ascoltarmi anche quando la paura e la vergogna mi hanno privata della voce.

Non conosco parole che possano descrivere l'entità della violenza che ho subito. La memoria fatica a tenerne traccia, sospingendo quelle immagini oltre i cancelli del sogno. Il mio corpo ghermito tra gli artigli di quel mostro, i suoi aculei sottilissimi che mi scavano dentro come aghi infuocati, incendiandomi e carbonizzandomi dall'interno; e nello stesso tempo lo sguardo di Mirai, il suo sorriso compiaciuto, la sua voce che mi dice che andrà tutto bene e che presto, molto presto...

Mai.

Resterò chi sono, aggrappata a questa piantina e coltivando la mia forza con lei. Lo farò per ringraziarti dell'aiuto che mi hai inviato, del soccorso che mi stai prestando per mezzo dell'operato di questi due angeli provenienti da una terra lontana: uno per salvarmi, l'altro per vendicarmi.

Colin, il primo che mi hai mandato, ce la sta mettendo davvero tutta. I suoi sforzi di migliorare le mie condizioni arrivano a commuovermi al punto che talvolta, quando lo sconforto si impadronisce di me e mi porta ad aver voglia di mollare, la volontà di non deluderlo e il pensiero di come ci resterebbe male riescono a farmi chiudere gli occhi, rinviando ogni decisione all'indomani. E' capitato tante di quelle volte che ho perso il conto: la mia battaglia si è ridotta a questo, ormai. Una continua lotta contro la tentazione di abbandonarmi a ciò che fino ad oggi mi sembrava inevitabile. So per certo che dentro di me c'è qualcosa che aspetta solo la mia resa, il momento in cui implorerò di morire per accontentarmi all'istante. Quello che succederà poi al mio corpo ha poca importanza, visto che in ogni caso non sarò più io. Luger sembra convinto che non diventerò un insetto come Mirai: quel fuoco bollente, qualsiasi cosa fosse, non ha attecchito. Sarebbe una buona notizia, se non fosse che ha paura che possano succedere altre cose, non dissimili da quanto successe a Cynthia Haller. E' per questo che mi controlla quattro volte al giorno. Negli ultimi giorni ho pensato spesso a quello che potrebbe fare se mi trovasse morta... tagliarmi la testa? Bruciarmi con quella sostanza infiammabile di sua creazione, la stessa che Kailah lanciò contro la Bestia del Ponte? Chissà. L'unica cosa certa è che Luger aspetta che io muoia, mentre Colin sta facendo di tutto per tenermi in vita. Fino a ieri ero certa che, mio malgrado, avrei finito per accontentare Luger. Oggi no: oggi avevo voglia di ascoltare Colin e il suono della sua voce, di tenermi stretta la piantina che mi ha regalato, di abbracciarlo. L'Angelo Bianco, l'Angelo della Vita. Il mio Angelo.

Poi ho spento la candela, restando seduta a osservare la mia ombra svanire poco a poco. La Rocca di Tramontana guarda verso Nord, come se chi l'ha costruita sapesse già quello che sarebbe accaduto prima o poi. La finestra della cella, invece, è rivolta verso est: ecco perché la luce va via così presto. Quando l'Angelo Nero ha aperto la porta ed è entrato, sembrava notte. Il mio cuore si è fermato. Quando mi ha chiesto di seguirlo fuori ho guardato la piantina con occhi sbarrati, pensando che dopo tutto non le sarei sopravvissuta.

"Puoi prenderla, se vuoi".

Il tono della sua voce non sembrava minaccioso. In qualche modo sono riuscita a trovare la presenza di spirito necessaria ad alzarmi e seguirlo fuori dalla cella, lungo le scale delle segrete, attraverso i soldati di Greyhaven e i compagni del mio plotone con la piantina di Colin stretta tra le mani. Per l'ennesima volta ho avuto paura di morire. Al porto di Uryen, magari, appesa a un ramo a pochi passi da Hador Varchmann. La presa in giro definitiva, proprio nel giorno in cui avevo deciso di voler provare a vivere a tutti i costi.

Invece l'Angelo Nero ha cominciato a parlare. E la sua voce grave è risuonata nell'aria della sera come una musica, una melodia che non avevo mai udito ma che le mie orecchie avevano un gran bisogno di sentire.

"Anche a me è successo".

"Dimmi cosa ti ha fatto".

"Ci penserò io".

Poche parole, semplici. Ha voluto vedermi gli occhi. Mi ha detto che farà male, molto male.

"Talmente male che rimpiangerai di non essere morta".

"Ma se sopravviverai, prima o poi ci farai l'abitudine. E da quel giorno migliorerà".

L'Angelo Nero. L'Angelo della Morte. Il tuo Angelo.

Farò del mio meglio, Dea dei fulmini e delle tempeste. Ascolterò la voce dei tuoi Angeli, farò del mio meglio per meritarmi il loro aiuto. So che sarà difficile e so che farà male... al punto di desiderare di essere morta, forse.

Ma non oggi.

Oggi voglio soltanto restare viva e sentire ancora i tuoi Angeli cantare.

