Cerca nel Sito

NomeKeywordsDescrizioneSezioniVoci correlate

Forum di Myst

 
« Se si fa una cosa del genere si tira la pagliuzza, eh! »
- Bohemond D'Arlac -
 
Solice Kenson
Cronache della Campagna di Caen
Solice Kenson
"Voi avete coraggio e siete molto convincente: ma non appena sarete chiamata a combattere, al primo combattimento che possa realmente definirsi tale, voi morirete. E non parlo di scontri confusi o ingarbugliati, dove nessuno capisce fino in fondo quello che sta facendo o magari ha meno voglia di uccidervi che di portare la pelle a casa. Parlo di uno scontro vero, in cui affronterete una persona con le vostre sole forze. Beh, è giunto il momento che qualcuno che vi vuole bene vi dica che queste forze non basteranno proprio contro nessuno".
creato il: 20/05/2005   messaggi totali: 91   commenti totali: 32
352401 visite dal 31/07/2007 (ultima visita il 23/04/2024, 20:51)
23 giugno 517
Venerdì 1 Giugno 2007

Il secondo scrigno

La mano mi trema mentre lo stringo forte, consapevole del tributo di sangue e fatica pagato per il suo ritrovamento: un prezzo che nelle ultime settimane nessuno degli attori coinvolti ha rifiutato di pagare, riuscendo alfine a trasformare questa sfida oscura e soffocante in una vittoria illuminata dalla luce degli Dei. Eric e Loic mi hanno consegnato la chiave, Guelfo mi ha indicato la via: ma non saremmo mai arrivati sani e salvi senza il coraggio di Julie, l'abilità di Desiree, la lucida determinazione di Quixote e l'esperienza di Jen.

A ognuno di loro questa vicenda ha dato un ruolo, un compito che hanno saputo svolgere con impegno e abnegazione: non posso deluderli, non voglio essere da meno. Proteggerò questo scrigno così come Quixote ha custodito il suo, e insieme consegneremo questa arcana conoscenza nelle mani di chi saprà farne l'uso migliore.

Entrando in quella grande sala consacrata a divinità antiche ho letto lo sgomento nei volti dei miei compagni alla vista di raffigurazioni incomprensibili e contraddittorie: negli occhi di quella statua si poteva leggere l'infinita tristezza di un popolo che non ha avuto la possibilità di distinguere la luce dall'ombra, costretto a muoversi a tentoni senza poter distinguere la vita dalla morte, il bene dal male.

Stringo forte lo scrigno, sento le pergamene in esso contenute vibrare al suo interno, custodi centenarie di un passato dimenticato: un passato prossimo a tornare alla luce, la cui chiave è stata consegnata a Guelfo, da questi a Eric e Loic, dando modo ai due valorosi fratelli di sconfiggere il Guardiano, per poi arrivare a me. E' stato Guelfo a prendersi la responsabilità di comunicarmi la strada giusta da seguire, l'unica che non mi avrebbe condotta verso morte certa sigillando per sempre nell'oblio questo cifrario. Quella runa, Quert, forse simboleggiava proprio questo: la scelta che ognuno di noi deve fare tra il bene e il male, una scelta che gli antichi popoli erano soliti astenersi dal compiere circoscrivendola ai fasti di un rituale ciclico compiuto sotto gli occhi di una divinità duale; due troni per le due diverse incarnazioni della natura e sette forze in grado di conciliarle sotto un'unica luce divina a patto che tale scelta venga effettuata. Il profeta seduto di fronte al cercatore, l'intelligibile contrapposto al sensibile: stando al racconto dei miei amici le salde e fideistiche convinzioni di Quixote più volte si sono contrapposte all'impulsività e all'empirismo di Guelfo, ma la fede di quest'ultimo è stata in grado di tenere a bada i suoi stessi stimoli conoscitivi. Forse il guardiano combattuto e sconfitto da Eric e Loic altro non era che la rappresentazione dell'entità della sua rinuncia, lo spettro d'ombra di quella stessa ricerca consegnata di sua sponte nelle mani della Luce: uno spettro che i suoi amici sono stati pronti a combattere per lui onorando una scelta dimostratasi più forte di qualsiasi sospetto, che non può non essere guidata da una salda e sentita fede negli Dei.

Quert.

