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« Oppure magari è uscito con la chiave, visto che la chiave della prigione... gira... »
- Kailah Morstan -
 
Il fondo del barile
Martha Trouville
 
creato il: 07/04/2007   messaggi totali: 36   commenti totali: 30
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10 Aprile 518
Venerdì 14 Aprile 2023

Plàigheach



L'eco di un grido disperato pervade i sensi che mi restano mentre precipito nel nulla, accompagnandomi in una discesa che sembra non avere fine. Ben presto mi rendo conto che sono io ad urlare, nel tentativo di scacciare il dolore atroce che sconquassa le mie membra a partire dalla gamba destra. E' dunque mia la disperazione che sento? Non dovrebbe essere possibile, non dopo aver dato la vita per rinunciare per sempre a queste manifestazioni di debolezza. Eppure la fitta lancinante che sento è reale, e il sangue che mi resta non ha modo di placarla.

Cosa è successo? Dove ho sbagliato? Cerco invano una risposta nel buio che mi circonda, mentre lotto per non perdere l'ultimo ricordo che ancora resiste avvinghiato alla mia mente: lo scontro con lo Jaeger, il Cacciatore Senza Nome, culminato con l'affondo della sua lama sinistra che mi ha precipitato in questa coltre di tenebra.

Teegan. Un nome che non associo a nessun volto e non credo d'aver mai sentito prima: eppure, le sillabe che compongono questo vocabolo inaudito rimbalzano dentro la mia testa come rocce sospinte da una frana, provocandomi un dolore che non provavo dai tempi in cui ero... Chi ero, prima? Chi sono, adesso?

«Un plàigheach: un essere imperfetto. Questo è ciò che sei.»

Un altro termine che non comprendo. Chi ha parlato? Dove mi trovo? Mi sforzo di rispondere, ma ogni tentativo di proferire parola risulta vano. Ciò che mi ha trascinato qui, qualsiasi cosa sia, mi ha anche privato della facoltà di emettere suoni.

«Ma io posso aiutarti: posso renderti completo.»

La voce, calda e suadente, è di una donna che non ho mai sentito prima. Stavolta però non è seguita dal silenzio, ma da un sinistro e incomprensibile rantolo gutturale che proviene da qualche parte dietro di me.

Procedo a tentoni nella direzione da cui provengono quei suoni. I miei occhi si sforzano inutilmente di distinguere qualcosa, qualsiasi cosa, nei meandri dell'oscurità che mi circonda. Un minuscolo barlume è tutto ciò che mi serve: una singola scintilla su cui poter lavorare. A dispetto di quanto potreste pensare, non siete creature delle tenebre, ripeteva Giersberg durante le adunate di orientamento: al contrario, siete la conferma del trionfo della luce: la notte che avete dentro, e che d'ora in avanti sarà parte di voi, non serve che a far risplendere il vostro sole interiore. La notte che ho dentro, il mio sole interiore. Chi era Giersberg? Chi sono io? Se solo riuscissi a ricordare...

«Tutto ciò che devi fare è ricordare chi sei.»

Frammenti di memoria cominciano a ricongiungersi dentro la mia testa, formando un disegno via via meno abbozzato. Il dolore si fa più intenso: un artiglio infuocato percorre il mio corpo, scavandomi nel cuore e nel cervello alla ricerca di volti, sensazioni, emozioni. Giersberg, me stesso, i miei compagni. E prima di loro le montagne, il villaggio in cui sono nato, l'addestramento per diventare tutto ciò che poi ho scelto di abbandonare. Bandito, questo fu il verdetto: così scelse di definirmi sir Wilson quando la mia rinascita fu completa. Le dita adunche della mano che scandaglia i miei ricordi dissotterrano stralci di conversazioni che io stesso avevo dimenticato. «Ma bandito nel senso che eri a capo di una banda, o che devo stare attenta alla mia borsa?» Nessuno dei due, Ayza: è un altro il significato di quella parola.

«Hai abbandonato la tua stirpe, il tuo destino, la tua libertà, per diventare schiavo del sogno di un altro.»

E' vero, l'ho fatto. Ma non è forse quello il significato della parola libertà? Al termine dell'addestramento mi sono guadagnato il diritto di poter fare una scelta. E anche se la strada che ho scelto di seguire è parsa di segno opposto a chi non ha potuto far altro che disporre il mio esilio, di fatto mi ha portato al medesimo traguardo: sono comunque diventato un mutaforma, un essere dai poteri ancestrali che combatte i soprusi dell'ordine costituito per restituire alla sua gente ciò è stato loro indebitamente sottratto. A cambiare, dopo tutto, è soltanto la forma che ho scelto. Bandito, dunque, per canoni e convenzioni: ma giammai fedifrago o traditore.

«Sei il pallido riflesso di ciò che potevi essere... e che saresti dovuto diventare.»

Non è così! Mi sforzo di rispondere, ma ancora nessun suono fuoriesce dalla mia gola. Un altro ruggito cavernoso risuona intorno a me, come a dar voce alla mia frustrazione. Chi sei? Cosa vuoi da me? Con che diritto stai infestando i miei pensieri? Continuo a scrutare nel vuoto, alla ricerca di un appiglio che mi consenta di individuare la mia interlocutrice.

«Non importa chi sono. L'unica cosa che deve interessarti è che posso farti uscire da qui.»

La falsità che trasuda dalle sue parole è quasi palpabile: non ho idea di cosa sia questo posto, ma sono certo che se sono finito qui è colpa della megera che mi sta parlando. Palesati, strega! provo a esclamare, di nuovo senza alcun esito. Poi, finalmente, comincio a mettere a fuoco qualcosa. Il manto d'ombra che mi circonda inizia a ritrarsi, lasciando affiorare una serie di simulacri diafani: Temu, Jarva, Sami, Nox, Laèl... E poi ancora Mandy, sir Wilson, Aghvan, Giersberg, Manuel, Ayza, Kzar. Ciascuno di loro è circondato da un turbine di immagini, suoni e sensazioni familiari. Le sagome di Manuel e di Kzar cominciano rapidamente a sgretolarsi, come se non avessero la forza di tenersi insieme: le osservo mentre svaniscono, unitamente a quelle degli altri compagni caduti, finché non restano solo i volti con cui ho condiviso l'ultima parte della mia vita.

«Quelle che vedi sono le persone che ti hanno impedito di diventare quello che meriti. Sono loro, i tuoi nemici.»

Stronzate, mormoro senza emettere fiato: tutte le decisioni che mi hanno portato ad essere ciò che sono le ho prese autonomamente e riguardano soltanto me. Se pensi di tenermi rinchiuso in questo posto per convincermi a volgere la spada contro i miei fratelli hai fatto male i tuoi conti, strega maledetta. Un altro rantolo spettrale rimbomba nell'aria, sovrapponendosi ai miei pensieri.

Cerco di utilizzare a mio vantaggio il pallido alone luminoso che tratteggia le forme spettrali che mi circondano: i miei ricordi... il mio sole interiore. Non ho bisogno che di un minuscolo barlume, dopo tutto. La coltre di oscurità arretra ancora, consentendo ai miei occhi di tracciare il profilo di una figura femminile che si staglia proprio di fronte a me.

«Eccoti, finalmente!»

La voce cristallina che risuona nell'aria non è la mia, ma quella di Mandy. Il fantasma con le sue sembianze si anima e prende colore, per poi volgersi in direzione dell'entità che ho appena individuato. Il dolore non accenna ad attenuarsi, ma comincia a diventare meno insopportabile: non ho idea di come la nostra protettrice abbia fatto a raggiungermi, ma sono felice di non essere più solo.

Mandy avanza di un passo, poi un altro, poi un altro ancora, fino a quando l'aura di luce che la pervade non illumina la figura che si staglia di fronte a noi. Il volto che emerge dalle ombre, così come la foggia e i colori dell'abito che indossa, non lasciano alcun dubbio. E' davvero una strega: una strega di Elsenor. E' la prima volta che ne incontro una, ma i lineamenti, meravigliosi e terribili in egual misura, rendono giustizia a tutte le leggende che ho sentito.

Kalya Niadh - Immagine 4

Mentre la osservo, incapace di distogliere lo sguardo, mi tornano alla mente i versi di una filastrocca che gli anziani del mio villaggio erano soliti cantare ai bambini che giocavano ai pirati.

Sei e otto mozzi ai piedi, quattro e due a coprir le spalle,
Tre di guardia al lato a monte, sette son su quello a valle,
nove mani sul timone, un rapace svetta a prora
cinque spade stan nel mezzo: è un vascello di Ilsanòra!


Le incursioni dei predoni Elsenoriti non erano un problema per noi, avevamo persino degli antenati in comune... a patto di garantire il rispetto di un'unica, importantissima regola: non invadere il loro territorio, per nessun motivo.

«Kalya Niadh, suppongo. O preferisci che ti chiami... Kalina?»

A differenza mia, Mandy è in grado di parlare. Il tono della sua voce ostenta una sicurezza che mi riempie di speranza: se quello entro cui ci troviamo è un incubo, lei dovrebbe sentirsi a casa. La nostra ospite, tuttavia, non dà l'impressione di essere preoccupata della sua intrusione. Si limita a guardarci, senza rispondere.

«Lascialo andare», prosegue Mandy, avanzando ancora: «Questo luogo non ti compete». Poi, per la prima volta, si gira verso di me, rivolgendomi un sorriso. Adesso ce ne andiamo, sembra quasi volermi dire. Lo spero davvero. Il suo sguardo indugia per alcuni istanti oltre le mie spalle, e per un attimo ho come l'impressione di vederla avvampare di paura.

«Non sono stata io ad aver oltrepassato il confine per prima», risponde la strega. «Dovresti saperlo... come dovrebbe saperlo lui». L'artiglio infuocato torna a rovistare nel mio cervello, provocandomi nuovamente un dolore atroce. Crollo a terra tra gli spasmi, impossibilitato a urlare, mentre la strega continua a saccheggiare i miei ricordi con la foga di un branco di roditori in un granaio.



«Fermati!» esclama Mandy. «Lui non sa nulla: se stai cercando delle risposte, chiedi a me.»

«E chi ti dice che io intenda parlare con voi?»

«Lo dico io.»

«Tu non sei niente, qui dentro: ti trovi qui soltanto perché io ho deciso di farti entrare.»

«Ah si?», risponde Mandy con aria di sfida: «guardati la mano sinistra, allora».

La strega solleva lentamente il braccio, puntando il pugno verso di noi: quindi lo apre, mostrando una mano di sole quattro dita.

«Ho la tua attenzione, adesso?» Esclama Mandy, visibilmente soddisfatta. «Come vedi, rubare a casa dei ladri non è così facile come pensavi...».

La strega annuisce con un sorriso, poi serra nuovamente la mano a pugno e la riapre: come un assurdo gioco di prestigio, le dita sono di nuovo cinque. Un lampo di paura attraversa il volto di Mandy, subito seguito da una smorfia di dolore: osservo impotente la mia protettrice lanciare un urlo e poi crollare a terra in preda agli spasmi.

«Come ho già detto, non sono io ad aver cominciato. Siete stati voi a non aver rispettato i patti.»

«Posso... spiegarti...» rantola Mandy, cercando di rialzarsi. «Vogliamo... negoziare... una... pace...»

«Risparmia il fiato», la interrompe la strega, muovendo qualche passo in direzione dei simulacri che mi circondano: «ho già appreso tutto quello che volevo sapere.»

«Non.... non sai niente, invece. Ho parlato con... Yara... vogliamo...mmMPfhhh...» La voce di Mandy si trasforma in un un mugolio di suoni incomprensibili: guardandola mi accorgo con orrore che le sue labbra sono scomparse, lasciando il posto a spaventosi lembi di pelle che le serrano la bocca in una maschera di sangue, piaghe e cicatrici.

«Avresti dovuto mantenere la guerra al di là del Traunne. Non lo hai fatto, violando un accordo stipulato da persone più sagge e prudenti di te. Sei tu ad esserti spinta a rubare a casa dei ladri, e lo hai fatto in modo talmente maldestro da distruggerla oltre ogni rimedio. E' troppo tardi per cavartela negoziando una pace, Mandy Sphere: in un modo o nell'altro renderai conto delle tue azioni.»

Mandy scuote la testa, sforzandosi di urlare qualcosa di minimamente comprensibile attraverso il suo grottesco bavaglio di carne: niente da fare. Kalya la osserva per qualche istante, quindi la congeda con un singolo gesto della mano, confinandola al di fuori di questo incubo. Prima di dissolversi, la mia protettrice mi lancia un'ultimo sguardo disperato: non mollare, questo intende dirmi: tornerò. Ma sappiamo entrambi che non andrà così.

La strega torna a rivolgersi nella mia direzione. «Dove eravamo rimasti?»

Scuoto la testa: non contarci, stronza: non importa cosa cercherai di offrirmi.... non mi convincerai mai a tradire i miei compagni. Ma mentre mi sforzo invano di dar voce ai miei pensieri, realizzo con orrore che non sta affatto guardando me: sta guardando dietro di me. Il grugnito oltretombale che risuona ancora una volta alle mie spalle e il ricordo dello sguardo terrorizzato di Mandy mi fanno comprendere che non è dalla mia inaudìbile voce che la strega attende una risposta: non sono io il suo interlocutore... Non lo sono mai stato.

E quando finalmente riesco a voltarmi, ignorando il dolore che torna a tormentare ogni singola fibra del mio corpo, non posso far altro che mettere a fuoco la più grande delle mie paure.


Kraalor - Immagine


L'altro me stesso: la progenie di Kraalor che scalpita nelle mie vene, anelando una libertà che fino ad oggi sono riuscito a negargli. E' lui il plàigheach, l'essere imperfetto che la strega di Elsenor intende rendere completo, provocando un risveglio funesto da scagliare contro i miei compagni analogo a quello verificatosi ad Uryen: sangue per sangue, fioritura per fioritura. E poco importa che io sia o meno il mandante o l'artefice di quella catastrofe: per Kalya Niadh non sono che un ostacolo da oltrepassare per raggiungere la sua vendetta.

