Cerca nel Sito

NomeKeywordsDescrizioneSezioniVoci correlate

Forum di Myst

 
« Tutto quello che rimane di loro è questo stivale, che abbiamo qui con noi. »
- Bohemond d'Arlac -
 
Vodan Thorn
Tempi Cupi
Vodan Thorn
Mai fidarsi di un cuoco magro.
creato il: 08/02/2013   messaggi totali: 23   commenti totali: 28
106352 visite dal 08/02/2013 (ultima visita il 28/03/2024, 23:54)
18 novembre 516
Sabato 29 Marzo 2014

Insopportabili somiglianze

Al vecchio non possiamo davvero rimproverare nulla. Il piano era semplice e si è svolto alla perfezione, praticamente da solo. I Nordri non ci hanno neppure visto arrivare, li abbiamo trovati vestiti di stracci e con in pugno la metà delle armi che avrebbero potuto avere.

Quella di Stefen è stata sfortuna: nel buio della sera un colpo di spada capita di non vederlo arrivare, e poco importa se chi lo sferra è un cadavere ambulante che colpisce a occhi chiusi. Certo, non si può dire che non se la sia tirata: “non abbiamo speranze, sono più di quelli che pensa il Tenente...” Per fortuna non siamo stati così idioti da dare ascolto al suo folle piano, altrimenti adesso dovremmo farcela a nuoto.

Questi i pensieri che mi accompagnano mentre supero l’ultimo albero che mi separa dalla figura che corre a perdifiato a pochi metri da me. Va verso il mare, la scema: come se glielo lasciassi fare. Una freccia scagliata da Kailah mi supera e la raggiunge mentre si tuffa. Coscia o polpaccio, direi: non servirà neppure bagnarsi troppo. Raggiungo la riva e l’estremità della barca: lei fa il giro dall’altra parte, ansimando. Mi muovo nella direzione opposta fino a raggiungere il punto dove si è rannicchiata. Fine della corsa.

“Te la ricordi Delia?” le dico. Mi torna alla mente il volto pestato a sangue di quella ragazza. “Lasciate stare le prostitute, piuttosto concupite le soldatesse”. Non penso proprio. E’ proprio a questa puttana che voglio rivolgere un pò di sana violenza. Per i soldati sbudellati, per Astea Trent e perché no, anche per me stesso. Insegnerò a questa gente di merda a restarsene a casa propria.

Non risponde, i suoi occhi celesti tradiscono la sua paura. Poi si soffermano sulla collana, sembrano riconoscerla. Brava, guardala bene: apparteneva a un tuo amico che ho fatto a pezzi con le mie mani, proprio come mi accingo a fare con te. Le indico la barca: “Entra o ti ci carico a forza”. Sollevo la mano per assestarle il primo di innumerevoli colpi. Il Caporale Klaus sarebbe fiero di me. Mi guarda, poi sposta gli occhi sulla collana, quindi mi guarda di nuovo. Le parole del vecchio Gaben mi risuonano in testa: “somigli molto a uno dei figli del Re Nordro: potresti essere suo fratello”. Se n’è accorta anche lei? Mi guarda con gli occhi sbarrati dal terrore. Inizia a mormorare qualcosa, ma si rende subito conto che ormai è troppo tardi. Il suo corpo, le cui linee risaltano di una innaturale aura luminosa, si prepara a ricevere l’impatto della mia mano. Sollevo il braccio sopra la testa, pronto a colpire.

Cos’è questa sensazione? Perché sono fermo?

Non ci metto molto a capire, mi è sufficiente guardarla un’altra volta. A quanto pare non sono il solo a somigliare a una persona cara, né lei è l'unica a vedere fratelli dove non dovrebbe. Non è di Sigrid il volto che aspetta l'arrivo del mio pugno, ma di mia sorella Saga: stessa paura, stesso terrore, stessa rassegnazione di fronte alla violenza imposta e subita. Ripenso al racconto della sua prigionia. Che ti devo dire, Vodan. Niente, mi devi dire.

D’un tratto mi accordo che ha preso in mano un coltello. Fanculo, questa zoccola non c’entra nulla con Saga. La mia mano sibila veloce verso il basso. Quasi mi auguro che il coltello arrivi prima, così da avere lo stimolo a colpire ancora più forte. Speranza vana. Il mio gesto la coglie di sorpresa, la sua testa scarta di lato per sottrarsi al colpo e colpisce con violenza il legno della barca. Mentre chiude gli occhi, abbandonandosi ai flutti del mare, sembra quasi sorridere: rivedo ancora una volta Saga. Questa cosa comincia a farmi incazzare sul serio.

La prendo di peso e la rovescio sulla barca. A quanto pare i miei compagni sono quasi pronti a levare l’ancora. Groombor ed Engelhaft trascinano Stefen, mentre Kain sta recuperando i remi. Kailah mi guarda con aria interrogativa: non riesco a capire se ha paura che la uccida oppure che non abbia intenzione di ucciderla. O magari sta ancora pensando alle cose che le ha detto Padre Engelhaft sui compagni bramosi di prostitute e sulla necessità di non cedere alle lusinghe di Kalina la Divina. Certi discorsi ti fanno venire la curiosità, poco ma sicuro.