Annie Volvert - Immagine 3
scritto da Annie Volvert , 02:10 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
21 marzo 517
Lunedì 26 Gennaio 2015

La recluta



"... e se dovesse arrivare qualche risvegliato, sapete già quello che dovrete fare".

Il sergente aspetta di vederci annuire, poi si volta e sale a cavallo. La sua è una decisione che non mi aspettavo. E dire che il tenente era stato chiaro: gli uomini migliori del plotone al Cairn, i più inesperti a proteggere Muddan insieme a Rock. Il soldato di Feidelm - Kurt Baekar, credo che si chiami - lo affianca: a quanto pare sarà lui ad accompagnarlo al casolare. A noi spetta il compito di restare a Muddan, aspettando il loro ritorno.

"Sai che oggi è il suo compleanno? Di Rock, intendo."

Scuoto la testa. Gannor mi dice che l'ha saputo da un caporale di Uryen poco prima di partire: un chiacchierone, ci tiene a specificare. "Non è il solo", rispondo. Ride di gusto, mentre i due cavalli escono da Muddan per poi sparire dietro il versante della collina.

"Hai sentito quello che ha detto prima, no?", esclama poi. "Ora sei tu la più alta in grado".

"Tante grazie, siamo rimasti in due..."

Scuote la testa. "Mica vero... guarda lì". Il mio sguardo segue la direzione del suo dito fino a imbattersi in un insolito plotone di fanti di paglia, diligentemente disposti lungo la palizzata in attesa di essere bruciati. Abbozzo un sorriso, poi scuoto la testa: "Quelli sono soldati di Muddan: se non ti chiami Mardin non ti rispondono neppure".

"... o Brudde".

"... o Pock".

Gannor scoppia a ridere: riesce a contagiarmi, anche se non quanto vorrebbe. E' una persona leale, diventerà certamente un buon soldato: è stato lui a recuperarmi quando la Bestia del Ponte mi ha scagliata tra gli alberi e da quel giorno fa del suo meglio per starmi vicino, cercando di farmi ridere e assicurandosi che io veda anche il lato positivo delle cose. Tra tutti gli effettivi del mio plotone lui e Kailah sono quelli con cui ho legato maggiormente: gli altri mi vedono più o meno allo stesso modo dei Risvegliati... In tutti i sensi.

"Annie... Rock sa quello che fa. Se ha deciso così, significa che è la decisione giusta. Per tutti noi".

Annuisco. A dire il vero lo so fin troppo bene: il sergente non può portarmi da nessuna parte, non finché verso in queste condizioni. Non finché continuo a sanguinare così. Sono certo che si sia già pentito di avermi portata in missione: l'ho letto nei suoi occhi quando sono andata a dirgli cosa mi stava succedendo. E' comprensibile: ha paura che possa succedermi qualcosa... o peggio, che io possa rivelarmi un pericolo per la squadra. Volente o nolente. Pochi giorni fa, poco prima di venire qui a Muddan, gli ho chiesto se si fidava ancora di me. Io mi fido, mi ha risposto. Mi interessa sapere se ti fidi tu.

No, signore: la verità è che non mi fido affatto. Come potrei? Non conosco la causa di queste strane emorragie che mi assalgono, ma mentirei se dicessi di non nutrire un atroce sospetto. A volte, tra i frammenti di memoria che ancora mi restano di quei giorni passati a Holov, mi sembra di scorgere immagini terribili: il peso di qualcosa che si chinava sopra di me, come se si accingesse a divorarmi. Il corpo immobile, sordo a ogni impulso o possibile reazione. La mente vuota, incapace di dare un senso a immagini che per quanto io possa sforzarmi non riesco in alcun modo a ricordare. Ma ricordo - e non c'è parte di me che non si ribelli e inorridisca al solo pensiero - quella innaturale sensazione di tepore, pace, serenità... gioia?

E' assurdo. Più cerco di ricordare, più il sangue risale le mie vene ed esige il suo tributo. Alzo una mano verso Gannor, come per scusarmi, mentre con l'altra mi copro il viso. Lui capisce al volo: lo ha già visto altre volte. Non so cosa pensa che io abbia, ma finora è stato discreto al punto di non farmi domande. Non è un chiacchierone, non per le cose importanti. Si affretta a porgermi uno straccetto: chissà dove li prende, penso mentre lo avvicino al volto, tamponando dove serve. Chissà se li ha preparati, se li tiene pronti apposta per queste occasioni.

"Scusami", gli dico con una voce nasale che non sembra neanche la mia. "Devo andare in tenda".

"Ti accompagno", mi dice. Annuisco: potrei andarci da sola, ma con lui che mi copre ho meno possibilità di attirare l'attenzione di qualche soldato curioso. Questa gente non aveva mai visto la Morte che Cammina fino a pochi giorni fa, non voglio provocar loro altre inutili paure. Inutili? E' quello che spero. Mi torna in mente Colin e la "visita" che mi ha fatto, rispettosamente vestita da un abito di domande. Ha visto i miei occhi, una manciata di ore dopo il sangue. Ha annusato la mia pelle, cercando lo stesso odore dei Risvegliati. Posso davvero garantire di non esserlo? Mastro Luger, al termine di molti giorni in cui mi ha visitata senza alcun risparmio, mi ha detto che sono viva. "Sorprendentemente", ha aggiunto. Come se si aspettasse tutt'altra cosa. Ma Mastro Luger non sa nulla di quello che mi sta succedendo da quando siamo arrivati qui: non ha alcuna notizia del sangue. Ho il terrore di quanto potrebbe dirmi quando, tornati ad Uryen, il sergente sarà costretto a rivelargli tutto. Ho paura di essere sottoposta ad altre visite e del loro possibile verdetto.