E va bene, strega di Ilsanora: prova pure a corteggiare la metà oscura del mio sangue. L'altra metà venderà cara la pelle. Se credi che te la darò vinta così facilmente, ti sbagli di grosso.

Vesa il Bandito - Immagine 2
scritto da Vesa, il Bandito , 03:31 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
20 dicembre 517
Domenica 3 Ottobre 2021

Una vita fa



Entrare in un'erboristeria è diventata una sorta di esperienza mistica: migliaia di odori che non riconosco saturano l'aria, alternandosi e sovrapponendosi nell'attirare l'attenzione dei miei sensi. Mi ricordo quando, una vita fa, accompagnavo mio padre in tante botteghe simili a questa. Gli odori erano gli stessi, ma all'epoca non avevo modo di apprezzarne le singole capacità espressive: si limitavano a mescolarsi in una sorta di miasma dolciastro. A quel tempo la mia malattia aveva appena cominciato a manifestarsi: ricordo le suppliche di mio padre affinché l'arcigno erborista ci vendesse a buon prezzo balsami e lenitivi che puntualmente si rivelavano utili solo a prosciugare i suoi risparmi, non certo il liquido che tormentava i miei polmoni.

Qui allo Stelo di Grandiflora l'erborista è una donna, ma ugualmente arcigna: nei miei confronti, almeno. Non perde tempo a chiederci cosa vogliamo, sa fin troppo bene perché abbiamo deciso di rovinarle la giornata con un'altra visita non annunciata.

Myrna Volkov - Immagine 2

"Chi non muore si rivede", si limita a dirci col sarcasmo che la contraddistingue, puntandoci addosso il consueto sguardo protettivo da sorella maggiore che non ha paura di niente: neppure di due innalzati di Ghaan.

"Anche a me fa piacere rivederti, Myrna". E' la verità: non ho niente contro di lei, anzi comprendo il suo disagio: al posto suo mi comporterei allo stesso modo.

Lei si limita ad annuire. Khzar accenna un saluto sollevando la mano. Poi il ballatoio sopra di noi si ravviva di passi familiari e sento il cuore battermi nel petto come non faceva da mesi. Punto gli occhi sulle scale, in attesa di vederla scendere.

Ireena Volkov - Immagine

Accidenti quanto è cresciuta: sembra alta il doppio dell'ultima volta. Quanto tempo è passato? Sicuramente troppo. Spalanco le braccia un attimo prima che mi salti addosso e la stringo forte. "Ayza! Finalmente! Mi sei mancata: ho pregato tantissimo...". Piccola mia, non hai idea quanto mi sia mancata tu.

"Passerai la Rinascita con noi, vero? Così potrai raccontarmi tutte le tue ultime avventure!"

Myrna ci osserva in silenzio, combattuta come sempre quando è costretta ad assistere alle nostre effusioni: è evidente che questa situazione le pesa. Più volte mi sono chiesta cosa sono per lei: una mostruosità a cui non ha voluto negare il suo aiuto? Una spina nel fianco della sua famiglia? Un motivo di sofferenza per Ireena nello sventurato (o magari auspicabile) giorno in cui inevitabilmente morirò?

Certo non sua cugina. Non più, almeno.

"Dobbiamo parlare, Ayza", mormora con espressione grave. Lontano dalle orecchie di Ireena, aggiunge con gli occhi, facendo un cenno verso il piano di sopra.

Annuisco. "Lasciami solo qualche minuto, prima". Non voglio interrompere questo abbraccio: ogni battito del cuore di Ireena mi restituisce un pò del sollievo che gli ultimi mesi mi hanno strappato via. Chiudo gli occhi e mi concentro unicamente sulla regolarità di quel ritmo, cacciando via ogni altro pensiero.

Il battito della vita, così lo chiamava Manuel. Più forte, autentico e motivante di qualsiasi sostanza. E' a questo che devo tendere, sempre e comunque. E' questa la sensazione a cui anelare, a cui per nulla al mondo voglio rinunciare. La vita. La dolcezza. La comprensione. L'umanità. Ireena.

"Ascoltami bene, Ayza: tu non hai bisogno di questa merda. Lo sai, invece, di cosa hai bisogno? Di qualcuno che ti accetti per quello che sei. Che sia pronto ad amarti e a rispettarti e contento quando torni sana e salva. Che sappia aspettarti per tutto il tempo che occorre. Può essere un parente, un amante, un amico... persino un animale. Ma dobbiamo trovarlo, d'accordo? Perché sarà quella persona a fornirti l'appiglio a cui dovrai aggrapparti per restare in vita".

Ricordo quando mi dicesti tutte queste cose e io risposi che avevo già scelto: che volevo te. Ma non potevi accettarla, questa risposta: eri troppo impegnato, troppo egoista, troppo vigliacco per essere tu il mio appiglio. O forse sapevi già che saresti morto prima di me. Bella fregatura che mi hai dato, Manuel: era quasi meglio tenersi i polmoni scassati.

Trost

I pochi giorni che trascorro a Trost riescono a farmi dimenticare l'orrore degli eventi avvenuti a Caaron: l'attacco dei risvegliati, l'eruzione del vulcano, la morte di Manuel e di quasi tutti i nostri compagni. La versione che io e Khzar raccontiamo a Ireena, di gran lunga più avventurosa e meno cruenta di quanto accaduto, aiuta molto anche me. Non riusciamo tuttavia a nasconderle del tutto l'amara consapevolezza che l'epilogo sia stato molto diverso da come avremmo voluto: il prezzo più alto di questa stupida e insulsa guerra continua ad essere pagato dagli strumenti incolpevoli di comandanti sempre più spietati. Eppure sono stati proprio quei sacrifici, oltre alla morte di Manuel, a fornirci un'occasione irripetibile per mettere fine a tutto questo.

Anche Ireena non vede l'ora di raccontarmi le sue avventure. Apprendiamo così, non senza un certo stupore, di aver interagito con le medesime persone: la pristina della Mantide e i suoi compagni di Uryen.

Myrna ascolta la maggior parte delle nostre conversazioni. Lei non conosce i dettagli del piano, ma ha capito da tempo da che parte stiamo e cosa vogliamo fare: è il motivo principale per cui non ha impedito a Ireena di diventare il mio appiglio, evitandomi di ricorrere eccessivamente alla Garmonbozia e dunque salvandomi da morte certa. Per questo le sarò per sempre debitrice e farò tutto quanto in mio potere per proteggere lei e sua sorella.

[...]

"Non l'hai protetta, invece", esordisce Myrna con un sospiro dopo essersi chiusa la porta alle spalle. La sua camera è meno spoglia dell'ultima volta: all'epoca c'era un letto solo, adesso ce ne sono due. L'odore di Ireena è ovunque: dormono insieme, ora. Perché?

Poi inizia con il suo racconto, che mi colpisce come una sassata in pieno viso. Scopro così che non sono stata l'unica a raccontare una versione più avventurosa e meno cruenta delle mie (dis)avventure... E vengo a conoscenza di tutti gli eventi accaduti a Trost lo scorso ottobre: il piano dei soldati di Uryen per entrare nel Nosocomio e liberare un sacerdote in punto di morte; la generosa offerta di Myrna di aiutarli; la missione di Ireena e della pristina della Mantide e il sacrificio di entrambe in quellla lurida stanza del Nosocomio. E l'insostenibile peso della mia assenza, che ha permesso a un simile scempio di avere luogo.

Hans Vale - Immagine 1

Sento il sangue nero di Kraalor scorrermi violento nelle vene: non posso permettere a quel verme innominabile di vivere un solo giorno in più. Ogni suo respiro è una bestemmia nei confronti di tutto ciò che c'è di puro, un'aberrazione che deve cessare; non posso...

"Non puoi farlo", mi dice Myrna. La mia faccia è un libro aperto, o per meglio dire una sentenza. "Non puoi farlo", continua, "perché faresti saltare tutto quello per cui avete... e abbiamo... lavorato".

Scuoto la testa: ha ragione, ovviamente, ma in questo momento non voglio sentire ragioni. "Puoi dire quello che ti pare, ma io non me ne andrò da questa città senza prima averlo ucciso".

"Lo farai, invece".

"Perché?"

"Perché me lo devi".

La ascolto mentre parla: il suo cuore non perde un colpo, a differenza del mio. E' di sua sorella che stiamo parlando: il bene che le vuole è incalcolabile, eppure, persino nel ricordo di quello che le hanno fatto... di quello che quel mostro le ha fatto... riesce a tenere a freno l'emotività molto meglio di me. Il suo è un discorso sofferto ma razionale: la logica ineffabile di chi non cerca l'appagamento immediato della vendetta personale ma una giustizia condivisa, profonda e duratura.

"Ascoltami bene, Ayza: quando uscirete da quella porta, tu e il tuo compagno farete quello che va fatto... A Ghaan, non qui. E' un altro il lestofante che dovete togliere di mezzo. Siamo intese?".

Annuisco. E contiinuo ad annuire anche dopo, quando mi dice che Ireena ha accettato di compiere quell'operazione di sua spontanea volontà e consapevole dei rischi: e quando mi dice, mentendo spudoratamente, che lei ha compreso ed approvato quella scelta. Che siamo tutti soldati in questa battaglia, pur con un diverso modo di combattere.

Ho tanto da imparare da questa bottega: e rimpiango quei giorni di una vita fa, quando potevo sentire soltanto quella fragranza dolciastra e rassicurante, senza riuscire a distinguere i tanti aromi più o meno disgustosi che servivano a comporla. Ma poi si diventa grandi, e non c'è esercito che riesca più a nascondere il sangue e il sudore di ciascuno dei propri soldati.

[...]

Non mi resta che congedarmi. Myrna mi apre la porta: poi, mentre passo, mi abbraccia all'improvviso.

"Abbi cura di te".

La stringo: in questo momento, complice la stanza, ha praticamente lo stesso odore di Ireena.

"Lei dorme, vero?" Domanda inutile. Posso sentire il suo respiro da qui: si è addormentata di sotto, cullata dalle note della viella di Khzar. Le chiedo di poterla vedere un'ultima volta e lei me lo concede: senza svegliarla, così da risparmiare a entrambe un saluto inutilmente doloroso.

"Abbi cura di te", mi ripete.

"Tornerò", mi viene da risponderle. Poi penso che forse, dopo tutto, è l'ultimo augurio che vorrebbe sentirmi dire. "Ma non prima di aver fatto ciò che va fatto", aggiungo.

Khzar è sulla porta ad aspettarmi. La nostra marcia verso le mura della città è accompagnata dai primi fiocchi di neve.

Stelo di Grandiflora - Immagine

"Pensavo che avremmo passato la Rinascita a Trost", mi dice senza nascondere una punta di rammarico.

Scuoto la testa. "Quella è una delle poche famiglie che dedica Yule alle divinità anziché al cibo o al Signore dei Ladri: non abbiamo il diritto di rovinare la loro celebrazione con il nostro sangue guasto".

Khzar annuisce: "In Absentia", chiosa poi con tono solenne.

"Sembri un coglione quando lo dici, sai?"

Khzar alza le spalle: "Hai ragione: eppure quando lo diceva Manuel sembrava un modo di dire fantastico, no?"

"Già".

"Prova a dirlo tu: magari suona meglio...".

"Non ci penso nemmeno!"

Quando raggiungiamo le mura le prime luci dell'alba squarciano la notte di fronte a noi, disegnando in lontananza il profilo familiare dell'Angelo di Pietra. Le guardie di Trost si mettono sull'attenti: spero che conserveranno la stessa deferenza anche quando, tra qualche settimana, tornerò ad ammazzare il Camerlengo: sarà mia cura donargli una morte adeguata alle bizzarre e stravaganti usanze della città in cui vive.



Ayza Reich - Immagine 2
scritto da Ayza Reich , 06:43 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
14 gennaio 518
Domenica 21 Giugno 2020

Il Viaggiatore

"Mi chiedi chi sono, Colin, e da dove vengo, e so già che faticherai a trovare un senso nella mia risposta. Mi è impossibile tracciare un confine tra la mia natura e il luogo da cui sono stato strappato, così come sarebbe per te impossibile distinguere tra il mare e le onde che lo increspano. Semplicemente io ebbi ad essere là dove il Respiro è ancora impetuoso, oltre i confini di questo mondo ormai arido. Sono giunto qui non per mio desiderio ma trascinato dal fluire del Respiro, e posso ben contarmi tra le vittime della follia di Marv Fedai: il varco che egli volle aprire tra questa realtà morente ed altre più vitali turbò e scosse il Respiro in cui io ero, e qui mi trascinò assieme alle altre cose stolide che intendeva aizzare contro di voi. Non confondermi con quelle bizzarrie, né con la bestia senza mente che si dibatteva nelle acque torbide a Klarheit: in verità in esse vi è assai più della vostra natura che della mia, cose di carne e sangue il cui "dove" è solo un accidente.

Forse vi fu un tempo in cui il Respiro permeava ogni cosa ed ogni luogo, ma se così fu, non ne serbo il ricordo. Forse altri che tu diresti simili a me furono generati QUI prima del mio tempo, quando ancora non vi era altro che QUI. Forse ciò che tu chiami "demone" e ciò che ritieni invece originato dalla Natura a cui ti senti di appartenere sono state una una cosa sola, prima di disperdersi oltre il Respiro. Ti sei chiesto perché sia possibile fare ciò che Marv Fedai e Muireal hanno fatto, e cioè violare i confini invisibili del vostro mondo per trascinarvi dentro bestie di ogni sorta...e me?

Sono un viaggiatore, Colin, portato dalle correnti del Respiro fino a voi, cose di carne e sangue di ogni "dove", per diventare cosa sola con voi, conoscere i vostri desideri e i vostri timori, le vostre virtù e le vostre miserie, i vostri saperi e le vostre ignoranze. Scorro attraverso voi per fare ritorno al Respiro, come un fiume che percorre innumerevoli terre per ricongiungersi al suo mare, portando con me il ricordo di coloro che ho visitato. Non sono vostro nemico più di quanto possa esserlo il piede nei confronti del sentiero che calpesta: conosco l'odio e la malizia solo per tramite vostro, ed essi sono per me come gli usi di una gente straniera, curiosi vezzi che non sento miei. Temi che io possa essere un pericolo per voi, ma la verità è che non ho ragione di nuocere ad alcuno a patto che il mio transito non venga ostacolato.