Devo vincere ogni mia paura nei suoi confronti e parlargli al più presto: voglio che sappia che ho compreso parte del significato della sua scelta e che, per quello che vale, sono disposta a combattere i miei timori.


scritto da Solice , 03:35 | permalink | markup wiki | commenti (1)
 
16 giugno 517
Venerdì 25 Maggio 2007

Il ritorno di Rosalie

Gli Dei hanno accolto le mie preghiere: Rosalie è tornata a Beid! La lieta notizia è stata portata a palazzo da Jen il 12 giugno. Ricordo distintamente quel giorno: Ryan mi aveva raccontato di come l'avvistamento di alcuni uomini armati, presumibilmente agli ordini di qualche ufficiale di Keib, aveva costretto mio padre ad inviare sir Thomas, lady Jen e un plotone di soldati a pattugliare la via che unisce la marca di Beid con la baronia di Chalard; grande era stata la sorpresa di veder tornare soltanto lei, ancora avvolta nel leggero mantello che l'aveva accompagnata lungo una cavalcata lunga una notte intera.

Subito dopo essere smontata da cavallo Jen è andata dritta dal marchese, senza rispondere alle domande di mio fratello o dei soldati: non le era concesso dirci nulla, ma un solo sorriso della sua faccia è stato sufficiente a illuminarmi. Impaziente di aspettare sono corsa da mio padre che ha presto confermato l'incredibile notizia: Rosalie era viva e in procinto di tornare a casa. Con il cuore colmo di gioia mi sono precipitata alla chiesa di Pyros: la povera Yera è stata costretta a corrermi dietro per tutta via Finlungo, preoccupatissima che potessi cadere e farmi male.

Grande, grandissima è stata la mia sorpresa nell'apprendere, al mio ritorno, che un determinante ruolo nella sua liberazione era stato giocato proprio dai miei amici di Caen, che avrebbero raggiunto Beid l'indomani insieme a Rosalie. Confesso di ricordare ben poco al momento di quella seconda rivelazione per colpa di un violento capogiro, forse provocato dalla corsa e dall'effetto delle nuove rivelazioni, che purtroppo portò i consueti scompensi al mio stomaco e che mi costrinse mio malgrado a letto per gran parte della giornata.

"Questi vostri rigetti non mi piacciono per niente", aveva detto Yera subito dopo aver pulito il pavimento di fianco al mio letto. "Toccate a malapena cibo, eppure non riusciamo ancora a comprendere cosa li provochi. Se volete la mia opinione, il marchese dovrebbe essere informato".

Con la sola eccezione delle visite di monsignor Ridde, Yera era l'unica a conoscenza delle mie reali condizioni: le mie preghiere di non rivelare a mio padre i dettagli di quell'ultima crisi non erano state sufficienti a convincerla.

"Siete certa che Pyros sia d'accordo sul tenere nascosta a vostro padre questa cosa?" Mi aveva chiesto poco dopo, guardandomi improvvisamente con i suoi grandi occhi verdi.

"Non posso fermarmi adesso, Yera", le avevo prontamente risposto. "Non senza prima ascoltare le parole dei miei amici". Dentro di me sapevo che non avrei potuto tenere nascosta a mio padre la verità, eppure sentivo di non potermi tirare indietro proprio adesso consentendo alla sua legittima preoccupazione di preservarmi dal compito che gli Dei stesso sembravano inviarmi con così tanta chiarezza; Netjerikhet il prigioniero e la rosa bianca, il ritorno di Rosalie, gli amici di Caen, il sogno ricorrente: troppi elementi cominciavano a prendere forma davanti ai miei occhi. Yera aveva ragione, nulla al mondo avrebbe potuto fermarmi dal rivelare a mio padre la verità sulle mie condizioni... Ma era un sacrificio quello che ora mi veniva chiesto, e lo avrei onorato quel tanto che bastava per apprendere tutte le informazioni necessarie per spargere la luce degli Dei sul mare di tenebra che mi circondava e che sentivo prossimo a squarciarsi: gli amici di Caen erano giunti in mio soccorso, e anch'io avrei fatto la mia parte.

Il giorno dopo ho avuto modo di riabbracciare Rosalie: lacrime di gioia scendevano dalle mie guance mentre la osservavo: ero così contenta da non riuscire neppure a parlare.

"Chi si rivede! Spero almeno di esservi mancata..." furono le sue prime parole: non le ascoltai neppure, occupata come ero ad abbracciarla, ringraziando ancora gli Dei per quel dono.