Spendo un paio di minuti a legare le mani di Sigrid. “Imbavagliala”, mi dice Kailah. Scuoto la testa: a breve dovrò ucciderla in ogni caso, e a un morto non si negano le ultime parole. Morirà in mare, proprio come piace ai Nordri. Lo farò con il suo coltello, non prima di averle mostrato ancora una volta la collana della sua stirpe. E se proverà a pronunciare un incantesimo sarà l’occasione buona per romperle qualche dente.

Al diavolo le sensazioni, al diavolo la sfortuna: il caporale Klaus sarebbe fiero di me.

Sigrid & Saga - Immagine
scritto da Vodan , 05:29 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
2 settembre 516
Giovedì 6 Marzo 2014

Casa, dolce casa

Nelle vecchie prigioni è tutto come l’avevo lasciato, dall’odore di piscio ai cumuli di sterco secco agli angoli dei corridoi. Tutto tranne la stanza che avevo, occupata, mi dicono, da due tagliagole giunti poco dopo la mia breve assenza. Trovarsi un buco in questi sotterranei maleodoranti è un’impresa che può durare settimane: i posti non vengono assegnati dalle guardie, ai prigionieri è data la facoltà di spartirsi gli spazi di comune accordo. Le più ambite sono le stanze con le finestre, quelle con le serrature che ancora funzionano e quelle vicino alle grate: non a caso sono abitate da gruppetti che lavorano insieme o da gente che sa il fatto suo. Quando arrivai qui per la prima volta rinunciai ben presto all’impresa, accontentandomi di un alloggio ben più modesto. Avevo anche trovato un compagno di cella accettabile, un certo Machs, che si faceva i cazzi suoi. Ovviamente le cose andarono in malora. Un giorno rifiutammo di dare parte del nostro cibo a un certo Garun di Ark e lui se la legò al dito. Una notte vennero a trovarci alcuni degli amici che s’era fatto: a Machs spezzarono le mani, a me no perché sapevo cucinare: si limitarono a riempirmi di calci fino a quando non vomitai tutto quello che non gli avevo dato.

Alle vecchie prigioni ti devi preparare le cose da solo, tirando fuori il meglio dagli avanzi mezzi ammuffiti che le guardie tirano dentro una volta ogni morte di Duca. C’è un vecchio forno per impastare la farina scadente che passa una volta al mese e tutto l’occorrente per arrostire topi, insetti e erbacce. Per accedere al forno devi chiedere il permesso a una guardia, che te lo accorda soltanto se sai come far uscire del cibo commestibile per te e per gli altri: se ti beccano a mangiare la roba cruda, o peggio ancora a sprecarla, ti riempiono di botte e non ti fanno entrare più.

Le ferite di Machs si infettarono: i Quindici dissero che non era una cosa grave, fatto sta che morì nel giro di una settimana. Garun di Ark rimpianse la scelta di avermi lasciato le mani intatte poche notti dopo, quando lo andai a trovare mentre dormiva: da quel giorno mangia solo pappe molto liquide e parla con difficoltà. A me toccarono mesi di insonnia, un accoltellamento, diversi pestaggi e un’impiccagione finita male. Ogni volta che sorgeva il sole andavo a consolarmi guardando Garun che mangiava versandosi addosso il semolino per ricordare a me stesso che ne era valsa la pena.

Durante la mia assenza Garun sarebbe potuto morire e invece no, il fato ha voluto che continuasse a ingozzarsi di semolino e a reclutare altri scagnozzi. Il sorriso con cui mi saluta mentre scendo le scale non lascia presagire niente di buono. Di fianco a lui un gigante di Ilsanora dalla pelle scura, un vecchio denutrito e un paio di picchiatori di bassa lega. Nelle occhiate che mi lanciano leggo quello che mi aspetta nei prossimi giorni.

Il vecchio si presenterà con un’arma, probabilmente uno di quei coltelli a uncino che ti cavano gli intestini dalla pancia: se sopravvivo, potrebbe farmi comodo. I due scemi verranno insieme, magari di notte: speriamo abbiano fretta, così ci togliamo il pensiero. Quanto all'energumeno di Elsenor... quello sarà un problema. Non è un morto che cammina come gli altri, è più grosso di me, ha la faccia sveglia. Riconosco i tratti di quelli che ci hanno rotto il culo a Nuova Lagos. O mi trovo un compare o rimedio un’arma, non vedo alternative.

E' ora, mi dicono: poi arriva il calcio in culo. L'ultima rampa me la faccio rotolando, tra le risate dei Quindici e degli inquilini vecchi e nuovi. Fatti coraggio, ci sei già passato. Considerando com'è fuori, non potrà essere poi così male.

Le Vecchie Prigioni di Lagos
scritto da Vodan , 20:36 | permalink | markup wiki | commenti (0)