Ma come vi ho detto, il Respiro è flebile e scarso in questo mondo, e non ho desiderio di rimanervi oltre: farò ciò che devo per proseguire il mio viaggio, e tanto più mi aiuterete, tanto meno incomodo rischierò di arrecarvi."


In seguito alle ripetute interazioni con il "Viaggiatore" e ritornando sui brani specifici dell' "Evocatio Demonorum", Colin è in grado di mettere meglio a fuoco le informazioni che il testo fornisce a proposito dei cosiddetti "philosopher".

Intelligenze incorporee come il Philosopher hanno origine in uno spazio interstiziale tra i mondi caratterizzato da uno Yoki molto alto, e penetrano nelle varie realtà attraverso i varchi che di volta in volta si aprono (ad es. quelli prodotti dalle evocazioni demoniache). Questa entità è una sorta di collettore di informazioni che viaggia di mondo in mondo, legandosi a forme di vita corporee più o meno intelligenti e incamerandone le cognizioni e gli istinti: di fatto si potrebbe dire che il Philosopher non sia altro se non un'espressione dello Yoki in grado di migrare e stabilirsi in creature ospiti diverse. In questo senso il Philosopher non può neppure dirsi una forma di vita, e in quanto tale non deperisce né muore, tuttalpiù disperdendosi qualora non vi siano più le condizioni per la sua sussistenza. Non avendo un ciclo di vita vero e proprio, il Philosopher non ha neppure una funzione riproduttiva ed esemplari distinti "si verificano" come meri fenomeni dello Yoki del luogo da cui originano.

Il Philosopher desidera naturalmente legarsi a creature ospite, assumendone il controllo ma al tempo stesso assorbendone i processi mentali e i ricordi, al punto che la sua "identità" risulta trasformata e arricchita ad ogni passaggio. Sebbene acquisisca le cognizioni linguistiche e il bagaglio di nozioni e competenze del suo ospite, l'entità non ne mutua però le pulsioni, gli obiettivi o l'orientamento morale/religioso: essa resterà sempre amorale e opportunista, incapace di empatia e interessata solo all'esplorazione delle realtà in cui è giunta per il tramite delle creature che lo ospitano. Ciò non significa che un Philosopher non sia in grado di simulare una personalità amichevole quando questo sia strumentale al raggiungimento dei suoi scopi, stratagemma che peraltro usa con grande frequenza. Le pulsioni fisiologiche delle creature viventi sulle prime risultano sgradevoli e persino sconcertanti al Philosopher, che tenderà pertanto a reprimerle ingenerando possibili sospetti e soprattutto mettendo a rischio la sopravvivenza stessa del suo ospite. E' possibile che la maggiore dimistichezza acquisita ad ogni transito renda più semplice l'adattamento ai bisogni del corpo che occupa, rendendo possibili possessioni sempre più durature (e discrete).

In virtù dello Yoki che lo costituisce il Philosopher è in grado di esprimere effetti telepatici, telecinetici e di interazione dimensionale analoghi a quelli prodotti con i corrispondenti incantesimi dei Maghi, ed è anche in grado di alterare il fluire del Potere nell'ambiente in cui si trova per trarne sostentamento (questo soprattutto nei mondi poveri di Yoki come Sarakon) e per recuperare le forze. Il Philosopher è consapevole della precarietà della sua sussistenza in realtà povere di Yoki e pertanto tenderà a voler fare ritorno nel suo luogo di origine qualora il suo livello di Yoki approssimi la soglia al di sotto della quale sarebbe per lui impossibile aprire un varco verso "casa".
scritto da Muireal (o chi per lei) , 16:58 | permalink | markup wiki | commenti (1)
 
5 dicembre 517
Mercoledì 13 Novembre 2019

Dal diario di Marv Fedai



5 dicembre 517

Morto Adrien, improvvisamente si sono ricordati di me. È venuta lei in persona a chiedermi di sostituirlo in uno spettacolo commemorativo, dal nome solenne di “La tempesta imperfetta”.
Si è inginocchiata vicino alla poltrona, coi capelli sciolti sulle mie ginocchia inerti, profondendosi in lacrime. “Eravate amici, abbiamo bisogno di te, della tua arte… solo tu puoi aiutarci a mettere in scena lo spettacolo che Adrien merita
Avrei voluto rifiutarmi, dopo quel che è successo tra di noi, ma non ce l’ho fatta, non ne ho avuto il coraggio.
Sono di nuovo schiavo di Lucida, e stavolta per sostituire dietro le quinte del Gran Teatro il vecchio amico che me l’ha portata via. Dannazione. Perché sono così debole?

La morte di Adrien mi ha preso alla sprovvista. Le circostanze del suo ritrovamento, ignobili e misteriose, lasciano interdetti.
Non so se abbia prevalso in me il dolore o un vago e vergognoso senso di soddisfazione. Era più un amico o un rivale?
Che poi rivale… chi credo di prendere in giro? Sono tutte illusioni! So bene di non avere mai avuto possibilità. Le lusinghe di Lucida hanno sempre e soltanto riguardato le mie capacità magiche. Diverso sarebbe se non fossi un uomo spezzato: ho colto più di una volta in passato gli sguardi di lei verso mio fratello, leggendo in essi il rimpianto di ciò che avremmo potuto essere. Se la mia mente e il mio cuore albergassero nel corpo intatto di Theo, Lucida avrebbe scelto me.

Oggi pomeriggio mi farò accompagnare al Gran Teatro e Ruyard mi spiegherà che genere di effetti spettacolari servono per “La tempesta imperfetta”. Voglio superarmi: sarà il più grande spettacolo mai messo in scena a Feidelm dai tempi di Ukut-Testa-Di-Martello.
Lo faccio per Adrien, in memoria della nostra vecchia amicizia, o per dimostrare che sarei stato migliore di lui? Oppure lo faccio per Lucida, per quei capelli biondi su cui solo poche ore fa ho posato la mano?
Forse non ha importanza. Ormai cosa cambia?

6 dicembre 517, a notte

È fatta. Dei, che spettacolo!
I morti si risvegliano e muovono arti inerti e putrescenti, mentre dalle onde emergono creature fantastiche e sensuali…
Lucida ha indossato il suo abito nuziale: che bella. Ho i brividi al solo pensiero.
Mentre da dietro i fondali guardavo le danze e mi lasciavo trasportare dalla voce di Ruyard e del coro, ho avuto per un momento la sensazione di poter io stesso fluttuare, libero dalla mia prigione di legno e metallo.
Adesso sono sfinito, già so che non riuscirò a chiudere gli occhi per l’eccitazione, mi sento svuotato da ogni stilla di potere magico. Ho dato tutto, e adesso la mia mente è leggera, al punto da spingermi a fantasticherie impossibili e bellissime.
Chissà, forse potrei accettare di rifarlo.


7 dicembre 517

Theo stamattina mi ha portato il famoso Darkenblot a casa.
Ancora non mi ero finito di preparare, dopo la notte piacevolmente insonne che ho trascorso. Quante volte mi aveva parlato di questo Darkenblot, io chissà che mi aspettavo. E invece è soltanto Jeremy Overdeen, che tante volte ho incontrato alla bottega di Mastro Mortimer buon’anima e persino una volta o due al banchetto di Frumentario.
Ci siamo salutati, con grande stupore di Theo, che pensava che non ci conoscessimo.
Overdeen per farla breve mi dice che servirebbe il mio aiuto per liberare un suo amico, ingiustamente rinchiuso nelle segrete della Chiesa del Radioso.
Io che c’entro?” gli ho chiesto.
Dopo la morte di Adrien, Overdeen non ha nessun mago su cui contare, questo è il succo. Nessun mago, quindi si rivolge a me.
Da mesi sapevo che Theo faceva parte dell’organizzazione di Darkenblot, e che Theo abbia un fratello mago – storpio – non è un segreto per nessuno. Ma solo ora che è morto Adrien, nientemeno che il temuto Darkenblot si scomoda per venire a trovarmi a casa.
La cosa divertente è che gli ho detto di arrangiarsi, e che ho già consumato ogni briciola di potere magico ieri sera allo spettacolo: adesso sono più inutile di un comodino.
Overdeen ha un po’ insistito, ma ha presto capito che nemmeno i maghi possono fare l’impossibile.
Ci siamo salutati cordialmente, se in futuro dovesse servirgli il mio aiuto, nei limiti del ragionevole, glie lo fornirò volentieri. Lo devo a Theo, più che altro. Con tutto il daffare che mio malgrado gli do, credo sia giusto ricambiare.



16 dicembre 517

Che gli Dei mi perdonino.
Vale forse l’amor fraterno più del rispetto di ciò che è sacro?
L’incantesimo che da anni studio in segreto, le carte preziose di Frumentario, gli scritti antichi che custodisco, a questo forse sono destinati?
La Chiesa del Radioso è il luogo in cui, da bambini, mio fratello ed io ci recavamo alle funzioni, insieme ai nostri genitori. Ricordo l’atmosfera solenne, il profumo delle candele, la penombra satura di santità. Potevo ancora camminare, e correre, a quei tempi. Ignoravo di possedere il dono della Magia. O forse non lo possedevo, ed è stato proprio l’incidente a trasformarmi.
Il Potere si manifestò poco tempo dopo. Chissà se si sarebbe palesato ugualmente, se non fossi caduto: eppure è bizzarro che, di due fratelli gemelli, soltanto uno sia capace di dominare il Potere Magico. Proprio lo storpio, il debole, il moribondo: io.
Avrei barattato tutta la Magia del mondo per poter correre di nuovo, per arrampicarmi, per poter sognare un giorno di possedere una donna… ma il mio destino ha scelto diversamente. Mi ha inchiodato ad una sedia, all’immobilità, ad uno studio incessante e solitario. Intanto Theo correva, si arrampicava, cresceva. Viveva.
Nessuno è senza peccato. Theo ha fatto le sue scelte, non tutte le condivido. Conosco le sue frequentazioni e so capire se, quando a notte tarda rientra a casa, mio fratello ha versato del sangue, o ha giaciuto con una donna, o nel vino ha trovato lo sfogo delle sue immense energie vitali.
Immense energie vitali.
Sarebbe patetico se negassi di invidiare con struggente rancore tutta la vitalità di mio fratello. Ma tu hai più cervello, direbbe Theo se mi sentisse.
Ho più cervello, forse. E a che mi giova? Se vivo inchiodato ad una sedia semovente, incapace persino di liberare i miei intestini nella domestica solitudine di una latrina?
Theo è la mia finestra sulla vita. Vivo attraverso i suoi racconti, i suoi sguardi, i segni che porta indosso. Inutile consigliarlo, inutile dirgli di stare alla larga da certi soggetti desiderosi soltanto di sfruttare la sua smisurata energia.
Theo ha fatto le sue scelte, molte sbagliate.
Eppure chi sono io per colpevolizzarlo?
Io vivo grazie alle ricchezze che Theo guadagna con la vita che ha deciso di condurre. Pago i costosi libri di cui ho bisogno con i suoi soldi, con i soldi di Overdeen. Ho necessità di servitori che mi puliscano e mi nutrano, di medicine per alleviare il dolore, di reagenti.
Theo non mi ha mai detto di no. Mai.
Diceva nostra madre, prima che Kayah l’avesse in gloria, che Theo aveva la “melanconia del sopravvissuto”. Diceva che in quel momento, sotto le ruote del carro, sarebbe potuto scivolare lui al mio posto, e che è soltanto un caso se sia rimasto io con la schiena spezzata. “Si sente in colpa per non essere lo storpio, si sente in colpa per non essere te”.
Non so leggere così a fondo nel cuore di mio fratello, ma nostra madre era una donna saggia. Theo non mi ha mai fatto mancare alcunché, si è sempre preso cura di me con dedizione e amore fraterno.
Amore fraterno.
Torniamo al nodo che mi stringe la gola. Vale l’amore per un fratello abbastanza da immolare ad esso la propria anima?
Perché è l’anima in gioco, quando si accetta di compiere un destino così sacrilego, profanare la Chiesa più santa, presso l’altare che vide sposi mio padre e mia madre.

Ed è così che sto qui, ad angosciarmi al lume di una candela, mentre aspetto l’alba. Domattina dovrò dare la mia risposta a Darkenblot.
Non condivido i suoi ideali, mi ripugna il solo pensiero di compiere un simile abominio. Ma Theo è prigioniero nelle segrete di questa Chiesa, che da luogo santo diventa carcere, seggio di tortura e di sopraffazione.
Non c’è altro modo per liberarlo, dice lui. Non ha abbastanza uomini per forzare il blocco, per entrare e tirarlo fuori con la forza. Dice che non c’è tempo da perdere, non si può aspettare che arrivino i rinforzi, perché Theo potrebbe venire assassinato da un momento all’altro.
So che l’interesse di quell’uomo risiede più nel fatto che mio fratello non riveli quello che sa, rispetto a che abbia salva la vita. Ma l’eccezionalità delle circostanze mi spingono a prestargli aiuto.

Conosco un solo incantesimo che possa servire a liberare Theo dalle segrete. Non l’ho mai provato ad evocare, anche se l’ho studiato a lungo, per anni. Nel libro si parla della possibilità di dare ordini ad una Creatura dai poteri immensi, una Creatura prigioniera di altri mondi. Due ordini, forse tre ordini, non di più. E poi la Creatura sarà libera, con tutti i pericoli che da ciò possono derivare.
Se deciderò di evocarla, di compiere questo rituale, ogni atto successivo della Creatura ricadrà sotto la mia responsabilità.
Potrò convivere in seguito con una simile consapevolezza? Oppure un fardello così gravoso sulla mia coscienza sarà troppo pesante da portare, al punto da spezzare il mio cuore, dopo la mia schiena?
Non lo so.
Ma non posso permettere che Theo, il mio unico e adorato fratello, cada per mano di impostori travestiti da guardie civiche, rapitori e assassini, ricattatori. Non posso restare con le mani in mano.
Se avessi ancora l’uso delle gambe, se avessi braccia forti, andrei a combattere a viso aperto contro di loro. Sono però soltanto un povero storpio, con la Magia come unico talento.