"Che ti è successo, piccoletta? Pensavo di essere io quella messa male, ma vedo che stai peggio di me", continuò, cercando invano di mantenere un atteggiamento austero; la sua maschera, che era solita indossare per nascondere le sue reali emozioni, si ruppe subito: mia sorella ricambiò il mio abbraccio, piangendo per lunghi minuti insieme a me. Singhiozzò a lungo, mormorando qualcosa all'altezza della mia spalla: sentivo i suoi denti premere senza forza contro il mio vestito, mentre sussurrava qualcosa che non riuscivo a comprendere. In quel momento, non importava: parole e spiegazioni potevano aspettare, ora era il momento di farla sentire nuovamente a casa.

Mio padre e i miei fratelli si avvicendarono a darle il bentornato. La stretta di Ryan fu particolarmente energica, e non potei non notare il tentativo di proteggere la spalla sinistra e l'anca destra da parte di Rosalie. "Stai bene? Sei ferita?" le chiesi a bassa voce, appena ebbi occasione. Lei si limitò a scuotere la testa, ma la sua espressione non mi piacque: qualsiasi cosa stesse nascondendo, doveva aver avuto un pesante impatto su di lei. Decisi tuttavia di non forzarla anzitempo: era una ragazza intelligente e devota, e avrebbe trovato lei i tempi e i modi di aprirsi con me o con altri.

Tale apertura avvenne prima del previsto: poco dopo aver ricambiato gli affettuosi saluti dei miei fratelli Rosalie mi prese per il braccio sano, trascinandomi via dal salone d'ingresso e portandomi su per le scale, verso la mia camera. Yera ci raggiunse trafelata, con in mano un vassoio e una caraffa di acqua di fonte, ansiosa di darle lei stessa il bentornato: "Lady Rosalie! Ho preparato una torta, ma non so come è venut..." ma non fece neanche in tempo a terminare la frase: senza una parola, mia sorella le chiuse la porta davanti.

Aprii la bocca con l'intenzione di parlare: "Rosalie..." feci appena in tempo a dire, ma l'espressione con cui mi guardò, voltandosi dopo aver chiuso la porta a chiave, fu sufficiente a spegnere le mie parole.

"Non... non devi dire a nessuno quello che sto per rivelarti. Devi prometterlo sulla tua stessa vita, su quanto hai di più caro al mondo... Devi giurarmelo. D'accordo?".

Continuai a guardarla, senza dire nulla. Quella richiesta non aveva senso, entrambe sapevamo bene che nessun giuramento al mondo mi avrebbe fatta sentire più vincolata di quanto già non fossi a rispettare le sue confidenze, le sue confessioni, le sue paure; inoltre, entrambe avevamo già prestato l'unico giuramento che ci era consentito fare.

"Puoi dirmi qualsiasi cosa", mi limitai a dire. La sua espressione da sola era in grado di farmi tremare le gambe, di terrorizzarmi: qualsiasi cosa le fosse capitato, era pronta a raccontarlo. Ma io ero davvero pronta ad ascoltare?

"Siediti", mi disse poi, indicando il letto. Obbedii.

E poi, di lì a poco, seppi.

I miei occhi si posarono sulle sue ferite, ancora aperte... aperte da settimane. Il suo racconto mi travolse come un fiume in piena, gettandomi in uno sconforto profondo e senza via d'uscita: la mia gola si chiuse in una oscura morsa di oppressione. Le sensazioni provate oltre un mese prima, in occasione della mia prima conversazione con il prigioniero di Valamer, tornarono con violenza a farsi sentire: ma stavolta non era un racconto in terza persona, ora le parole venivano direttamente dalla vittima di tali assurde, insensate e atroci sofferenze e torture. Sentivo il suo forte bisogno di sfogarsi, di riversare tra le quattro mura che ci ospitavano la sua terribile esperienza, e lottai con tutta me stessa per resistere alla tentazione di alzarmi e stringerla forte, asciugando le sue lacrime e tappandole la bocca con la mano, impedendole di ricordare.

Fu lei ad abbracciarmi, al termine del suo racconto: si rotolò sul letto, travolgendomi e nascondendo la faccia tra la mia spalla e i cuscini. In quel momento, gli Dei soli sanno quanto avrei voluto consolarla, darle la forza di reagire a quella sensazione di vuoto e di impotenza che la attanagliava: avrei voluto ricordarle che era finita, che l'avrei aiutata a dimenticare quella terribile esperienza. Chiedo perdono a Pyros se non mi riuscì di dire nulla: mi limitai a stringerla più forte che potevo, piangendo con lei: come potevo donarle una forza che io stessa non possedevo, vinta com'ero dalla crudeltà di quei racconti? Restai in silenzio, singhiozzando con lei, pregando gli Dei di donarle attraverso la fede il coraggio che io non ero in grado di trasmetterle.