Tu sei la risorsa più importante che abbiamo. Vorrei che fosse vero. Spero tanto che sia vero.

Raggiungiamo velocemente gli alloggiamenti a noi destinati, evitando gli sguardi degli uomini di Muddan. Gannor fa per salutarmi, è sufficientemente sveglio per capire che ho bisogno di stare da sola. Mi chiede se ho bisogno di qualcosa. "Una bacinella d'acqua... più grande che puoi". "Te ne porto due, allora". Lo ringrazio, poi sparisco dentro la tenda. Kailah, Inga e Mary non ci sono. Tutto intorno a me è vuoto e silenzioso.

Mi soffio il naso, poi mi massaggio gli occhi. Non sono in grado di capire se sia più o meno del solito: mi sembra sempre uguale. Mentre aspetto le bacinelle penso a quand'è che la mia vita ha cominciato ad andare in malora. L'ingresso nell'esercito. L'alterco con il Sergente Maggiore Varchmann, cui seguì la mia "punizione". Il confinamento alle Falesie. Il giorno in cui scoprii di essere rimasta sola. La mia prima spedizione oltre il Traunne. Holov. Mirai. La prigionia a Ghaan. La Bestia del Ponte. Di nuovo Mirai. Così tante cose, in poco più di un anno.

La voce di Gannor mi risveglia dai miei pensieri. "Annie... ne ho portate tre: te le lascio qui fuori". Lo ringrazio. Mi dice di fare con calma e poi, quando avrò finito, di raggiungerlo dalle parti del fienile. "Ho deciso che ne faremo uno anche noi!"

"Di cosa?" Chiedo, anche se credo di aver capito.

"Un fante di paglia. Hai ragione, in due siamo troppo pochi... e poi ci meritiamo anche noi una recluta da vessare, no?"

E a quel punto, finalmente, rido.

scritto da Annie Volvert , 23:14 | permalink | markup wiki | commenti (4)
 
21 marzo 517
Mercoledì 21 Gennaio 2015

Meanwhile, in space over Sarakon....



I Soldati del XXIII Plotone di Uryen si trovano nel cuore del Cariceto di Amedran, ignari dei funesti propositi del Kraighar nei loro confronti. Seguono il Tenente Kain Werber verso la giusta battaglia, spacciano Risvegliati e tentano di arginare il diffondersi del contagio della Morte che Cammina.

Nel frattempo...

Pontostasis - Immagine
... a Pontostasis viene consacrato il Monastero di Maers Hyperboreoktònos in una cerimonia officiata da Padre Markos, fratello dell'avventuriero Anacarsi, per celebrare le rappresaglie deliote contro le scorribande dei pirati Nordri...

Meistwode - ai tempi del Crollo di Nur-Had-Dun
... i ragazzi di Caen, Eric, Loic, Desiree, Solice e Julie, dopo aver pianto la recente scomparsa del loro amico Abel, abbandonano la foresta del Meistwode e ciò che resta di Nur-Had-Dun, per tornare verso terre più civilizzate...

Rosalie Lambert - Immagine precedente al rapimento
... ad Amer, Rosalie Lambert ha davanti ancora pochi giorni tranquilli, prima di venire rapita nei pressi del Monastero di Valan...

Monastero dei Martiri del Sacro Braciere sotto attacco
... a Krandamer inizia l'assedio del Monastero dei Martiri del Sacro Braciere, consacrato a Pyros, che cadrà dopo due giorni: l'abate viene arso vivo insieme alla struttura, i monaci e i loro assistenti vengono uccisi...

Bosco incantato - Immagine
... c'è chi festeggia Eostar tra i boschi, chi tra le pareti domestiche, chi in lontane radure misteriose... chi fa bruciare ceri fino all'alba e chi incendia fantocci che sanciscono la fine del dominio del Re dell'Inverno...

...ma di ciò nulla immaginano i Soldati di Uryen, che corrono ignari verso il proprio destino, piccole tessere in un grande affresco dalla portata per loro incomprensibile.

La preparazione del Kraighar
...Gli uomini di Feidelm non arriveranno a vedere il compiersi di Eostar: si ingannano se pensano che la sete di sangue del Re dell'Inverno si sia già placata. Non sopravviverò ad un ulteriore fallimento, e questa consapevolezza mi restituisce fino all'ultima stilla di forza che il Servo degli Dei prima e il Campione della Morte poi erano riusciti a portarmi via.
E' tempo che mostri loro il vero volto di questa guerra.
scritto da Annika , 14:19 | permalink | markup wiki | commenti (0)
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