Che gli Dei mi perdonino, se possono. Ma devo seguire il mio dovere più profondo, devo salvare mio fratello, anche se so che le conseguenze potranno essere nefaste.


17 dicembre 517


È mattino finalmente!
Una notte interminabile di insonnia e angoscia, dubbi e silenzio viene cancellata dai raggi gelidi del primo sole. È Pyros in persona che emerge dalle nuvole invernali per illuminare la giornata del mio sacrilegio?
Tutta la notte mi sono logorato nell’incertezza, ma ecco che il mattino porta decisione.

Overdeen si è presentato alla mia porta ai primi chiarori. Era livido per il freddo, con il suo bel mantello macchiato di sangue. Non ho osato chiedergliene il motivo.
Ha confermato il piano che mi aveva anticipato ieri sera, senza nemmeno prendere in considerazione la possibilità che io potessi nel frattempo decidere di rifiutarmi.
E dunque si farà.
Oggi pomeriggio, durante la funzione in suffragio per i defunti, nella Chiesa del Radioso, evocherò una creatura demoniaca per ordinarle di liberare mio fratello.
Ma c’è una novità: Overdeen vuole cogliere l’occasione per colpire le guardie corrotte che hanno rapito Theo. Se, come è probabile, si presenteranno alla funzione, un uomo di sua fiducia mi darà un segnale, e sarà proprio allora che compirò il mio rituale.
Liberare Theo e vendicare il suo rapimento, due obiettivi con un solo, eclatante gesto. Non solo: come se non bastasse, sembra che quelle stesse persone siano anche responsabili dell’assassinio di Adrien; danno da giorni la caccia a Ruyard, ed è probabile che presto o tardi aggrediranno anche la povera Lucida.

E se le guardie corrotte non verranno? ho domandato a Overdeen. In quel caso attenderò la fine della cerimonia, mi ha risposto, aspettando che i fedeli defluiscano dalla Chiesa, in modo da non esporre al pericolo più persone dello stretto necessario. Mi sembra ragionevole.

Oggi pomeriggio passerà l’uomo di Overdeen: sarà lui ad accompagnarmi alla Chiesa del Radioso. Meglio così, non voglio che i miei servitori mi vedano mentre compio il rituale, né mi farebbe piacere metterli in pericolo.
Adesso devo radunare le mie carte, i libri ed i reagenti. Ho una sola possibilità, non posso fallire… e sanno gli Dei quanto è difficile un nuovo incantesimo, la prima volta che si prova a lanciarlo. Ma ho studiato tanto, credo che il mio destino sia questo e che riuscirò ad aprire un varco tra questo mondo ed un altro.
Un bel volo di fantasia, per uno storpio.

Marv Fedai - Immagine
scritto da Marv Fedai , 14:02 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
4 dicembre 517
Venerdì 15 Febbraio 2019

Il modo più veloce di fare carriera



E anche stavolta è scampata.
Quei cretini hanno abboccato alla classica storiaccia di corna: spero che abbiano causato abbastanza casini a quella stronzetta. In ogni caso me li sono levati di dosso per il tempo necessario a raccogliere le mie cose e fare il vento.

Se c'è una cosa che ho imparato, in tanti anni di "cattive frequentazioni", è capire quando è il momento di levarsi di torno. Sparire, evitare rogna. Evitare guai.

Qualcuno ha fatto fuori Adrien. Eh.
Anche il buon vecchio Oskar è irreperibile, mi chiedo se sia stato più veloce di me a far perdere le proprie tracce, o se ripescheranno pure il suo cadavere tra gli scogli del Fronte del Porto.

Dispiace... un po'. Fa rosicare. Ma qual è il modo più veloce di fare carriera, se non sopravvivere a quelli avanti a te? Ed io ho appena fatto due passi avanti.

Adesso la prima cosa è capire chi è l'assassino e che ne è stato degli altri: quel bel deficiente di Heywood, i due fratelli elsenoriti... non credo proprio che sia stato il falegname a farli fuori. Chissà a chi li ha venduti. E in cambio di cosa.

Quanto alle guardie nuove dagli accenti esotici, da dove sono spuntate fuori? Niente male l'amerita. Sicuramente la sanno più lunga di quel che sembra, sembrano di un'altra pasta rispetto ai rammolliti del Caporale Jonas. I rammolliti... superstiti. Ops.

Sta succedendo qualcosa di interessate in città. Già sento il richiamo della notte. Non vedo l'ora di saperne di più. Ed è questo il momento di usare il cervello, muoversi con cautela senza però perdere troppo tempo. Tante piste aperte, occhi aperti e chiappe strette, come si dice. Si dice così, giusto?

Per fortuna dove sono cresciuto l'abitudine è di avere sempre un piano B... e un piano C... e un piano D... la vecchia Generalessa sarebbe orgogliosa di me. Se non fosse per la fine che le ho fatto fare. Ma è acqua passata. Senza rancore, noi non siamo mica i buoni.

Rudyard Doll - Immagine
scritto da Rudyard , 12:48 | permalink | markup wiki | commenti (1)
 
1 novembre 517
Domenica 28 Ottobre 2018

L'Ammazzasette



Non credo di averne mai visti così tanti: per ogni testa che spacco ne spuntano tre. Arrivano da tutte le parti, ancora memori del richiamo del risvegliato di Shaalaren: avanzano tutti verso la stessa direzione, come se a guidarli fossero i battiti ormai sempre più rarefatti del cuore pulsante di Claire.

Mi sarebbe piaciuto conoscerti, Claire: dovevi essere una tipa davvero cazzuta. Anche il tuo nome di battaglia lo era: "Claire dell'Uragano", così ti chiamavano. Non si scherza con gli uragani! E poi anche quell'altro che avevi... "Il Secondo dei Sette". Io, a forza di ammazzare Risvegliati, sono diventata "la Sterminatrice". Niente male per la figlia di un mugnaio, intendiamoci: ma di sterminatori ce ne sono tanti, mentre gli uragani come te sono, anzi erano, soltanto sette.

Appena Manuel mi rivelò il tuo nome, gli chiesi se conosceva anche quelli degli altri sei: incredibilmente li sapeva tutti... probabilmente li aveva sentiti da Aghvan.

Aghvan l'Invitto, Primo dei Sette
Claire dell'Uragano, Secondo dei Sette
Levon dagli Occhi purpurei, Terzo di Sette
Horace il Corrotto, Quarto dei Sette
Shade, Quinto di Sette
Lysia delle Acque Scure, Sesto di Sette
Elmer l'Immortale, Ultimo dei Sette


Claire Hymn - Immagine 2

"Serrate i ranghi! Toglietevi da lì!". Le grida di Dharkan riportano i miei pensieri a rimbalzare da un Risvegliato all'altro come la mia spada. Mi basta una torcia accesa nelle vicinanze per vederla bene, anche nel buio pressoché totale che ormai ci circonda: il problema è avere il tempo di accenderle, le torce. Da quante ore stiamo combattendo, esattamente? Quanti di noi sono già morti, e quanti moriranno prima che sorga il sole?

La voce di Dharkan arriva da lontano, a portarla è questo vento freddo che ci accompagnerà fino al termine di questa ennesima lunga notte. Al suo fianco riesco a sentire Khzar, immerso nella sua imperturbabile tranquillità. A quanto pare, quel lato regge.

Un Antar, sperando di confondersi nel frastuono, spicca un salto da un albero vicino: vorrebbe atterrare sul braciere con l'intento di rovesciarlo... Invece, con sua sorpresa, finisce sulla punta della mia spada. Non pensarci neppure, secco: queste fiamme ci servono ancora.

Per un istante il suono di un corno squarcia l'aria, strozzandosi in un modo che non lascia presagire nulla di buono: è la squadra di Ronnie, a guardia dell'entrata secondaria.

"Ayza, vieni con me!" grida Manuel. "Ripieghiamo verso il segnale". La sua sagoma mi precede nell'oscurità, facendosi strada a colpi di spada: nell'istante che impiego a raggiungerlo fa in tempo ad abbattere un Rannar con un fendente. Come accidenti fa a vederci lo sa soltanto lui: non è un innalzato e non ha alcun potere, ma combatte come noi... no, meglio di noi. Persino di notte.

"E' che siete giovani, vi manca esperienza: tra qualche anno mi farete un culo così". Questa frase me l'hai detta la prima volta che siamo andati a letto insieme: una bugia per farmi stare bene quando non sapevo ancora che quegli anni non li avrei mai visti. Quando non sapevo ancora che eri il più grande bugiardo di Ghaan.

Dopo poche decine di metri prendiamo alle spalle un gruppetto di brocchi che incede lungo il sentiero: ne uccido quattro nel tempo in cui lui ne riesce a decapitare uno. Il suo cuore batte forte: comincia ad essere stanco.

L'entrata secondaria è in realtà una uscita, aperta dai soldati di Uryen per portare in salvo la druida. Madre Magdalene... se soltanto fossimo riusciti a prenderla forse avremmo potuto escogitare un piano un pò meno schifoso di questo e non esporre i nostri compagni a morte quasi certa. Con lei all'interno, i risvegliati non sarebbero potuti entrare. Ma è andata così, segno che così doveva andare.

Raggiungiamo il gruppo di Ronnie, o quel che ne resta. Manuel non può rendersi conto della scena per via del buio, ma gli è sufficiente avvicinare la torcia alla mia faccia per comprendere l'entità di quello che vedo. Che disastro: sembra che sia passata un'orda, invece è opera di due sagome minacciose che camminano lentamente verso la spaccatura. "Armiger", esclamo, indicando la direzione: "un paio".

I Risvegliati che si ricordano come usare le armi sono spesso degli ossi duri anche per me: non sentono il bisogno di attaccarmi, ma gli scampoli di memoria che ancora vagano nelle loro teste di rape putrefatte li spingono a rispondere agli attacchi come facevano quando erano soldati... E a contrattaccare. L'unica buona notizia è che camminano lentamente, cosa che ci consente di tagliar loro la strada a qualche metro dall'inizio della caverna di Claire. Lo scontro non è immediato, ma alla fine riusciamo ad avere la meglio su entrambi.

"Sai per caso a che punto stiamo?" Mi chiede Manuel, ravvivando la torcia.

Scuoto la testa. "Questa stupida grotta non mi fa capire niente... Non ci resta che sperare che Aghvan ci abbia preso".

"Lo sai che è così. E' sempre così".

E' vero: il Gran Mentecatto non sbaglia mai. Anche per questo non lo sopporto. L'incapacità di commettere errori è un limite, un simbolo di mancanza di umanità. Se c'è una cosa che rimpiango di come ero prima sono le decisioni impulsive e avventate che potevo permettermi di prendere: adesso le arrabbiature, così come qualsiasi altra emozione forte, mi costano troppo. Quella stupida filattiera s'è presa le mie urla e le ha trasformate in sbadigli. Stupida, stupida filattiera.

"Sarà. Ma aveva anche detto di tenersi a una certa distanza da Claire", aggiungo. "O ricordo male?"

La mia risposta arriva correndo sulle gambe di un Rannar, che punta dritto verso la spaccatura. Il suo tentativo si infrange sulla spada di Manuel. "Vedi alternative? Se anche uno di loro entra in questa grotta rischiamo di ritrovarci con un nuovo Araldo".

Annuisco. "Potevamo farla difendere ai suoi abitanti, però: non so se mi piacerebbe crepare su quest'isoletta per difendere questo santuario, quando persino la padrona di casa è scappata a gambe levate...".

"Sai bene che da soli non ce l'avrebbero mai fatta. E comunque, certo che ti piacerebbe. Vuoi una morte eroica, come Ilmatar... come tutte le ragazze combattenti delle lande".

Alzo le spalle. "Guarda che Ilmatar non muore. Devi leggerlo meglio, quel libro... o fartelo raccontare".

"Non l'ho mai letto: da ragazzino non sapevo come fare. Guardavo i disegni e i bassorilievi... e le statue. Soprattutto le statue. Ce n'era una, a Feith, che aveva due bocce così".

"Te ne approfitti perché sai che non mi posso più arrabbiare."

Poi avverto qualcosa di molto sgradevole, e la voglia di scherzare mi passa subito.





"Altri Risvegliati?" Mi chiede Manuel.

Scuoto la testa, poi corro verso il corpo ormai esanime di Ronnie. "Ha mormorato qualcosa, prima di...".

"Cosa?"

"Uno... dentro".

Manuel si volta verso la fessura nella roccia: un istante fa sembrava sottile, adesso appare improvvisamente gigantesca.

"Cazzo... quindi erano in tre".

Annuisco. "Purtroppo là dentro non sento niente. In compenso, dalla boscaglia ce ne sono altri che vengono dritti verso di noi".

"Non fa niente", mi dice: "vado io".

"Da solo? Non mi sembra proprio una buona idea".

"E' soltanto uno: gli altri li terrai a bada tu".

"Aghvan ha detto di non entrare: nessuno di noi".

"Aghvan dice un sacco di stronzate".

"Tranne quando non sbaglia mai".

"Vedi alternative?" La mia risposta non gli interessa: ha già deciso.

Scuoto la testa: "è troppo rischioso. Suona il corno, chiama qualcuno".

"Non farebbero mai in tempo: la risolvo io. Tu pensa a tenermi fuori gli altri". Così dicendo, scompare nella fessura di fronte a noi: un angusto buco nero dove io non posso entrare.