"Devo cambiare queste fasciature", mi disse asciugandosi le lacrime, quando riuscimmo a rimetterci in piedi: tanto il letto quanto parte dei miei abiti erano macchiati del sangue che ancora fuoriusciva dai morsi che mi aveva mostrato.

"Non preoccuparti", le dissi. "Ora mi occuperò io di te. Provvederò a lavare le ferite, a medicarti e a cambiarti queste bende fino a quando non ti sentirai pronta a parlarne con qualcuno".

Rosalie annuì: le fasciai nuovamente la spalla, i fianchi e la gamba, per poi aiutarla a rivestirsi. Il braccio rotto mi costringeva a operare con movimenti lenti e goffi che, con mia grande gioia, riuscirono persino a farla ridere. "Che buffa che sei, piccoletta", mi disse. Piccoletta: un soprannome che mi portava alla mente vecchi ricordi risalenti a quando eravamo entrambe a Focault, che aveva smesso di utilizzare soltanto quando un giovane sacerdote le aveva fatto notare che, crescendo, ero diventata di alcuni centimetri più alta di lei. "Cosa c'entra? Resta comunque più piccola in termini di età" aveva comunque commentato, senza voler sentire ragioni e suscitando le risate mie e di Valerie.

Valerie: il suo ricordo anticipò soltanto di poche ore la triste rivelazione del suo tragico destino. Calde lacrime tornarono a rigare i nostri volti mentre ricordavamo i momenti passati insieme a quella che entrambe consideravamo la nostra migliore amica. Non ci fermammo neppure con l'arrivo della sera: Rosalie non aveva intenzione di cenare o di recarsi alla funzione del vespro: decisi di restare con lei. Restammo per ore a parlare di Valerie e di Focault, del viaggio da Rigel a Beid: senza neppure rendercene conto, tirammo avanti fino a notte inoltrata. "Posso dormire qui?" mi chiese: annuii. "Vedrai che domani andrà meglio", le dissi, augurandomi che fosse la verità.

L'indomani ebbi finalmente modo di rivdere i miei amici di Caen: fortunatamente, sembravano tutti in ottima salute. Julie mi accolse con un caloroso abbraccio: ero così contenta di rivederla che per un attimo mi dimenticai di non poter usare il braccio destro, che avvampò non appena lo mossi costringendomi a soffocare un grido mordendomi le labbra: mi avrebbero vista debilitata e inutile, ma se non altro non avrei piagnucolato di fronte a loro.

Nel corso della giornata parlai a lungo con ognuno di loro, apprendendo moltissime informazioni sul rompicapo che avevo cercato di decifrare e che, a quanto ebbi modo di capire, coinvolgeva non soltanto me ma tutti quanti noi: seppi di quanto avessero temuto per la mia sorte e dei pericoli affrontati per correre da me ad avvisarmi, ad aiutarmi o a salvarmi. Tale spirito di sacrificio mi colpì molto, riempiendomi di gratitudine: sapevo che si trattava di persone eccezionali, ma mai avrei immaginato di essere tanto importante per tutti loro.

Il commento di Loic sul palazzo di mio padre mi fece tornare il sorriso: "Aho, c'hai sempre tenuto all'oscuro ma sei na gran signora... anvedi sto palazzo!" furono le sue parole. Caro Loic, spero tanto che continuerai a vedere in me la stessa paladina che incontrasti a Chalard, quando trascinavo a fatica uno scudo alto e ingombrante.

Guelfo mi salutò appena, sollevando quasi subito lo sguardo dietro le mie spalle: per un attimo pensai che qualcuno dei suoi misteriosi poteri gli consentisse di scorgere qualcosa, ma mi resi presto conto che era Yera ad attirare la sua attenzione, inducendomi a pensare che forse il suo volto potesse aver destato in lui ricordi sepolti: ma quando, qualche ora dopo, chiesi a Yera se per caso si fossero già conosciuti in precedenza, lei scosse la testa con un sorriso: "certo che a volte siete proprio testona", mi disse ridacchiando.