Alzo le spalle. Resta calma, Ayza. In fondo è soltanto uno. Pensa piuttosto a non farne entrare altri. Ma capisco presto che è molto più facile a dirsi che a farsi. Una picca di ferro scuro sbuca dalla boscaglia, seguita da una coppia di lance e scudi. Sull'estremità dell'asta penzola sinistro lo stendardo di Feith, ancora gocciolante per la traversata... Chissà, magari è arrivato a nuoto dalla città sacra.

Normalmente, affrontare tre Armigeri non sarebbe un problema: uno scontro lento ed estenuante tra creature che non si stancano, fino a quando una di loro non avrà la meglio... idealmente, io. Sono lenti, posso tenerli a bada. Il problema sono i Rannar che cominciano a spuntare di lì a poco: loro sono tutto fuorché lenti. I primi due li riesco a respingere, il terzo lo inchiodo a un passo dall'ingresso. Ma poi gli Armiger mi raggiungono, e mantenere la mobilità diventa un problema sempre più grosso: prima uno, poi due, poi tutti e tre. Non gliene frega niente di uccidermi, vogliono solo tenermi bloccata per dare ai loro "compagni" la possibilità di entrare.

Con uno sforzo sovrumano riesco ad abbatterne uno, ma gli altri due mi tengono ferma quel tanto che basta da consentire a un quarto Rannar di varcare la soglia. Lancio un primo grido di avvertimento a Manuel. Poi un secondo, e poi ancora un terzo. Tre Rannar, oltre all'Armiger davanti a lui... Può ancora farcela. Poi vedo, e prima ancora sento, l'Antar che si prepara a saltare dentro: eh no, quello non posso proprio farlo entrare. Salto anch'io con l'intenzione di colpirlo a mezz'aria, ma un Armiger mi colpisce al ventre con lo scudo, sbattendomi con forza all'interno della grotta. Accidenti e accidentacc...

Dolore.

Dolore immenso.

Sento il sangue diventare fuoco nelle mie vene. Mi rotolo a terra cercando di spegnerlo, mentre l'Antar mi passa accanto, correndo dentro la grotta.

Dolore inaudito, indicibile, insopportabile.

Come aghi che mi trafiggono gli occhi, come melodie stridule e graffianti che mi penetrano nelle orecchie, come gocce di acido in bocca, come lava bollente nel naso. Insomma, fa tanto, ma proprio tanto tanto male.

Riesco in qualche modo a rotolare fuori, dove gli armigeri mi aspettano per riempirmi di botte. Sento una lancia trafiggermi la schiena, mentre la lama della picca si solleva implacabile sopra la mia testa.

"Una morte eroica, come Ilmatar".

No, non stanotte. Lascio che il sangue degli Antecessori invada il mio corpo e poi spicco il volo, librandomi con un balzo nel cielo sopra alla picca dell'Armigero che si schianta violentamente al suolo. Osservo la lancia che fino a un istante fa si trovava dentro al mio costato e penso che, tutto sommato, rispetto al dolore di prima non sento quasi niente.

Atterro sull'Armiger che mi voleva decapitare. Com'è che si dice? Chi di spada ferisce... Non so dov'è finita la mia spada ma non mi importa, non mi serve: afferro l'elmo con le mani, mentre i miei artigli squarciano i guanti dell'armatura: sento il rumore del ferro che si spacca. Infilzo e giro, quindi tiro forte finché non si spacca anche tutto il resto. Il prossimo.

Le parole di Manuel mi risuonano in testa: "Combattere a mani nude contro i Risvegliati non è mai una buona idea, Ayza: per quanto forte tu possa essere, rischierai sempre di prendere il morbo". Quanto tempo è passato? Mesi? Anni?

Raccolgo la picca: non credo di averne mai usato una, ma c'è sempre una prima volta. Il mio secondo avversario deflette con lo scudo i primi due colpi, il terzo lo colpisce al ventre, il quarto subito sotto alla gorgera dell'elmo, che schizza via dal collo portandosi dietro il cranio. Il prossimo.

Il terzo mi agguanta, cercando di immobilizzarmi. Doveva essere abituato a combattere con le donne. Un tempo questa mossa era il mio punto debole: adesso, per sua sfortuna, sono più forte io. A questa distanza la picca serve a poco, ma la punta dello stivale si rivela una valida alternativa. Mentre lo prendo a calci, sento Khzar avvicinarsi con il suo gruppo.

Khzar e Dharkan - Immagine

"Manuel?" Mi chiede Dharkan: gli basta vedere dove punta il mio sguardo per capire quello che bisogna fare. "Avanti, tutti dentro!" esclama, correndo verso la spaccatura.

"L'entrata principale?" chiedo, preoccupata che altri possano essere entrati da lì.

"L'abbiamo fatta franare insieme ai soldati del Santuario", risponde Khzar, avvicinandosi a me. "Dovrebbe reggere: comunque, ci stanno loro".

D'improvviso, la terra comincia a tremare. Lampi di luce balenano nel cielo, mentre una fitta pioggia comincia a cadere sulle nostre teste.

"Ci siamo", esclama Khzar. "Proprio come diceva Aghvan".

Già. Il Gran Mentecatto non sbaglia mai.



Dharkan sa bene che abbiamo i minuti contati, ma il pensiero di abbandonare Manuel non lo sfiora neppure. Lo osservo mentre entra nella fessura, seguito da altri sei dei nostri. Gli ultimi rimasti, temo. Sanno che Aghvan ci ha detto di non entrare, e invece stanno entrando tutti: bene così. Chissà se avremo occasione di sfruttare questa disubbidienza? Il cielo, la terra, la pioggia, il vento: non c'è elemento della natura che non ci stia urlando in faccia la sua risposta.

Osservo Khzar, l'unico che resta fuori oltre a me. Tra poco, quando sarà il momento, lui prenderà Dharkan e io Manuel: nessun altro ce la farà. E se qualcosa andrà storto, neppure noi.

Il tempo passa.

"Riesci a sentire qualcosa?" Mi chiede: la sua voce è totalmente priva di emozioni, ma si sente che è preoccupato.

"Nulla. E' come se quel luogo non esistesse".

Annuisce. Un poderoso fulmine cade a poca distanza da noi, schiantandosi su un albero.

"Da piccolo mi terrorizzavano", mi dice. "Adesso, neanche me ne accorgo".

"Se ti prende, vedrai che te ne accorgi".

Gli attimi che passano ci sembrano ore, mentre il tremore della terra si fa più intenso e i lampi intorno a noi si intensificano. Poi, improvvisamente, li sentiamo: una moltitudine di anime spente che emergono dalle acque gelide e risalgono lungo i confini dell'isola come una marea. Sono tantissimi: troppi, persino per due innalzati ultra-simpatici come noi. Avanzano compatti verso i due accessi della grotta, senza più alcun ostacolo in grado di fermarli o rallentarli.

Khzar fa qualche passo verso la spaccatura. "Dobbiamo allontanarci appena escono i nostri". Annuisco, avvicinandomi a mia volta. La luce dei lampi è più che sufficiente per guardarci negli occhi. Nessuno dei due ha intenzione di andarsene da solo: ci salveremo in quattro, oppure non si salverà nessuno.

La terra trema ancora, stavolta in modo più intenso: tra poco restare in piedi sarà impegnativo anche per noi. Alcune rocce si staccano dalla volta della spaccatura, rischiando di chiudere la via d'uscita ai "nostri", come li chiama Khzar: e la cosa peggiore è che non possiamo fare niente, a parte ascoltare l'incedere inesorabile della morte che, sempre più vicina, cammina intorno a noi. Il tremore cresce fino a diventare un terremoto, mentre lampi e fulmini danzano nel cielo, si nascondono tra la pioggia e colpiscono a morte gli alberi intorno a noi.

Poi, proprio mentre i Risvegliati cominciano ad affacciarsi sul limitare degli alberi, tre dei "nostri" emergono dall'oscurità sorreggendosi a vicenda: sono Dharkan, Alan e Manuel. Non c'è tempo di vedere come stanno, dobbiamo and...

Le nostre azioni vengono interrotte da un frastuono micidiale, simile a una esplosione, che sembra scaturire dalle viscere della terra.

Un fortissimo getto d'aria bollente ci investe, togliendoci il fiato e sbattendoci violentemente contro gli alberi, nel cuore della marea di Risvegliati. Sento i loro piedi sulla schiena, mentre mi travolgono uno dopo l'altro. E' finita, penso: nessuno di noi ce la farà. Ma questa certezza non mi impedisce di incendiare nuovamente le mie vene del sangue degli Antecessori, di roteare la spada all'altezza delle loro teste, di ucciderne più che posso, di cercare di recuperare i miei compagni. Hai ragione, Manuel: forse una morte eroica non mi farebbe poi così schifo, ma prima di trovarla mi piacerebbe portare a termine quello che abbiamo iniziato. Cominciamo a regalarla al Gran Mentecatto, la morte eroica: poi si vedrà. Khzar mi si affianca, anche lui non ha intenzione di mollare.

"Li vedi?" Grido, cercando di sovrastare il rombo inaudito che gorgoglia tutt'intorno a noi. Annuisce, me li indica. E' notte, ma qualcosa sta illuminando a giorno questo fazzoletto di terra in mezzo al fiume. Li vedo. Per qualche assurdo e fortunato scherzo del destino, sembra che i Risvegliati non se la stiano prendendo con i nostri compagni: stanno correndo tutti verso la spaccatura, precipitandosi verso l'interno, come a cercare riparo dalle lingue di fiamme che precipitano intorno a loro. I miei occhi si inerpicano lungo quegli strali di fuoco e incontrano il miracolo di distruzione che si sta compiendo tra la terra e il cielo. L'apocalisse. La fine del mondo. L'inferno di fuoco sulla terra. La volta celeste che sanguina stelle infuocate, precipitandole verso di noi. Accidenti, Claire: e io che pensavo che il tuo Uragano fosse quello di poco fa!

Sia io che Khzar sappiamo cosa fare: farci largo tra le schiere dei Risvegliati, prendere l'unica persona che possiamo ragionevolmente salvare, correre a perdifiato, raggiungere il promontorio sperando che non sia franato e poi, una volta lì, spiccare il salto più alto e più lungo che possiamo compiere, sperando di riuscire a ripetere la prodezza compiuta ieri nell'unica prova che siamo riusciti a fare...

...E poi giù, nell'acqua, sperando in un miracolo.

Abbiamo soltanto una possibilità.

O la va, o la spacca.

[...]



[..]

"No, non se ne parla. Non lo permetterò".

Dharkan ripete ad alta voce quello che pensiamo tutti: l'unica differenza è che lui può farlo con l'emozione giusta, accompagnando quel diniego con tutta la rabbia che questa situazione merita.

"Lo sapete pure voi che è la cosa migliore da fare. E' l'unico modo per trasformare questa... cosa... in un'opportunità". Manuel parla lentamente, senza tradire alcuna emozione. Scandisce le parole una ad una: mentre parla osservo la sua mano destra, stretta con forza intorno al collo, premuta contro quell'assurdo squarcio a cui la parola ferita non renderebbe alcuna giustizia.

Dharkan scuote nuovamente la testa. Anche lui tiene la mano stretta, serrata in un pugno che sembra non vedere l'ora di schiantarsi su qualcosa. "Anche se volessi, non riuscirei mai a farlo. Non riuscirei a mentire in modo credibile... non su questa cosa".

"Ce la farai. E poi... è quasi la verità, in fondo".

"Passerai alla storia come il braccio destro di Aghvan. Penseranno che eri un pazzo esaltato come lui".

Manuel tossisce sangue, sforzandosi di sorridere. "Anche questa... sarebbe quasi la verità, in fondo".

"Dharkan ha ragione", esclama Khzar. "Hanno il diritto di sapere da che parte stavi, alla fine. E poi, nessuno di noi avrebbe potuto fare quello che hai fatto tu in tutto questo tempo: sono anni che ci stai lavorando. Il nostro obiettivo non avrebbe alcuna credibilità se non spiegassimo anche il ruolo che...".

"Cazzate", lo interrompe Manuel. "Le persone che vi ascolteranno non sanno niente di Ghaan e di chi ha fatto cosa. Ma questa faccia... la mia faccia, se la ricordano bene. E tutto quello che sanno di me confermerà pienamente la versione che gli darete".

Manuel Raven - Immagine

"Dai per scontato che ci vorranno parlare e che ci ascolteranno..." Le parole mi escono da sole: non tradiscono alcuna emozione, come quelle di Khzar. Manuel sta morendo davanti a me e io non provo assolutamente niente. Ironia della sorte, l'unico che riesce ancora a sentire qualcosa sarà la persona che dovrà tirare la sua testa fuori da un sacco e mostrarla alle persone che dovremo cercare di convincere, consegnandolo alla loro memoria come il fedele scherano di un pazzo indemoniato.

"Credimi, Dharkan... Non appena vedranno la mia testa... diventerete i loro migliori amici".

"E quella ragazza, Annie?" Chiede Khzar. "Lei lo sa, che l'hai risparmiata. Che l'hai protetta..."

"Protetta?" Manuel tossisce ancora. "Non farmi ridere. Ho solo impedito che qualche idiota le mettesse le mani addosso. Per il resto, è stata segregata per settimane in mezzo ai topi... Per mia volontà...".

"Non l'hai consegnata ad Aghvan, quando te l'ha chiesta".

"Dan ha raccontato loro la stessa cosa che ho raccontato io ad Aghvan: la Mantide non lo avrebbe mai permesso. E in fondo, era grossomodo la verità... aveva detto... di non ucciderla...".

"L'hai liberata, gliel'hai riconsegnata: hai organizzato lo scambio...".

"Roba normale... in guerra", taglia corto Manuel. "L'ho semplicemente trattata... come un normale prigioniero... come tutti gli altri. Smettila di dire str..." Si interrompe, tossisce ancora: la mano comincia ad allentarsi, mentre i rivoli di sangue si moltiplicano lungo la sua armatura. "Sta morendo", dico rivolgendomi a Dharkan: "hai intenzione di fare come dice, o preferisci aspettare che si risvegli?"

"Non... v'azzardate..." Mormora con un rantolo. Se ne sta andando. Se ne sta davvero andando.

Accidenti e accidentaccio.

"Manuel!", esclamo, cercando di tenerlo sveglio. Voglio tenerlo sveglio.

"...Ayza..." mi guarda, ma non so se riesce a vedermi. E' notte, la luce del fuoco è debole, e ha perso davvero troppo sangue. "...Dimmi..."

"... E' vero che l'hai uccisa?"

Mi guarda sorpreso, non sembra capire. "...Chi? ...Annie? ...no..."

Sorrido. "No... Claire. Dharkan mi ha detto che l'hai trafitta con la tua spada, un attimo prima che..."

Scuote la testa. "...che dici... non..." Per un attimo, sembra che sorrida anche lui.

"... Ah no? Beh, mi sa tanto che lo racconteremo lo stesso. Del resto, se ti piace l'idea di farci dire le bugie..."

Mi guarda, continuando a scuotere la testa: cerca di dire qualcosa, ma il sangue in gola glielo impedisce. Nonostante tutto, però, sorride. Mi chino su di lui, così da assicurarmi che mi possa sentire. "Congratulazioni, Tenente Comandante Raven. Hai ucciso Claire l'Uragano, Seconda dei Sette. Lo sai questo cosa fa di te?"

Osservo per l'ultima volta i suoi occhi spenti: adesso non potrebbe vedermi neanche in pieno sole. Mi avvicino ancora: i miei capelli scivolano a nascondergli il viso, mentre scendo a sussurrargli all'orecchio un'ultima parola. La sente, prova invano a dire qualcosa... ma escono solo sangue e colpi di tosse. Poi china la testa su un lato, privo di sensi. Di colpo, non sento più il cuore.

"Credo sia morto", dico. Khzar annuisce.

Mi allontano: ho il suo sangue addosso. Il primo pensiero è quello di lavarlo via: potrebbe essere infetto. Questo è ciò che sono diventata. Stupida, stupida filattiera.

Poi giro lo sguardo su Dharkan.

"Devi farlo", esclamo.

Sospira. "Adesso ti ci metti anche tu?"

Indico Manuel: "devi farlo per lui". Poi indico il corpo di Alan, riverso al suolo in una pozza di sangue semicongelata: "devi farlo per lui". Infine indico la palla di fuoco che brilla in mezzo al fiume, a poche centinaia di metri da noi. "E devi farlo per loro".

Dharkan mi guarda, senza dire niente.

"E ti dovrai pure impegnare", aggiungo. "Ci dovremo impegnare tutti: quando sarà il momento di tirarla fuori lo faremo sfoderando un bel sorrisetto, come se mostrassimo la testa di un manigoldo qualsiasi...".

Dharkan scuote la testa.

"... Una canaglia della peggior specie. Un masnadiere senza scrupoli, un farabutto che...".

"Va bene, va bene: piantala con questi insulti stupidi". Sospira. "Ho capito".

"Ha ragione", aggiunge Khzar: "è l'unico modo per non rendere la sua morte totalmente inutile".

"Guardate che è normale che la morte sia inutile, eh? A non essere normale è la volontà di farla servire a qualcosa! Ah, ma che parlo a fare di queste cose, con voi. La verità è che vi state perdendo, tutti e due. Che Dio ci salvi tutti."

Io e Khzar lo guardiamo mentre si allontana.

"Dio? Quale Dio?"

Khzar scuote la testa. "Lascia perdere... Gli passerà presto".

"Prima che Manuel si risvegli, spero".

"Tranquilla. Ha capito, gli serve solo un momento".

Annuisco, poi indico il corpo riverso di Alan. "Mi spieghi come hai fatto a trasportare anche lui? Io non ci sarei mai riuscita..."

"A dire il vero, non lo so: credo che sia stato lui ad aggrapparsi a me... Davvero un peccato che non ce l'abbia fatta".

"Già".

Mi chino a osservarlo. Povero Alan, e dire che eri uno dei pochi ad aver pescato la pagliuzza fortunata: saresti dovuto restare a guardia del ponte, senza bisogno di venire a crepare sull'isola insieme a noialtri. Se fossimo riusciti a prendere la druida non avremmo avuto bisogno di te e magari adesso saresti ancora vivo insieme a qualcun altro... E forse anche Manuel.

Ma è anche vero che avremmo corso altri rischi, forse persino peggiori. A ben vedere, non c'è davvero nulla da recriminare: c'è solo da andare avanti e vedere che di che morte varrà la pena morire.


Ayza Reich - Immagine
scritto da Ayza Reich , 06:42 | permalink | markup wiki | commenti (2)
 
30 agosto 517
Mercoledì 22 Marzo 2017

Ma campare ci faceva cosi schifo?



Questa missione è iniziata male e rischia di finire persino peggio. Non è da me accettare un compito simile, pensavo di avere imparato la lezione dall'ultima volta.

Tieniti a distanza e raccogli i frutti del lavoro altrui; istruisci mille braccia per compiere ogni azione, nutrendo il tuo corpo del solo pensiero; custodisci il Segreto con l'assenza, mai con la presenza. Prendi tutto quello che puoi trasportare, ma resta sempre con le mani libere.

In quale misura questa situazione rispecchia gli insegnamenti dell'apprendista di Kar-Gor? Sappiamo fin troppo bene quale Dio dobbiamo pregare per uscire vivi da un tale casino... a dire il vero lo stiamo già facendo.

La verità è che sarei potuto andare via: sarei dovuto andare via, sacrificando la missione e la vedova allegra. Il problema è che Jared non mi avrebbe seguito in questa scelta: sarebbe rimasto ad aiutarla, sacrificandosi a sua volta. Benedetti ragazzi... Ma campare vi faceva così schifo? Ed io, in un sussulto risolutivo così estraneo a me stesso da farmi quasi paura, non ho saputo essere migliore.

Amore, amore, quante disgrazie portano il tuo nome! Una catena ineludibile che ci tiene avvinti l'uno all'altro, rispetto alla quale a me peraltro non spetta che l'ingrato compito di stringere l'inizio in modo inconcludente. Una parola che nel suo pristino significato ha senso unicamente per i poeti, giacché chiunque altro la carica di assai diversa accezione... Me compreso, diamine! Eppure i miei piedi sono rimasti fermi, costretti a terra da una tagliola ancor più stupida di quella ferraglia che giace nascosta tra i cespugli. Come se non sapessi che niente è irrimpiazzabile, come se non potessi ambire a ben altre e maggiormente reciprocate prospettive! Che io stia invecchiando non v'è dubbio alcuno: ma questa non è senilità, bensì piuttosto ricerca dell'autodistruzione.

Sia come sia, l'affezione che mi è presa per questa coppia di apprendisti mi costerà cara. L'idea di morire non basterebbe a infastidirmi, se non fosse accompagnata dall'atroce sospetto che un tale indesiderabile epilogo rischierà di compiersi per mano di un inetto come Terence Lost. Che siano piuttosto questi giovani soldati ad accompagnarci tutti verso la liberazione, specie se possono vantare parte del merito nel dipanarsi degli eventi che ci hanno condotti qui.

Una trappola... Come se non me lo aspettassi: ho anche un'idea su cosa può essere andato storto. Scommetto che la notizia del ragazzino ucciso a Horen ha convinto Gideon a gettare alle ortiche la sua neutralità. Un errore grossolano, mio caro Jared, che dimostra quanto ancora tu non sia all'altezza del tuo predecessore. Potrei dirti che ti abbiamo sopravvalutato, ma la realtà è che il peso è gravato sulle tue spalle troppo presto: avresti avuto bisogno di più tempo... avresti avuto bisogno di più tempo con me. Non importa: quel che è stato è stato. Potrei dire che è stato bello finché è durato, ma sarebbe l'ennesima menzogna. Al contrario, ora che comincio a intravedere la fine comprendo bene come in fondo, malgrado tutto, non ne sia valsa la pena. Sia come sia, ormai il dado è tratto: vediamo di chiudere in bellezza questa missione, quindi torneremo da dove siamo venuti... in un senso o nell'altro.

Come recita il Libro, non è finita finché non è finita. Stringo forte il frammento di astrofillite nel pugno della mano sinistra, pronto a scagliarlo in terra: la mia specialità è negoziare, ma questi soldati sembrano poco propensi ad ascoltare le mie parole. Poco male, vorrà dire che - nella peggiore delle ipotesi - ascolteranno i fatti. Percepisco in alcuni di loro una certa curiosità nei confronti delle infusioni teurgiche di Aghvan: se non altro - nella peggiore delle ipotesi - impareremo tutti qualcosa.

La peggiore delle ipotesi... Ma lo è poi davvero? Un tempo non lontano lo avrei pensato, oggi comincia a sembrarmi un evento persino naturale. Dopo tutto, se c'è una cosa che abbiamo imparato da questa storia è che la natura è molto diversa da come viene raccontata. Il sole sta per tingersi di nero, ancora una volta: chissà se lo fa per distogliere lo sguardo o per impedirci di vedere i mostri che ci siamo messi in testa di diventare.

Deanor Flagg - Immagine 1
scritto da Deanor Flagg , 03:45 | permalink | markup wiki | commenti (3)
 
13 luglio 517
Martedì 3 Maggio 2016

Persone speZiali



"Vuoi stare fermo? Non riesco a fare nulla!"

"E' colpa di questa copertaccia del cazzo che avete rimediato... mi prude da matti, non è che ha le pulci?" Le lamentele di Kevan cominciano a snervarmi, persino in una situazione come questa riesce a risultare fastidioso. Quasi vorrei non averlo coinvolto, del resto con l'età che ha e la barba che si ritrova è l'unico che può farlo in modo decente.

Faccio per gridare qualche insulto, voltandomi verso quella specie di tendaggio che copre lui e Petra alla mia vista, ma Sergente è più veloce: "ce le avevi pure quando ti abbiamo raccolto, quelle! Adesso vedi di muovere il culo, che manca poco". Ben detto. Rivolgo a Sergente un silenzioso cenno di assenso mentre lo osservo chinare nuovamente la testa sul suo piatto di spinaci. Nessuno sa perché, ma è convinto che siano quelli a renderlo così forte. Del resto, con i muscoli e le braccia che si ritrova, sfido chiunque ad andare a dirgli che non è vero. Un grande soldato, Sergente: è stato lui a reclutarmi, quando ero ancora un fesso qualsiasi, uno dei tanti convinti che dopo l'ultima guerra non ci fosse niente per cui valesse la pena combattere. "Volete continuare a rotolarvi per le strade come merde di vacca secche o tornare a brandire una spada?" Eravamo in sei, quando ce lo disse. Gli abbiamo dato retta in quattro, poi Acab al campo ha scartato gli altri tre. "Non è per cattiveria, è che non sopravvivereste mai a quello che ho in mente di fare". Quel giorno, per la prima volta dopo tanto tempo, sentii di essere speciale. Anzi... speZiale.

In tutta sincerità, non avrei mai pensato di trovarmi qui adesso. Il piano che avevo in mente era un pò diverso: dire che ci stavo, prendermi la spada che mi offrivano, riempire la pancia per qualche giorno e poi fanculo al mondo: scappare verso Greyhaven, Amer, Gulas o chissà dove. Ovunque, purché non qui, lontano mille leghe da questo posto malato, infetto e governato da idioti. Poi ho conosciuto lui, Alan Cabot... Acab. Lui mi ha mostrato il suo sogno, e io ho capito che il mio posto, malgrado tutto, è ancora qui.

Fearainn en Saoirse. Terra e libertà.

L'Armata non è un esercito come tutti gli altri: non combattiamo per i capricci di un Dominus o di un Burgravio, ma per un posto in cui poter vivere liberi, con regole giuste e un destino uguale per tutti. Non abbiamo una gerarchia né una struttura rigorosa, sul campo di battaglia contiamo tutti allo stesso modo. Osservo Sergente mentre finisce di divorare gli spinaci, rovesciandosi i resti oleosi del piatto direttamente in gola. Lo chiamano così perché dice di essere stato sergente, prima della guerra: non so di che esercito, probabilmente una signoria minore degli altopiani del Tuono. Ha il dente avvelenato con Uryen, per questo ho pensato di coinvolgerlo.

"Allora, Sgombro, quando arrivano 'sti speZiali?" mi chiede mentre si pulisce le mani. "Non vedo l'ora di sgranchirmi un pò le nocche!" Risate. La locanda è bella piena, la notizia s'è diffusa parecchio. Tra le teste che si avvicendano al bancone noto Autunno, Vela, Osso, Richter, Malandrino, Asciamunito e qualche altra faccia nota. Dietro di loro, con la schiena appoggiata alla parete di legno, Beringar è intento a strimpellare qualcosa di allegro: a poca distanza da lui intravedo Greg e quella gran figa di Ceyèn: sorrido, pensando che quando verremo alle mani, e succederà di certo, col Tenente ne vedremo delle belle.

"All'ora di cena", rispondo. Spero che quei cagacazzi non mi diano buca. Spazzino mi ha detto che sono venuti a scassare la minchia anche alle porte del campo: c'è anche lui al bancone, deve aver chiesto di poter staccare prima per venire a godersi la scena. A quanto pare 'sti speZiali ci tengono davvero, a parlare con Norman. E noi li accontenteremo, altroché! Non è stato facile convincere Sergente a stare al gioco: non gli piace perdere a braccio di ferro, neanche per scherzo. Ma non fa a botte da almeno quindici giorni, quindi l'ho preso per fame.

"Ci siamo quasi, allora", esclama qualcuno: "il sole è bello che calato..."

Annuisco. Lo sguardo torna verso gli attori che ho scelto per la mia commedia improvvisata: Sergente, con i suoi bicipiti in bella vista, pronto a fare la sua figura di merda per poi rifarsi con gli interessi; Vela, che s'è vestita da zoccola proprio come le ho chiesto; l'oste, che ha una parte piccola ma fondamentale; Malandrino, al quale ho chiesto di interpretare il ruolo più difficile e divertente della serata... No, direi il secondo, ora che ci penso.

Mi giro nuovamente verso il mucchio di tende alle mie spalle: "Allora, Kevan? A che punto siamo?"