Eric era di poche parole, schivo e riservato come sempre, e anche Quixote si trattenne dal parlare. Quanto a Desiree mi raccontò della sua esperienza incredibile, sollevando questioni che mi ripromisi di approfondire non appena possibile.

Poco dopo feci la conoscenza di Bernard e Lucius, i due paladini di Pyros che avevano ricevuto la missione di riaccompagnare Rosalie a Beid: il primo, più grande di diversi anni, mi fece alcune domande sui sacerdoti che avevano seguito il mio percorso di iniziazione e sulla caserma o monastero dove avevo prestato servizio: mi chiese anche se avessi già ricevuto l'investitura formale, e quando sentì la mia risposta affermativa mi sembrò sollevato. Il secondo mi fece una sola domanda, che mi sembrò ancora più strana: "te lo metti l'elmo?". Anche qui dissi la verità, sperando che fosse ciò che volevano sentire: in ogni caso, ebbi cura di ringraziarli sentitamente.

Durante questi ultimi giorni i miei amici non hanno perso tempo: gli elementi in loro possesso consentono di trarre importanti conclusioni sulla vicenda in corso, e sfruttando la libertà di movimento concessa da mio padre in cambio del recupero di Rosalie stanno battendo in lungo e in largo il territorio di Beid alla ricerca di indizi importanti, che se recuperati riusciranno a indicarci la strada da percorrere per risolvere questo mistero antico di secoli. Da parte mia cerco di aiutarli come posso, cercando di guadagnare tempo: fortunatamente il ritorno di Rosalie mi ha consentito di ricordare a mio padre la sua promessa, accogliendo il segnale divino e ritardando l'inevitabile esecuzione di Netjerikhet. Dopo due lunghi colloqui sono riuscita a rinviare la data a fine mese: prezioso è stato anche l'aiuto di sir Thomas, che sembra sinceramente convinto della possibile innocenza del prigioniero e che più volte ho sentito discutere con mio padre nel cuore della notte.

Oggi, 16 maggio, sono in procinto di recarmi per la terza volta al cospetto di mio padre, e per la prima volta il favore che devo ottenere non è per Netjerikhet o per i miei amici, ma per me stessa: devo chiedergli di vincere le sue remore, a consentire alle mie gambe di tornare a reggersi da sole per condurmi lungo la strada che gli Dei mi chiamano a seguire. E se non avrà intenzione di concedere questo privilegio a sua figlia, gli chiederò di rispettare il volere di una paladina.

scritto da Solice , 02:50 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
7 giugno 517
Venerdì 18 Maggio 2007

Convalescenza

I giorni passano lentamente qui a palazzo, scanditi dal rumore della porta della mia stanza che si apre e si chiude diverse volte al giorno. Karl e Ryan vengono a trovarmi molto spesso; nonostante cerchino in tutti i modi di farmi sorridere leggo ancora nei loro volti qualche traccia di paura: mi ricoprono di attenzioni, chiedendo quotidianamente a me e al sacerdote che mi ha preso in cura ogni sorta di informazioni riguardanti il mio recupero e tutte le possibili conseguenze presenti e future della caduta.

Da parte mia, cerco di rassicurarli come posso: il dolore al braccio si affievolisce di giorno in giorno e quello alla testa si è ridotto quanto basta per concedermi di dormire con continuità. I rigurgiti improvvisi che inizialmente avevano preoccupato un pò tutti si sono ridotti fino a svanire, e il sacerdote è ottimista sul mio recupero pressoché completo; a quanto sembra, la frattura che mi sono procurata mi impedirà l'utilizzo del braccio per un paio di mesi, e ce ne vorranno quasi altrettanti per un recupero completo. Era una notizia che mi aspettavo, eppure non ho potuto impedirmi di accoglierla con lacrime di pianto: indipendentemente da ogni mio proposito di migliorare la mia tecnica, gli Dei avevano deciso che la mia spada avrebbe continuato ad essere un peso per i miei compagni. Ma mi sono fatta forza pensando al motivo per cui Kayah mi aveva protetto: se ero ancora in vita era merito suo e dello spirito di Abel, la cui luce mi aveva sottratto alle tenebre. Mai come ora avrei dovuto trattenere la disperazione e concentrarmi sul mio compito, impegnandomi a tornare presto in grado di muovermi e di agire.

In questi giorni successivi al mio risveglio lascio spesso il mio sguardo indugiare sui pochi oggetti che circondano il letto entro cui mi trovo. Non sono bianche ma rosse le rose lasciate da sir Steven sulla soglia della porta della mia camera il giorno prima di partire: in mezzo a loro, come un fiocco di neve, risalta quella che si trovava tra i miei capelli la notte della caduta. Yera mi aveva raccontato di come fosse stato proprio sir Steven a riportarmi al castello: evidentemente mi aveva seguita, poco convinto dell'opportunità della mia passeggiata notturna. Il suo spirito d'iniziativa gli era comunque costato piuttosto caro: stando al racconto di Yera, mio padre era andato su tutte le furie sapendo che il cavaliere di Anthien mi aveva spostato dopo una simile caduta, e il sacerdote di Reyks aveva confermato il rischio e l'avventatezza di quella decisione. "In un solo giorno vi ha regalato una rosa, vi ha inseguita, vi ha vista volare di sotto, vi ha riportata in braccio a palazzo e in tutto questo ha rischiato inavvertitamente di uccidervi! Non è incredibilmente romantico?" aveva commentato Yera al termine del racconto. Era stata lei a conservare la rosa bianca che si trovava tra i miei capelli, e sempre lei l'aveva posta al centro del mazzo: una rosa bianca intrappolata tra molte altre rose. Gli altri oggetti erano un rosario di Kayah, lasciato sempre sulla porta da Peter Gremaud il giorno della sua partenza, e la carta del fante di quadri, che mi osservava dal comodino sul quale era sempre stata, quasi prendendosi gioco di me: i sogni avevano smesso di parlarmi, da quel momento sentivo che avrei dovuto farcela da sola.

Dal giorno in cui mi sono svegliata, mio padre è venuto a trovarmi tre volte. La prima la ricordo appena, confusa com'ero: ricordo di aver provato a parlargli, ma la testa mi doleva al punto da non riuscire a concentrarmi sul senso delle mie parole. Avevo provato a spiegargli i dettagli della mia caduta, ma lui aveva ben presto scosso la testa: "Devi pensare soltanto a riposare", mi aveva detto, interrompendo il disordinato fiume delle mie parole. "Non voglio che tu faccia altro".

La seconda volta avvenne alcuni giorni dopo: oltre a lui c'erano anche sir Thomas, Malaki e Jen, i tre cavalieri di Beid a cui maggiormente mi sentivo legata. La reazione di Malaki quasi mi commosse: era così sollevato alla vista dei miei occhi aperti... Sir Thomas e Jen si mantennero sull'attenti; la loro espressione mi era sufficiente per provare nei loro confronti un profondo senso di gratitudine. Tanto mio padre quanto sir Thomas, quest'ultimo ancora duramente provato dalla ferita alla spalla sostenuta alla vigilia del matrimonio, mi fecero numerose domande sul mio aggressore; alcune di esse mi sorpresero, al punto da farmi venire il dubbio che avessero già catturato un possibile sospettato. Grande fu il mio sgomento quando, manifestando tale interrogativo, mi sentii rispondere che con tutta probabilità doveva essersi trattato del prigioniero di Valamer.

"Non... non ha senso", dissi balbettando. "Non può essere stato lui". Nel giro di pochi istanti ricevetti una serie di spiegazioni a suffragio di tale tesi: Netjerikhet era fuggito da Valamer in circostanze misteriose la stessa notte della mia caduta, per poi essere ritrovato a poca distanza dal castello, in un lago di sangue; alcune guardie del castello erano rimaste uccise, probabilmente - stando a quanto dicevano - da lui stesso o dagli individui responsabili della sua liberazione; inoltre, una o due guardie civiche sostenevano di aver visto un individuo avvolto in un mantello, di altezza e corporatura corrispondente alla sua, nei pressi della torre delle Termiti: una corporatura in tutto e per tutto simile a quella da me descritta pochi istanti prima nel tentativo di visualizzare la stazza del mio aggressore.

Man mano che sentivo quelle gravi parole, il mio cuore si stringeva: sebbene le prove non fossero sufficienti per avere la certezza assoluta non avrebbero fermato la decisione che mio padre avrebbe con tutta probabilità preso. Il prigioniero di Valamer era spacciato.