"Quasi pronti", mi risponde Petra: "vedrete che spettacolo".

A poco a poco, tutti cominciano a battere le mani e a fare coraggio al nostro stalliere: "Ke-van! Ke-van! Ke-van!"

Quando alla fine si apre il sipario, le urla si trasformano in grida, quindi in uno scroscio sguaiato di risate che sale fin quasi al cielo. Porca troia, che roba.

"Ecco a voi Norman lo stregone!" esclama Petra, raggiante alla vista degli apprezzamenti all'indirizzo della sua creazione. "Avanti, Norman, dì qualcosa!"

Kevan-Norman si aggira tra i tavoli, impartendo quelle che sembrano benedizioni e agitando le mani in modo mistico, tra lo scompisciamento generale.

"Ma che cazzo stai a fà, Kevan? Sei uno stregone, mica un prete 'mbriaco!"

"Regà, ma non ci assomiglia per niente a Norton! Sicuri che non l'hanno mai visto?"

"Norman... se chiama NORMANNN!"

"Kevan, facce 'na palla de foco!"

"... si ma non cor culo, possibilmente!"

"Bwahahahahahahhahahah!"

"Oh però cazzo, la barba è eccezionale!"

"Fate silenzio", rantolo con le lacrime agli occhi, "o ci sentiranno. Kevan, tu vai a sederti sul retro e aspetta che te li mandiamo noi: ricorda che sei un potente mago, quando ti vedi perso comincia a mormorare e cantilenare sillabe a caso. Quanto a voialtri, cercate di restare seri..."

Poco a poco, scende il silenzio. Dovrebbe essere ora, ormai: gli sguardi di tutti si fissano sulla porta, in fremente attesa di quello che succederà.

Avanti, speZiale: non deludermi.

Kevan Urich - Immagine
scritto da Sgombro , 23:33 | permalink | markup wiki | commenti (1)
 
9 agosto 515
Sabato 19 Settembre 2015

I bambini prodigio



A Feith non fa mai caldo, neppure ad agosto. Questa zona dell'altopiano del Lampo non fa eccezione, anche se le colline che ci circondano bloccano una buona parte dei venti del Nord: il risultato è una brezza temperata che, nelle giornate in cui non piove, riesce ad essere persino piacevole.

Neanche a dirlo, oggi piove a dirotto. Il cielo ci ha graziati per due giorni, durante la salita, ma non è riuscito a tenersi per quest'ultima manciata di miglia. Poco male, penso mentre indico la strada agli altri: due gocce d'acqua non ci impediranno di arrivare in cima. Speriamo solo che finisca entro domattina o sarà difficile portare a termine quello che siamo venuti a fare.

"Manca ancora molto alle cascate?"

La voce di Petra riesce ad essere snervante, specialmente quando fa domande stupide invece di risparmiare il fiato. Nessuno le risponde, men che meno io. Scavalchiamo in silenzio le ultime rocce che ci separano dalla spianata, negando a questa tempesta estiva la soddisfazione di spazzarci via. Dopo pochi istanti un rumore talmente forte da sovrastare anche la pioggia ci fa capire che siamo prossimi alla meta. Il sentiero si allarga in una valle, lasciando intravedere i resti di antichi edifici. Questo posto doveva essere importante, un tempo: adesso a malapena sappiamo che esiste, occupati come siamo a combattere una guerra dopo l'altra.

"Sicuro che fosse questa la via più breve? Sono fradicia..."

La sento ancora, quella voce del cazzo, nonostante il casino che ci circonda. Mi fermo e stringo la mano a pugno, chiamando a raccolta tutte le mie forze per non colpirla dritta su quel muso da maiala che si ritrova. No, è che mi piace prendere acqua e consumare gli stivali. Penso ad Acab e a Montaine e mi girano i coglioni, mentre loro se la spassano tra Katrin e Gretel a noi è toccato spaccarci la schiena sulle montagne insieme a un branco di reclute rincoglionite.

"Tenete il culo lontano dallo strapiombo, se non volete ritrovarvi a Lagos: ancora qualche minuto e metteremo le chiappe all'asciutto". Guido i miei compagni verso un gruppo di rovine circondate dagli alberi, allontanandomi dal frastuono delle cascate che precipitano appena sotto di noi. Non è stata una passeggiata arrivare quassù: siamo tutti stanchi, è il momento di cercare un riparo. Petra mi trotterella a fianco, abbozzando un sorriso. Demoni del ghiaccio, quanto è brutta oggi: il puzzo dei suoi capelli bagnati mi arriva nonostante l'elmo. Se penso che all'inizio di questo viaggio me la sono scopata mi viene da vomitare: sarà che quel giorno non pioveva e la borraccia del vino era ancora piena.

Vardloch - Gola di Strigis

Raggiungiamo gli alberi e lanciamo gli zaini a terra: il rumore delle cascate è meno assordante, in questa zona. Dico alle reclute di guardarsi intorno mentre noialtri ci occupiamo del campo, che se aspettiamo loro facciamo notte. Io e Malafede ci mettiamo ad accendere il fuoco, Crank si alleggerisce del carico e comincia a raccogliere un pò di legna, River toglie di mezzo i sassi più grossi. L'uomo senza volto si limita a guardarci, senza dire né fare un cazzo come al solito. Demoni del ghiaccio, quanto mi sta sui coglioni: vorrei che non avesse salvato la vita ad Acab, così non saremmo costretti a portarcelo dietro. Montaine mi ha spiegato che il motivo del suo soprannome è legato al ruolo che ricopre a Ghaan: l'assassino di fiducia del Dominus, colui che porta a termine gli incarichi più efferati. L'uomo senza volto, Aghvan l'Invitto, il Signore di Ghaan... che razza di circo: se è a questi individui che dobbiamo dar retta per vincere questa guerra del cazzo significa che stiamo davvero con le pezze al culo. Povera Feith, stretta tra l'incudine di un gruppo di esaltati e il martello di una manica di stronzi, protetta - per così dire - da un Granduca che dà retta oggi a questi, domani a quelli. E poveri noi, costretti a seguire le paturnie di questi cialtroni. Come se avessimo scelta, del resto: siamo soldati che combattono, mica donne che scelgono un vestito. Tranne Petra, ovviamente, che a tratti non sembra essere né l'una né l'altra cosa. Eccola che torna, contravvenendo agli ordini che avevo dato: quanto tempo è passato, razza di cesso con le rotelle che non sei altro? Cinque minuti a dir tanto? Non hai controllato un cazzo, al massimo ti sei fatta una pisciata. Sei più inutile dell'uomo senza volto, che chissà dov'è finit...

D'un tratto l'aria si riempie di un suono familiare. Petra mi fissa in volto, mentre i suoi occhi da scrofa si ingrandiscono fin quasi a scoppiare, riempiendosi di lacrime: fa una smorfia disperata, mentre un rivolo di sangue le circonda il collo come una collana. Poi crolla al suolo, silenziosa come mai è riuscita ad essere in vita, mettendo in bella mostra la nuca da cui si intravede il piumaggio di una freccia.

"A terra!" grido, rotolando sulla schiena dietro al tronco più vicino. Altri suoni familiari, almeno tre o quattro: mentre rotolo, sento il tonfo di un altro dei nostri che cade. Dovrebbe essere Jakes, una delle reclute. La mia mano fa per raggiungere l'arco, quando l'ennesima freccia si pianta a pochi centimetri da me: riconosco le piume, le stesse di quella che ha colpito Petra.

"Io non lo farei, se fossi in te".

Alzo gli occhi e cerco di capire come siamo messi: non benissimo, a quanto pare. Due reclute sono andate, la terza, Knowles, è prigioniera di un soldato... no, di una soldatessa. Il mio interlocutore è un ottimo arciere, a giudicare dai colpi che ha fatto e da come mi tiene sotto tiro. Davanti a lui ce n'è un altro con la spada puntata nella mia direzione. Chi è questa gente? Soldati di Treize, a giudicare dallo stendardo che porta uno di loro. Ne conto sette, tre dei quali hanno l' arco puntato su di noi, più almeno un altro nascosto tra le rovine. Non so se ci aspettavano, ma di certo ci hanno visti arrivare. Che ci fa qui un plotone di Treize?

"Tranquillo, amico", dico all'arciere sollevando le mani: "per ora comandi tu". River e Crank reagiscono in modo analogo, anche loro incalzati da una spada e un arco a testa. Neanche li abbiamo visti arrivare e già ci hanno fatto due morti e un prigioniero. Sono loro ad essere bravi o noi che ci siamo rincoglioniti? Mi chiedo dove siano finiti Malafede e l'uomo senza volto: probabilmente nascosti da qualche parte, aspettando di capire come si metteranno le cose.

"Falli sdraiare a terra", esclama la ragazza. "Magari ce ne sono altri". Cerco di capire a chi si rivolge e capisco che il capo è quello che mi sta puntando la spada. Anche lui non fatica a capire con chi deve parlare. "L'avete sentita", esclama senza togliermi gli occhi di dosso: "faccia a terra e gettate le armi".

Prendo tempo, fingo di non capire: devo mettermi a terra o gettare le armi? La speranza è quella di farli incazzare, magari al punto da spingere qualcuno ad avvicinarsi per tirarmi un paio di schiaffoni e farsi prendere come ostaggio. Niente da fare, restano tutti al loro posto: svegli e anche ben addestrati. E dire che sembrano tutti molto giovani: il capo avrà al massimo venticinque anni, gli altri persino meno. Soldati semplici e scelti, se le mostrine di Treize sono ancora come le ricordo: nessun sottufficiale, nessun caporale. Da dove sono usciti questi bambini prodigio?

"Sdraiati a terra, prima, e getta le armi, dopo", chiarisce il capo con l'aria di chi non lo ripeterà una terza volta. "Lentamente".

Scuoto la testa. "Non esiste: ce ne avete già ammazzati due e pretendi di farci sdraiare a terra e gettare le armi? Tanto vale proporci di buttarci giù dalla rupe". Tiro un colpo di tosse, faccio un passo in avanti...

"Fermo", tuona l'arciere tendendo l'arco: "o quella gamba comincerà a farti male". Bravo e attento, questo ragazzo: diventerà un grande scout. Spero non grazie alla mia taglia, possibilmente.

"D'accordo, d'accordo". Non è facile prendere tempo quando hai tre archi puntati addosso. "Ma trattateci da soldati, non da puttane. Perché non ne parliamo un momento? Così vi diciamo pure chi siamo e magari vi facciamo cambiare idea".

"Questo pensa che scherziamo", esclama uno di loro: "gli facciamo vedere che si sbaglia?".

River e Crank mi guardano, in attesa di un mio segnale. Non abbiate fretta, ragazzi: c'è ancora tempo. "Ascolta", gli dico fissandolo negli occhi: "tu pensi di avere la situazione sotto controllo, ma fattelo dire da chi ne ha vissute parecchie più di te: non è così. Noi..."

"Un'altra parola e fai la fine dell'amica tua", esclama il loro capo. Petra amica mia? Non direi proprio. "A terra, adesso! Se non vuoi che gli tagli la gola!", gli fa eco la nuova ragazza di Knowles.

"E perché mai dovremmo farlo?", chiedo, allargando le braccia: "se ci mettiamo a terra ci lascerete andare?" Nessuno risponde. "Parliamoci chiaro, non avete idea di cosa fare di noi: non potete portarci a Treize, non potete lasciarci andare. L'unica cosa sensata sarebbe ucciderci tutti. Lo sapete voi e lo sappiamo anche noi, motivo per cui nessuno finirà a terra di sua spontanea volontà. Volete queste armi? Venitevele a prendere".

Ho rubato abbastanza tempo. Sguaino la spada, i miei compagni capiscono al volo e fanno altrettanto: ciascuno di noi ha il suo arciere personale, eppure a quanto pare le frecce sono tutte per me. Due si piantano sull'armatura all'altezza del ventre: le sento appena. La terza mi penetra nella coscia: niente di tremendo, ma mi creerà qualche problema. I soldati con la spada ci incalzano, coprendo la ricarica dei rispettivi arcieri. Una manovra da manuale, frutto di un addestramento impeccabile.

"Chi vi ha addestrato?" domando al mio avversario mentre le nostre lame si scontrano: "Rudd? Ramsey? Reiner? Rock? Ne conosco parecchi, di sergenti di Treize: iniziano tutti con la R". Nessuna risposta: solo una rapida e precisa sequenza di fendenti, accompagnati da una quarta freccia che mi si pianta sulla spalla. Quel maledetto arciere non manca un colpo. Con la coda dell'occhio intravedo River e Crank, impegnati in una situazione similare.

Un ultimo tentativo non costa nulla. "Ascoltami bene: sei davvero sicuro di volertela giocare così? Siete ancora in tempo per alzare i tacchi e andarvene. Abbiamo due feriti gravi, non vi seguiremo: ognuno per la sua strada e la chiudiamo qui".

"So chi sei, stronzo" mi dice tra un fendente e l'altro: "risparmia il fiato".

Scuoto la testa. no, non lo sai: ma lo scoprirai tra poco.



Schivo ancora una volta la sua spada e in un attimo gli sono addosso: il mio colpo non va a segno ma lo costringo ad arretrare, ostruendo finalmente la linea di tiro del suo compagno. Incastro la mia elsa contro la sua, mentre con l'altra mano afferro il bordo dello scudo che porta al braccio sinistro. Si aspetta un calcio, invece gli arriva una testata: elmo contro elmo, fronte contro naso e bocca. Fa male, eh? Non riesco a impedire che si divincoli, lasciando nuovamente spazio all'arco del compagno. Osservo la corda che si tende a pochissimi metri dalla mia faccia e penso che stavolta me ne servirà parecchia, di fortuna.

Poi, finalmente, una freccia di colore diverso saetta attraverso i cespugli e colpisce dove fa più male: l'arciere bambino si porta una mano al collo, che diventa completamente rossa in un istante. Lo guardo mentre si affloscia a terra, lentamente, con l'espressione triste e avvilita di chi ce l'ha messa proprio tutta per fare le cose per bene. Peccato, sarebbe diventato davvero un ottimo scout. Due a uno. Un istante dopo Malafede si getta di peso su un altro degli arcieri, piantandogli l'ascia tra la spalla e il collo e trascinandolo a terra. Due pari.