Nei giorni successivi ho avuto modo di parlare molto con Yera: senza scendere nei dettagli le ho confidato parte delle mie preoccupazioni e tutti i dubbi che avevo sulla colpevolezza del mio presunto assalitore. Mi ci volle un pò per convincerla: "voi siete ancora intontita dalla botta che avete preso, milady: quello vi vuole morto e voi lo volete salvare", mi ripeteva giorno dopo giorno, scuotendo la testa. Tuttavia, alla fine la fiducia che nutriva per me la portò a credere alle mie parole non appena fu completamente persuasa che non erano le conseguenze della caduta a farmi parlare in quel modo. Una analoga sorte la ebbi con mio fratello Ryan: "per quello che vale ti credo", disse al termine di una lunga conversazione, "ma non penso che nostro padre sentirà ragioni: in questi giorni sta succedendo qualcosa di grosso, e in quanto Marchese ha il dovere di fare le scelte necessarie per il bene della marca".

Il senso delle sue parole mi venne spiegato nel corso dei giorni successivi: a seguito dei giorni del matrimonio, reparti scelti dell'esercito di Keib erano stati avvistati in territorio di Beid. Sir Thomas e altri soldati avevano provveduto a scortare le ultime carovane di invitati fino a Chalard, e sebbene non avessero subito attacchi diretti avevano avuto conferma di movimenti misteriosi e apparentemente ostili. A quanto sembrava i nostri "cugini" avevano qualcosa in mente, e questo significava l'impossibilità per mio padre di commettere qualsivoglia errore nei confronti della sua popolazione. Quelle notizie erano tanto gravi quanto paradossali: era stato proprio Netjerikhet a metterci in guardia di quella minaccia, la cui conferma gli sarebbe di lì a poco costata la vita. Quante e quali altre informazioni sarebbero morte con lui? Su Beid, su Keib, su Rosalie...

"il 15 giugno", fu la frase che mio padre pronunciò guardando fuori dalla mia finestra, nel corso della sua terza visita. A lungo lo implorai di recedere da quella data, che di fatto mi impediva di dimostrare con le mie forze la sua innocenza: come avrei potuto inseguire la verità in così poco tempo? Stando al sacerdote presto avrei potuto alzarmi, ma a quel punto non avrei avuto che una manciata di giorni prima dell'esecuzione. Inutilmente lo implorai di darmi ancora tempo: gli chiesi di non macchiarsi le mani di una scelta che non poteva ancora definirsi certa, e che avrebbe potuto soffocare la verità anziché conseguirne gli scopi, ma si dimostrò inamovibile; il suo ruolo di padre e quello di Marchese lo spingevano verso una condotta univoca e coerente che non lasciava alcuna speranza al prigioniero. Rendendomi conto dell'impossibilità di perseguire lo scopo come figlia, fu come Paladina che gli rivolsi l'ultima preghiera: lo implorai di rivolgere il suo cuore agli Dei, accettando il loro consiglio e cogliendo con saggezza ogni possibile segno che i nostri padri avrebbero inviato nel tentativo di preservare dall'oblio la luce della verità. Un barlume di speranza si accese nel mio cuore quando, subito prima di andarsene, acconsentì a questa mia estrema supplica.

Tre giorni sono passati da quella visita: il sacerdote di Reyks mi ha proibito di alzarmi fino al 12, ma non posso ignorare l'urgenza che sento all'interno del mio cuore, il compito a cui so di essere chiamata in questi giorni fondamentali. Ho perso l'uso del braccio, ma non è lì che risiedono le mie capacità: da domani chiederò a Yera e alle mie gambe di sorreggermi fino alla porta del palazzo e poi verso la torre delle Termiti: è lì, nel luogo in cui Kayah e Abel mi hanno salvato dalla morte, che avrà inizio la mia ricerca per riaccendere la fiaccola della verità. Lo devo a Netjerikhet, che si è fidato della mia intelligenza rischiando la vita; lo devo agli amici di Caen; lo devo ad Abel e alla sua stella che mi illumina e protegge nella notte; lo devo a mio padre, che non merita di sacrificare la sua integrità alla ragion di stato; e più di ogni altra cosa, lo devo a Rosalie: se c'è qualcuno che può rivelarmi qualcosa sulla sua ubicazione o sul suo destino, quello è il prigioniero di Valamer, un uomo che ha messo la sua vita nelle mie mani recandomi un unico, eloquente messaggio: una rosa bianca.

Che gli Dei mi aiutino a farlo uscire per la seconda volta da quella prigione, stavolta da uomo libero.


scritto da Solice , 04:32 | permalink | markup wiki | commenti (0)