"Noooooooooooo!" L'aria è squarciata dal grido di dolore della soldatessa, a cui fa eco quello degli altri: ci sono rimasti male, pensavano di avere la situazione in pugno. Ah, la tipica alterigia dei giovani. La reazione non si fa attendere e a farne le spese è il povero Knowles, che cade a terra con un sommesso gorgoglio: hai capito, la ragazza. Tre a due.

In quel momento si palesa l'ottavo soldato di Treize, uscendo dalle rovine: un pò troppo tardi, a giudicare da come si stanno mettendo le cose. Due frecce in rapida successione lo raggiungono prima al petto e poi alla gola, sbarrandogli la via per la festa. Tre a tre. L'uomo senza volto esce dai cespugli alla ricerca di un nuovo bersaglio. "Ce ne hai messo di tempo!", esclamo sguainando la daga. Osservo il colpo perfetto scagliato ai danni dell'arciere che stava per mandarmi all'altro mondo: demoni del ghiaccio, alla fine mi toccherà pure ringraziarlo.

Torno a rivolgere le mie attenzioni al capo, costretto a venire a patti con una situazione che volge al peggio. Non dice niente, ma gli occhi parlano per lui. Mi chiedo se stia piangendo per la sorte a cui ha condannato i suoi compagni o per la testata che gli ho dato pochi istanti fa. Mi si getta contro ma i suoi colpi sono ansiosi, imprecisi. "Te l'avevo detto", gli dico: "adesso siamo noi a non avere scelta". Non combatte male, con un pò di esperienza in più potrebbe creare problemi: come i suoi compagni, del resto. Peccato che nessuno di loro avrà mai il tempo di farla, questa esperienza. Lo colpisco una, due, tre volte. Potrebbe mollare la spada ma sceglie di non farlo: si tiene in piedi davanti al corpo senza vita del suo compagno arciere, in attesa che la situazione volga nuovamente a loro favore. Speranza vana: le frecce in corpo non impediscono a Crank e River di avere la meglio sui rispettivi oppositori, mentre l'uomo senza volto fa scempio degli arcieri e Malafede...

...Un momento: dov'è Malafede? Lo cerco con lo sguardo finché non lo trovo, intento a rotolarsi sul fianco come un bambino spastico: la soldatessa di Treize brandisce una spada insanguinata a pochi metri da lui, preparandosi ad affrontare River. Aspetta un attimo: quella ragazza ha appena rotto il culo a Malafede?

La osservo mentre si prepara allo scontro: alta, capelli corvini in parte raccolti da una coda di cavallo e in parte sciolti lungo le spalle. Non ha più l'elmo, dev'esserle caduto durante lo scontro. Da qui non vedo bene, ma mi sembra che abbia gli occhi nocciola: nocciola e gonfi di lacrime per i suoi compagni falciati di fresco. La spada che ha in mano è un pezzo pregiato, uno di quei ferri che si tramandano da padre a figlio. O a figlia, a quanto pare. River la carica a testa bassa, convinto di poterla fare a pezzi con un paio di colpi ben assestati. Tanta è la voglia di assistere a questo duello che quasi mi dimentico del mio avversario, che mi rende oggetto di un ultimo affondo sferrato con la forza della disperazione. Lo evito, poi decido che è giunto il momento di avere pietà di lui: un montante dall'alto e lo sbatto a terra con uno squarcio sulla schiena tale da togliere ogni dubbio. Quattro a Sette, contando Malafede, che a ben vedere non è ancora morto. Credo.

Sollevo gli occhi e, per un istante, incontro lo sguardo color nocciola della ragazza dai capelli corvini. "Maledetti!" Urla mentre si avventa su River con una velocità impressionante. "Maledetti bastardi!". Come se fossimo stati noi ad attaccarvi per primi. Io ci ho provato, per il resto c'era poco da fare.

River fa del suo meglio, ma è pur sempre ferito: Crank, l'uomo senza volto ed io osserviamo increduli mentre quella ragazza incazzata para i suoi attacchi, risponde, lo costringe ad arretrare, quindi lo sbatte a terra e lo colpisce ripetutamente con la spada. Quando capisco che è finita faccio per intervenire per impedirle di ammazzarlo, ma nello stesso istante una freccia dell'uomo senza volto la colpisce sulla spalla dell'arma: un colpo perfetto, che quasi la manda al tappeto.

"Razza di troia", urla River rotolando dalle nostre parti. "Che figura di merda che hai fatto", lo prende in giro Crank mentre lo aiuta a rialzarsi. L'uomo senza volto si avvicina lentamente verso la sua nuova preda, riponendo l'arco e sguainando le daghe.

"Sei molto bella: sarà divertente".

"Aspetta", esclamo. "Può esserci utile viva". Mento sapendo di mentire: non siamo in condizione di trasportare dei prigionieri, specie se feriti. Ci tocca ucciderli tutti, proprio come avrebbero fatto loro con noi.

"E chi ha parlato di ammazzarla", risponde l'uomo senza volto con un sorriso sadico.

La ragazza riesce a rimettersi in piedi, puntando la spada nella sua direzione: per un istante la lama è attraversata dal riflesso violaceo di una gemma incastonata nell'elsa. "Ti aspetto, spaccone: vediamo che sai fare". Ah, la tipica alterigia dei giovani. Viso, corpo e carattere ai massimi livelli: amore a prima vista, altro che Petra. La prospettiva di vederla fatta a pezzi dall'uomo senza volto diventa rapidamente intollerabile. "Mi sembra di averti detto che la voglio viva", ribadisco facendo un passo avanti.

"Dimentichi che io non prendo ordini da te".

"Vorrà dire che prenderai qualcos'altro, da me". Faccio per avvicinarmi, quando il cadavere che giace ai miei piedi comincia a mormorare qualcosa.

"Ali... và via".

Ali? La ragazza si porta un pugno alla bocca, soffocando un grido di dolore. "No", esclama poi: la voce quasi non le esce, rotta dal pianto com'è. "Mai". L'uomo senza volto la osserva estasiato, pascendosi di quel dolore come una zanzara: è di certo l'individuo più spregevole che io abbia mai visto, al suo confronto io sono un cardinale del Sacro Collegio e le puttane di Skogen il mio convento di suore. Quando morirà e piscerò sulla sua tomba dovrò fare attenzione a non prendermi un'infezione da quelle parti.

"E'... un ordine...". Il moribondo emette un altro rantolo, poi stramazza. L'ultimo desiderio in punto di morte. Ali ci scruta per un istante, i suoi occhi nocciola si fissano sulla freccia che mi spunta dalla coscia, quindi sulla gamba ferita di Crank. Un istante dopo si lancia in uno scatto alla velocità del vento. Purtroppo per lei, l'uomo senza volto è sano come un pesce. Mi aspetto che scappi verso le rovine e invece punta verso di me... No, verso qualcosa che è caduto da queste parti. Afferra con la mano lo stendardo di Treize, quindi si getta verso le rovine: persino l'uomo senza volto fatica a starle dietro. Sarà per questo che la chiamano Ali? Io e Crank facciamo violenza alle nostre ferite per non perderli di vista, mentre il rumore della cascata si fa sempre più intenso.

"Fine della corsa", esclama l'uomo senza volto. La ragazza si volta verso di noi, lo stendardo di Treize stretto con la mano sana: alle sue spalle non c'è altro che il vuoto, un precipizio che si apre sulla Gola di Strigis. Il rumore è assordante. La osservo, mentre ripone la spada nel fodero. "Non fare cazzate", le dico. Vorrei prometterle che non la uccideremo ma sarebbe una stronzata, al massimo potrei preservarla dall'uomo senza volto e dai suoi supplizi.

"Addio", dice lei. Non a noi, ovviamente: ai suoi compagni morti, all'esercito, a Treize, alla vita e a questa guerra del cazzo. Poi fa un passo, uno solo, rivolto verso il burrone. Un attimo dopo non c'è più, svanita insieme allo stendardo del suo plotone annientato.

L'uomo senza volto scuote la testa: vorrei potergli vedere il viso e compiacermi per quella punta di dispiacere che di certo sta provando in questo momento... Purtroppo devo accontentarmi della nuca. Quando si gira, dopo alcuni istanti, la sua espressione è quella di sempre: la solita faccia di cazzo a cui ci ha abituati. Arranco verso la cascata, mi sforzo di guardare in basso: fa impressione, da qui è veramente alto.

Ali. Quelle si che ti sarebbero servite, adesso. Spendo ancora qualche istante a guardare lo scrosciare violento dell'acqua, poi mi volto verso Crank. "Andiamo a raccogliere River, vediamo se Malafede è ancora vivo e togliamoci dalle palle".

Quattro a otto. O almeno così credo.

Ali Shark e Greg Lorne - Immagine
scritto da Greg Lorne , 06:13 | permalink | markup wiki | commenti (0)
 
1 Maggio 517
Lunedì 15 Giugno 2015

Il Tempo della Spada



Da qualche parte lassù, oltre le nubi, incombe nera e silenziosa la Luna del Primo. Fin dall'epoca delle Antiche Città gli uomini di ogni nazione continuano a celebrare la sua venuta, poichè l'oscuro transito di Beltane propizia i futuri raccolti. Agli uomini di pace essa comanda la pazienza, la terra si è di nuovo fatta fertile ma sarà Mabon a segnare il tempo della falce; a quelli di guerra invece ingiunge di affrettarsi poichè la messe è già matura, ed il tempo della spada è su di loro.

La grande pira arde nella corte di Uthun; alla sua luce l'Earann delle nostre corazze scintilla vivido, tingendoci del sangue di Samaal. Guardo i miei fratelli e in loro vedo me stessa: magnifici, feroci, inarrestabili, sette spettri vermigli raccolti in tregenda dal loro àrmann, pronti a far nostra la Notte dei Fuochi Splendenti. Taerbeck, Crachadan, Trughan, Feidachar, Onachar, Tarkhun, Ainnir... anno dopo anno, secolo dopo secolo le sette maschere perpetuano il racconto delle imprese di chi venne prima di noi, i trionfi e le sconfitte di un popolo consegnato all'oblio dall'acciaio di Greyhaven.

Come tutti, ricordo di aver domandato anch'io al Maestro il senso di questo pantomima, ed in che modo potesse rendere più fruttose le nostre meditazioni sullo Yog. E la sua voce ferma e pacata mi ha dato la stessa risposta che ricevettero gli altri: "Combattendo per la causa perduta dei Clan, farai sì che la tua sia vittoriosa. Persevera nella certezza della sconfitta e scoprirai di non averne più timore. Ama la causa perduta con tutta te stessa, e quando non desidererai altro che dare la vita per essa, abbandonala e fuggi lontano. Quando l'unico volto che vedrai pensando a te stessa sarà Ainnir, getta quella maschera tra le ortiche. Quando avrai dimenticato il nome che ti diede tua madre, reclamalo per te. Quando riconoscerai nei sei i tuoi fratelli, volta loro spalle senza indugi. Quando ti sentirai padrona del mio Yog, ripudialo per inseguire il tuo."

Tu, fratello mio che un tempo sei stato Kraighar Tarkhun, non hai mai voluto accettare questo sacrificio. Eri seme e sangue del Maestro, eppure hai preferito la menzogna alla verità. Pur di non arrenderti all'esilio hai accettato la compagnia dei morti senza pace, vagando nelle paludi come uno spirito reietto. Pur di non avere indietro il tuo volto ti sei mutato in abominio, e come un avvoltoio ti sei ingrassato delle carogne che hai trovato lungo il cammino. Perchè, Tarkhun? Davvero pensavi di aver più diritto di ciascuno di noi? Davvero credevi che il prezzo che hai pagato fosse più alto di quello che è toccato a noi? Perchè non sei qui stanotte, fratello mio, ed un altro solleva le insegne dell'àrmann al posto tuo? Dove sei sepolto ora, in armi che non ti appartengono più?

Ed è così che alla fine ti sei condannato alla sorte che tanto aborrivi, scacciato dalla Casa di Uthun, rinnegato dai tuoi fratelli, abbandonato a morire senza gloria lontano dal fuoco di tuo padre. Cos'altro speravi di trovare tra le immonde spire di Nathair? E dimmi, la lingua sibilante della Vipera ti ha sussurrato parole di conforto mentre la vita ti scivolava via? Sei felice di aver avuto quella strega come tua ultima, unica amica?

...eppure ho incontrato un uomo disposto a morire pur di difendere il tuo nome, un uomo che pur non avendo desiderio di far suo il tuo maglio lo ha impugnato con la stessa furia di cui tu eri capace. Chi era costui, Tarkhun, che ti ha sconfitto in battaglia per poi farsi tuo campione? Ho pensato spesso, in questi giorni, a come quel Guerriero ha dato prova di se stesso. Ho raccontato al Maestro di come sia riuscito a far vacillare il possente Taerbeck colpo dopo colpo, a come infine abbia eluso il contrattacco del Bisonte con la grazia ineffabile di cui è capace solo chi insegue il proprio Yog. Egli ha annuito in silenzio, come se non si aspettasse di udire niente di diverso.

Sarai ricordato per sempre col nome che non volevi abbandonare, fratello mio...e questa notte gesta di sangue onoreranno il tuo sepolcro, dovunque esso sia.

Un vento improvviso spazza via le nuvole, rivelando l'abisso oscuro della Luna del Primo; il fuoco avvampa e si torce, e un'esplosione di braci si sparge tutto intorno. Il mugghio della tempesta si ingrossa, diventando l'ululato rabbioso di un Faul-Warg che pare voglia lanciare alla foresta intera la sua sfida.

Il Maestro solleva il pugno in segno di saluto. I sei fanno altrettanto, ed io con loro. Il tempo della spada è su di noi.
scritto da Ainnir , 01:39 | permalink | markup wiki | commenti (0)
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